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La collocazione della disciplina nel T.U.B.: una scelta che esclude l’applicabilità

del Codice del Consumo?

Analizzata, così, l‟attuale disciplina – genericamente, nelle sue principali innovazioni e, particolarmente, nell‟estensione delle definizioni – si può concludere

89 l‟esame normativo con alcune complessive riflessioni sull‟impostazione scelta dal legislatore. Soprattutto, alla luce degli ultimi richiami, sotto il profilo della sua relazione con il codice del consumo.

Orbene, le disposizioni del T.U.B. dedicate al credito ai consumatori sono un esempio emblematico di legislazione europea64: pragmatica e non sistematica; frammentata e non organica; pensata per porre rimedio a distorsioni degli obiettivi europei; riferita al presente, nel senso che guarda al rimedio, a scapito spesso di chiarezza e flessibilità. Flessibilità a cui, in un settore molteplice nelle forme e in continua evoluzione come quello del credito al consumo, dovrebbe darsi ampia importanza. Già attraverso il solo percepire l‟impossibilità: di prevedere legislativamente tutte le figure in cui si declina il fenomeno: e, al contempo, di dare un‟unica disciplina speciale in cui regolarlo. Tuttavia, la copiosa disciplina recata in ambito comunitario e, di riflesso, in quello nazionale, non sembra agevolare codesto aspetto.

In aggiunta, risulta facile notare come le disposizioni sul credito al consumo abbiano avuto nell‟ordinamento interno un destino particolarmente travagliato, per lo meno riguardo alla loro collocazione: inserite, prima, interamente nel T.U.B.; scorporate poi nel codice del consumo, ed, infine, riunite nuovamente nel T.U.B.. L‟alternarsi tra disciplina bancaria e tutela del consumo non ha affatto una valenza neutra. Bensì è il sintomo di quella tensione che caratterizza l‟ambito in esame, teso tra i due poli precedentemente individuati nell‟art. 41, Cost., da un lato, e nell‟art. 47, Cost., dall‟altro.

L‟effetto principale di simile avvicendamento è caratterizzato da aspetti più negativi che positivi. Negativi, soprattutto, dal punto di vista dell‟interprete, il quale è costretto a fare uno sforzo di coordinamento tra sottosistemi: bancario o consumeristico. Così da arrivare a dare soluzioni diverse a seconda della posizione da cui si pone.

Proprio per tali ragioni, gli studiosi delusi dall‟attuale collocazione della disciplina sul credito al consumo all‟interno del T.U.B.65

hanno lamentato il difetto di una

64 CARRIERO, Il credito al consumo, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, n. 48,

Banca d’Italia (a cura di), Roma, 1998, p.11.

65 V. supra, nota 18 e, in più, MINERVINI, Dal Decreto n. 481/92 al testo unico in materia bancaria e

creditizia, in Giur. Comm., I, p. 838.

In senso contrario, invece, si pone CARRIERO, Commento, in Commentario al Testo Unico Bancario, cit., 2011, p. 94 il quale ritiene preferibile la collocazione della disciplina sul credito ai consumatori interamente nel T.U.B. sia per motivazioni di ordine culturale (tra le quali, segnatamente, la sollecitazione dell’autorità di supervisione settoriale a perseguire anche finalità di tutela del consumatore contro il recente fenomeno del sovraindebitamento) sia per il valore aggiunto che il consumatore può trovare nel maggiore enforcement rappresentato dai controlli di vigilanza sul rispetto della disciplina. Controlli che non

90 ricostruzione sistematica del settore; e, con essa, la mancanza di una preminente tutela del consumatore. Mancanza che segna invero una marginalizzazione della figura del consumatore dettata dall‟inserimento della disciplina in esame all‟interno di un corpo legislativo prevalentemente destinato a regolare l‟assetto pubblicistico del credito e del risparmio66.

Ma, ad una più profonda riflessione, l‟alternanza (seppur fuorviante) nonché, da ultimo, l‟accorpamento nel T.U.B. di tutta al disciplina, non possono (né devono) sconvolgere l‟interpretazione delle norme sullo strumento in esame, in ragione di una semplice motivazione predominante: il significato e le tutele accordate dal codice del consumo dettano ormai principi generali67 , applicabili in tutti i settori vicini al consumatore; siano essi inclusi o esclusi dal codice stesso. Tale disciplina genericamente dedicata al consumatore, dunque, sembrerebbe doversi applicare fintanto che non ci siano altre disposizioni “di settore”68

più favorevoli al consumatore (art. 1469 bis, cod. civ.): come quelle recate nella disciplina sul credito al consumo in tema, per modo d‟esempio, di recesso del consumatore69; di nullità del contratto e integrazione di clausole nulle; di

si sostituiscono, ma semmai si aggiungono, agli ormai consueti rimedi previsti per il consumatore in sede

contenziosa e non.

66

Della disciplina recata nel Titolo VI, LENER, Trasparenza bancaria e modelli di tutela del cliente nel Testo Unico del credito, cit., p. 1166 ha riferito che “si tratta di un corpo di norme sui contratti o, forse meglio, sull’attività contrattuale delle banche che viene ad essere inserito in un sistema che dei contratti bancari non si occupa affatto”.

67 In merito alla posizione assunta dal codice del consumo rispetto al codice civile si ricordino gli

studi intorno all’art. 1469 bis, cod. civ. e art. 38, codice del consumo secondo cui si ritiene di dover comunque considerare giuridicamente corretta la qualificazione del codice del consumo nell’ambito della legislazione speciale.

68

In tal senso si esprime il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 11 maggio 2012, n. 14, in Foro amm. CDS 2012, 5, p. 1100 chiamato ad esprimersi su quale “tipo di rapporto debba instaurarsi con la disciplina generale posta a tutela del consumatore, condensata nel nostro ordinamento nel Codice del consumo” e le disposizioni date nel T.U.B in tema di pubblicità e pratiche commerciali scorrette.

In essa, peraltro, è dato rilievo all’art. 19, comma 3, del codice del consumo: norma che “si iscrive nell’ambito del principio di specialità (principio immanente e di portata generale sul piano sanzionatorio nel nostro ordinamento, come si evince dall’art. 15 cod. pen. e dall’art. 9 della legge n. 689 del 1981) ai sensi del quale non si può fare contemporanea applicazione di due differenti disposizioni normative che disciplinano la stessa fattispecie, ove una delle due disposizioni presenti tutti gli elementi dell’altra e aggiunga un ulteriore elemento di specificità (o per aggiunta o per qualificazione); in altri termine le due norme astrattamente applicabili potrebbero essere raffigurate come cerchi concentrici, di cui quello più grande è quello caratterizzato dalla specificità”. In “pratica la disciplina di carattere generale offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore, non solo in caso di antinomia”. Ovvero, “la disciplina generale va considerata quale livello minimo essenziale di tutela, cui la disciplina speciale offre elementi aggiuntivi e di specificazione”.

69 L’art. 125 ter, T.U.B. reca specifica disciplina in tema di “recesso” del consumatore stabilendo

che il consumatore, in ragione della particolare complessità del contratto di credito stipulato e delle modalità attraverso cui quest’ultimo si conclude tali da non garantirgli sempre una consapevole e ponderata determinazione contrattuale, possa recedere entro quattordici giorni dalla conclusione del

91 inadempimento del fornitore. Oppure, potrebbe anche aggiungersi a quella di settore qualora non si sollevino profili di antinomia o semplici difformità tra le due discipline, ovvero qualora la disciplina del codice del consumi regolamenti aspetti dalla disciplina sul credito al consumo non previsti: come, per modo d‟esempio, in tema di pubblicità dei contratti70 ovvero di clausole vessatorie nei contratti con i consumatori.

Di conseguenza, la scorporazione del codice del consumo a cui frequentemente si assiste (non da ultimo con la creazione del codice sul turismo, che ingloba anche la specifica disciplina sulle multiproprietà) non comporta uno smembramento della sua disciplina, né tanto meno una sua attenuazione.

Tale assunto sembra avvalorato da un dato: le peculiari regole dettate nel codice del consumo si giustificherebbero in considerazione dell‟asimmetria di potere contrattuale che caratterizza il rapporto tra gli stipulanti71. Si ha, pertanto, cura di puntualizzare che contratti di credito disciplinati dal Capo II, T.U.B. non parrebbero sottrarsi a simile contrattazione diseguale. Di talché, la loro disciplina non potrebbe essere avulsa alle regole dettate per gli schemi regolamentari recati nel codice del consumo72.

Assunta codesta posizione, di essa si darà coerente applicazione nella terza parte dell‟indagine dedicata allo studio, sotto il profilo degli effetti, del credito collegato. Si precisi, inoltre, che ritenere applicabile, ai contratti di credito ai consumatori, le disposizioni previste nel codice del consumo non rovescia lo scopo a cui la ricerca vuole

medesimo contratto di credito. Termine, quest’ultimo superiore a quello previsto per i contratti di

attivazione di utenze telefoniche e persino per quello dato nell’acquisto di multiproprietà. Inoltre, si noti come simile diritto venga garantito al consumatore indipendentemente dalla circostanza che il contratto di credito sia o meno concluso fuori dai locali commerciali o a distanza. Tuttavia, in caso di uso di tecniche di comunicazione a distanza, l’articolo del T.U.B. in esame rinvia al codice al consumo per il computo del termine entro cui esercitare il recesso (art. 62, duodecies, comma 2); nonché per la comunicazione da inviare al finanziatore in occasione del recesso.

70

Tant’è vero che l’art. 123, T.U.B. esordisce con la formula ”fermo restando quanto previsto dalla parte II, titolo III, del Codice del consumo … “

71

In particolare, nota FALZEA, Il diritto europeo dei contratti d’impresa, cit., p. 5 che “la via per riequilibrare il confronto tra imprese e consumatori, di conseguenza, deve rinvenirsi al di fuori dell’economia *…+ al deficit di potere economico dei consumatori rispetto al potere economico delle imprese può porsi rimedio con l’ausilio delle regole giuridiche, mediante le quali vengono contenute entro canali invalicabili le forme di azione economica delle imprese nei rapporti con i consumatori”.

72

Osserva DI MARZIO, Regolamento contrattuale, intervento giudiziario e tutela dei consumatori, cit., 2005, p. 8, “il codice del consumo è stato redatto nella convinzione della inconciliabilità dell’idea di libertà contrattuale accolta nel codice civile e rispondente alla visione classica del c.d. diritto eguale con l’idea di libertà contrattuale promossa dai regimi protettivi dedicati al consumatore adesso riorganizzati secondo la forma del “codice””. Per siffatte ragioni, l’Autore ritiene non soddisfacenti alla contrattazione destinata al consumatore le regole recate dagli articoli 1341 e 1342, cod. civ. in tema di contratti seriali; giacché questi ultimi sintetizzano l’esigenza di razionalizzare la distribuzione di beni e servizi sul mercato da parte dell’impresa capitalistica ed, al contempo, cercano di tenere indenne da danni l’aderente. Tutto ciò, però, a prescindere dalla qualità soggettiva delle parti.

92 tendere: T.U.B. e codice del consumo costituiscono, entrambi, esempi di leggi “speciali” rimaste fuori dall‟ordine del codice civile . Esse svolgono sia principi generali, già contenuti nello stesso codice (e possono, dunque, dirsi specificanti), sia dispiegano principi nuovi e diversi (ed allora sono propriamente decodificanti73).

Pertanto, proprio nella consapevolezza della potenziale funzione decodificante delle leggi speciali si colloca lo sforzo dell‟indagine: comprendere se i criteri di disciplina posti a fondamento delle leggi speciali, regolanti il credito ai consumatori, specificano o decodificano; se sono affatto riconducibili al sistema oppure alla razionalità di piccoli sistemi74.

In questa prospettiva, e coscienti dell‟ideologia del mercato che fa da sfondo a tutto il fenomeno, si può ora specificamente esaminare la figura scelta: il credito collegato.

73

Una recente pronuncia della Cassazione, sez. III, 11 maggio 2009, n. 10741, in Giust. civ. Mass. 2009, 5, p. 748 prende in esame proprio il fenomeno della decodificazione, insieme peraltro a quello della depatrimonializzazione, come conseguenza della proficua legislazione speciale. In particolare, in un passaggio che vale la pena di riportare, la Suprema Corte sottolinea che “il vigente codice civile non rappresenta oggi più l’unica fonte di riferimento per l'interprete in un ordinamento caratterizzato da più fonti, tra cui una posizione preminente spetta alla Costituzione repubblicana del 1948, oltre alla legislazione ordinaria (finalizzata anche all'adeguamento del testo codicistico ai principi costituzionali), alla normativa comunitaria, ed alla stessa giurisprudenza normativa; tale pluralità di fonti (civilistiche) ha determinato i due suddetti fenomeni, tra loro connessi, della decodificazione e della depatrimonializzazione, intendendosi la prima come il venir meno della tradizionale previsione di disciplina di tutti gli interessi ritenuti meritevoli di tutela in un unico testo normativo, a seguito del subentrare di altre fonti, e la seconda nell’attribuzione alla persona (in una prospettiva non individuale ma nell'ambito delle formazioni sociali in cui estrinseca la propria identità e l'insieme dei valori di cui è espressione) una posizione di centralità, quale portatrice di interessi non solo patrimoniali ma anche personali (per quanto esplicitamente previsto, tra l'altro, nello stesso testo costituzionale, con particolare riferimento agli artt. 2 e 32)”.

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Parte II

CA P I TO LO I

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L CO NT RAT T O DI CRE DIT O CO L L EG AT O: L A FAT T IS PE CIE IN VI RT Ù

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