• Non ci sono risultati.

«Una delle pecche più serie della corrente propaganda anticomunista è senza dubbio di essere

mortalmente noiosa. Qualunque sia il tema concreto, è sempre uguale; ed è uguale tanto se colui che scrive o parla sia un clericale quanto un socialdemocratico, un gesuita, un transfuga

È il caso di un articolo uscito su l’Unità in cui Togliatti commentava ironicamente le critiche

31

mossegli da il signor F.A. del Quotidiano e dal signor Igino Giordani del Popolo in merito al suo discorso tenuto nel gennaio 1947 a Firenze. «La questione è che tutta questa gente […] risponde: ‘Porto pesci!’, quando si chiede: ‘Dove vai?’», Palmiro Togliatti, “Dove vai? Porto pesci”, l’Unità, XXIV, 16 (19 gennaio 1947). E ancora Togliatti in un discorso pubblico alla festa de l’Unità di Genova: «Questo sig. Fanfani ha scoperto che cosa sono i comunisti, che cosa sono i socialisti, che non accettano di subire gli ordini del partito dominante, che cosa sono i lavoratori di idee politiche sociali avanzate. Sapete che cosa sono? Sono tutti dei paracadutisti, i quali vengono lanciati su tutto il mondo —e in particolare sul nostro paese— dall’Unione sovietica (ilarità). Due milioni e mezzo e anche più di paracadutisti, allora! Si oscurerà il sole, si oscureranno le stelle quando questi paracadutisti cadono dalle sfere celesti sulla nostra povera terra!», “Partecipi l’Italia alla svolta in corso nel mondo avanzando sulla via indicata dalla Costituzione”, l’Unità, XXXII, 261 (20 settembre 1955).

Si veda inra, cap. 2, par. 8 a proposito delle ‘bravissime persone’: «Se egli [Mussolini] fu, diciamo

32

così, tollerato anche da molte bravissime persone che ora non possono parlare di lui senza manifestare un fremito di sdegno, è perché anche queste bravissime persone, poste davanti all’alternativa di lasciare libera la strada al trionfo di un vero regime democratico oppure mantenere […] la dittatura della tradizionale reazione nostrana, non esitavano un istante a dichiararsi per quest’ultima soluzione», Ercoli [Palmiro Togliatti], “25 luglio”, La Rinascita, I, 2 (luglio 1944).

Togliatti irrideva infatti, sardonico, dagli spalti del V congresso: «Ma vi è ancora chi contesta la

33

legittimità di questo atto. Mi hanno detto, per esempio che vi è a Roma un palazzo, nel quale siede qualche cosa che dicono si chiami il Senato, e che in un ufficio di questo palazzo starebbero arrivando migliaia di lettere di protesta contro la decisione di convocare la Costituente e contro la legge in cui questa decisione ha ricevuto una prima sanzione. Di fronte a un movimento simile forse non è inutile ricordare che l’impegno di una votazione popolare per decidere quale sarà la forma dello stato è prima di tutto un impegno internazionale, e quindi è un impegno che venne preso a Salerno, quando costituimmo insieme con tutti gli altri partiti della coalizione il primo governo di tipo democratico. Per gli smemorati sarà bene ricordare che l’impegno venne solennemente confermato in una dichiarazione che fu scritta di suo pugno proprio dal senatore Benedetto Croce», Togliatti, “Rinnovare l’Italia”, Da Gramsci a Berlinguer, vol. 2, p. 93.

UNPOPOLO ILPOPOLO

dalle nostre file, o un liberale. Persino le parole sono le stesse e un giorno ne faremo un piccolo vocabolario che agevoli la fatica letteraria di tutti questi signori. E sono uguali, ahimè, persino gli epiteti che ci affibbiano. Li sappiamo già tutti, prima di aver finito, anzi prima ancora di avere incominciato a leggere o ad ascoltare. È una forma veramente troppo noiosa di psittacismo, da cui non si salva proprio nessuno, e noi ci sentiamo alle volte proprio come il cane che per le strade della città prussiana invocava disperatamente qualcuno che gli desse un calcio e lo distraesse un poco. Per fortuna ci ha pensato il Mondo, a innovare. Perché continuare a dire che un dirigente comunista, poniamo Togliatti, è un sabotatore, uno sleale, una marionetta di Stalin, e avanti avanti avanti? Diciamo che è un ubriacone, un bestemmiatore, anzi, meglio di tutto è dire ch’è un ossesso sessuale! […] Bisogna riconoscere che l’innovazione è di peso. La segnaliamo con soddisfazione ad amici e avversari. Finalmente è stato trovato qualcosa! Sia lode a chi è stato in grado di compiere lo sforzo mentale che per questa impresa si richiedeva. Si dice che il merito debba esser fatto risalire al conte C. Ma stia attento il conte C. Come potrà egli cavarsela quando noi affermeremo, fondandoci sull’irresistibile argomento che il suo nome comincia per ca., ch’egli è un canguro, un canapè, un cannocchiale, un calamaio, un calendario, un cardo, un cavolo, un calorifero, un carciofo, un caimano, un cammello, un calabrone, un cacciucco, un candeliere, un capodoglio, un cavatappi, un caciocavallo? Gli sarà ben difficile replicare» . 34

!

Anche una rivista dal carattere sobrio, morigerato, come Rinascita, conteneva dunque articoli e trafiletti sarcastici, come i corsivi di Roderigo o la rubrichetta Il più scemo del mese, dove venivano riportati stralci di articoli senza commento ma col chiaro intento di metterli in ridicolo . 35

Soprattutto tra la fine della guerra e gli anni cinquanta, periodo fortemente ideologizzato

a livello politico e discorsivo (e non soltanto per il PCI), la stampa comunista era ricca di esempi come quelli fino a qui riportati . Nonostante le specificità di ognuno di essi, 36

ritroviamo tutti questi elementi narrativi, discorsivi e linguistici in ognuna delle testate

Roderigo [Palmiro Togliatti], Rinascita, IX, 12 (dicembre 1952), A ciascuno il suo.

34

«‘Togliatti ha preso la decisione di dichiarare guerra al Papa.. C’è stato un ordine del Cominform?

35

Qui lo dicono tutti, ma che sia esatta o falsa la supposizione, non ha alcuna importanza’. Vittorio Gorresio, Risorgimento del 23 febbraio 1949», Rinascita, VI, 3 (marzo 1949), Il più scemo del mese.

Più in generale sulla stampa italiana del dopoguerra, ma anche sulla radiofonia e altri canali di

36

comunicazione, si vedano: Valerio Castronovo, Nicola Tranfaglia et al. (eds.), Storia della stampa italiana (Roma: Laterza, 1976-); Giovanni De Luna, Nanda Torcellan & Paolo Murialdi (eds.), La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta (Roma; Bari: Laterza, 1980); Giovanni Gozzini, La mutazione individualista. Gli italiani e la televisione, 1954-2011 (Roma: Laterza, 2011); Id., Storia del giornalismo (Milano: Bruno Mondadori, 2000); Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia. Un secolo di costume, società e politica (Venezia: Marsilio, 2003); Id., Storia della RAI dagli Alleati alla

DC, 1944-1954 (Roma; Bari: Laterza, 1980); Franco Monteleone & Peppino Ortoleva (eds.), La Radio: storia di sessant’anni, 1924-1984 (Torino: ERI, 1984); Paolo Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra, 1943-1972 (Roma; Bari: Laterza, 1973); Pierre Sorlin, “Audiovisivi e storia contemporanea”, Il 1948 in Italia. La storia e i film, ed. Paolo Murialdi (Firenze: La Nuova Italia, 1991).

UNPOPOLO ILPOPOLO

legate al partito. Il quotidiano e i diversi periodici di partito o vicini al partito si rivolgevano a diverse categorie di lettori e usavano dunque linguaggi diversi. Rinascita, per esempio, rivista del partito nata nel 1944 come mensile e dal 1962 settimanale, era rivolta in particolare agli intellettuali e ai quadri superiori del partito e si proponeva quale strumento di elaborazione e diffusione della politica e della politica culturale del movimento comunista prima, del partito comunista poi. Il tono rimase sempre alto, forbito, ‘tecnico’, impersonale e col passare dei decenni scarsamente ‘evolutivo’, a differenza di altre riviste, come Vie nuove, che, per impaginazione, scelta tematica e iconografica, mutarono sensibilmente volto col passare degli anni. Anche il layout delle pagine conferma quanto Rinascita fosse difficilmente avvicinabile dai non addetti ai lavori: pagina piena, bicromia (rosso/nero), caratteri piccoli, poche immagini. Queste caratteristiche grafico-stilistiche si riflettevano anche sul piano tematico-contenutistico: grande attenzione al suo interno era riservata a temi politici ed economici (tra cui l’inserto settimanale L’osservatorio economico) e culturali (generalmente in terza pagina).

Ben diverso era, invece, il taglio di altri periodici del partito e de l’Unità. Sia in Vie nuove e Noi donne sia ne l’Unità si riscontrava, infatti, un tono decisamente più ‘basso’, una scrittura più semplice, pur con importanti variazioni stilistiche a seconda dell’interlocutore. Per l’Unità, giornale fondato da Antonio Gramsci nel 1924, inizialmente sottotitolato ‘quotidiano degli operai e dei contadini’, e organo del partito comunista fino al suo scioglimento nel 1991, il recettore era evidentemente molto ampio e dal punto di vista contenutistico, oltre ovviamente alla politica, si privilegiavano temi di pubblico interesse, con un taglio che nel corso degli anni è molto cambiato, persino, a tratti, in senso sensazionalistico . Nel gennaio 1945, sotto il governo Badoglio, uscito da venti anni di 37

clandestinità, il giornale concentrò la sua redazione nazionale a Roma. I primi numeri del quotidiano, sotto l’iniziale direzione di Velio Spano, poi di Mario Alicata, consistevano in un foglio a due sole facciate in quattro edizioni, quelle di Roma, Milano, Genova e Torino. La direzione passò poi a Mario Montagnana e dal 1947 e per un decennio rimase nelle mani di Pietro Ingrao. Il carattere nazionale e di massa è riscontrabile anche per la rivista a colori Vie nuove, fondata da Longo nel 1946, suo primo direttore, e mutata dal 1971 per impaginazione e titolazione (Giorni-Vie nuove), anche se il bacino-fruitore era decisamente più ristretto. Gli stessi argomenti venivano trattati con un linguaggio diverso: per esempio,

Giovanni Bechelloni e Milly Buonanno, in un saggio che non cela le proprie simpatie nei confronti

37

del quotidiano, descrivono l’Unità in triplice veste: quotidiano ‘di partito’ (come organo del PCI), ‘popolare’ (rivolto a mostrare al popolo le storture del sistema) e ‘di opinione’ (per intellettuali e dirigenti, nella terza pagine e nelle pagine adibite alla cultura), Giovanni Bechelloni & Milly Buonanno, “Il quotidiano del partito: l’Unità”, Il Partito comunista italiano. Struttura e storia dell’organizzazione 1921/1979, eds. Aris Accornero & Massimo Ilardi (Milano: Annali Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 1982), pp. 861-878. A partire da un’inchiesta condotta nel 1979 su 140 iscritti al PCI della federazione di Napoli, i due autori sottolineano la non coincidenza tra diffusione del giornale e area della militanza. Su l’Unità si veda anche Letizia Paolozzi & Alberto Leiss, Voci dal quotidiano. l’Unità da Ingrao a Veltroni (Baldini & Castoldi, 1994).

UNPOPOLO ILPOPOLO

le innovazioni tecnologiche e i progressi della medicina erano trattati in modo più divulgativo, e lo stesso poteva dirsi per le rubriche di sport, moda, televisione. Peraltro, il rotocalco presentava un apparato iconografico senza eguali nella stampa di partito (foto, illustrazioni, manifesti, fumetti, vignettistica satirica e non). All’indirizzo politico e culturale dei primi anni, almeno fino al 1953 e in concomitanza con la campagna contro la ‘legge truffa’, aveva fatto seguito, negli anni sessanta, un orientamento prevalentemente di costume, veicolo quasi esclusivo di argomenti leggeri (moda, cinema, sport, inchieste, intrattenimento). Anche in Noi donne, il mensile organo dell’Unione donne italiane (UDI), fondato nel 1944 e che negli anni settanta conobbe la massima tiratura, il linguaggio era diretto, semplice, emotivamente coinvolgente, e gli argomenti maggiormente diversificati. Per entrambe le riviste, molto più che per Rinascita e soprattutto dagli anni settanta, assumeva particolare importanza la denuncia sociale, mentre l’iconografia e la fotografia venivano usate in modo incisivo, impattante, per stimolare compassione, sia per sensibilizzare sia per denunciare, in un rapporto emozionale molto forte col lettore/ militante.

Ma torniamo, infine, al popolo. Nell’arco di tempo, tra il 1943 e il 1948, in cui il paese

usciva dalla guerra e si costituiva come una repubblica democratica, su tutti questi organi e nei discorsi dei dirigenti, Togliatti in primo luogo, era patente un aumento progressivo dell’utilizzo politico e identitario della parola (e conseguentemente l’appello al) ‘popolo’. È impossibile infatti non notare come il lemma ‘popolo’ (in minor misura ‘popoli’, così come ‘popolar*’ o ‘popolazion*’) avesse un largo impiego nel discorso pubblico comunista. Del resto, questa considerazione può essere suffragata agilmente proprio attraverso il suo quotidiano, con una ricerca sul data-base dell’archivio storico de l’Unità che consente una verifica, seppur impressionistica, tramite visualizzazione istantanea di una lista delle occorrenze del termine . Tenendo presente che a volte il sotware di riconoscimento lessicale 38

non riesce a cogliere alcuni caratteri, quindi intere parole, e considerate la tiratura e l’uscita estremamente limitate dei primi anni, se ne può avere però un’interessante idea generale. Dal 1 gennaio 1943 al 31 dicembre 1948 si computano infatti queste occorrenze di ‘popolo’: per edizione, nazionale 2336, piemontese 1421, meridionale 45; per annate, per il 1943 8, per il 1944 37, per il 1945 343, nel 1946 625, nel 1947 1273, infine nel 1948 1516. Anche se è evidente la netta inferiorità della frequenza dei primi anni, è tuttavia dal 1944 che esso cominciò a detenere un posto privilegiato, di primo piano, nel vocabolario comunista, affiancandosi ad altre parole già altamente caratterizzanti del discorso comunista, come ‘partito’ o ‘lavoratori’, e, anzi, in qualche caso surclassandole quantitativamente. Recuperato da Togliatti in nome di una continuità (forzata) con la concettualizzazione gramsciana dell’unione delle forze operaie e contadine, il discorso sul popolo si colorava ora di nuove connotazioni, da una parte intrecciandosi inestricabilmente con l’appello per l’unità della lotta antifascista, la nuova strategia del partito nuovo e della democrazia progressiva, dall’altra giustificando la politica decisa a Salerno.

Il sito de l’Unità (http://archivio.unita.it) è purtroppo inagibile dal dicembre 2016.

UNPOPOLO ILPOPOLO

!!

2.2. «Unità di popolo e di lotta»: la svolta di Salerno

!

L’Italia del 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre, reso noto al pubblico attraverso i microfoni dell’EIAR (l’ente italiano per le audizioni radiofoniche), firmato con gli anglo-americani dal primo governo italiano sorto dopo la caduta di Mussolini e presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio, era un paese in stato di guerra, scisso territorialmente: a nord, dal controllo dei tedeschi (poi anche dalla Repubblica sociale italiana, neo-stato guidato dall’ex duce); a sud, dagli Alleati, dato che il governo italiano si muoveva tra lo statuto della cobelligeranza e i vincoli della resa incondizionata . Tuttavia, nei mesi successivi, alcune 39

circostanze diedero primi segnali di uscita dall’impasse politico-militare in cui versava lo stato italiano. In primo luogo, la nascita, il 9 settembre a Roma, del comitato di liberazione nazionale (CLN) in rappresentanza di tutti i partiti antifascisti del fronte nazionale, in cui il partito comunista italiano, nuova denominazione con la quale il partito comunista d’Italia, in seguito allo scioglimento del Komintérn nel giugno 1943, finiva di rappresentare (almeno nominalmente) una semplice sezione dell’Internazionale comunista; il partito socialista di unità proletaria ; il partito d’azione; il partito liberale; la democrazia cristiana; il partito 40

democratico del lavoro. Il CLN nasceva come organismo finalizzato a raccogliere i partiti e, nelle parole del partito comunista nell’appello di settembre al popolo italiano, contribuire a «cacciare i tedeschi dall’Italia e distruggere radicalmente il fascismo» . In secondo luogo, 41

l’annuncio, al rientro di Togliatti nel marzo dell’anno seguente, della disponibilità da parte del partito comunista a rinviare la questione istituzionale e a collaborare col governo nel comune sforzo bellico. Una mossa repentina, considerando il fatto che soltanto qualche mese prima, il 5 novembre del 1943, Togliatti aveva decretato in un discorso radiofonico una tabella di marcia che si presentava ben differente:

!

«primo: il re deve abdicare; secondo: i poteri della corona devono essere sospesi; terzo: il

governo che si formerà deve avere aspetto e nome di governo provvisorio; e infine, quarto, la

Una interessante interpretazione dell’armistizio e della storiografia su di esso in Elena Aga Rossi,

39

L’inganno reciproco. L’armistizio tra l’Italia e gli angloamericani del settembre 1943 (Roma: Ministero per i beni culturali e ambientali ufficio centrale per i beni archivistici, 1993), pp. 9-79.

Il PSI aveva assunto la denominazione di PSIUP nell’agosto del 1943 dopo la fusione col movimento

40

di unità proletaria. Mantenne questa sigla fino al gennaio 1947, quando la corrente guidata da Giuseppe Saragat, che accusava il partito di essere in posizione subordinata rispetto al PCI, si staccò per fondare il partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI, dal 1952 partito socialista democratico italiano, PSDI).

Partito comunista italiano, “Al popolo italiano”, Il comunismo italiano nella seconda guerra mondiale.

41

Relazione e documenti presentati dalla direzione del partito al V Congresso del Partito comunista italiano, ed. Giorgio Amendola (Roma: Editori Riuniti, 1963), pp. 205-216, cit. p. 207.

UNPOPOLO ILPOPOLO

questione ‘monarchia o repubblica’ dovrà essere decisa, finita la guerra, da un’Assemblea costituente eletta da tutta la nazione e chiamata a dare al nuovo Stato italiano una Costituzione democratica, che soddisfi le aspirazioni del popolo ed escluda ogni possibilità di nuovi tradimenti» . 42

!

E subito dopo, sempre nel novembre, aveva denunciato il rinvio della formazione di «un vero governo nazionale rappresentativo […] perché il re si [era] rifiutato di abdicare, come [avevano chiesto] unanimi i rappresentanti di tutte le organizzazioni antifasciste» . D’altra 43

parte, però, lo scioglimento del Komintérn nel maggio 1943 e la conferenza di Teheran, tra Unione Sovietica, Stati Uniti, e Gran Bretagna, svoltasi alla fine di novembre, avevano mostrato chiaramente la svolta nell’indirizzo della politica estera sovietica. Nel 1943, inoltre, era stato costituito ad Algeri un Consiglio consultivo per gli affari esteri italiani di cui faceva parte anche Andrej Vyšinskij, diplomatico poi ministro agli esteri sovietico. La svolta di Salerno, preceduta il 14 marzo dal riconoscimento sovietico del governo Badoglio, nasceva dunque su queste nuove basi politico-strategiche. Sulla questione italiana, poi, il nuovo corso politico ebbe il potere di agire nel senso di uno scardinamento dello stallo politico in cui erano bloccati i partiti del CLN. Al contempo, la svolta contribuiva a legittimare eticamente e politicamente il movimento resistenziale agli occhi degli italiani e delle potenze alleate . Ma scendiamo più nel dettaglio. 44

Sul finire del pomeriggio del 27 marzo 1944, Togliatti sbarcava a Napoli dopo diciotto

anni di esilio e un viaggio da Mosca durato circa venti giorni. Prima davanti all’assemblea di quadri del partito della provincia di Napoli, composta da Eugenio Reale, Velio Spano, Salvatore Cacciapuoti e altri, dirigenti dell’autoproclamatasi federazione campana con compiti di riorganizzazione del partito nell’area del Mezzogiorno ; poi al primo consiglio 45

nazionale delle regioni liberate svoltosi a Napoli pochi giorni dopo, tra il 30 marzo e il 1°

Palmiro Togliatti, “Il problema della monarchia”, discorso del 5 novembre 1943, Palmiro Togliatti,

42

Da Radio Milano libertà (Roma: Editori Riuniti, 1974, venduto con Rinascita), p. 393.

Mario Ercoli [Palmiro Togliatti], “L’Italia e la guerra contro la Germania hitleriana”, Palmiro

43

Togliatti, Opere, eds. Franco Andreucci & Paolo Spriano, vol. 4/2, 1935-1944 (Roma: Editori Riuniti, 1979), pp. 356-395, cit. p. 391, corsivi miei.

Roberto Gualtieri, L’Italia dal 1943 al 1992, DC e PCI nella storia della Repubblica (Roma: Carocci,

44

2006), p. 18. Il governo, però, secondo la mozione del CLN del 16 ottobre, avrebbe dovuto operare in modo da non compromettere la concordia nazionale né le future decisioni popolari e convocare il popolo alla fine del conflitto per decidere della questione istituzionale.

Spano e Reale avevano già ricevuto un invito nel gennaio da parte del governo per un ingresso del

45

PCI nella coalizione, la proposta cadde nel vuoto a causa dell’ancora vigente pregiudiziale antimonarchica dei partiti antifascisti.

UNPOPOLO ILPOPOLO

aprile ; infine, ufficializzato sulle edizioni meridionali de l’Unità del 2 e del 16 aprile, il 46

dirigente comunista espose quello che sarebbe dovuto essere il ‘nuovo corso’ del partito: il superamento delle posizioni massimaliste, l’alleanza di tutte le forze antifasciste contro il nemico comune e lo sviluppo di un ‘partito nazionale e di massa’.

Questa era una politica di cui il dirigente aveva già dato un’anticipazione inviando al

giornale Fronte unito, il 13 marzo ancora in viaggio, un messaggio in cui specificava che dovere degli italiani era quello di «unirsi, unirsi per essere forti nella lotta per sconfiggere definitivamente Hitler e Mussolini» . Inoltre, Togliatti faceva un immediato collegamento 47

tra questa unità e il concetto di ‘popolo’: «il problema dell’unità», diceva, «ha un aspetto non soltanto proletario, ma popolare» . E subito 48 l’Unità interveniva: «La parola d’ordine dell’unità sta scritta da vent’anni sulla bandiera dei comunisti. È su questa parola che Ercoli [lo pseudonimo assunto da Togliatti durante la clandestinità] tornando in Italia, mette l’accento oggi» , facendo eco alla politica togliattiana della ricerca (consapevole) di una 49

continuità tra la svolta, l’azione e la tradizione del partito, e ignorando, in un certo senso, il fatto che la questione dell’unità avesse più a che fare con il momento coevo della lotta di liberazione nazionale che non con la linea politica tradizionale del partito. Così come era stata definita nell’appello agli italiani del settembre 1943, «l’unità di tutte le forze nazionali» era «l’imperiosa necessità che la lotta [imponeva] a tutti gli italiani». «Questa unione di forze», si diceva, poteva «essere l’arma più potente» per la vittoria se fosse stata «efficientemente organizzata e diretta» e perciò era «indispensabile unità di direzione politica» . 50

Questa linea aveva già avuto una sua prima enunciazione pubblica durante il discorso

pronunciato il 26 novembre 1943 alla Casa dei sindacati di Mosca: «in un paese il quale ha fatto la tragica esperienza di vent’anni di fascismo», diceva Togliatti, che «esce da questa