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Il rapporto tra pubblico-privato nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale in disuso alla luce della disciplina dei contratti pubblici

La disciplina e gli strumenti dell’amministrazione condivisa

2. Gli strumenti legislativi per la realizzazione dell’affidamento in gestione di un bene

2.3. I patti di collaborazione secondo il modello del Regolamento di Bologna

2.4.4. Il rapporto tra pubblico-privato nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale in disuso alla luce della disciplina dei contratti pubblici

e del Terzo settore

Le criticità appena esposte in relazione alle attività di valorizzazione dei beni culturali pubblici ad opera di privati, emergono con maggiore forza in tutti quei casi in cui le suddette attività interessano beni culturali immobili dismessi, abbandonati, in disuso o la cui fruizione da parte del pubblico sia comunque limitata. In tali casi infatti si rende più che mai necessario un intervento pervasivo volto alla rigenerazione del bene del quale va primariamente garantita o ripristinata la fruibilità. Pertanto, saranno difficilmente concepibili interventi separati o limitati alla valorizzazione in termini di affiancamento di servizi aggiuntivi come nel caso di beni culturali già pienamente fruibili ed agibili.

Conseguentemente in luogo di una concessione parziale, così come normalmente prevista dalle disposizioni dettate in materia dal Codice, si renderà piuttosto indispensabile un’operazione di gestione unitaria del bene in tutte le sue fasi, capace di estrinsecarsi in un arco temporale di medio/lunga durata. Di fatti solo attraverso un intervento unitario sul bene sarà possibile esperire un’azione volta all’effettiva valorizzazione dei beni culturali

308 A. Moliterni. Pubblico e privato nella disciplina del patrimonio culturale, Op. cit. 2019. p. 47.

Similmente si veda G. Manfredi. Rigenerazione urbana e beni culturali. In F. Di Lascio e F. Giglioni. La rigenerazione di beni e spazi urbani. Contributo al diritto delle città. Il Mulino. Bologna. 2017. (Così come richiamato anche da A. Moliterni).

138 del c.d. patrimonio diffuso309, da intendersi quale valorizzazione culturale310 e non meramente economica311.

Quanto detto acquista maggiore valenza in particolare riferimento agli elevati costi che la riqualificazione di beni immobili culturali particolarmente degradati può richiedere, ponendo un ulteriore problema in relazione alla determinazione del canone concessorio.

Di fatti questo dovrà essere tale da non scoraggiare o comunque costituire uno sbarramento all’intervento da parte dei privati, per cui si tratterà di individuare in concreto un accordo tale da permettere il raggiungimento di un equilibrio economico – finanziario.

A riguardo sono distinguibili due ordini di problemi: quello della sostenibilità finanziaria, definita dal Codice dei contratti pubblici in termini di “capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento”, e quello della convenienza economica, intesa quale ''capacità del progetto di creare valore nell’arco dell’efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato al capitale investito”312. In tal senso sarebbe auspicabile un superamento della rigidità dettata dal Codice dei beni culturali in relazione alla determinazione del canone concessorio, ancora fortemente legato a logiche soggettive piuttosto che calibrate in funzione del bene interessato e degli interventi che esso richiede per poter essere effettivamente fruibile da parte della collettività. È pertanto necessario guardare primariamente alla 'messa a valore' in senso culturale. Di fatti solo un tale tipo di valorizzazione può giustificare

309 Il termine, così coniato dalla dottrina per evidenziare la relazione tra patrimonio culturale, la sua tutela e valorizzazione e il contesto sociale e territoriale in cui i singoli beni sono inseriti, ricomprende tutti quei beni rientranti nel patrimonio culturale che vertono in uno stato di degrado, disuso o comunque

necessitanti di interventi volti a ripristinarne la fruizione collettiva. In tal senso si veda M. Croce e S. De Nitto. I partenariati per la valorizzazione del patrimonio dismesso, in disuso o scarsamente fruito. In A.

Moliterni. Patrimonio culturale e soggetti privati; criticità e prospettive del rapporto pubblico-privato.

Editoriale scientifica. Napoli. 2019. pp. 169 ss. Nel quale si riprendono le considerazioni operate da M.

Cammelli. L’ordinamento dei beni culturali tra continuità e innovazione In Aedon. 3/2017.

310 Posto che tra le attività di valorizzazione del patrimonio storio e artistico, si riconducono, non solo gli interventi materiali insistenti sul bene, anche tutte quelle attività di promozione e diffusione della cultura e dell'arte.

311 Ciò premesso, nulla vieta che sia prevista anche quest’ultima. Al contrario, lo sfruttamento economico da parte del soggetto privato incaricato dell’intervento di valorizzazione è espressamente previsto dalla disciplina codicistica in quanto funzionale al recupero dell’investimento da questo effettuato. Ciò che rileva è che tale aspetto non prevalga sulle esigenze di tutela e fruizione del patrimonio culturale. In tal senso si veda anche M. Croce e S. De Nitto. I partenariati per la valorizzazione del patrimonio dismesso, in disuso o scarsamente fruito. Op. cit. 2019. pp. 173 ss.

312 Art. 3, co. 1, lett. fff Codice dei contratti pubblici, rubricato ‘Definizioni’.

139 l'abbassamento del canone e/o la possibilità di svolgere attività economica in relazione al bene. Se così non fosse, gli interventi di valorizzazione esperiti dai privati assumerebbero la forma di una mera esternalizzazione in termini di privatizzazione (contraria alla logica della fruizione collettiva).

Con riferimento alla definizione del canone ed alla previsione degli investimenti richiesti ai privati per portare avanti interventi di restauro su beni culturali particolarmente degradati o in disuso, si nota come, in ragione del loro stato, risulti particolarmente arduo per i privati operare una stima dei costi che dovranno sostenere, così come degli eventuali ricavi che potrebbero compensare i primi313.

In ragione dell’esigenza di una disciplina maggiormente flessibile rispetto a quella dettata dal Codice dei beni culturali in materia di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, si può volgere lo sguardo alle discipline dettate da altre normative quali quella del Codice del Terzo settore e del Codice dei contratti pubblici.

In relazione alla prima si richiama la disposizione prevista all’Art. 71.3314. Tale disposizione, così come la stessa introduzione tra le attività di interesse generale esperibili, previste all’Art.5 del Codice, di interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, permette di porre al centro dell’attenzione il bene e la sua effettiva valorizzazione.

Ciò avviene attraverso la possibilità di dare in concessione beni culturali immobili che necessitano di interventi di restauro, per un arco temporale tale da permetterne un adeguata opera di riqualificazione e conversione. Il limite di tale disposizione ai fini del presente discorso è dato dalla ristretta applicabilità ai soli enti del Terzo settore315. In aggiunta alla possibilità di usufruire di un canone agevolato se non nullo316, quanto

313 Questo in quanto, essendo i beni a fruizione limitata se non nulla, non risulta possibile rifarsi allo storico dei flussi di cassa per ottenere una proiezione delle entrate basata sugli anni precedenti.

314 Infra paragrafo 2.1.2.

315 Si discute inoltre se tra questi si possano includere anche le imprese sociale, essendo queste escluse dall’affido di altri beni immobili così come prescritto ai precedenti commi del medesimo articolo.

Tuttavia, essendo al terzo comma assente un’espressa disposizione in tal senso non se ne vede la ragione per escluderli dall’applicazione della norma in esame.

316 Salva l’anticipazione dell’itera somma, operazione che potrebbe in ogni caso scoraggiare coloro che non dispongano nell’immediatezza della somma volta a coprire il canone e al tempo stesso i costi, talvolta molto elevati, richiesti per le operazioni di restauro.

140 previsto dall’Art. 71.3 da risposta alle varie criticità emerse dalla disciplina posta dal Codice dei beni culturali in relazione alle operazioni di valorizzazione del patrimonio diffuso. È infatti prevista una durata fino ad un massimo di cinquant’anni, adeguata a portare a termine anche interventi più complessi che in ogni caso devono assicurare la “corretta conservazione, nonché l'apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione”

(quindi non solo la messa a rendita del bene). Ciò nonostante, è data la possibilità di introdurre nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento delle attività indicate. Tale disposizione sembrerebbe dunque delineare un modello flessibile, omogeneo e attento alla funzione di promozione della cultura degli stessi interventi di valorizzazione del patrimonio culturale, anche in relazione ai criteri che deve soddisfare l’ente concessionario ai fini dell’assegnazione, ponendosi in linea con quanto previsto dall’Art 9 della Costituzione317.

Mentre per quanto concerne il Codice dei contratti pubblici si rinvia a quanto stabilito dall’articolo 151318, dedicato alle ‘Sponsorizzazioni e forme speciali di partenariato’ e posto a chiusura del Titolo VI, Capo III inerente alla disciplina degli appalti dei beni culturali. Il primo comma del suddetto articolo opera un rinvio alla disciplina delle sponsorizzazioni prevista dall’Art. 19319 del Codice dei contratti pubblici, stabilendo che si applichi anche ai contratti “di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture relativi a beni culturali (…), nonché ai contratti di sponsorizzazione finalizzati al sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura, di cui all'articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.” Mentre al terzo comma è prevista una disciplina semplificata per l’attivazione di forme di partenariato speciali tra privati e organismi pubblici volte “a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l'apertura alla pubblica fruizione e la

317 M. Croce e S. De Nitto. I partenariati per la valorizzazione del patrimonio dismesso, in disuso o scarsamente fruito. Op. cit. 2019. pp. 186 – 187.

318 Richiamato dallo stesso articolo 71.3 del Codice del Terzo settore, il quale rimette l’individuazione del concessionario alle procedure semplificate di cui all'articolo 151, comma 3.

319 Disciplina che si caratterizza per una maggiore sveltezza della procedura, in quanto prevede, per l’affidamento di contratti di sponsorizzazione superiori ai quarantamila euro, la previa pubblicazione su un apposito sito internet, da parte del soggetto pubblico appaltante, dell’avviso contenete sia la richiesta da parte dell’amministrazione di uno sponsor per lo svolgimento di un dato intervento, sia l’avviso relativo al ricevimento di una proposta di sponsorizzazione. Trascorsi trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso e del contenuto minimo del contratto, questo potrà essere oggetto di negoziazione, nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse.

141 valorizzazione di beni culturali immobili”. Si vanno in tal senso a ricomporre le tre fasi che invece vengono nettamente separate all’interno del Codice dei beni culturali, in un’ottica di maggiore organicità del rapporto tra il privato incaricato dell’attività di valorizzazione e il bene culturale oggetto dell’intervento. Tali forme di partenariato sono attivate su impulso del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo “al fine di assicurare la fruizione del patrimonio culturale della Nazione e favorire altresì la ricerca scientifica applicata alla tutela.” Tale disposizione si presta a ricomprendere una pluralità di fattispecie senza porre limiti al novero dei soggetti privati che possono prendervi parte.

Tuttavia, dalla lettura dell‘Art. 151 poco emerge in relazione alla struttura da dare all’accordo, né pare possibile rinvenire ulteriori indicazioni dalla prassi320, essendo rilevabile al momento un solo caso di applicazione della disposizione in esame321 (seppure particolarmente interessante nella parte in cui si prevede la possibilità di revisionare gli accordi finanziari in corso d’opera, permettendo così alle parti di modulare ed adattare quanto pattuito alle concrete esigenze del caso che possono via via emergere).

In conclusione, si nota come la disciplina posta in materia di coinvolgimento dei privati nella gestione, valorizzazione e riqualificazione dei beni non solo culturali ma più generalmente di taluni beni ad appartenenza pubblica richiedenti i menzionati interventi, comporta l’intersecarsi in più punti della disciplina contenuta nei Codici dei beni culturali, dei contratti pubblici e del Terzo settore. Allo stesso tempo si avverte l’assenza di un coordinamento tra le tre discipline tale da permetterne lo sviluppo di quadro chiaro ed omogeneo di regole. Assenza alla quale si auspica si possa quanto prima sopperire. Tale operazione potrebbe inserirsi nell’ambito di una revisione della normativa in tema di beni culturali, volta a superare le criticità analizzate nei precedenti paragrafi. Questa potrebbe inoltre rappresentare un’occasione per una maggiore apertura verso i modelli partecipativi che vanno affermandosi negli ultimi anni e che mirano al coinvolgimento dei privati attraverso interventi condivisi con la Pubblica Amministrazione.

320 M. Croce e S. De Nitto. I partenariati per la valorizzazione del patrimonio dismesso, in disuso o scarsamente fruito. Op. cit. 2019. p. 189.

321 Ossia quello avviato a ottobre 2018 tra il Comune di Bergamo e il Teatro Tascabile di Bergamo.

142 3. Le problematiche comuni alla gestione condivisa con i cittadini di spazi e beni ad appartenenza pubblica

Dallo studio compiuto in relazione ai differenti strumenti offerti dal legislatore per l’affido in gestione di beni e spazi pubblici, emergono elementi critici propri di ogni istituto ed esaminati nelle rispettive sedi. In aggiunta a questi vi sono dei profili problematici comuni che meritano una trattazione congiunta alla quale si procederà nel presente paragrafo.

3.1. Il coinvolgimento in concreto dei cittadini nelle pratiche di

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