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Modifiche d’impostazione dopo la Direttiva 08/48/CE.

L‟enunciazione di una disciplina più armonica è, infatti, l‟obiettivo perseguito dalla Direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008. Si tratta dell‟ultimo atto comunitario “relativ[o]

ai contratti di credito ai consumatori “ che, approvata dopo un faticoso percorso20, ha abrogato e sostituito le precedenti. In particolare, la Direttiva 87/102/CEE recante il corpo, centrale della disciplina sul credito al consumo.

Sulla nuova legislazione comunitaria, ciò che preme rilevare è la modifica dell‟approccio regolativo del fenomeno. Attraverso di essa, infatti, le istituzioni europee hanno voluto, questa volta, operare la massima armonizzazione, della materia in esame, negli ordinamenti nazionali. Ciò, per due ordini di motivi: il primo, immediato, volto a superare la diversità delle tutele accordabili ai consumatori; il secondo, mediato, ma preminente per l‟UE, volto ad agevolare la concorrenzialità del mercato unico europeo. Il punto, già accennato, merita qui una breve chiarificazione.

La rapida evoluzione del mercato del credito al consumo, si ricordi, ha comportato la diffusione e il ricorso, sempre più frequente, a codesto strumento. Ciò attraverso tecniche di comunicazione a distanza (si pensi, al commercio elettronico) e operazioni più complesse (come l‟introduzione di nuove figure professionali nel rapporto tra consumatore e fornitore/finanziatore). Tali tecniche hanno così, sin da subito, reso obsolete ed inadeguate le regole contenute nel provvedimento del 1986 (punto, peraltro, esplicitamente

20 A partire dal 1995, la Commissione ha condotto numerose indagini sullo stato di applicazione

della allora vigente Direttiva 87/102/CEE. Dalle successive consultazioni e relazioni, sono emerse disparità significative tra le legislazioni dei vari Stati membri; causa, queste ultime, di rilevanti distorsioni della concorrenza tra i mercati del credito nonché di limiti alla possibilità, per i consumatori, di beneficiare del finanziamento transfrontaliero.

In seguito ai suddetti rilievi, varie sono state le proposte, di modifica della precedente Direttiva, fatte pervenire dalla Commissione al Parlamento Europeo ed al Consiglio (COM (2002) 443, in G.U. C 331 E del 31.12.2002, p. 200; COM (2004) 747 e COM (2005) 483). Fino all’accordo, siglato il 21 maggio 2007 in seno al Consiglio, con cui si è adottata la posizione comune sul progetto COM (2007) 546; approvata, poi, in seconda lettura dal Parlamento Europeo in data 16 gennaio 2008.

59 messo in luce dal citato “6° considerando” della Direttiva del 2008). Inoltre, la loro diffusione ha rapidamente acuito le differenze con i vigenti regimi normativi degli Stati membri, dettati per disciplinare i contratti di credito al consumo. Differenze, peraltro, create e conservate dall‟impostazione data nelle Direttive degli anni Ottanta. Le quali, si ribadisce, non impedivano ai singoli legislatori di modificare le regole dettate dal diritto comunitario; con l‟unico limite di garantire il livello di tutela minimo accordato al consumatore nel settore in esame.

Orbene, in tale scenario, le ricordate differenze hanno dato vita, più che a trattamenti diversi di tutela del consumatore, a distorsioni della concorrenza. I professionisti eroganti credito, dovendosi confrontare con regimi diversi a seconda dello Stato in cui si trovano ad operare, hanno spesso dimostrato di prediligere le aree in cui più favorevole alla loro categoria si dimostrasse il diritto interno. Inoltre, codeste differenze legislative hanno spesso impedito lo sviluppo delle contrattazioni transfrontaliere aventi ad oggetto i finanziamenti per consumo. Ne è derivato, da parte degli operatori economici professionisti, l‟ostilità ad una erogazione del credito indistintamente diffusa in tutto il mercato europeo; da parte dei consumatori, invece, la difficoltà di richiedere credito ad imprenditori stabiliti in Stati diversi da quello di loro residenza. Simili impedimenti, finendo per bloccare la crescita degli acquisti transfrontalieri di beni e servizi da parte dei consumatori, hanno di fatto impedito la piena attuazione dell‟obiettivo primario nel diritto comunitario: l‟attuazione di un mercato unico. Che, in altri termini, incentivi lo sviluppo dei mercati interni in una prospettiva transfrontaliera21.

Al fine di raggiungere tale obiettivo, dunque, è sembrato opportuno agli organi comunitari dettare un corpus normativo moderno22, flessibile23 e non eccessivamente invasivo delle competenze degli Stati membri. Ad essi, infatti, il “7° considerando” della Direttiva del 2008 concede margini di manovra in sede di recepimento della nuova disciplina comunitaria. Tuttavia, al contempo, garantendo un livello di protezione al consumatore non meramente “minimale”, bensì necessariamente uniforme ed equivalente

21

DE CRISTOFARO, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/Ce e l’armonizzazione “completa” delle disposizioni nazionali concernenti “taluni aspetti” dei contratti di credito ai consumatori, in Riv. Dir. Civ., 2008, p. 255.

22

Aggiornato, cioè, all’evoluzione delle tecniche usate nel fenomeno in esame secondo quanto sancito dal “5° considerando” della Direttiva del 2008.

60 per tutti i consumatori europei (8°24 e 9° considerando25). Livello che, invero, non è dato al legislatore nazionale modificare: solo per la regolamentazione dei profili non espressamente contemplati nella Direttiva, gli Stati membri avrebbero piena discrezionalità di recare disciplina autonoma.

Al fine di superare i problemi interpretativi suscitati dalle diverse disposizioni nazionali, dunque, la Comunità Europea non solo è intervenuta per livellare l‟eccessiva frammentazione normativa nazionale del credito al consumo, a fronte del rapido aumento del ricorso a tale segmento del mercato; ma, altresì, ha vietato agli Stati membri di mantenere o di introdurre disposizioni in contrasto con la nuova disciplina comunitaria, ancorché suscettibili di condurre ad un incremento del livello di tutela dei consumatori (art. 22 della Direttiva che riprende i principi dettati nei citati ultimi due “considerando”).

Orbene, la scelta di ottenere un‟armonizzazione “completa”, tuttavia, ha sortito diversi effetti. Molti, contrari al primario fine a cui, almeno apparentemente, gli organismi comunitari intendevano mirare.

Innanzitutto, codesta disciplina comunitaria del credito al consumo ha acuito il caratteristico contrasto tipico del fenomeno in esame: da un lato, le istanze consumistiche volte ad ottenere idonee misure a tutela del consumatore-risparmiatore; dall‟altro, le pressioni esercitate dalle imprese creditizie tese a eliminare gli ostacoli a una piena diffusione degli strumenti atti al credito per motivi di consumo piuttosto che a una piena tutela del consumatore-debitore. Di conseguenza, sebbene orientativamente modello per tutti gli Stati membri, neppure la disciplina recata dall‟ultima Direttiva può essere ritenuta

24 In cui si afferma: “È opportuno che il mercato offra un livello di tutela dei consumatori sufficiente,

in modo da assicurare la fiducia dei consumatori. Ciò dovrebbe rendere possibile la libera circolazione delle offerte di credito nelle migliori condizioni sia per gli operatori dell'offerta sia per i soggetti che rappresentano la domanda, sempre tenendo conto di situazioni particolari nei singoli Stati membri”.

25

Ai sensi del 9° Considerando, Direttiva: “È necessaria una piena armonizzazione che garantisca a tutti i consumatori della Comunità di fruire di un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e che crei un vero mercato interno. Pertanto, agli Stati membri non dovrebbe essere consentito di mantenere o introdurre disposizioni nazionali diverse da quelle previste dalla presente direttiva. Tuttavia, tale restrizione dovrebbe essere applicata soltanto nelle materie armonizzate dalla presente direttiva. Laddove tali disposizioni armonizzate mancassero, gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali. Di conseguenza, gli Stati membri possono, per esempio, mantenere o introdurre disposizioni nazionali sulla responsabilità solidale del venditore o prestatore di servizi e del creditore. Un altro esempio di questa possibilità offerta agli Stati membri potrebbe essere quello del mantenimento o dell'introduzione di disposizioni nazionali sull'annullamento del contratto di vendita di merci o di prestazione di servizi se il consumatore esercita il diritto di recesso dal contratto di credito. A tale riguardo, in caso di contratti di credito a durata indeterminata, agli Stati membri dovrebbe essere consentito di fissare un periodo minimo che deve intercorrere tra il momento in cui il creditore chiede il rimborso e il giorno in cui il credito deve essere rimborsato”.

Si noti come nell’8° Considerando il livello di tutela deve essere sufficiente; nel 9°, invece, si discute di un livello elevato oltre che equivalente.

61 organica, completa ed esaustiva delle fattispecie negoziali rientranti nel suo ambito di operatività. Essa, invero, si limita a recare regole frammentate. Affrontando, cioè, esclusivamente alcuni aspetti problematici del fenomeno, non sembra revocabile in dubbio come il recente atto comunitario dia regole sconnesse: frammenti di disciplina che, non di rado, si rivelano gravemente lacunosi26. Lacune che, invero, devono essere colmate dalla legislazione interna degli Stati membri, i quali hanno esclusivamente l‟obbligo di mantenere intatto il livello di tutela esplicitamente accordato ai consumatori. Ne deriva che, potendo i Paesi dell‟area comunitaria modificare, in sede di recepimento della Direttiva, l‟ambito oggettivo e soggettivo della disciplina in essa recata, sarebbe, inevitabilmente, escluso il fine pubblicizzato dalle istituzioni: l‟armonizzazione “completa”. Di essa, magari, potrebbe parlarsi solo ed esclusivamente in ambito di “disposizioni armonizzate”, come quelle apparentemente date a tutela dei consumatori. Tutela il cui livello, ai sensi del ricordato 9° Considerando e art 22 della Direttiva, non può essere modificato.

4. (Segue): punti di criticità.

Alla luce di tali contraddizioni, si svela molto probabilmente il vero intento della nuova impostazione comunitaria. L‟armonizzazione piena, anziché minima, riflette ed esprime la chiara prevalenza accordata, dagli organi comunitari, alle istanze di regolamentazione del mercato e di tutela della concorrenza rispetto alle istanze di protezione dei consumatori27. A sostegno di codesta tesi, è da rilevare che il fondamento normativo, su cui si fonda l‟azione della Direttiva 08/48/CE, è solo il vecchio art. 95 del Trattato CE (ora, art. 114 Trattato sul funzionamento dell‟UE), concernente il ravvicinamento delle disposizioni nazionali aventi ad oggetto l‟instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. Non, anche, il vecchio art. 153 del Trattato CE (ora, art. 169 Trattato funzionamento dell‟UE) relativo alla politica di protezione dei consumatori. Articolo, quest‟ultimo, mai menzionato né richiamato nella Direttiva del 2008.

26

In questi termini, si esprime in particolare DE CRISTOFARO, Premessa, in La nuova disciplina europea del credito al consumo, cit., p. XI.

27 A tal proposito si è parlato spesso di “diritto dello spazio economico europeo” PREDIERI, Il diritto

europeo come formante di coesione e come strumento di integrazione, in Il dir. Dell’Unione Europea, 1996, p. 31 nel senso di libera competizione economica, idonea a favorire – nelle contrattazioni di massa – la crescita del sistema economico attraverso la libera circolazione di offerte commerciali.

62 Orbene, i rilievi critici all‟impostazione dettata dall‟ordinamento comunitario sono pressoché comuni. O meglio, comunemente formulati nei diversi ambiti di competenza, all‟interno dei quali, la dimensione europea si muove. Primo, fra tutti, quello della libera circolazione delle merci, capitali e servizi, mercé dare attuazione a uno dei pilastri su cui riposano le funzioni accordate all‟Unione Europea: la creazione di un mercato unico (ora interno) che tuteli gli interessi economici dei suoi operatori. Tutela spinta fino al punto di contemperare, attraverso il principio di proporzionalità, altri interessi; quali, per modo d‟esempio, quelli relativi al lavoro, alla salute, alla proprietà e anche al risparmio, posti a fondamento delle realtà costituzionali dei Paesi membri. Contemperare, molto spesso, fino a conseguire la recessione della loro tutela. Ciò, attraverso il processo di “armonizzazione” delle discipline nazionali e la conseguente illegittimità, ai principi e obiettivi sanciti nei Trattati istitutivi, delle legislazioni nazionali non conformi alle disposizioni “armonizzate”. Illegittimità che, nel rispetto dei sistemi previsti in ciascun ordinamento nazionale, sortisce i propri effetti principalmente con il meccanismo della disapplicazione del diritto interno non armonizzato.

In questo modo, limiti quantitativi alla attuazione del fine comunitario e, allo stesso tempo, misure ad effetto equivalente (ovvero, impeditive, anche indirettamente, della libera circolazione economica e del libero mercato concorrenziale) risultano autoritariamente vietate alla libera discrezionalità del legislatore nazionale sulla base della cessione di sovranità nazionale in favore della sovranità sovranazionale.

Sempre più di frequente, però, la recessione degli ordinamenti nazionali cede il passo all‟assetto pervasivo sovranazionale, tanto da sbilanciare la composizione degli interessi nella dettatura delle legislazioni; a sfavore, molto spesso, degli equilibri sanciti dai valori fondamentali recati in ogni fonte nazionale gerarchicamente sovraordinata28.

Ebbene, anche nel settore del credito al consumo l‟armonizzazione delle discipline nazionali sembra dunque aver sortito lo stesso effetto distorto: uno sbilanciato contemperamento di interessi teso a favorire quelli puramente economici, o comunque comunitari, posti a beneficio degli operatori del mercato. In particolare, nell‟ordinamento italiano, con un inevitabile sconvolgimento dell‟assetto costituzionale recato in tema di tutela del risparmio e controllo del credito. Ciò, in quanto una legislazione tesa a favorire

28 Per ovviare a codeste difficoltà si è dato via alla teoria dei “controlimiti” tanto che, allo stesso

tempo, si assiste ad una interessante controtendenza per cui proprio gli Stati membri sono spesso costretti ad intervenire per tutelare i diritti fondamentali dei propri cittadini a fronte dei pressanti interessi economici comunitari.

63 la libera e concorrenziale circolazione di beni e servizi (“oggetto” del negozio relativo alla fornitura presupposta al credito), nonché di capitali (quali le somme “oggetto” dei negozi per richiedere credito), conduce piuttosto a tutelare il credito e condizionare il risparmio, invece del contrario. In considerazione di un punto fondamentale: non è dato allo Stato modificare l‟impostazione recata nella legislazione armonizzata. La quale, dunque, solo apparentemente risulta posta a tutela del “contraente debole”, giacché trattasi di una tutela il cui livello, prestabilito dalle direttive europee, non potrebbe, invero, essere nemmeno intensificato dagli ordinamenti interni giacché oggetto di “massima armonizzazione”.

Ecco come, in questa prospettiva, la tutela del “contraente debole” risulta avere poco a che fare con gli intenti finali delle armonizzazioni di settore29. O, almeno, riveste uno scopo marginale tale da essere, nella “proporzionalità” europea, tutelato con sufficiente grado30. Tanto sufficiente, da imporre agli operatori economici degli obblighi di trasparenza, di pubblicità e di valutazione del “merito”; da rimediare, successivamente, al sovraindebitamento del consumatore con nuove formule di esdebitazione; ma, altrettanto sufficiente, da non intaccare la propensione all‟indebitamento, all‟aumento dei consumi e, appunto, alla libera circolazione di merci, servizi e capitali in un mercato unico concorrenziale.

Per concludere, è chiaro, dunque, come l‟intervento comunitario in questo settore sia posto a servizio di uno scopo puramente economico: quello propulsivo e incentivante l‟erogazione del credito finalizzato al consumo. Con, contemporaneo o successivo temperamento della propulsione per gli effetti negativi legati ad un eccessivo indebitamento31. Qui, invero, si manifestano i rilievi di maggiore criticità che, come già è

29 Il punto è particolarmente chiarito dal 4° considerando della Direttiva del 2008 quando afferma

che: “Lo stato di fatto e di diritto risultante da tali disparità nazionali in taluni casi comporta distorsioni della concorrenza tra i creditori all'interno della Comunità e fa sorgere ostacoli nel mercato interno quando gli Stati membri adottano disposizioni cogenti diverse e più rigorose rispetto a quelle previste dalla direttiva 87/102/CEE. Ciò limita le possibilità per i consumatori di beneficiare direttamente della crescente disponibilità di credito transfrontaliero. Tali distorsioni e restrizioni possono a loro volta avere conseguenze sulla domanda di merci e servizi” Ed ancora il 6° e 7° considerando nella parte in cui si mette in rilievo che: “a norma del trattato, il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci e dei servizi nonché la libertà di stabilimento. Lo sviluppo di un mercato creditizio più trasparente ed efficiente nello spazio senza frontiere interne è essenziale per promuovere lo sviluppo delle attività transfrontaliere”. “Per facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo è necessario prevedere un quadro comunitario armonizzato in una serie di settori fondamentali”.

30 Così si esprime, si ricordi, l’8° considerando della Direttiva del 2008. 31

In questo senso, si esprime CARRIERO, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee d’indirizzo, questioni irrisolte, problemi applicativi, in La nuova disciplina del credito al consumo, cit., p. 40 il quale, peraltro, sottolinea un interessante profilo: il ricorso all’armonizzazione, tipico della disciplina

64 emerso nei precedenti approfondimenti, fanno affiorare il divario che autorevole dottrina individua “tra spazio economico e spazio giuridico”32

.

Ciò nonostante, un dato rimane incontrovertibile: attraverso lo sforzo mosso da una pur apparente finalità armonizzatrice, più voci 33 hanno comunque considerato insufficiente, dal punto di vista della tutela del “contraente debole”, anche l‟ultimo impegno comunitario, profuso nella nuova impostazione data nella Direttiva 08/48/CE.

recata dal diritto comunitario per la tutela dei diritti ed interessi dei consumatori, procede a “pelle di

leopardo” . Esso, invero, interessa settori selezionati sulla base dei “volume delle transazioni”. Se dal lato dei contratti conclusi dai consumatori tale armonizzazione è incisiva, dal lato della disciplina d’impresa e del mercato del controllo societario è invece del tutto blanda. La disciplina in materia di offerte pubbliche d’acquisto ne è esempio tangibile. “Da ciò” riporta l’Autore “il conseguente dubbio che la funzionalizzazione dell’autonomia privata proceda a senso unico nel favorire gli interessi degli attori del mercato”.

32 IRTI, Il diritto della transizione, in Riv. Dir. Priv., 1997, p. 20 ID, L’ordine giuridico del mercato,

Bari, 1998, p. 105 il quale soggiunge che “oggi, irrealizzabili imperialismo e autarchia, il diritto si costruisce entro le tensioni di una polarità: la limitata territorialità delle norme; l’illimitata universalità delle relazioni economiche. Né un sicuro temperamento viene dai trattati europei, che, edificando un’unità di mercato priva o debole di fondazioni politiche, rischiano invece di esasperare la tensione tra ambito giuridico e ambito economico”.

33

Primo fra tutti, DE CRISTOFARO, Premessa, in La nuova disciplina europea del credito al consumo, cit., p. XVI; MACARIO, Il percorso dell’armonizzazione nel credito al consumo, cit., p. 2.

65 Sezi one II

SOMMARIO: 1. Il recepimento in Italia delle prime Direttive comunitarie – 2. (Segue): le novità apportate con il codice del consumo – 3. Le modifiche dettate dalla Direttiva 08/48/CE.

L’attuale testo normativo – 4. (Segue): I rilievi dell’ AGCM sulle molteplici figure inglobate nel fenomeno – 5. La collocazione della disciplina nel T.U.B.: una scelta che esclude l’applicabilità del codice del consumo?

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