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Criticità e prospettive inerenti al rapporto tra pubblico e privato nella gestione e valorizzazione dei beni culturali

La disciplina e gli strumenti dell’amministrazione condivisa

2. Gli strumenti legislativi per la realizzazione dell’affidamento in gestione di un bene

2.3. I patti di collaborazione secondo il modello del Regolamento di Bologna

2.4.3. Criticità e prospettive inerenti al rapporto tra pubblico e privato nella gestione e valorizzazione dei beni culturali

Dalla disciplina analizzata emergono differenti elementi critici con particolare riferimento alle attività di valorizzazione dei beni culturali ad appartenenza pubblica. A cui si aggiunge il difficile coordinamento con altre fonti di rango primario. tra queste, la disciplina del Codice dei contratti pubblici e quello del Terzo settore, spesso ispirate a logiche differenti, specie in rapporto al coinvolgimento dei privati tra cui i singoli cittadini e gli enti senza fini di lucro. Di fatti, qui più che in altri settori, fatica ad emergere sia un chiaro inquadramento che una contiguità tra le varie attività esperibili a garanzia del patrimonio artistico-culturale; ossia tra le funzioni di tutela, valorizzazione e fruizione dei beni culturali. Tale incertezza si ripercuote sulla definizione dello spazio dedicato alla collaborazione tra settore pubblico e privato nella cura e gestione dei beni culturali, con particolare riferimento alle varie fasi degli interventi di valorizzazione.

Venendo a un primo ordine di problemi si nota come dalla disciplina posta dal Codice dei beni culturali emerga una netta separazione e contrapposizione tra gli interventi di cura e tutela e quelli di valorizzazione. Premesso che proprio la crescente attenzione per la valorizzazione del patrimonio culturale ha aperto l’ingresso agli interventi dei privati, stimolando l’efficienza dello stesso settore pubblico; i primi vengono concepiti quali limiti all’esperibilità da parte dei privati di interventi volti a valorizzare il patrimonio culturale.

299 A. Moliterni. Pubblico e privato nella disciplina del patrimonio culturale: L’assetto del sistema, i problemi, le sfide. In A. Moliterni. Patrimonio culturale e soggetti privati; criticità e prospettive del rapporto pubblico-privato. Editoriale scientifica. 2019. p. 29. Il quale richiama in tal senso la Guida Operativa elaborata nell’ambito del progetto “Qualità dei bandi per l’acquisto di servizi nel sistema dei beni culturali”, a cura del Ministero per i Rapporti con le Regioni e per la Coesione Territoriale di concerto con il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica del Ministero dello Sviluppo Economico nel 2011.

134 Quando invece un intervento di valorizzazione di un bene dovrebbe, da un punto di vista logico, presupporne anche la cura e quindi la tutela; come di fatto avviene in relazione alla cura, valorizzazione e rigenerazione dei beni comuni urbani che possono ad esempio essere portate avanti dai cittadini attivi nell’ambito dei patti di collaborazione. Ulteriore punto critico nel rapporto tra tutela e valorizzazione è dato dalla previsione dell’esclusione degli organi istituzionalmente preposti alla tutela di prendere parte agli organismi di gestione dei soggetti giuridici preposti alla valorizzazione del patrimonio300. Una tale rigidità impedisce nei fatti di avere un quadro organico degli interventi cui i beni culturali vengono sottoposti e quindi della necessaria connessione tra processi di recupero e valorizzazione del patrimonio culturale, talvolta in concreto difficilmente distinguibili.

Tuttavia, il coordinamento tra tutela e valorizzazione non è l’unico a creare difficoltà.

Parimenti problematica è infatti la distinzione che emerge tra fruizione e valorizzazione.

Questo in quanto la disciplina in materia pare relegare il primario tema dell’accesso, e quindi della fruizione, in secondo piano, quasi a volersi concentrare su interventi atti a valorizzare esclusivamente beni che siano automaticamente fruibili o il cui accesso sia già garantito. In tal modo si rischia tuttavia di trascurare tutti quei casi in cui invece oltre alla valorizzazione in termini fornitura di servizi aggiuntivi, si rendono necessari interventi volti non solo a valorizzare il bene ma anche a renderlo effettivamente fruibile alla comunità, che invece dovrebbe rappresentare il fine principale della gestione del patrimonio culturale ad appartenenza pubblica301.

In conclusione, l'incertezza intorno alla definizione della nozione di 'valorizzazione', così come i confini tra questa e le funzioni di tutela e fruizione e della più generale gestione del patrimonio pubblico, si riflettono poi sulla collaborazione con i privati, quindi sul riparto di competenze e di responsabilità con il settore pubblico. Nei fatti, la

300 Ai sensi dell’Art. 116 del Codice dei beni culturali.

301 D’altro canto, la difficile separazione delle due finzioni emerge dallo stesso Art. 115.5 del Codice, dedicato alle ‘forme di gestione’, il quale prevede che “Le amministrazioni cui i beni pertengono e, ove conferitari dei beni, i soggetti giuridici costituiti ai sensi dell'articolo 112, comma 5, regolano i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione mediante contratto di servizio, nel quale sono determinati, tra l'altro, i contenuti del progetto di gestione delle attività di valorizzazione ed i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi delle attività da assicurare e dei servizi da erogare, nonché le professionalità degli addetti.

Nel contratto di servizio sono indicati i servizi essenziali che devono essere comunque garantiti per la pubblica fruizione del bene.”

135 valorizzazione del patrimonio culturale viene ad essere considerata sia funzione pubblica da assicurare in maniera doverosa da parte dell’amministrazione, che un’attività da gestire direttamente o indirettamente, attraverso la concessione ad enti privati operanti for profit.

A tali criticità si aggiungono poi quelle intere alla funzione di valorizzazione ed in particolare alle tre fasi individuate. Queste sono infatti caratterizzate da una forte rigidità, data dalla netta distinzione delle relative discipline, con particolare riferimento ai soggetti autorizzati a parteciparvi in concerto con i soggetti pubblici. Si è visto in precedenza come la partecipazione alla fase di programmazione sia riservata ai soli enti senza finalità di lucro, mentre viene estesa anche a quelli for profit nella successiva fase di gestione, impedendo al tempo stesso agli enti no profit che abbiano preso parte alla precedente fase, di partecipare anche alla successiva, ostacolando in tal modo la necessaria continuità richiesta tra le fasi interne ad una medesima azione di valorizzazione302. Da una tale scelta, emerge una concezione ormai superata degli enti senza fini di lucro e delle differenti tipologie delineate dalla ‘nuova’ disciplina del Codice del Terzo settore analizzata in precedenza303.

In ultimo si nota come l’intera impostazione emergente dal Codice dei beni culturali in relazione ai rapporti con il privato sia, a differenza di altre, ancora fortemente improntata alla logica della concessione a privati, sulla base di procedure ad evidenza pubblica, che mettono in risalto l’economicità della gestione e quindi dello sfruttamento economico delle attività e dei servizi resi sotto l’alveo degli interventi di valorizzazione dei beni culturali. Ciò avviene a discapito della tutela difensiva del bene in favore dell’offerta da parte del privato di servizi accessori al bene stesso. L’attenzione viene in tal modo a

302 Scelta tra l’altro non priva di contraddittorietà. Si pensi all’eventualità, prevista dall’Art. 115.6, in cui venga affidata ad una fondazione l’intera gestione di un bene culturale, fondazione alla quale può aver aderito un ente no profit che abbia preso parte alla fase programmatoria e che pertanto si troverà coinvolto nella successiva fase di gestione. Contraddittorietà che si intensifica in relazione agli enti for profit, per i quali non è previsto il medesimo divieto in quanto esclusi a priori dalla fase programmatoria ma che potrebbero rientrarvi in qualità di ‘soggetti interessati’.

303 Dalla quale emerge inoltre un’apertura in favore dello svolgimento di attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale da parte degli enti del Terzo settore, attraverso l’inserimento di queste tra le attività di interesse generale perseguibili in tutte le fasi, dalla programmazione alla concreta gestione. Tale apertura di estrinseca nella previsione operata dall’Art. 71.3 del Codice del Terzo settore, in relazione all’assegnazione di beni culturali immobili ad appartenenza pubblica, ad enti del Terzo settore, per lo svolgimento di interventi di restauro. Così come previsto. Per la cui disciplina ed implicazioni si rinvia ai paragrafi 2.1.2 e 2.4.3.

136 concentrarsi sulla ‘messa a reddito’ del bene culturale, e quindi su elementi quali l’ammontare del canone offerto e più generalmente sul contributo economico garantito dal privato per l’intervento di valorizzazione304. Pertanto, seppure il valore economico sia insito nella natura stessa dei beni culturali e possa portare, in caso di un adeguato sfruttamento, al reperimento di notevoli risorse, utili in primis alla conservazione del medesimo (in particolar modo nell’ambito della attuale crisi finanziaria che ha portato ad ingenti tagli sulla spesa pubblica ad esso dedicata); non può rappresentare l’ago della bilancia nelle politiche di gestione dei beni culturali ad appartenenza pubblica. Sarebbe dunque opportuno introdurre una distinzione tra interventi di valorizzazione esperibili anche da privati operanti sul mercato e volti alla valorizzazione dei beni culturali in termini prevalentemente economico-finanziari305, dalle politiche di valorizzazione dirette alla effettiva tutela, riqualificazione e miglioramento del patrimonio storico, culturale ed artistico pubblico in chiave costituzionalmente orientata. Posto che, ai sensi della Costituzione306, l’effettiva missione affidata alla Pubblica Amministrazione in relazione al patrimonio culturale sarebbe piuttosto quella di promozione della cultura e dell’accesso alla conoscenza, in quanto rappresentante un interesse generale della collettività dei cittadini. In quest’ottica “l’eventuale “ritorno economico” che il bene culturale è in grado di produrre non dovrà mai costituire il fine immediato e diretto dell’azione di valorizzazione, quanto, piuttosto, un effetto indiretto, subordinato all’accrescimento dell’utilità e del valore culturale del bene medesimo.”307

In ragione di quanto detto si imporrebbe la revisione delle logiche sottostanti i rapporti tra pubblico e privato nella valorizzazione del medesimo. Operazione che potrebbe passare anche per l’adozione delle pratiche dell’amministrazione condivisa con i cittadini in particolare in relazione a quella parte del patrimonio culturale ormai in disuso o scarsamente fruito. Un tale intervento potrebbe auspicabilmente portare ad una concreta

304 A. Moliterni. Pubblico e privato nella disciplina del patrimonio culturale, Op. cit. 2019. pp. 42 ss.

305 Tra i quali si potrebbero far rientrare gli interventi volti alla gestione delle biglietterie, bookshop, riproduzione di opere artistiche o ancora dei servizi di ristorazione annessi.

306 Si veda in tal senso quanto disposto dall’Art. 9 della Costituzione il quale prevede che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

307 A. Moliterni. Pubblico e privato nella disciplina del patrimonio culturale, Op. cit. 2019. p. 64.

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“condivisione con i privati interessati di un vero progetto di rigenerazione del bene culturale, che sia in grado di riattivare un legame tra il bene, il territorio e le comunità di riferimento, anche attraverso la promozione di attività culturali sullo stesso.”308

2.4.4. Il rapporto tra pubblico-privato nell’ambito della valorizzazione del

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