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«Quando noi donne torniamo a casa da far spesa e vediamo che il portafoglio è vuoto e nella

estremamente allusivo, caratterizzandosi per l’esposizione continua e la mise en evidence di valori, idee, giudizi che si era certi fossero condivisi dal ricevente, in un gioco a forte rimando reciproco positivo . Un passo esemplare in questo senso, viene da Noi donne: 14

!

«Quando noi donne torniamo a casa da far spesa e vediamo che il portafoglio è vuoto e nella

rete non abbiamo quasi nulla, ce la prendiamo un pò [sic] con tutti. Con il contadino, con il padrone del negozio o del carrettino, ma non ce la prendiamo quasi mai —e sbagliamo—, con quelli che sono i veri responsabili della fame nostra e dei nostri figlioli, i padroni degli autotrasporti, i grossisti che fanno salire, con la loro inestinguibile sete di guadagno, i prezzi alle stelle» . 15

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Il linguaggio semplice fino alla sgrammaticatura e all’uso del dialetto, la costruzione dialogica, la messa in evidenza della comune condizione (di genere, di classe sociale), la contestualizzazione del sociale quotidiano evocato attraverso un lessico popolare («il carrettino»), serviva, per embrayage a creare un forte legame, diretto, tra redattore/16

articolista/rivista e pubblico lettore. La ricerca della complicità —che era al contempo una richiesta di complicità— era articolata anche per mezzo della costruzione di un discorso pertinente, familiare, che il lettore, il militante o il cittadino poteva agilmente riconoscere e in cui poteva facilmente riconoscersi. Rubriche come I pensieri di ogni giorno, Le nostre ricette,

Semplificando, nella linguistica pragmatica ci si riferisce al termine ‘presupposizione’ per indicare

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l’implicito alla base di un enunciato che nell’economia del discorso è dato per scontato in quanto condiviso da tutti gli interlocutori. Tuttavia, la questione è molto più complessa e rimanda alla differenziazione tra ‘presupposizioni’ e ‘implicature’; l’argomento è stato studiato da studiosi di settori diversi e in differenti periodi (da Gottlob Frege a John L. Austin a Peter F. Strawson). In Italia ha ampiamente lavorato sulla questione la filosofa del linguaggio Marina Sbisà. Si vedano in proposito: Marina Sbisà, “Presupposizioni e contesti”, La svolta contestuale, eds. Carlo Penco & Varol Akman et al. (Milano; New York: McGraw-Hill, 2002), pp. 221-239; Id., Detto non detto. Le forme della comunicazione implicita (Roma; Bari: Laterza, 2007); Id., “Pathways to explicitness”, Lingue e linguaggio, 1 (2007): pp. 101-120. Si veda anche la sua voce “L’implicito: forme e funzioni” sull’Enciclopedia Treccani online (2009): http://www.treccani.it/enciclopedia/l-implicito-forme-e-funzioni_(XXI_Secolo)/ [al 5 gennaio 2016]. Come esempio, un discorso di Togliatti a proposito di Trieste che condivide implicitamente le premesse e certe assunzioni col lettore: «Il popolo jugoslavo vuole ricostruire in pace il proprio paese e noi pure abbiamo questo bisogno. E io ho letto con piacere sui giornali di stamattina che il maresciallo Tito rimane su quella posizione, che la questione di Trieste, cioè, sia regolata in conformità e lo spirito delle dichiarazioni fatte a me», Palmiro Togliatti, “Le proposte di Tito per la pace e la collaborazione amichevole con l’Italia”, l’Unità, XXV, 73 (28 marzo 1948).

R.M., “Bisogna organizzare i trasporti”, Noi donne, I, 3 (settembre 1944).

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È una tecnica di coinvolgimento tra il locutore e il destinatario; chi scrive o parla chiama in causa

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colui che legge o ascolta che tende quindi a sentirsi coinvolto nel contesto enunciativo. Una spiegazione più dettagliata inra, par. 4.

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Provviste per l’inverno, Caterina in faccenda di Noi donne, contenenti consigli per la conservazione degli alimenti in tempo di penuria, oltre a fornire sicuramente un valido aiuto, erano anche indice di queste strategie discorsive.

Il piano narrativo veniva molto spesso strutturato per mezzo di procedimenti anaforici,

ossia ripetendo continuamente determinati termini tra loro in stretta connessione semantica. Durante gli anni quaranta, per esempio, nei testi del partito e nei discorsi dei suoi dirigenti, parole come ‘popolo’, ‘nazione’, ‘patria’, ‘Italia’, ‘Roma’ o ‘democrazia’ facevano continuamente la loro comparsa, formando precise e ricorrenti concatenazioni semantiche e costituendosi come vero e proprio vocabolario specifico del partito. Coerenza semantica, coesione testuale e isotopie —la ripetizione di elementi formali e semantici in diversi luoghi del testo o del discorso in modo da indirizzare le attese del destinante — consentivano un 17

percorso di lettura e interpretazione facilitata, consequenziale e omogenea per il fruitore, cui spesso ci si appellava direttamente (si pensi al tradizionale saluto ai compagni come 18

preambolo di ogni discorso ). In 19 incipit di un articolo su Noi donne, Marisa Rodano si chiedeva: «votare è un obbligo?». A una introduzione didascalica del tema («Il Consiglio

Il termine ‘isotopia’ è stato preso dalle scienze fisiche e trasposto in linguistica dal semiologo

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Algirdas J. Greimas nella seconda metà degli anni sessanta per indicare la ricorrenza nel testo di elementi che gli assicurano coerenza e omogeneità. Per esempio: «I nostri compagni debbono farsi vedere da tutta la massa del popolo, debbono imparare a parlare al popolo, debbono collegarsi col popolo in tutte le forme possibili, in modo che il nostro Partito, dalla sommità fino all’ultima cellula, sia qualcosa in cui il popolo abbia fiducia e a cui il popolo guardi», Propaganda, 13 (20 agosto 1948), copertina, corsivi miei.

Per esempio: «E non vi pare anche, care lettrici, che sia ora di mettere un pò [sic] il naso nelle cose

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che ci interessano, noi donne […]?», R.M., “Bisogna organizzare i trasporti”, Noi donne, I, 3 (settembre 1944). Il tono, in particolare su Noi donne e non diversamente da altri rotocalchi femminili del dopoguerra, è sempre confidenziale: ‘care lettrici’, ‘care amiche’, ‘care donne’, ‘nostre amiche’, quasi mai declinati in senso politico. Del resto il nome stesso della rivista agisce in questo senso, nonché la continua allitterazione dell’appellativo diretto alla comune appartenenza tramite il vocativo ‘noi donne’ che ritroviamo con massima frequenza in ogni articolo.

Valga come esempio il primo discorso di Togliatti alla sezione napoletana al suo rientro in Italia:

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«Compagni, dirigenti e militanti della Federazione comunista di Napoli, operai, amici. Voi comprenderete facilmente come e perché il calore della vostra accoglienza, il calore del vostro saluto, l’omaggio che voi mi avete reso mi commuovano profondamente. Questa, in realtà, è la prima riunione, possiamo dire di massa, alla quale io partecipo dopo il ritorno in Italia, dopo più di diciotto anni dall’esilio al quale mi aveva condannato il fascismo; e io sono lieto e fiero che questo primo largo contatto col ricostituito Partito comunista e col popolo italiano abbia luogo qui e avvenga con voi, comunisti napoletani, che, ricostruendo subito dopo il crollo del fascismo e dopo la proclamazione dell’armistizio in forma legale il nostro partito, avete dato un esempio a tutti i lavoratori, a tutti gli operai, a tutti i comunisti d’Italia. Sono lieto e fiero, inoltre, di riprendere contatto diretto con il popolo italiano qui nella vostra città, in Napoli», Togliatti, “La politica di unità nazionale dei comunisti”; ora in Togliatti, La politica nel pensiero e nell’azione, cit. p. 564.

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dei Ministri ha approvata la legge elettorale amministrativa.. »), l’articolista faceva seguire l’esposizione del caso, in cui si riportava il discorso diretto avversario da sfatare: «Vi sono alcuni […] che fanno uno strano ragionamento», ossia «‘le donne italiane non hanno mai votato, quindi in gran parte non si cureranno di votare’». Poi era la volta della domanda retorica, posta direttamente alle lettrici: «Che ve ne pare, di questo discorso, care amiche dell’UDI?»; dell’accento su un precedente negativo che coinvolgeva direttamente il destinante: «questa faccenda […] vi ricorda molto le cartoline rosse che chiamavano ad acclamare il ‘Duce’ in piazza»; della confutazione che faceva appello all’orgoglio e alla comune appartenenza: «questa è una prova di sfiducia verso le donne italiane che è veramente offensiva». Infine, arrivava la soluzione, obiettivo della Rodano fin dal principio e che sottintendeva, però, a un tempo, la condivisione della stessa paura dell’avversario (e quindi un suo avvaloramento), la paura cioè che le donne non andassero a votare: «andare a votare significa avere raggiunta la coscienza di cittadine» . 20

Soprattutto per Togliatti, ma similmente potremmo dire per la maggior parte degli

articolisti di Rinascita, il procedere argomentativo era sempre sorretto da una struttura caratterizzata da rigida coerenza interna e dai princìpi dello schema logico . Il linguaggio 21

comunista era del resto un lessico complesso, polifunzionale, ricco di metafore, analogie o altre figure retoriche che nell’esemplificazione operano uno slittamento o una sostituzione di significati (come la sineddoche), una caratteristica tipica di quei linguaggi che presentano una caratterizzazione didascalica e fortemente pedagogica, come quelli ideologici o religiosi. Per esempio nel discorso di Luigi Longo in seguito all’attentato a Togliatti:

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«Questo sentimento di devozione, all’annuncio dell’attentato alla vita del compagno Togliatti,

è esploso in formidabili manifestazioni di massa […]. I nostri avversari non sanno capire questi sentimenti di milioni e milioni di esseri per un uomo, per un capo politico. Abituati a baciare la pantofola e a lustrare le scarpe a parroci e a gerarchi, a reggere la coda a cardinali e a padroni, non vogliono credere alla spontaneità e alla sincerità di queste manifestazioni del popolo, di compagni e di discepoli» . 22

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Tipicamente religiosi si presentavano anche certi richiami semantici alla rinascita, alla purificazione e al rinnovamento, di cui ampiamente vi era riferimento all’interno di articoli,

Marisa Rodano, “Votare è un obbligo?”, Noi donne, 11 (15 gennaio 1946).

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Michele A. Cortelazzo, “Palmiro Togliatti: l’architetto dello schema logico”: http://www.treccani.it/

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magazine/lingua_italiana/speciali/PCI/Cortelazzo.html [al 26/11/2015].

Luigi Longo, “Il nostro capo”, Rinascita, V, 8 (agosto 1948), corsivi miei. O ancora Togliatti: «Non

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dobbiamo né volere né favorire in nessun modo la divisione dell’Europa in due blocchi, perché questo sarebbe per l’Italia più che per qualsiasi altro paese […], fonte di conseguenze estremamente gravi. Siamo veramente il vaso di coccio che andrebbe in pezzi tra i vasi di ferro», Palmiro Togliatti, Discorsi parlamentari, vol. 1, 1946-1951 (Roma: Camera dei Deputati, 1984), p. 164, corsivi miei.

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discorsi e interventi degli anni quaranta e ancora degli anni cinquanta. Per esempio, Pietro Secchia aveva asserito nel gennaio 1947 durante la III conferenza nazionale del partito:

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«Ebbene siamo noi comunisti in grado di fare quanto si chiede da noi? Sì. noi siamo in grado

vogliamo esserlo sempre più, […] ci sentiamo assieme a tutte le forze democratiche di poter essere l’elemento dinamico, l’anima della rinascita» .23

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Nel senso di un fare comunicativo di tipo didattico-formativo può essere letta la preponderanza dell’uso di sentenze , seppure all’interno di un piano formale complesso e 24

spesso ipotattico , anche attraverso il frequente ricorso agli 25 slogan e alle parole d’ordine. D’altra parte queste ultime, visto che per volontà fondativa si impongono alla stregua di

Pietro Secchia, “I compiti del partito e i problemi della sua organizzazione”, Da Gramsci a Berlinguer,

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vol. 2, pp. 229-249, cit. p. 235. Oppure ancora: «Il Partito eserciterà, immancabilmente, una influenza formidabile sugli avvenimenti, imporrà loro un indirizzo corrispondente agli interessi vitali della Nazione e del popolo e sarà l’artefice decisivo della Rinascita e dei nuovi destini dell’Italia», Fondazione Istituto Gramsci, Archivio del partito comunista italiano, comitato regionale della Sicilia (1945), ora in Angelo Ventrone, “La liturgia politica comunista”, p. 780.

Ancora Secchia: «Trotskisti, cosiddetti internazionalisti, sinistri, sedicenti marxisti integralisti, […]

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si sforzano […] di portare la confusione, la disgregazione, seminano zizzania e si prestano ad ogni sorta di provocazione quando non sono essi stessi dei provocatori al soldo di agenti reazionari, al soldo di nemici interni ed anche di agenti dello straniero», Pietro Secchia, “I compiti del partito e i problemi della sua organizzazione”, Da Gramsci a Berlinguer, vol. 2, p. 243.

Per esempio Gramsci su Il Grido del popolo, in un passo marcatamente ipotattico: «Il principio

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dell’organizzazione è superiore a quello della libertà pura e semplice. Esso è la maturità in confronto della fanciullezza; ma storicamente la maturità ha bisogno della fanciullezza per svilupparsi, e il collettivismo presuppone necessariamente il periodo individualistico, durante il quale gli individui acquistano le capacità necessarie per produrre indipendentemente da ogni pressione del mondo esteriore, imparando a proprie spese come niente di più reale e di più concreto esiste del dovere della laboriosità, e come il desiderio della sopraffazione, la concorrenza brutale e sfrenata debba, per il bene di tutti, essere sostituita dall’organizzazione, dal metodo, che assegna a tutti un compito specifico da svolgere e a tutti assicura la libertà e i mezzi di sussistenza»; Articolo non firmato [Antonio Gramsci], “Individualismo e collettivismo”, Il Grido del Popolo (9 marzo 1918), ora in Gramsci, Scritti giovanili, pp. 186-187.

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assiomi non sindacabili, erano spesso impiegate ad hoc a dimostrazione di posizioni ed eventi . 26

Oltre alle semplificazioni troviamo le generalizzazioni, anche per quanto riguardava gli

stessi soggetti: ‘il popolo’, ‘il partito’ o ‘il nemico’ costituivano molto spesso un soggetto collettivo unico, caratterizzato da giudizi valutativi netti, senza sconti in quanto a declinazione valoriale (positivi o negativi, buoni o cattivi). Associato a questo, era frequente il ricorso all’antitesi di quegli stessi soggetti —‘noi’ e ‘loro’— in costante opposizione reciproca. Esemplare in questo senso era la rubrichetta Noi e loro di Propaganda, in cui venivano comparati dirigenti comunisti e dirigenti di altri partiti, soprattutto democristiani, in elenchi di nomi seguiti da brevi biografie fortemente orientate in senso valutativo . 27

Parole d’ordine principali furono sicuramente quelle del ‘partito nuovo’, della ‘democrazia

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progressiva’ o ‘democrazia conseguente’, e della ‘via italiana al socialismo’. Ma ogni politica prevedeva la creazione di specifiche parole d’ordine che avrebbero dovuto essere diffuse tramite la stampa interna di partito e di lì all’esterno. Il Quaderno del propagandista conteneva inoltre una rubrica apposita, intitolata Esempi di parole d’ordine, in cui erano inserite le parole-chiave del momento. Soltanto a titolo di esempio, sulla votazione al referendum del 2 giugno 1946: «Chi vive sull’equivoco e non si è ancora pronunciato per la repubblica, non è degno del voto del popolo. Votate per la Repubblica! Votate per il Partito comunista italiano!», Quaderno del propagandista, III (aprile 1946), Esempi di parole d’ordine.

Solo come esempio alcuni nomi della colonna dei dirigenti comunisti elencati nel numero 35 del

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novembre 1950: «Antonio Gramsci. Condannato a venticinque anni di carcere, assassinato nelle galere fasciste. Palmiro Togliatti. Più volte aggredito ed arrestato dai fascisti deferito al Tribunale Speciale, combattente in Spagna. Luigi Longo. Più volte aggredito ed arrestato nel 1921-25, tre anni di confino, esiliato, combattente in Italia e Spagna. Pietro Secchia. Scontati quattordici anni tra carcere e confino». Nell’altra colonna erano descritti gli avversari politici: «Alcide De Gasperi. Deputato al Parlamento austriaco, si oppose tenacemente alla causa dell’unità italiana. Nel 1922 votò in favore del governo Mussolini. Guido Gonnella. Durante il fascismo lavorava liberamente e prestava la sua collaborazione all’Osservatore romano. Attilio Piccioni. Durante il fascismo fece tranquillamente l’avvocato. Mario Scelba. Durante il fascismo esercitò indisturbato la professione di avvocato». Considerando il corpus di testi di Togliatti 1937-1947 analizzato in 1.8, il lemma ‘noi’ occorre ben 394 volte collocandosi al trentunesimo posto della word list, tra le prime parole che non siano articoli e preposizioni, mentre ‘loro’ compare 342 volte, posizionandosi sempre tra le frequenze più alte al trentottesimo livello.

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L’impiego dei contrasti, in ogni caso, non si limitava ai soggetti ma investiva il modo narrativo stesso costruito per polarità e opposizioni . 28

Fuori dal tempo, tutta la modalizzazione del discorso comunista a partire dalla sua fondazione rientrava all’interno della cornice del determinismo storico, reso linguisticamente attraverso l’utilizzo di termini e locuzioni collegate alla necessità (‘necessità’, ‘necessario’, ‘è chiaro’, ‘è necessario’), discorsivamente anche per mezzo del richiamo alle cose della natura che vivono e scorrono da sempre entro le leggi certe della fisica. «Disciplinarsi è rendersi indipendenti e liberi», scriveva Gramsci nel 1917:

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«L’acqua è acqua pura e libera quando scorre tra le due rive di un ruscello o di un fiume, non

quando è sparsa caoticamente sul suolo, o rarefatta si libra nell’atmosfera. Chi non segue una disciplina politica è appunto materia allo stato gassoso, o materia bruttata da elementi estranei: pertanto inutile e dannosa. La disciplina politica fa precipitare queste lordure, e dà allo spirito il suo metallo migliore, alla vita uno scopo, senza del quale la vita non varrebbe la pena di essere vissuta» . 29

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Tuttavia, in alcune occasioni, come già accennato, soprattutto nella retorica togliattiana, non mancavano spunti sarcastici, epiteti pungenti o notazioni polemiche , come nell’uso 30

Per esempio Togliatti nel discorso tenuto a Firenze il 3 ottobre 1944: «Badate che in un partito

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come il nostro, comunista, bolscevico, non ci possono essere degli elementi inattivi. Noi non ammettiamo il membro di partito il quale ha soltanto la tessera e non fa niente per il partito. Questo non può esistere. Ha potuto esistere soltanto come una situazione transitoria [...]. Ma se voi vi cristallizzate in una situazione nella quale soltanto un gruppo di compagni lavora e tutti gli altri hanno la tessera in tasca e non fanno nulla, praticamente il nostro partito non sarà quel partito di cui abbiamo bisogno [...]. Se voi non riuscite a far questo, voi non riuscirete a creare un partito bolscevico, voi non riuscirete a creare un partito comunista e non riuscirete a dirigere tutta la massa del popolo come è necessario che voi la dirigiate»; Togliatti, Il partito, pp. 92-93.

Articolo non firmato [Antonio Gramsci], “Disciplina e libertà”, La Città futura, numero unico

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pubblicato dalla Federazione giovanile socialista piemontese (11 febbraio 1917), ora in Gramsci, Scritti giovanili, p. 82. E ancora su La Rinascita del 1944: «La volontà delle masse infrange i più perfetti strumenti di repressione, spezza i più solidi ingranaggi di interessi, manda in frantumi le più forti organizzazioni politiche; la volontà delle masse, invisibile ma ponderabile nella vita politica di tutti i popoli, sorregge, per contro, le iniziative a suo vantaggio, le riscalda del proprio calore, aderisce ad esse e le rende inattaccabili e invincibili, così come l’atmosfera aderisce e fascia gli esseri e le cose del mondo, li circonda della propria forza, ne impedisce la disgregazione prima che il ciclo naturale sia concluso», “Iniziativa politica e adesione popolare”, La Rinascita, I, 1 (giugno 1944), corsivi miei. Per un’analisi discorsiva di questo passo si veda inra, par. 4.

Per esempio Togliatti che apostrofa Benedetto Croce come ‘Don Benedetto’ o chiamava De Gasperi

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ironicamente come «poveretto» che «se l’è presa con la dattilografa», Palmiro Togliatti, “De Gasperi ha presentato le sue dimissioni. La crisi voluta dagli speculatori è aperta. Offensiva plutocratica”, l’Unità, XXIV, 24 (14 maggio 1947).

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della metafora o dell’allegoria, contro le opinioni degli avversari e persino nei confronti di 31

quello stesso popolo italiano, o almeno una sua parte, che usualmente veniva connotato ‘senza macchia’ . Si ricorreva talvolta all’ironia, mai volgare, sempre acuta, in modo da 32

mettere in ridicolo quelle posizioni che si lasciava intendere non si ritenessero degne di un serio confronto argomentativo, come a proposito della scelta di far eleggere tramite elezione popolare la composizione dell’Assemblea costituente . Soltanto come esempio di un 33

repertorio assai vasto, che riassume bene la costruzione ironica, a tratti sarcastica, del discorso togliattiano, sempre forbito, valgano le parole su Rinascita di Togliatti, sotto le spoglie di Roderigo: