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«collettività di persone di presunta origine comune che riconosce la propria unità nella

tedesco Volk in derivazione dal latino pōpŭlus , forse di origine pre-indoeuropea , sono 38 39

evidenziati e si rintracciano anche in un altro importante dizionario storico italiano, il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia (edizione 1986 e 2004), termometro tanto quanto produttore e diffusore di costrutti semantici e categorie culturali. Nella definizione generale concettualmente se ne isolano, da un lato, il ruolo attivo in quanto agency politica, colto in diretta connessione con la volontà e la sovranità popolare:

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«collettività di persone di presunta origine comune che riconosce la propria unità nella

comunanza geografica e linguistica, nell’identità di costumi, tradizioni e istituzioni sociali e che, per lo più, è caratterizzata da volontà di unificarsi […] in uno stesso ordinamento giuridico e politico, o anche è considerata come collettività di cittadini senza alcuna distinzione (e tale concetto, mutuato in parte dal mondo classico, assume varie accezioni storiche, filosofiche e giuridiche nel corso dei secoli e acquisisce fondamentale importanza soprattutto come soggetto nell’esercizio della sovranità popolare)».

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Dall’altro, il ruolo eminentemente passivo come target di un potere eterodiretto, positivo per ordinamenti che prevedono la separazione dei poteri e l’istituto costituzionale, negativo in caso di esercizio assolutistico del potere:

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«l’insieme della popolazione di uno Stato in quanto destinataria dell’attività di governo da parte dei poteri dello Stato (e in tale accezione il termine può avere una connotazione negativa, se la popolazione è considerata come suddita e oggetto dell’attività di governo o una

Agamben, Mezzi senza fine, pp. 30-34.

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Secondo il vocabolario etimologico: «Latino di provenienza italica: lat. pŏpŭlu(m) - panromanzo: fr.

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peuple, occit. cat. poble, sp. pueblo, port. povo, sardo póbulu, rum. popor. Il lat. pŏpŭlus, il cui significato primitivo è ‘generazione’, è probabilmente un prestito dall’a.umbro poplo-, che risale all’ie. *kwekwlo- ‘ruota’ attraverso il significato intermedio di ‘ginocchio’, testimoniato indirettamente da poples, ‘parte posteriore del ginocchio’ (da cui poplite); l’identità di ‘ginocchio’ e ‘generazione’, che appare lontana dalla nostra mentalità, si fondava sulla concezione del ginocchio come simbolo della piena virilità e della capacità riproduttiva in quanto organo da cui dipende la stazione eretta del corpo ed è comprovata da numerose coppie omonimiche; lat. genu ‘ginocchio’ e genus ‘stirpe’, a.slavo kolěno ‘ginocchio’ e ‘generazione’, ‘discendenza’, significati che, al d fuori della famiglia indoeuropea, coesistono anche nel finn. polvi», “Pòpolo”, L’Etimologico Vocabolario della Lingua Italiana, ed. Andrea Nocentini (Milano: Mondadori, 2010).

Bonaiuti, “Pòpolo”, Atlante culturale del Risorgimento italiano, p. 238.

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connotazione positiva se la popolazione è considerata come costituita da cittadini che partecipano essi stessi, direttamente o indirettamente, al governo dello Stato)» . 40

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Nelle lingue neolatine, dunque, ‘popolo’ ha un’accezione singolare-plurale, fatto che la distingue, per esempio, dalla parola inglese ‘people’. People, infatti, è sempre plurale e, come tale, «suggerisce non un corpo unico e organico ma la somma di una pluralità di soggetti diversi». Per essere inteso come corpo singolo deve ricorrere all’uso dell’articolo determinativo; in questo caso, e con l’iniziale maiuscola, acquisisce però un significato ben preciso: «attenzione, o gente!, entra il Sovrano, ‘the People’» . 41

In ogni caso, l’intorno lessicale —specificamente nelle forme di articoli o aggettivi e

pronomi dimostrativi (specificatori), numerali o aggettivi e pronomi indefiniti (quantificatori), attributi o complementi di denominazione (determinanti)— ha una ulteriore funzione connotativa, regalando al sostantivo elementi descrittori aggiuntivi, mutandolo semanticamente in sintagma nominale e codificandone il significato, caricandolo infine di successive valenze positive o negative. Come specifica il Vocabolario della Lingua Italiana edito da Giovanni Treccani, «limitato da aggettivi» il termine «indica parte della popolazione» che è «distinta da altre per qualche aspetto o carattere particolare, per condizioni economiche, culturali, sociali» . 42

Così il popolo storicamente è stato connotato per indicare ceti economici e politici (–

minuto e – grasso in epoca comunale; per sineddoche alcuni settori della società come ‘i maggiorenti’ o ‘gli anziani’ di una comunità; – lavoratore, – cittadino, – borghese… in epoca moderna); la miglior parte (– eletto) o la peggiore (– basso); appartenenze micro- e macro- territoriali (– toscano, – italiano, – rancese, – occidentale, – d’Oriente, – indigeno…); etnie (– indiano, – rom, – sinti…); credenze religiose (– di Cristo, – ebraico, – cattolico, – protestante…); posizioni e professioni sociali (– giuridico, – medico… ma anche – ecclesiastico, – laico…); fede o appartenenza politica (– comunista, – fascista, – democratico, – liberale…); gruppi sociali distinti (– di internet, – di Seattle…); interessi comuni (i lettori di un libro, gli spettatori di uno spettacolo, i compratori di un marchio specifico…); per sottolinearne il carattere collettivo e performante (nel senso di ‘massa’, ‘esercito’) o collettivo e spoliticizzato, umanizzante o deumanizzante (nell’accezione di ‘gente’, ‘persone’, ‘moltitudine’). Un ruolo chiave hanno poi detenuto alcune specifiche locuzioni: fare – (radunare gente), a furor di –

Entrambe le citazioni, così come il titolo di questo paragrafo alla voce “Pòpolo”, dal Grande dizionario

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della lingua italiana di Salvatore Battaglia (Torino: Unione tipografico-editrice torinese, 1986), p. 880. Arnaldo Testi, “Noi, il popolo americano – cioè?”, Short Cuts America: il blog di Arnaldo Testi (6 marzo

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2017): https://shortcutsamerica.com/2017/03/06/noi-il-popolo-americano/ [al 15 aprile 2017]. “Pòpolo”, Vocabolario della Lingua Italiana, ed. Giovanni Treccani (Roma: Istituto della Enciclopedia

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(all’unanimità), andare al –, verso il – (interessarsi al bene comune) , levarsi a – (suscitare 43

tumulti), anche in qualità di epiteti eufemistici: dare il letto al –, diventare femmina del –, con chiaro riferimento all’esercizio della prostituzione; e gli utilizzi del termine in senso evocativo (oh –) o come grido di incitamento (avanti –!). Non stupirà allora che il popolo sia stato definito come qualcosa di ‘introvabile’ . 44

Anche la Costituzione italiana ne fa un’istituzione inclusiva, esaltandolo di un’accezione

in toto positiva e fortemente attiva, il cui unico limite è rappresentato dai vincoli istituzionali: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Un’importanza politica e metarappresentativa che è evidenziata dalla quantità di giornali che a esso sono stati dedicati ovunque; in Italia: Il Popolo, Il Popolo d’Italia, la Gazzetta del Popolo, Il Popolo Romano, L’amico del popolo . Come si riflette, dunque, e 45

qual è il precipitato nel lessico comunista delle varie accezioni semantiche di uso comune registrate e diffuse dai grandi dizionari della lingua italiana? Quale il suo contributo?

Certamente il PCI non ha fatto eccezione, esercitando sul termine diffuse o proprie

particolari strategie connotative. Perciò il popolo cui si richiama ‘diviene’, a seconda delle contingenze, artatamente ‘uno’, ‘integrato’, ‘italiano’, ‘fiero’, ‘encomiabile’, come in occasione

Nel Dizionario moderno, ed. Alfredo Panzini (Milano: Hoepli, 1942), l’‘andare verso il popolo’ è

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inteso come «espressione politica e umana, espressa ripetutamente da Mussolini nei suoi discorsi». Pierre Rosanvallon, Le peuple introuvable. Histoire de la représentation démocratique en France (Paris:

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Éditions Gallimard, 1998) [edizione italiana, Il popolo introvabile. Storia della rappresentanza democratica in Francia (Bologna: il Mulino, 2005)].

Nel dettaglio: Il Popolo Romano, quotidiano fondato da Luigi Fortis nel 1873 e che ha cessato le sue

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pubblicazioni nel 1922; la Gazzetta del Popolo, tra i più longevi quotidiani italiani, nato a Torino nel 1848 e chiuso nel 1983; Il Popolo d’Italia, quotidiano fondato da Mussolini nel 1914, inizialmente di ambito socialista interventista poi, dal 1922, organo del partito nazionale fascista fino all’anno della sua chiusura nel 1943; Il Popolo, organo del partito popolare alla metà degli anni venti e poi della democrazia cristiana dal 1944 fino al suo scioglimento nel 1994; e L’amico del Popolo, bollettino settimanale della federazione comunista di Vercelli fondato da Francesco Leone nel 1945. Per una panoramica specificamente sulla stampa dell’area di sinistra, si vedano i volumi curati dall’Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano: ESMOI (poi ESSMOI), Bibliografia del socialismo e del movimento operaio italiano (Torino: ESMOI, 1956-).

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delle tornate elettorali , oppure si ‘scinde’, solcato al suo interno da un moltiplicarsi di nette 46

o più sfumate linee politiche di divaricazione che separano moralmente i ‘buoni cittadini’ dai ‘cattivi cittadini’, i ‘buoni rivoluzionari’ (‘comunisti’, ‘lavoratori’ etc.) dai ‘cattivi rivoluzionari’ (‘comunisti’, ‘lavoratori’ etc.), gli antifascisti e i fascisti, i comunisti e i democristiani . Oscillazioni che raggiungono massima ampiezza tra la metà degli anni 47

sessanta e i primi anni ottanta, periodo di forte scontro simbolico, attraversato da importanti movimenti della società civile che hanno determinato a loro volta rilevanti cambiamenti nella retorica dei partiti istituzionali.

Si potrebbe dire, allora, che il concetto di popolo porti sempre —in sé, con sé— la

«frattura biopolitica fondamentale», dato che «non può essere incluso nel tutto di cui fa parte e non può appartenere all’insieme in cui è già sempre escluso» . Una scissione 48

(bio)politica, questa, che riflette, mentre contribuisce a costruirlo, il sistema simbolico del campo, cioè del sistema delle relazioni oggettive e del piano delle pratiche in cui trova

È in particolare la semantizzazione del lemma ‘popolo’ post-Salerno. Dal 1944, infatti, in

co-46

collocazione col termine ‘popolo’ troviamo sempre di più aggettivi e sostantivi che richiamano la nazione (‘italiano’, ‘Italia’, ‘nazionale’, ‘paese’), pronomi, avverbi e verbi che rimandano al ‘qui’ e ‘ora’ della situazione presente e al ‘noi’ dell’appartenenza identitaria (o al ‘loro’ della contrapposizione politica). Sullo stesso asse semantico di ‘popolo’ troviamo massicciamente anche termini che vagheggiano all’unità e all’omogeneità, in linea con la politica scaturita da Salerno, del ‘partito nuovo’ e della ‘democrazia progressiva’. Soprattutto dal 1945 e in coincidenza con la liberazione del paese, inoltre, aumentano gli specificatori aggettivali inerenti al coraggio e alla fierezza, alla nobiltà d’animo e allo spirito di sacrificio, in frasi che spesso sono accostate a elementi di tipo religioso, quali la purificazione, o ad altri che sottolineano rinascita e rinnovamento. Per l’analisi di questi elementi di veda in particolare il cap. 2.

È il passaggio discorsivo del 1945 e soprattutto del 1946, dell’Italia liberata e dei primi confronti

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elettorali. Inizialmente, tra 1946 e 1948, lo slittamento semantico è graduale e si esprime con richiami alla bontà (come la ‘miglior parte del popolo’), alla verità (per esempio i ‘veri antifascisti’), alla salute (‘le energie sane della nazione’), alla sincerità (‘progressisti sinceri’); per questo cambiamento discorsivo si veda il cap. 3. In seguito, durante la prima metà degli anni cinquanta, i richiami alle divisioni si fanno più netti, sia per quanto riguarda un arroccamento identitario del paese (le ‘masse lavoratrici’, più vicine al partito, il ‘popolo’, la massa degli individui non classificabile), sia per quanto riguarda le appartenenze politiche (americani, sovietici, cattolici, comunisti, e così via); per approfondire si veda il cap. 4. Infine, dalla seconda metà degli anni cinquanta fino alla seconda metà dei sessanta, assistiamo a un processo semantico a doppio binario: da una parte, una generale, progressiva neutralizzazione del lemma ‘popolo’, dall’altra, un utilizzo del termine come riferimento ‘fraterno’ ai paesi rivoluzionari o in guerra di liberazione (il popolo algerino, il popolo cinese, il popolo cubano, e via dicendo). Ma il 1956, per gli avvenimenti nazionali e internazionali, comporta anche una frattura interna, con una distinzione tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ comunisti’; per questa parte si veda il cap. 5.

Agamben, Mezzi senza fine, in particolare il cap. 1.3, Che cos’è un popolo?, pp. 30-34, cit. p. 32.

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collocazione . L’antinomia insita nel concetto di popolo è infatti «uno dei prodotti 49

dell’applicazione di tassonomie dualiste che strutturano il mondo sociale», «categorie mitiche», insieme di rappresentazioni che in sostanza sono lo specchio dei rapporti di forza, visione e divisione tra classi dominanti e classe dominate (e quindi sono espressione di dominio simbolico)50. La comunità stessa e tutto ciò che vi trova parte è e ha una dimensione simbolica:

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«Now, it has long been recognized that communities are important repositories of symbols, whether in the forms of totems, football teams or war memorials. All of these are like the categories of a kinship system: they are symbolic markers of the community which distinguish it from other communities. However, the argument being advanced here is somewhat different. It is that the community itself and everything within it, conceptual as well as material, has a symbolic dimension, and, further, that this dimension does not exist as some kind of consensus of sentiment. Rather, it exists as something for people ‘to think with’. he symbols of community are mental constructs: they provide people with the means to make meaning. In so doing, they also provide them with the means to express the particular meanings which the community has for them» . 51

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Cercare di comprenderne le differenti configurazioni, i differenti percorsi semantici significa dunque ricostruire quel sistema (o campo) di relazioni simboliche che è alla base della produzione dei significati. Ecco a cosa serve allora una storia concettuale: senza una debita disamina dei nomi in uso, il rischio è quello di utilizzare impropriamente quei nomi e quelle categorie (come popolo) alla stregua di lessici normativi ereditati che riflettono, per esempio, la persistenza di ideologie, mitologemi e paradigmi interpretativi già in voga . 52

Il concetto bourdieusiano di ‘campo’ è strumento utile per pensare empiricamente la struttura

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sociale, una struttura sociale che è da intendersi come uno ‘spazio’ topologicamente analizzabile, Marco Santoro, Introduzione, Ragioni pratiche, p. XV. Ogni campo, ‘realtà fluida’ i cui confini sono perennemente oggetto di lotta —Anna Boschetti, La rivoluzione simbolica di Pierre Bourdieu (Venezia: Marsilio, 2003), pp. 48-49—, agisce come «un operatore che incorpora in se stesso tutti i processi di retroazione con gli agenti su cui opera e da cui è costituito» —Marco d’Eramo, Introduzione, Pierre Bourdieu, Campo del potere e campo intellettuale, ed. Marco d’Eramo (Roma: manifestolibri, 2002), p. 15]. Si veda inoltre Gabriella Paolucci, Introduzione a Bourdieu (Roma; Bari: Laterza, 2011).

Pierre Bourdieu, “Vogliamo dire ‘popolare’?”, Che cos’è un popolo?, eds. Alain Badiou et al. (Roma:

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DeriveApprodi, 2014), p. 23 [edizione originale, “Vous avez dit populaire?”, Qu’est-ce qu’un peuple?, eds. Alain Badiou et al. (Paris: la Fabrique, 2013)]. Il concetto bourdieusiano di dominio simbolico è molto più complesso, con la sua articolazione in frazioni (dominante e dominata della frazione dominante, dominante e dominata della frazione dominata, etc.); per una spiegazione si veda Bourdieu, La Distinction.

Cohen, Symbolic Construction of Community, p. 19.

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Per un approfondimento di quest’ultimo punto si veda il cap. 3, par. 1.

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1.6. Popolo, discorso egemonico della modernità

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Cos’è stato e cosa ha significato il lemma ‘popolo’ nel discorso politico occidentale? Certamente ‘popolo’ è una di quelle parole che col passare del tempo e delle stagioni politiche ha assunto ed è stata espressione di plurimi significati e molteplici connotazioni . 53

Per questo, è fuor di dubbio un lemma a forte impatto evocativo, tanto che possiamo senza indugio annoverarlo tra i topoi fondamentali del discorso politico occidentale . 54

Passando dal pensiero politico medievale, snodandosi attraverso quello umanistico e

rinascimentale, tanto nella tradizione repubblicana, quanto in quella monarchica, la riflessione filosofica sul politico ha dovuto fare i conti con il concetto di ‘popolo’, riconosciuto come soggetto e agente primario della storia. Anzi, fin dal diciassettesimo secolo e sulla scorta delle tesi spinoziane e hobbesiane, il concetto di ‘popolo’ è stato, insieme a quello di ‘moltitudine’, proprio al centro del dibattito teorico-politico occidentale, che ha infine decretato la vittoria del primo termine sul secondo, eleggendo ‘popolo’ a categoria egemone di individuazione politico-sociale della modernità «in describing the forms of associative life and of the public spirit of the newly constituted great States» . Il 55

termine aveva infatti ricevuto legittimità attraverso la concettualizzazione dello stato e del contratto sociale a partire dalla riflessione giusnaturalista, dopo il 1789 tramite l’idea della nazione (con la quale si trovava spesso in rapporto di sinonimia), caricandosi in seguito di nuovi significati con l’idea romantica dello ‘spirito del popolo’ e col socialismo utopico della prima metà dell’ottocento, fino a giungere, con la teoria marxista della società divisa in

Il dibattito è vastissimo e impossibile da racchiudere entro lo spazio tirannico di una nota; rimando

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qui soltanto ad alcune opere sulla nozione di ‘popolo’ nel discorso politico e pubblico nella modernità e contemporaneità che mi sembra colgano bene alcuni nodi fondamentali: il numero monografico Luca Scuccimarra (ed.), Politiche del popolo, Giornale di Storia costituzionale, 18 (2009); il numero monografico Luca Scuccimarra & Alfio Mastropaolo (eds.), In nome del popolo sovrano, Meridiana, 77 (2013); Giovanni Ruocco & Luca Scuccimarra (eds.), Il governo del popolo, Dall’antico regime alla rivoluzione, vol. 1 (Roma: Viella, 2011); Giovanni Ruocco & Gianluca Bonaiuti & Luca Scuccimarra (eds.), Il governo del popolo, Dalla Restaurazione alla guerra ranco-prussiana, vol. 2 (Roma: Viella, 2012); Giovanni Ruocco & Gianluca Bonaiuti & Luca Scuccimarra, Il governo del popolo, Dalla Comune di Parigi alla prima guerra mondiale, vol. 3 (Roma: Viella, 2014). Poi ai testi di Michael Hardt & Antonio Negri, Moltitudine. Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale (Bergamo: Rizzoli, 2004); Id., Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione (Bergamo: Rizzoli, 2010); e Virno, A Grammar of the Multitude.

Si vedano: “Pòpolo”, Maurizio Ricciardi, Enciclopedia del pensiero politico. Autori, concetti, dottrine, eds.

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Roberto Esposito & Carlo Galli (Roma; Bari: Laterza, 2000), pp. 653-654; “Pòpolo”, Paolo Colliva, Il dizionario di politica, eds. Norberto Bobbio & Nicola Matteucci & Gianfranco Pasquino (Torino: UTET, 2004), pp. 734-735.

Virno, A Grammar of the Multitude, p. 21.

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classi sociali e economiche (oggi diremmo anche simboliche), a una sua rinnovata, per quanto implicita, messa in discussione.

Il diciannovesimo secolo e la prima metà del successivo hanno costituito certamente un

terreno fertile di riflessione in tal senso, e una grande fucina teorico-politica è stata sicuramente quella tedesca . Il 1848 e la comune di Parigi del 1871 avevano giocato un 56

ruolo significativo nel discorso sulla collettività e le sue forme, acquisendo una dimensione sempre più ampia nel pensiero filosofico, teorico-politico e sociologico, fino a divenire discorso egemonico transdisciplinare con l’irruzione delle masse nella vita politica nel ventesimo secolo. Ed è stato ago della bilancia del dibattito politico a causa dei timori, o al contrario delle speranze, che questi processi avevano diffusamente sollevato. Perno, sia nel caso di un’immagine negativa del popolo-massa —come, per esempio, nelle riflessioni di Hippolyte Taine (Les Origines de la France contemporaine, 1885) o di Gustave Le Bon (Psychologie des foules, 1895) —, sia nel caso di una visione più ‘generosa’ —come in Jules 57

Michelet (Le peuple, 1856) o Georges in Sorel (Réflexions sur la violence, 1908) . 58

E poi ancora, nel ventesimo secolo, sia come riflessione sul collettivo, in qualità,

variamente, di popolo, massa, folla, società civile, moltitudine, come in Maurice Halbwachs (Les cadres sociaux de la mémoire, 1925), José Ortega y Gasset (La rebelión de las masas, 1929), Giovanni Gentile (Genesi e struttura della società, 1943), Elias Canetti (Masse und Macht,

A partire dalle astrazioni di Friedrich Carl von Savigny, esponente della scuola storica del diritto,

56

sulla necessità di un collegamento diretto tra popolo e diritto positivo nei primi decenni dell’ottocento, secondo il quale l’ordinamento giuridico avrebbe dovuto basarsi sulla (e in parallelo alla) natura e (al)le consuetudini di ogni popolo, il nuovo realismo politico, alla metà del secolo, tentò invece di portare il discorso sul popolo a una più stretta aderenza rispetto alle sue componenti sociali. Tra questi Lorenz von Stein, nel cui pensiero il popolo diviene discorso dirimente per stabilire la non coincidenza tra repubblica e democrazia. Molti altri poi hanno sviluppato il pensiero sul popolo e sulla massa, come Ludwig August von Rochau, Heinrich Riehl, Otto von Gierke, Caspar Bluntschli, Heinrich Treitschke, Wilhelm Dilthey, ovviamente Max Weber, poi Hugo Preuß, Karl Lamprecht, Hans Freyer, e Carl Schmitt. Sul dibattito politico tedesco si veda Maurizio Ricciardi, “Linee storiche sul concetto di popolo”, Annali dell’Istituto storico italo-germanico di Trento (Bologna: il Mulino, 1990), pp. 303-369.

Hippolyte Taine, Les origines de la France contemporaine (Paris: Librairie Hachette et Cie, 1885-1887);

57

Gustave Le Bon, Psychologie des foules (Paris: Félix Alcan, 1895).

Jules Michelet, Le peuple (Bruxelles: Meline, Cans, et Compagnie, 1846); Georges Sorel, Réflexions sur

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1960), Alberto Asor Rosa (Scrittori e popolo, 1966) . Sia come riflessione sull’atomizzazione 59

della massa e il ruolo delle élites: per esempio Gaetano Mosca (Elementi di scienza politica, 1896), Vilfredo Pareto (Traité de sociologie générale, 1917-1919), Roberto Michels (Studi sulla democrazia e sull’autorità, 1933), Harold D. Lasswell (Power and Society, 1950), Charles W. Mills (he Power Elite, 1956), Christopher Lasch (he Revolt of the Elites, 1995) . Sia, infine, 60

soprattutto in concomitanza con la fine delle grandi narrazioni e i sistemi di «validazione del credere» e dell’agire politico , come analisi del sé e del frantumarsi della massa in una 61

polverizzazione di individui e individualità: tra i tanti, ancora Lasch (he Minimal Self, 1984), Richard Sennett (he Corrosion of Character, 1998), Zygmunt Bauman (In Search of Politics, 1999) . 62

Al discorso sul collettivo, poi, inteso variamente come popolo, massa o ‘gregge’, e alle sue

possibilità di rivolgimento statale e sociale, da fine ottocento e inizio novecento aveva cominciato ad affiancarsi uno speculare e relativo discorso sul capo, autoritario, meneur des foules, ‘pastore’, o leader attento ai bisogni del proprio popolo, in ogni caso uomo in grado, da solo, di stabilire un rapporto quasi-magico con esso . Partendo dal pensiero di Le Bon e di 63

William MacDougall, Sigmund Freud ne aveva del resto fatto il nucleo d’analisi del suo Massenpsychologie und Ich-Analyse (1921) . I legami emotivi, vi sosteneva, sono l’essenza 64

Maurice Halbwachs, Les cadres sociaux de la mémoire (Paris: Félix Alcan, 1925); José Ortega y Gasset,

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La Rebelión de las masas (Madrid: Revista de Occidente, 1929); Giovanni Gentile, Genesi e struttura della società. Saggio di filosofia pratica (Firenze: Sansoni, 1946); Elias Canetti, Masse und Macht (Hamburg: Claassen, 1960); Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo. Il populismo nella letteratura italiana contemporanea