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Il coinvolgimento in concreto dei cittadini nelle pratiche di amministrazione condivisa

La disciplina e gli strumenti dell’amministrazione condivisa

2. Gli strumenti legislativi per la realizzazione dell’affidamento in gestione di un bene

3.1. Il coinvolgimento in concreto dei cittadini nelle pratiche di amministrazione condivisa

Si premette che già dall’analisi compiuta dalla dottrina nell’esaminare le differenti modalità di individuazione di coloro che concretamente partecipano nei processi partecipativi propri dell’amministrazione condivisa, illustrando per ciascuna di esse i relativi vantaggi e svantaggi322, emerge con chiarezza come uno dei punti critici della partecipazione stia nell’effettività della partecipazione stessa, ossia del rispetto del principio di inclusività.

Per quanto concerne la partecipazione ai processi decisionali vengono prese in esame diverse modalità di coinvolgimento e selezione in concreto dei partecipanti. La prima di queste è quella della c.d. modalità ‘a porte aperte’, la quale implica, come suggerisce il nome stesso, il permettere a chiunque ne abbia interesse di prendere parte al procedimento. Tale modalità è tipica di pratiche quali i bilanci partecipativi (a partire dall’esperienza Portoallegrense) e le assemblee pubbliche. Se apparentemente tale modalità potrebbe risultare essere la più inclusiva, in quanto non pone limiti né barriere all’ingresso, nella pratica fa sì che coloro che effettivamente vi prenderanno parte saranno un gruppo ben ristretto di individui323. Il problema della scarsa partecipazione si sovrappone poi a quello della composizione del gruppo. Questo sarà nei fatti costituito prevalentemente dai cittadini più attivi e informati sul tema, ossia dai militanti della

322 L. Bobbio. I dilemmi della democrazia partecipativa. In Angeli, F. Democrazia e diritto IV trim. 2006.

pp. 1 – 16.

323 I numeri lo confermano. Si pensi che nel caso del bilancio partecipativo di Porto Alegre la soglia di partecipazione dei cittadini alle assemblee non ha superato il 5-7%, soglia che scende al 1-2% nei casi spagnoli e italiani tra cui il bilancio partecipativo di Grottammare. L. Bobbio. I dilemmi della democrazia partecipativa. Op. cit. 2006. p. 5.

143 partecipazione, con uno scarso coinvolgimento, dovuto perlopiù ad un'autoesclusione, di quei cittadini definiti ‘ordinari’, i quali risultano spesso essere anche i più deboli. Ne emergerà una rappresentazione falsata della società che aumenta i rischi di autoreferenzialità delle decisioni così adottate, sollevando dubbi sulla legittimità stessa di queste. Tali problematiche possono essere superate attraverso l’adozione del c.d. metodo del microcosmo, il quale si basa sulla creazione artificiale di un gruppo in grado di dare una quanto più accurata rappresentazione, su scala minore, della società. Attraverso un campionamento si punta a riunire e coinvolgere un insieme di persone che possano rappresentare i vari interessi e le posizioni orbitanti attorno a una specifica questione. Tale metodo è quello che usualmente viene impiegato nelle pratiche di urbanistica partecipata.

Il suddetto gruppo può poi essere costituito sia tramite uno o più soggetti esterni ed imparziali che si impegnino attivamente a ‘reclutare’ le varie figure, che attraverso la selezione casuale di un campione della popolazione di riferimento. In tal modo, nonostante la possibilità che taluni dei soggetti così selezionati non accettino di partecipare, si tenderà ad avere un insieme eterogeneo, costituito sia dai cittadini più attivi, che da coloro che normalmente non prenderebbero parte ad un’assemblea di loro spontanea iniziativa. L'idea alla base di questo secondo metodo di selezione sta nella convinzione che chiunque, se messo nelle condizioni di poter dialogare sulla base di un’effettiva informazione, possa contribuire intelligentemente alla soluzione di problematiche di interesse generale (tramite la messa in comune del proprio bagaglio personale di esperienze e conoscenze). Certamente il metodo delle porte aperte permette la partecipazione di individui già informati e preparati che più difficilmente potranno essere manipolati. Tuttavia, l’obbiettivo ultimo della stessa democrazia partecipativa sta nel dare voce a chi normalmente ne è sprovvisto e non quello di creare nuove oligarchie mascherate da pratiche fintamente inclusive. D’altro canto, il problema della strumentalizzazione dei cittadini comuni, che va di pari passo con quello della banalizzazione di questioni che possono risultare altamente tecniche e complesse se messe in mano a cittadini inesperti, può essere almeno parzialmente arginato attraverso un’attenta e bilanciata composizione tra cittadini esperti e non. Parimenti sarà essenziale la gestione del procedimento da parte di un comitato promotore in grado di assicurare che tutti i punti di vista siano adeguatamente rappresentati, attraverso l’imparziale

144 componimento dei conflitti e la garanzia di un adeguata circolazione delle informazioni324. In tal senso rappresenta un virtuoso esempio l’e-Town Meeting promosso dalla Regione Toscana nel novembre del 2006 per l’elaborazione stessa della legge sulla partecipazione325, per il quale si optò per l’adozione di un metodo di selezione dei partecipanti misto.

Il tema della problematicità del coinvolgimento equo della cittadinanza emerge con ancora più forza in altri scritti326 in cui si avverte dei rischi cui si va incontro nel regolare in concreto l’accesso a tali pratiche. Viene evidenziato come queste si prestino a facili distorsioni date dall’intromissione di gruppi di interesse su un tema sensibile e specifico.

Il rischio è quello di produrre in concreto un effetto opposto rispetto a quello al quale si aspira; ossia l’esclusione dei cittadini più deboli a vantaggio dell’inclusione del privato inteso quale mercato e quindi del prevalere di logiche efficientistiche sulla sfera pubblica e sociale327. Diviene pertanto necessario interrogarsi su come rendere effettiva la garanzia di rappresentatività degli attori sociali onde evitare che le pratiche partecipative non si tramutino in criteri di selezione e frammentazione della cittadinanza.

Se il tema dell’inclusione dei cittadini comuni nelle pratiche della democrazia partecipativa è particolarmente spinoso, ad avviso di chi scrive questo emerge con minore intensità, o quanto meno in termini mutati, nel momento in cui si passa dalla fase di programmazione e/o adozione di decisioni partecipate a quella dell’attuazione delle pratiche dell’amministrazione condivisa intesa quale gestione condivisa di beni e spazi pubblici così come di interventi di cura dei medesimi da parte dei cittadini. Di fatti volendo applicare tale ragionamento a questa seconda tipologia di partecipazione le intrinseche modalità di svolgimento delle procedure (attraverso bandi piuttosto che proposte di collaborazione secondo i modelli bottom-up e bottom-down) fanno immaginare che il problema in termini di rappresentatività dei cittadini sia più facilmente risolvibile. Questo in quanto più che un

324 L. Bobbio. I dilemmi della democrazia partecipativa. Op. cit. 2006. pp. 7 ss.

325 L.r. 69/2007, per cui si rimanda al primo capitolo del presente elaborato.

326 Tra cui si veda Bin, R. Contro la governance: la partecipazione tra fatto e diritto, in Il federalismo come metodo di governo. Le regole della democrazia deliberativa”, a cura di G. Arena e F. Cortese.

Padova. Cedam. 2011. Pp. 3 – 15.

327 Roberto Bin, nel suo già citato scritto del 2011, riporta come esempio inerente alla questione dei servizi pubblici, quello della rete ferroviaria.

145 quesito aperto, su cui si chiede alla popolazione di esprimersi (come nel caso del dibattito pubblico), ad essere proposta, specie in caso di iniziativa dall’alto ossia dell’amministrazione competente, è la destinazione da dare ad uno specifico bene o spazio previamente individuato dall’amministrazione stessa. Pur potendosi unificare le diverse pratiche partendo ad esempio dall’adozione di una decisione condivisa circa la destinazione da dare ad un dato spazio pubblico per poi, una volta individuate le sottostanti esigenze ed interessi gravitanti attorno all’area, avviare la fase di raccolta delle proposte, co-progettazione ed attuazione condivisa degli interventi. In ogni caso, specie nelle pratiche attinenti alla rigenerazione urbana, si tratterà piuttosto di adottare una decisione su un concreto bene materiale che interessa una data comunità di riferimento in quanto da essa quotidianamente vissuto e inerente a un gruppo di individui più ristretto, pertanto più facilmente individuabile rispetto agli interessi che può attrarre ad esempio l’approvazione partecipata di un bilancio che riguarda un’intera città. Tale ragionamento varrà a maggior ragione in caso di proposta dal basso, come nel caso di presentazione di una proposta di stipula di un patto di collaborazione sulla base del modello delineato dai regolamenti sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani.

Di contro si presentano differenti ed ulteriori problematiche che verranno prese in considerazione in questa sede. In riferimento ai soggetti coinvolti sarà piuttosto necessario chiedersi quali procedure di affido e selezione possano essere impiegate per l’affido di beni e spazi comuni, quali i criteri per la scelta, o ancora quali categorie di beni possono in concreto prestarsi a tali pratiche. Andrà parimenti analizzata la questione dell’impatto sulla spesa pubblica rispetto al controllo della Corte dei Conti e quindi in relazione al possibile danno erariale, così come della compatibilità con le regole della concorrenza e dei controlli sulla coerente gestione in merito agli impegni assunti in termini di utilità generale ed inclusività.

3.2. Legittimazione e limiti allo svolgimento di attività consensuale: Il

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