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«Il controllo come venne rivendicato dai bolscevichi nel 1917 è una cosa ben diversa dal

raggiunto, piuttosto che traguardo conquistato con la nascita della democrazia italiana, lasciava ampi margini all’idea che avrebbe anche potuto evolversi, in un futuro più o meno lontano, nel socialismo . Molte delle critiche, infatti, additavano la democrazia progressiva 75

comunista come una sorta di ‘patto di non aggressione’ con i partiti e le forze borghesi per preparare al meglio l’‘esercito rosso’ in vista della futura rivoluzione comunista.

Che la formula costituisse un problema ne erano ben coscienti gli stessi dirigenti

comunisti. Non a caso, La Rinascita dell’ottobre-novembre-dicembre 1944 pubblicava un articolo di ben quattro pagine di Franco Rodano, in cui l’esponente «del nuovo partito della sinistra cristiana» commentava benevolmente la democrazia progressiva comunista . E 76

perciò lo stesso Togliatti si era affrettato a sottolineare che

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«Il controllo come venne rivendicato dai bolscevichi nel 1917 è una cosa ben diversa dal

controllo di cui parliamo oggi. […] Oggi non esiste una situazione che corrisponda a questa rivendicazione, appunto perché siamo in un periodo di lotta per organizzare un regime democratico attraverso la collaborazione di diversi partiti e gruppi sociali. […] Chiediamo un

Scriveva Eugenio Reale: «Su questi due fatti storici di fondamentale importanza [la fine della rete di

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interessi che aveva afflitto i popoli slavi e la guerra di liberazione delle masse popolari] poggia le basi quella nuova forma di regime politico che si chiama democrazia popolare. Ed in vero, un mondo nuovo nasce dalle rovine della seconda guerra mondiale». Contrapposta ai «regimi di falsa democrazia parlamentare», nata «dal fallimento di vecchie caste dirigenti e di vecchie strutture reazionarie, dallo spirito della guerra partigiana, dall’esperienza della resistenza contro l’oppressore hitleriano e il collaborazionismo interno, dalla rafforzata coscienza nazionale delle popolazioni», essa «è una forma di reggimento politico in cui il popolo esercita […] in realtà e in misura rilevante il potere governativo e amministrativo», “Le democrazie popolari dell’Europa orientale”, Rinascita, IV, 5 (maggio 1947). In Rinascita veniva riportata la concezione di Dimitrov: Giorgio [Georgi] Dimitrov, “Il carattere e le prospettive dei regimi di democrazia popolare”, Rinascita, VI, 1 (gennaio 1949).

Per alcune considerazioni su questa promiscuità semantica si veda Andreucci, Da Gramsci a Occhetto,

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pp. 187-189.

“Democrazia progressiva”, La Rinascita, I, 4 (ottobre-novembre-dicembre 1944).

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controllo della produzione e degli scambi del tipo di quello che esisteva ed esiste in Inghilterra e negli Stati Uniti» . 77

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Inoltre, non soltanto l’aggettivazione ‘popolare’ e il rimando alle democrazie popolari contribuivano a fomentare l’ambiguità semantica, ma la stessa etimologia dell’attributo ‘progressivo’ dava adito a nuove obliquità linguistiche e concettuali. Per quale ragione, infatti, la democrazia togliattiana veniva definita ‘progressiva’ e non ‘progressista’?

Se ‘progressista’ ha un’accezione politica, indicando lo schieramento dell’area di sinistra

—socialdemocratico, liberalistico-sociale, prima che comunista— volto alla promozione dei diritti umani e sociali (e spesso è stato usato come contrario di ‘conservatore’ o ‘reazionario’), ‘progressiva’ ha un significato più generale, non precipuamente politico, derivando da ‘progresso’, a sua volta discendente dal latino progrĕssus, participio passato di progrĕdi, ossia ‘andare avanti’, secondo un procedere continuo e graduale. Era dunque una scelta che denotava una certa presa di distanza dal campo semantico dei significati relativi alla socialdemocrazia, un’opzione, questa, che evidentemente poteva sortire —più o meno coscientemente— effetti poco rassicuranti sugli altri schieramenti politici. Oppure, la scelta dell’adozione di questo termine potrebbe aver avuto tutt’altra spiegazione, derivando da un diverso contesto di origine e da un’altra aerea semantica. Così come in Germania, a partire dal 1945, aveva cominciato a farsi strada il lemma progressiv al posto di fortschrittlich (progressista), la scelta togliattiana del lemma potrebbe parimenti derivare dal largo utilizzo sovietico dei termini progress (progresso), progressivnyj (progressivo), progressirovat (progredire, avanzare), derivanti anch’essi dal latino e dalle lingue romanze. Nella retorica comunista internazionale del dopoguerra, così, sostantivo e aggettivo ebbero un largo impiego. Si pensi alla casa editrice Progress, denominazione assunta nel 1964, che era stata fondata a Mosca nel 1931 con il nome di Compagnia editrice dei lavoratori stranieri in URSS, oppure al saggio Leopardi progressivo del dirigente fiorentino Cesare Luporini uscito nel 1947. Ciò potrebbe indicare, come è stato sostenuto, che la lingua dei comunisti italiani negli anni quaranta era forse più vicina al mondo sovietico di quanto lo stesso partito volesse far apparire e di quanto si sia pensato . Tuttavia, che l’origine dell’utilizzo di ‘progressivo’ 78

derivasse dal latino o dal russo, il sentore di questa eventualità poteva dar adito (e sicuramente lo dette) alla percezione di un’ambiguità lessicale di fondo, che rifletteva una promiscuità semantica e concettuale e quindi un’obliquità anche politica.

Palmiro Togliatti, Opere scelte (Roma: Editori Riuniti, 1974), pp. 381-416; citato in Giuseppe Amata,

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Verso la fine del PCI. La lotta ideologica interna dal 1944 al 1972 (Roma: Aracne, 2013), p. 41.

Franco Andreucci, intervento “‘Esempio luminoso, bandiera invincibile’: i linguaggi del PCI e il

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fardello della multidisciplinarietà” per il seminario Azione collettiva e linguaggi della politica e dei movimenti (Università di Trieste, 22 maggio 2015). Andreucci ha affrontato compiutamente la questione della democrazia progressiva, sia da un punto di vista concettuale, sia dalla prospettiva linguistica, in Falce e martello, pp. 44-50. Da qui sono tratte le annotazioni sul termine tedesco e russo.

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A questa polivalenza della formula, avevano sicuramente contribuito le diverse

interpretazioni politiche della democrazia e della lotta di liberazione, ancora a guerra in corso, tra la tattica togliattiana e il pensiero degli esponenti del centro dirigente milanese, la cui interpretazione sottolineava la necessità di conferire un ruolo di primo piano ai comitati di liberazione nazionale nel futuro assetto postbellico. Su La Nostra lotta, principale organo del partito diffuso nei territori dell’Italia occupata tra il 1943 e il 1945, nel giugno 1944 si poteva leggere che i CLN sarebbero dovuti diventare «gli organi del potere popolare» che «in nome del governo democratico» avrebbero dovuto assumere «la direzione della pubblica amministrazione» nei territori via via liberati . Tra gli esponenti del partito del 79

nord, molti dei quali godevano di ampio seguito all’interno del movimento comunista, vi era anche Eugenio Curiel, triestino, fisico e capo del fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile partigiana. Nella primavera del 1944, questi aveva scritto che la democrazia progressiva «non [significava] soltanto una tappa», ma «la formulazione politica del processo sociale della rivoluzione permanente». Per questo motivo, essa era «condizionata al continuo progresso sociale, alla sempre più decisa partecipazione al governo, alla sempre più matura egemonia della classe operaia» . E ancora scriveva: «il 80 FDG lavora per costituire quegli organi di potere, quali le giunte popolari comunali e provinciali», «nelle quali i suoi rappresentanti siederanno, pienamente maturi per affrontare i compiti della suprema prova insurrezionale e della ricostruzione» . La sua concettualizzazione della 81

democrazia progressiva sembrava quindi più legata alla versione della ‘democrazia popolare’ del 1943 che non a quella proclamata pochi giorni dopo da Togliatti; ed erano proprio le diverse accezioni del ‘popolo’ e della ‘classe’ a rendere evidente la frattura tra le due interpretazioni. Infatti, per il Togliatti della svolta di Salerno la classe rimaneva nel cono d’ombra egemonico di un popolo interclassista e unitario. La base era l’unità nazionale che costituiva «la piattaforma politica» che sola poteva «permettere al popolo italiano» di «marciare» «alla conquista di quella democrazia progressiva» che era «obiettivo politico

“Avanti, per la battaglia insurrezionale!”, La Nostra lotta, 10 (giugno 1944). ‘Potere popolare’ è una

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formula interessante, ma ambigua, che può rimandare alla sovranità popolare, a una più generica capacità del popolo di incidere politicamente, o alla possibilità del popolo organizzato di autogovernarsi. Si tratta però di un caso isolato o che presentava una frequenza trascurabile visto che non se ne trova riscontro su l’Unità o altre pubblicazioni coeve. È probabile, dato il contesto di scrittura, che questo discorso attenesse alla politica incentrata sui comitati di liberazione nazionale che ebbe tra i suoi sostenitori la direzione del partito stanziata nel nord Italia, molto distante da quelle che furono poi le decisioni della direzione romana.

Eugenio Curiel, “Due tappe della storia del proletariato”, Eugenio Curiel, Scritti, ed. Filippo Frassati,

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vol. 2, 1935-1945 (Roma: Editori Riuniti, 1973), p. 73.

Eugenio Curiel, “Costruiamo la nuova democrazia”, lettera aperta del 9 settembre 1944 ai comitati

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di liberazione nazionale, Curiel, Scritti, vol. 2, p. 254. L’espressione ‘giunta popolare’ ha forse qui la valenza di ‘aggiunta retorica’ al contesto enunciazionale, dato che non si riscontra sulla stampa di partito almeno fino al 1945.

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fondamentale» del partito . Per Curiel, invece, quest’ultima era piuttosto «lo strumento 82

della classe operaia e degli strati più progressivi della nazione per conquistare al paese le vie del progresso sociale» . In definitiva, quindi, anche l’analisi della democrazia progressiva e 83

delle sue forme ci mostra e ci conferma quale estrema pregnanza avesse assunto e continuasse ad assumere il discorso sul popolo o, al contrario, sulla classe, nella costruzione dell’identità e delle identità del partito, dei suoi dirigenti, delle sue anime, della sua militanza (e come allo stesso tempo non vi fosse su questo accordo d’insieme).

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3.3. «Il comune al popolo! Il popolo al comune!»: le elezioni amministrative

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Le elezioni amministrative del secondo dopoguerra, generalmente poco trattate dalla storiografia che ha messo in luce piuttosto altri momenti, certo importanti, della storia del paese e del partito , sono qui un argomento nodale della trattazione. Infatti, intorno a esse e 84

al discorso dello stesso partito su di esse, sono andate definendosi particolari accezioni di ‘popolo’, precise e corrispondenti semantiche identitarie, peculiari significati politici e discorsivi, specifiche tecniche di propaganda.

In seguito alla cessazione in luglio delle uscite del Bollettino di partito, ormai a Italia

liberata, il compito di diffondere le questioni inerenti ai problemi relativi all’organizzazione del partito fu raccolta inizialmente dalla rivista La Nostra lotta, seconda edizione dell’omonimo giornale diffuso al nord al tempo dell’occupazione nazista, che uscì con frequenza irregolare fino al marzo del 1946. In seguito alla sua chiusura, il ruolo di ‘faro della propaganda’ per tutte le sezioni del partito fu ereditato dal Quaderno del propagandista, un periodico a pubblicazione irregolare diretto da Luciano Barca, curato dalla Commissione propaganda della direzione del PCI e dedicato «a tutti i compagni propagandisti» . Ogni 85

“I compiti che stanno davanti al partito”, circolare della segreteria, Bollettino di partito, I, 4-5

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(novembre-dicembre 1944).

Eugenio Curiel, “Due tappe della storia del proletariato”, Curiel, Scritti, vol. 2, p. 74.

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Ne ha parlato però Angelo Ventrone, “La liturgia politica comunista”, in particolare nel paragrafo La

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propaganda capillare, pp. 784-796.

Editoriale, Quaderno del propagandista, 1 (febbraio 1946). Compiti del ‘buon propagandista’, veniva

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spiegato, erano essenzialmente dodici: «leggilo tu», «parla sempre come uno che ha letto il giornale», «affiggilo fuori», «fallo esporre agli amici», in caso di diffuso analfabetismo del paese «riunisci […] e leggi ad alta voce il giornale», «procura nuovi abbonati», «consiglia all’amministrazione […] l’abbonamento», «manda due tre volte il giornale in regalo» a chi può essere conquistato, fai «una copia» di articoli interessanti, «raccogli sottoscrizioni», «sta’ sempre in contatto», «pensa anche alla vendita». «Chi non ne fa almeno tre», si avvertiva, «non è un propagandista», “Il propagandista per il suo giornale”, Quaderno del propagandista, 1 (febbraio 1946), quasi tutte maiuscole nel testo originale.

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numero era corredato di alcune sezioni dedicate a Schemi di conversazione, Materiali di discussione, Schemi di comizio, Argomenti per il propagandista, Esempi di parole d’ordine, Esempi di esperienze, sui più disparati argomenti (riforma agraria, costituente, repubblica, riforma bancaria, e così via) per aiutare il militante nella gestione della propaganda e nell’affrontare praticamente situazioni in cui poteva realmente trovarsi.

La già fervente attività propagandistica del partito, in un periodo di generale corsa alla

politica e di sviluppo impetuoso delle ‘passioni rosse’ , conosceva un’accelerazione man 86

mano che il paese si avvicinava alle scadenze elettorali. D’altra parte, sottolineava il partito comunista, già il 30 ottobre 1943, nella ‘Dichiarazione di Mosca’, i tre ministri degli esteri delle grandi potenze, tra i sette punti relativi all’Italia, avevano dichiarato la necessità di creare «organismi democratici per l’amministrazione locale» . La conferenza alleata che si 87

era riunita tra il 4 e l’11 febbraio del 1945 presso Yalta, in Crimea, e che aveva visto la partecipazione dei tre grandi , tra le tante questioni affrontate, oltre a confermare 88

l’inclusione dell’Italia nella sfera di influenza anglo-americana già trattata durante la conferenza di Casablanca del gennaio 1943, aveva poi invitato i paesi dell’Europa liberata a indire nel breve periodo elezioni democratiche . 89

In ogni caso, era fin dai primi mesi del 1945 che il partito comunista aveva cominciato ad

allestire il programma propagandistico in vista di elezioni amministrative e politiche che si immaginavano (e si volevano) prossime. Già dopo il secondo consiglio nazionale, la direzione aveva indicato che era «particolarmente necessario ed urgente interessare ed orientare i compagni sulla questione delle elezioni amministrative, in modo da giungere preparati a comizi elettorali». A questo scopo, l’appello all’unità del popolo e delle forze progressiste era fondamentale. Infatti: