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2. PSD2, Instant Payments e Blockchain: drivers del cambiamento nel settore bancario, internazionale

3.1 Come l’impresa bancaria può affrontare la digital disruption: Unicredit, esempio italiano d’innovazione nel settore finanziario.

3.1.1 Collaborare, Investire, Sviluppare Quale soluzione scegliere?

Andando ad analizzare nello specifico le diverse strategie che il management bancario può adottare, senza correre il rischio di rimanere indietro in questa gara che tutti si son ritrovati in modo più o meno consapevole a correre, si nota come queste alternative si adattano e sono percorribili in base alle dimensioni, alle disponibilità e all’utenza della banca stessa e possono essere sintetizzate in tre comportamenti, che gli consentiranno d’affrontare al meglio questo momento di grande cambiamento, che hanno certamente come elemento comune l’Open Innovation, ovvero dalla definizione del suo ideatore Henry Chesbrough

“un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso ad idee esterne, così come a quelle interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche.”166

o più semplicemente un modello d’innovazione secondo il quale le imprese, per creare più valore e competere meglio sul mercato, non possono basarsi soltanto su idee e risorse interne ma hanno il dovere di ricorrere anche a strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno, in particolare da startup, università, istituti di ricerca, fornitori, inventori, programmatori e consulenti; in sostanza un’azienda, uscendo dalla logica della closed innovation, può accedere al mercato delle innovazioni di concetto, di prodotto, di processo ed integrarle rapidamente all’interno della propria organizzazione e strategia al fine d’ottenere un vantaggio competitivo. È argomento molto dibattuto non solo in campo finanziario ma anche nell’industria, dove la condivisione di progetti ed idee all’interno di un network a cui partecipano entità provenienti da settori diversi, ha portato frutti in termini di profitti e quote di mercato per le aziende aderenti; grandi imprese come Shell, General Eletric ma anche Edison, Zucchetti e altre ancora hanno già avviato progetti importanti in questa direzione. Dunque possiamo dire che l'innovazione aperta è al centro della rivoluzione digitale;

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per le organizzazioni più importanti questo si traduce in un processo d’impegno con soluzioni tecnologiche esterne, capitale di conoscenza e risorse da integrare nel processo innovativo. Spesso si tratta d’aprire le proprietà intellettuali della società, i beni e le competenze agli innovatori per contribuire a generare nuove idee, a modificare la cultura organizzativa, a identificare e attirare competenze diverse per scoprire aree di crescita inesplorate. Ma per approfittare di questo approccio rivoluzionario è assolutamente necessario impegnare una gamma molto ampia di specialisti e sviluppatori al di fuori delle proprie organizzazioni.

Per questo, seguendo in modo coerente quanto detto, si fa riferimento alla prima delle alternative da presentare ovvero la realizzazione di Hub d’innovazione interni. Abbiamo già introdotto nel primo capitolo l’argomento, spiegato in che modo opera un’accelleratore e visto come nel panorama internazionale molte banche d’investimento abbiano aderito a progetti condivisi per creare opportunità condivise, collaborando e finanziando progetti di statup avviate nel campo finanziario. Tramite questa soluzione per l’istituto di credito è facile implementare l’innovazione, verificarne da vicino la fattibilità tecnica e commerciale, e ottenere anche ottimi ritorni nel caso il progetto dell’azienda sostenuta vada sul mercato, a fronte di un limitato impiego di capitale. Anche in Italia c’è chi ha avviato progetti d’accellerazione interni, ponendoli al centro del proprio business model rivisitato. Questo è il caso di Unicredit, che ha lanciato il proprio FinTech Accelerator, che rientra nel più ampio programma UniCredit Start Lab, una nuova piattaforma di formazione, coaching, servizi di incubazione, risorse finanziarie e spazi fisici messa a punto per supportare le startup, l'innovazione e le nuove tecnologie in svariati campi167, sviluppata insieme a consulenti, investitori, imprenditori ed incubatori già partner di UniCredit come H- Farm, LVenture Group e Digital Magics, con l’obiettivo di selezionare le idee imprenditoriali più innovative attraverso un rigoroso processo di scouting e valutazione. Le imprese selezionate hanno accesso a percorsi di formazione, attività di mentorship, d’incubazione e alla possibilità d’effettuare incontri con imprenditori e investitori a fini commerciali o d’investimento. In questa iniziativa di fondamentale

167 Ci si concentra in startup operanti negli ambiti Life Science, CT/Web/Digital, del Clean Tech, nonché nell’Innovative Made in Italy, Services & Industrial (fonte: Unicredit Gruop)

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importanza per l’istituto è stato attivato appunto il FinTech Accelerator, un accelleratore che darà alle startup selezionate la possibilità di essere ospitate in uno spazio fisico di co-working e avvalersi di servizi di consulenza in cambio del diritto d’utilizzo della soluzione sviluppata, oltre ad un grant iniziale di 10.000 euro, con contributi crescenti in base alla fattibilità dell’idea. La gestione di queste iniziative imprenditoriali prevede una procedura time to market, che consenta in tempi brevi d’avviarle verso un percorso di maturazione e d’accesso al mercato.

Questo progetto, e più in generale un atteggiamento d’estrema apertura verso il digitale l’innovazione, ha prodotto risultati interessanti quali per esempio il lancio, in collaborazione con Open Bank Project (una sorta di open source API marketplace per le banche168) di Appathon, ovvero un hackhaton, un evento al quale partecipano a vario titolo, oltre a designer d’interfaccia, esperti di diverse branche dell'informatica, di durata variabile che va da un giorno a una settimana, gli sviluppatori e gli startupper che operano nel fintech vengono invitati a creare la propria app attraverso le API (Application Programming Interface - sviluppate dall’azienda berlinese Tesobe Ltd/Open Bank Project), si sfidano su pagamenti digitali (in conformità alla normativa PSD2), digital wallet e su risultati concreti d’analisi dei Big Data, cercando quelle più in grado di rispondere ai bisogni espressi da UniCredit e più pronte a un immediato sviluppo ed integrazione. La competition si svolge per intero in un sandbox, come abbiamo detto un ambiente virtuale controllato, utilizzando dati di prova che simulano situazioni quotidiane. Con l’apertura delle API ai partecipanti, questi ultimi saranno messi nelle condizioni di creare prototipi funzionanti, in grado di accorciare sensibilmente il loro processo d’implementazione di nuovi soluzioni all’interno della piattaforma della banca. Altro esempio concreto d’estrema attualità, Unicredit è stata la prima tra le banche italiane che ha avviato una collaborazione con Apple per permettere ai propri clienti d’usare Apple Pay, il sistema di pagamento tramite iPhone che sfrutta il suo riconoscimento biometrico per effettuare pagamenti semplicemente avvicinando il device ad un terminale POS dotato di chip contactless, fornendo alla clientela un servizio innovativo, immediato e sicuro. Iniziative di questo genere ci

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fanno capire in cosa consista nel concreto tradurre idee e spunti in nuove opportnuità di valore per la clientela finale169.

Tornando agli accelleratori e programmi innovativi digitali, nel nostro Paese sono sorte molte iniziative simili a quella evidenziata negli ultimi anni: solo per citarne alcune SellaLab, hub fintech di Banca Sella che offre un programma d’accelerazione della durata di sei mesi, oltre all’accesso per un mese all’incubatore Level 39 di Londra, probabilemente il più importante incubatore fintech europeo; oppure potremmo citare poi il Gran Prix degli Italian Fintech Awards di Che Banca!, oltre, infine, al Supernovae Labs, primo accelleratore fintech italiano indipendente per banche ed assicurazioni, che nasce con l’intento di creare un ponte tra il sistema finanziario, creditizio e assicurativo e le soluzioni innovative offerte da imprese digitali italiane ed europee, grazie al quale le banche e le assicurazioni possono investire nell’innovazione a costi marginali170. Dunque, seguendo questo approccio, la realizzazione d’innovazioni è affidata a laboratori, hub interni, che si pongono al centro di un sistema aperto nel quale diventa fondamentale collaborare ed aprirsi ad altri attori, con i concetti di collaborazione o co-innovazione che stanno diventando sempre più importanti nell'ambito dei servizi finanziari e dell’industria ICT. Tradizionalmente il mercato cresce e viene indirizzato attraverso alleanze complementari tra i diversi attori che lo popolano: gli operatori hanno lavorato con altri nella propria industria a beneficio di tutti i partecipanti, in particolare dove c'è stata la possibilità di condividere processi o servizi che sono considerati non core, al fine di ridurre i loro costi o creare nuove opportunità di mercato. Ci sono molti esempi di questi partenariati nei mercati dei capitali e nel retail banking, ma quelli più conosciuti sono stati nello spazio dei pagamenti. Per esempio, il circuito MasterCard è stato creato da un consorzio di banche per sostenere trasfrimenti interbancari per i consumatori nel 1966, massimizzando dunque il potenziale che aveva per il servizio clienti; la stessa SWIFT, fondata nel 1973, funge sia da utilità condivisa che da autorità che definisce standard

169 “Appathon, torna il contest di Unicredit per app “finanziarie”, EconomyUp, 2016

170 “È boom di startup FinTech. La sopravvivenza delle banche è nell’Open Innovation”, DiariodelWeb,

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di comunicazione e connettività tra banche171. Sarà tuttavia necessario collaborare sempre di più con aziende che operano in settori diversi, per esempio nel marketing, nell’ecommerce o nel digital design, mettere in piedi iniziative con entità d’origine diversa che permettano la creazione di beneficio reciproco, realizzando un network di valore aggiunto dall’esterno e, attraverso queste nuove relazioni, mantenere il proprio ruolo di fulcro del sistema economico.

È possibile come soluzione alternativa che una banca decida d’investire direttamente risorse a titolo di capitale di rischio per contribuire al successo di imprese innovative, le quali hanno certamente bisogno di denaro per sviluppare, nelle fasi in iniziali, il loro core business. Ma l’investimento, che può essere effettuato anche da enti di più contenute dimensioni, ha spesso anche un ritorno diretto per l’istituto di credito, in termini d’integrazione nel proprio organigramma di quanto sviluppato dall’impresa finanziata. Esempio importante di quanto appena detto è Iccrea Banca, istituto centrale per il credito cooperativo che ha compiuto importanti operazioni in equity principalmente in due società del digitale, ovvero Ventis e Satispay. La prima è un portale di flash sales, con offerte esclusive per un periodo di tempo limitato, sul quale sono stati investiti 4 milioni per una partecipazione del 95%, che garantisce ai clienti della banca bonus e sconti riservati, integrandosi con i servizi tradizionali della banca; mentre la seconda, un’applicazione gratuita per pagare nei negozi convenzionati fisici e online, per effettuare ricariche telefoniche e inviare denaro ai contatti della propria rubrica telefonica in P2P, sarà il primo sistema di pagamento mobile in Europa a raggiungere con i propri terminali una diffusione di più di 83.000 esercenti e clienti del Credito Cooperativo; Iccrea ha investito inizialmente di 3 milioni di euro, (per rilevare il 17%), ma ha partecipato anche ad un secondo round di finanziamenti, che ha portato un maggior controllo e ha completato l’integrazione con l’home banking fornito dal gruppo. Andrea Coppini, Head of Digital & Innovation di Iccrea Banca, ha sottolineato l’importanza delle imprese innovative e dell’open innovation per il futuro del gruppo cooperativo spiegando di non voler effettuare “semplici operazioni di equity” ma di puntare a “integrare le startup nella visione di banca

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all’avanguardia”172. Negli ultimi anni però le banche di dimensioni importanti si sono dotate di un patrimonio separato, creato ad hoc per investire in progetti lanciati dal fintech, fornendo capitali e competenze manageriali che permettano alla nuova azienda di crescere, diventando appetibile per il mercato e per altri investitori. Come abbiamo ricordato nel primo capitolo, molte sono le banche, per lo più gruppi internazionali, che hanno generato uno strumento idoneo per tali finalità, ovvero un fondo di venture capital. Questo, è bene ricordarlo, è un tipo di private equity che si concentra su aziende con elevate potenzialità di crescita, colmando un vuoto di finanziamenti per le imprese in fase d’avvio che spesso fanno fatica ad ottenere credito dalle istituzioni finanziarie tradizionali. Tale approccio per la verità è stato al centro del modello d’innovazione iniziale, foraggiata soprattutto da investitori privati, ma poco più tardi anche da banche d’investimento; ora più che mai, gli incumbent del settore stanno prendendo questa strada per provare ad innovare direttamente il loro business. American Express, BBVA, HSBC, Santander e molti altri hanno realizzato un investimento di questo tipo negli ultimi quattro anni, ciascuno con almeno 100 milioni di dollari come budget. Anche AXA, impresa di assicurazioni e investimenti, ha lanciato un fondo di 200 milioni di euro per agire come "una forza accelerante per le startup"173.

Però, a differenza degli investimenti detenuti in portafoglio compiuti dal private equity in imprese consolidate, la rischiosità di queste operazioni è notevolmente più alta: i fondi di capitale di ventura, proprio per l’elevata aleatorietà che sostengono, di solito puntano su settori con forte potenzialità di crescita, bassa complessità tecnologica e bassa intensità di capitale; e, considerando l’elevato numero di insuccessi, questa tipologia di fondi tende ad avere un portafoglio di investimenti dove solo le “code” di una distribuzione molto simmetrica fruttano rendimenti elevati. Anche se la maggior parte delle operazioni venture di solito è strutturata su un arco temporale di dieci anni, la tendenza che si registra è quella d’uscire dall’investimento in tempi più contenuti, a causa d’elevati oneri di gestione e di gratifiche incassate da chi aderisce al fondo in caso di rendimenti molto elevati,

172 “Iccrea Banca rilancia su Satispay round di investimenti verso i 20 milioni”, Corriere Comunicazioni, 2017

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preferendo dunque investire su progetti in cui si prevede d’arrivare alla fase di “commercializzazione” della business idea in un periodo compreso tra i 3 e i 5 anni. E c’è, se vogliamo, un'ulteriore complicazione per il management bancario, in quanto il rendimento generato dal veicolo d’investimento può essere misurato sia come un ritorno diretto sul capitale investito, con un indicatore tradizionale come il ROI su un periodo di tempo piuttosto lungo (per il quale dunque è richiesto un capitale “paziente”), oppure può essere valutato in termini di valore d’innovazione generato per il core business. Ma per quest'ultimo aspetto non c'è ancora consenso nella disciplina sugli strumenti da utilizzare per valutare i miglioramenti nella cultura, nella tecnologia o nei processi innovativi apportati dall’attività del fondo. E c'è anche il rischio non secondario che un investimento strategico restringa la capacità della banca di adottare nuove tecnologie successivamente, data la strada intrapresa, configurandosi come un vero paradosso: non innovare per correre il rischio d’essere vincolati ad una tecnologia che potrebbe essere non adottata o addirittura abbandonata. A prescindere da questa considerazione, nel nostro paese il veicolo del capitale di ventura è ancora poco utilizzato174: ci sono comunque alcuni esempi interessanti sostenuti da investitori privati, fondazioni bancarie o enti parastatali attivi da qualche anno, quali per esempio i fondi contenuti nel Fondo d’Investimento italiano, voluto da Cassa Depositi e Prestiti, Ministero dell’Economia e Confidustria, che mira a rivitalizzare il panorama italiano degli investimenti nell’innovazione175.

Anche in questo caso merita ricordare l’impegno di Unicredit, che è entrata nel mondo del venture capital in ambito fintech nella primavera del 2016 con EVO (acronimo di

equity venture opportunities), un fondo pensato per investire su startup in ambito

prettamente tecnologico-finanziario. Istituito attraverso una joint venture con Anthemis Group, società di advisory e raccolta di capitale per i servizi finanziari, il fondo ha una dotazione di 175 milioni di euro, con una strategia basata sull’acquisto di partecipazioni significative di minoranza, tra il 10% e il 20%, in società promettenti

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Anche se l’emanazione della Direttiva sui Gestori di fondi alternativi di investimento AIFMD potrebbe in qualche modo creare condizioni favorevoli alla costituzione di fondi di venture capital (vedi “direttiva AIFM (Alternative Investment Fund Managers))

175 “Il fondo di Cassa Depositi e Prestiti muoverà 600 milioni sulle startup. Ecco come funziona”, StartupItalia!, 2015

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a livello internazionale, di cui Unicredit mira a diventare partner strategico. Unicredit in particolare guarda con interesse al financial planning e al robo advising.

Pensiamo di puntare su startup capaci di sviluppare applicazioni che, attraverso sofisticati algoritmi, aiutino il cliente negli investimenti o a risparmiare, suggerendo loro le scelte migliori in base al personale profilo di rischio”

specifica Marco Berini, responsabile delle iniziative Unicredit sui temi d’innovazione176. Risultato dell’impegno profuso è il lancio previsto, nell’arco del 2017 di Buddybank, nuova banca mobile-only del gruppo, ovvero disegnata esclusivamente per smartphone. Controllata al 100% da Unicredit, con un investimento iniziale di 50 milioni di euro, la start up si focalizzerà esclusivamente sul canale mobile per offrire oltre a tre prodotti finanziari classici quali il conto corrente, la carta di credito e di debito e prestiti personali fino a 25.000 euro, un servizio di concierge via chat o telefono 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, che assisterà i clienti anche in operazioni quotidiane, anche attraverso una rete di partnership con altre start up o aziende. L'obiettivo è di raggiungere il break even point al terzo anno con 300.000 clienti, puntando a un milione di utenti in Italia in 5 anni, con la prospettiva entro la fine del 2018 d’approdare negli Usa ed in altri paesi del mondo177. Tra le banche italiane comunque c’è chi riesce sia ad operare nel capitale di ventura che negli investimenti diretti, è questo è il caso di Banca Sella. Molto attiva nelle iniziative fintech (abbiamo già parlato del suo programma di accellerazione) tramite Banca Sella Holding conduce investimenti nel settore sia direttamente in startup tra le quali Sardex, Prestiamoci, Symbid sia in fondi di venture capital o incubatori pur non specificamente dedicati al fintech, per esempio Barcamper Ventures, United Ventures One, Dpixel, Digital Magics. In questo caso il plafond è più contenuto (sui 30 milioni di euro), : l’obiettivo è diventare il centro di un ecosistema in cui le imprese partneriate possono aggiungere nuovi servizi e fornire una “esperienza utente” completa. Proprio da una startup accelerata da SellaLab e successivamente integrata nel gruppo bancario,

176 “Da Sella a Intesa fino ad Unicredit, tutte le banche pazze per il Fintech”, Corriere Innovazione,

2016

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è nata Hype, un’app che trasforma lo smartphone in un conto di moneta elettronica che consente di trasferire denaro tra privati e fare pagamenti in rete e in negozi fisici, oltre che pianificare obiettivi di risparmio e di spesa, abilitata pure ad effettuare pagamenti tramite circa 80mila POS e a ricevere pagamenti direttamente dallo smartphone178. Quanto appena detto quindi ci fa comprendere quali siano i rischi ma anche le potenzialità dell’investimento diretto o tramite veicolo da parte delle banche, le quali possono attraverso queste due soluzioni cambiare in maniera rilevante il proprio business, rendendolo più flessibile, innovativo, digital-ready.

Nel caso però si parli di un ente di grandi dimensioni, con risorse importanti da investire, non è impensabile che si doti di un team di Ricerca e Sviluppo interno, con l’obbiettivo di semplificare l’interazione tra la banca e i suoi clienti ma anche tra le funzioni interne ed esterne, promuovendo una sinergia sempre maggiore tra le aree tecnologiche e le diverse aree di business. Il fine ultimo di un dipartimento di R&D è progettare e creare prototipi funzionanti e dirompenti, in grado di integrarsi rapidamente nell’offerta della banca, ma anche d’incrementare il valore del patrimonio aziendale tramite la registrazione di brevetti oppure tramite lo sviluppo di soluzioni open source, favorendo così la diffusione pubblica delle nuove tecnologie. Ma la realizzazione di prototipi significa sperimentare indubbiamente, ma anche fallire con rapidità per ripartire in modo agile e migliorare il processo d’innovazione, il quale non può essere fine a se stesso ma deve produrre valore per l’azienda. I grandi gruppi internazionali stanno sviluppando molta tecnologia in-house, tanto da cambiare radicalmente la forza lavoro al proprio interno.

"Goldman Sachs è a tutti gli effetti una società di tecnologia"

ha detto Lloyd Blankfein, CEO della famosa banca d’affari americana, nel discorso annuale 2015. E, guardando i numeri, sembra non essere un’affermazione tanto assurda, dato che l’investment bank ha compiuto numerosi investimenti nei servizi