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«Abbiamo prima di tutto il dovere di dare ai migliori militanti della classe operaia e del

2.9. «I migliori militanti della classe operaia e del popolo»: la narrazione di Rinascita

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Un discorso a parte merita esser fatto per Rinascita. L’antica separazione tra popolo e classe, tra masse e avanguardia, che si prospetta minoritaria nel discorso pubblico comunista a partire dalla parola d’ordine del partito nuovo con il rientro di Togliatti nel 1944, si ritrova con più frequenza su riviste indirizzate alla fruizione più ristretta della propria militanza intellettuale, proprio come Rinascita. L’editoriale del primo numero, che uscì nel giugno 1944, ne chiariva immediatamente lo scopo, e cioè quello di «fornire una guida ideologica a quel movimento comunista il quale, stretto alleato del movimento socialista, è parte integrante e elemento dirigente del moto di rinnovamento profondo» del paese. Non 190

stupisce allora che nel testo la parola compaia con minor frequenza, così come molto più sporadica è la concettualizzazione del popolo come soggetto razionale e volontà collettiva, a favore, invece, di una netta separazione tra ‘la parte’ e ‘il tutto’. In questo modo, il popolo di Rinascita è un popolo che portava in sé la frattura originaria della concezione marxista del popolo:

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«Abbiamo prima di tutto il dovere di dare ai migliori militanti della classe operaia e del

popolo la possibilità di conquistare le nozioni teoriche indispensabili non solo a comprendere le ragioni di tutto ciò che diciamo e facciamo, ma ad applicare in tutti i campi con spirito d’iniziativa la politica che meglio risponde agli interessi della loro classe, del popolo e del paese» . 191

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Anche rispetto alla fine della guerra Rinascita usava una concettualizzazione del popolo assai distante da quella de l’Unità. Se quest’ultima, infatti, come abbiamo visto, inneggiava a un «popolo intiero», anche nelle rappresentazioni iconografiche del periodo , Rinascita 192

poneva la questione della liberazione in un’accezione ben diversa. Al centro dell’editoriale dell’aprile 1945 veniva posta un’immagine de ‘il maresciallo Stalin’, sottraendo una buona parte degli onori che l’Unità dedicava invece al popolo italiano. Oltretutto, Rinascita operava

Roberto Colozza, Repubbliche comuniste. I simboli nazionali del PCI e del PCF (1944-1953) (Bologna:

189

Clueb, 2009), p. 12.

“Programma”, La Rinascita, I, 1 (giugno 1944).

190

“Programma”, La Rinascita, I, 1 (giugno 1944), corsivi miei.

191

Si veda la figura n. 4, Senza titolo, Il Calendario del Popolo, I, 6 (1-15 giugno 1945), in appendice

192

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un sostanziale cambio di prospettiva, attribuendo in più di una occasione la liberazione non ‘a tutto il popolo’ ma a una parte di esso, la migliore:

«Per merito della parte migliore del popolo, dei valorosi partigiani delle regioni settentrionali, gli italiani possono ascrivere a loro merito di avere con le loro stesse mani fatto giustizia dello sconcio istrione che le caste reazionarie avevano elevato a capo dello Stato italiano e che fu il principale responsabile della nostra rovina. Per merito della parte migliore del popolo italiano noi possiamo affermare oggi con fierezza che l’Italia, nonostante il vergognoso passato fascista, […] ha dato un contributo sostanziale alla proprio liberazione e allo schiacciamento del fascismo» . 193

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Rinascita sembrava in questo modo richiamarsi a una concettualizzazione della divisioni in classi risalenti al periodo precedente la svolta di Salerno. La modalizzazione dell’informazione della liberazione del paese, era molto simile, benché a quo rispetto a questo passo in cui era presentata la situazione ad quem, a un testo del 1943:

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«la classe operaia ha un compito ed una sua funzione da compiere. In stretta alleanza con tutte le

forze popolari essa deve costituire l’avanguardia di una coalizione nella quale apporterà la sua energia, il suo slancio rivoluzionario, il suo spirito di lotta, di disciplina e di sacrificio» . 194

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‘Classe operaia’ e ‘masse popolari’ erano evidentemente qui due realtà a sé stanti, in cui la seconda svolgeva evidentemente un ruolo sussidiario rispetto alla prima. Non che non comparisse già qualche accenno su l’Unità a una certa, ancora velata, partizione di quel popolo a cui il partito faceva appello. Tuttavia, lì, i riferimenti alla ‘parte migliore del popolo’ erano ancora minoritari, trascurabili da un punto di vista dell’analisi del discorso; comparvero invece con sempre maggior frequenza a partire dalla fine del 1945 e l’inizio del 1946 . D’altra parte, la rivista, a differenza del quotidiano, sembrava venire incontro, 195

attraverso il sorvegliato utilizzo di certe parole e particolari strategie, a una militanza, in buona parte intellettuale, che in molte occasioni non si era dimostrata del tutto concorde nei confronti della svolta politica dell’anno precedente.

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2.10. Un popolo, il Popolo

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“La vittoria”, Rinascita, II, 4 (aprile 1945), corsivi miei. Permane la sottrazione di responsabilità del

193

popolo nel ventennio fascista.

Partito comunista italiano, “Al popolo italiano”, Il comunismo italiano nella seconda guerra mondiale, p.

194

213.

Per questo si veda il cap. 3.

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Tra il 1943 e il 1945 il PCI era divenuto un grande partito di massa, un ‘partito per famiglie’, come è stato definito . Dalle poche migliaia di iscritti degli anni del partito d’avanguardia 196

—il PCDI contava 42.790 aderenti nel 1921, diminuiti con l’affermarsi del fascismo a 8.696 nel 1923, 24.837 nel 1925, e 15.285 nel 1926— era infatti passato ad averne circa 470.000 alla fine del 1944 e 1.770.896 solo l’anno seguente . Il partito era riuscito a massificarsi, 197

indubbiamente, attuando o mettendo in pratica tutta una serie di strategie politiche, istituzionali, organizzative, ma anche grazie a strategie discorsive che sono state in grado di plasmare a suo vantaggio l’universo simbolico e concettuale dei militanti (e non solo). In particolare, come abbiamo visto, uno dei canali discorsivi privilegiati nella costruzione dell’identità e della linea politica del partito fu proprio l’utilizzo strategico della parola ‘popolo’: prima attraverso una semantizzazione del popolo secondo un’immagine coesa, nazionale, patriottica, unita nello sforzo comune della lotta antifascista e della iniziale ricostruzione del paese (tutto il Popolo); poi sovrapponendo quello stesso popolo così caratterizzato all’immagine stessa del partito e del suo capo (Popolo-Capo-Partito).

E quella togliattiana e post-svolta di Salerno era una rappresentazione del popolo

omogenea e per certi aspetti universalizzante, che tacitava consapevolmente, nei grandi discorsi pubblici e sui canali a più ampio raggio, ogni differenziazione interna: un popolo connotato per disciplina, rigore, forza, salute, coraggio, secondo un’immagine profondamente terzointernazionalista. Innanzitutto era un popolo ‘lavoratore’, espressione di una totalità e non di una sua parte, la classe operaia. La locuzione ‘popolo lavoratore’ aveva poi un’origine lontana nel tempo in qualità di polirematica; tuttavia, l’accezione togliattiana della formula si poneva in forte discontinuità rispetto al significato assunto in passato. Nei testi di Gramsci degli anni dieci e venti era presente questa espressione con un’altissima frequenza, mentre si perdeva negli anni più tardi della sua produzione . 198

Infatti, in merito a questi ultimi, a fronte dell’assenza della formula nelle Lettere dal carcere (1926-1937), nei Quaderni (1929-1935) si trovava il solo lemma ‘lavoratore’, sempre usato a sé come sostantivo in senso assoluto. Soltanto per fare alcuni esempi: «la macchina moderna è ben altra cosa: essa non solo ‘aiuta’ il lavoratore ma lo ‘sostituisce’» (Q 6, § 156) ; «nell’economia il centro unitario è il valore, ossia il rapporto tra il lavoratore e le 199

forze industriali di produzione» (Q. 7, § 18) ; «in tal modo non può esistere l’homo 200

economicus generico, ma può astrarsi il tipo di ognuno degli agenti o protagonisti dell’attività

L’espressione è di Giovanni Gozzini & Renzo Martinelli, Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso,

196

Storia del Partito comunista italiano, vol. 7 (Torino: Einaudi, 1998).

Dati in Vittoria, Storia del PCI 1921-1991, tabella p. 15, p. 56 e tabella p. 70.

197

Per la prima produzione gramsciana: Gramsci, Sotto la mole 1916-1920 e Scritti politici, 3 voll. Per le

198

opere tarde: Lettere dal carcere e Quaderni del carcere 4 voll. (1975). Quaderni del carcere, vol. 2 (1975), p. 810.

199

Quaderni del carcere, vol. 2 (1975), p. 868.

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economica che si sono successi [sic] nella storia; il capitalista, il lavoratore, lo schiavo, il padrone di schiavi, il barone feudale, il servo della gleba» (Q. 10, § 37) ; «le iniziative 201

‘puritane’ hanno solo il fine di conservare, fuori del lavoro, un certo equilibrio psico-fisico che impedisca il collasso fisiologico del lavoratore, spremuto dal nuovo metodo di produzione» (Q. 22, § 11) . In un solo caso era presente l’espressione congiunta di ‘popolo 202

lavoratore’:

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«L’espansione italiana può essere solo dell’uomo-lavoro e l’intellettuale che rappresenta

l’uomo-lavoro non è quello tradizionale, gonfio di retorica e di ricordi cartacei del passato. Il cosmopolitismo tradizionale italiano dovrebbe diventare un cosmopolitismo di tipo moderno, cioè tale da assicurare le condizioni migliori di sviluppo all’uomo-lavoro italiano, in qualsiasi parte del mondo egli si trovi. Non il cittadino del mondo in quanto civis romanus o in quanto cattolico, ma in quanto produttore di civiltà. Perciò si può sostenere che la tradizione italiana si continua dialetticamente nel popolo lavoratore e nei suoi intellettuali, non nel cittadino tradizionale e nell’intellettuale tradizionale. Il popolo italiano è quel popolo che ‘nazionalmente’ è più interessato a una moderna forma di cosmopolitismo» (Q. 19, § 5) . 203

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Invece, negli Scritti politici della fine degli anni dieci e l’inizio degli anni venti si trovava con un altissima frequenza ‘popolo’ e ‘lavoratore’ in stretta connessione semantica tra loro, all’interno di una locuzione di senso inscindibile . Soltanto a titolo di esempio: «esiste la 204

grande massa del popolo lavoratore italiano» ; «la rivoluzione operaia italiana e la 205

partecipazione del popolo lavoratore italiano alla vita del mondo non può verificarsi altro che nei quadri della rivoluzione mondiale» ; «a Livorno si discuterà il destino del popolo 206

Quaderni del carcere, vol. 2 (1975), p. 1284.

201

Quaderni del carcere, vol. 3 (1975), p. 2166.

202

Quaderni del carcere, vol. 3 (1975), p. 244.

203

Con ‘locuzione’ si indica qualsiasi unità linguistica di più parole. Possono esserci locuzioni

204

nominali, aggettivali (qui abbiamo incontrato ‘guerra di popolo’ e ‘popolo lavoratore’), avverbiali, preposizionali, o congiunzionali. Si veda la voce “Locuzione” di Francesco Bianco su Enciclopedia Treccani online (2010): http://www.treccani.it/enciclopedia/locuzioni_(Enciclopedia-dell'Italiano)/ [al 31 ottobre 2016].

Articolo non firmato [Antonio Gramsci], “Il problema del potere”, L’Ordine Nuovo (29 novembre

205

1919); ora in Gramsci, Scritti politici, vol. 2, pp. 39-41, cit. p. 41.

Articolo non firmato [Antonio Gramsci], “Il Congresso di Livorno”, L’Ordine Nuovo (13 gennaio

206

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lavoratore italiano, a Livorno si inizierà un nuovo periodo nella storia della nazione italiana» . E ancora: 207

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«Chi oggi vuole trascinare il proletariato alla pacificazione, è già anch’egli un carnefice: per la

pietà che ispirano oggi i dieci uccisi, costoro preparano per domani la strage di mille. Non è neppure pietà cotesta, è ipocrisia vile; il Partito comunista non vuole essere né ipocrita né vile, appunto perché sente davvero la pietà umana per il destino atroce del popolo lavoratore» . 208

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Il ‘popolo lavoratore’ del primo discorso comunista era con ogni evidenza un popolo da cui si stagliava nettamente, separandosi ‘geneticamente’, la classe operaia, vera e unica interlocutrice del partito (o futuro partito) comunista: