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Il profilo normativo secondo l’obiettivo dell’indagine.

Le riflessioni finora svolte condizionano prepotentemente il piano giuridico che reca la disciplina del fenomeno. Esse, infatti, non solo contribuiscono a ricostruire il panorama economico-sociale che involge il credito in esame, ma spiegano anche le ragioni per cui il legislatore ha destinato al fenomeno una copiosa legislazione di settore. Quest‟ultima, da sempre, esterna alla disciplina generale disegnata dal codice civile; e, nel tempo, evolutasi con il cambiare delle esigenze politico-economiche.

In particolare, gli esaminati profili “a-tecnici” permettono di mettere in luce due caratteristiche che, marcatamente, segnano la classe di accordi conclusa all‟interno del panorama del credito ai consumatori.

La prima caratteristica è la scarsa rilevanza della libertà negoziale. Simile conclusione è desumibile sia dalla repentina diffusione degli strumenti attraverso cui il consumatore ricorre al credito per i propri consumi; sia, di conseguenza, dalla altrettanto

52 veloce trasformazione di tali strumenti, al fine di renderli sempre più funzionali alla propulsione del credito/debito per scopi di consumo.

Sulla base di questa prassi, non stupisce come i modelli contrattuali usati nel settore in esame appartengano a quella classe di accordi conclusi attraverso moderne tecniche1. Tali da negare – o, comunque, ridurre drasticamente – il dialogo tra le parti; e, così, tali da impedire la loro riconduzione allo schema di contratto pensato dal legislatore del 19422.

Simile caratteristica meglio si comprenderà a seguito della specificazione degli schemi attraverso cui, in particolare, vengono conclusi i “contratti di credito collegato”. Qui, giova solo puntualizzare come l‟economia del mercato segni particolarmente il rapporto tra le parti coinvolte, tanto da costruire un rapporto più commerciale che civile3. Si assiste, infatti, da un lato, alla semplificazione dei modelli per una rapida conclusione degli accordi; dall‟altro, all‟adattabilità degli schemi per una maggiore diffusione del ricorso al credito. Entrambe tali tendenze appaiono, invero, del tutto lontane dalla libera determinazione privata che connota i rapporti del codice civile, il quale esalta il principio di autonomia. Autonomia, invece, enormemente sacrificata nelle pratiche negoziali del credito al consumo4.

La seconda caratteristica che contraddistingue la classe di accordi usati nel fenomeno in esame, poi, è desumibile dal diverso peso che credito e risparmio assumono nell‟alveo dei “rapporti commerciali”, di cui si discute. Diversità che, si è già accennato, la nostra Costituzione ben riflette nel differente grado di tutela destinato al risparmiatore/lavoratore rispetto a quello dedicato agli erogatori del credito. Il grado di professionalità che contraddistingue questi ultimi, pone infatti i primi in una posizione di debolezza tale da condurre il legislatore costituzionale a controllare e regolamentare l‟attività creditizia e, contemporaneamente, a tutelare il risparmio e la sufficiente retribuzione. Sotto questa luce, si spiega la ricostruzione normativa del credito al consumo:

1 Per un approfondimento sul punto, si rinvia a IRTI, Scambi senza accordo, in Riv. Trim. dir. proc.

civ., II, 1998 p. 247.

2 Cfr. MARULLO DI CONDOJANNI, Considerazioni in tema di equità e spazio giuridico autonomo, cit.,

p. 208.

3

In molti hanno sottolineato l’ambito all’interno del quale si sviluppa il credito al consumo: un ambito inserito in quegli “orizzonti diversi e paralleli” – come si esprime MONATIERI, Ripensare il contratto: verso una visione antagonista del contratto, in Riv. Dir. Civ., 2003, p. 417 – tesi a far proliferare discipline sempre più lontane dai contratti d’impostazione civilistica (quali quelli conclusi tra parti sostanzialmente “uguali”) e, invece, sempre più vicine a contratti cd. “commerciali” (cioè conclusi attraverso condizioni generali unilateralmente predisposte).

4

JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Trattato di diritto privato europeo, AA. VV., a cura di LIPARI, III, L’attività e il contratto, Padova, 2003, p. 26.

53 il legislatore individua gli elementi di fatto del fenomeno ai quali ricollegare il verificarsi di determinati effetti. Per un verso, mira a preservare la posizione del contraente debole al fine di appianare le congenite asimmetrie informative5 che caratterizzano la classe di accordi in esame; per altro verso, cerca di massimizzare il ricorso al credito per soddisfare esigenze di altra natura. Quali quelle principalmente legate alle politiche economiche di impulso comunitario6.

A ben vedere, infatti, le disposizioni normative sul credito al consumo s‟inseriscono all‟interno del più ampio panorama dispositivo di matrice comunitaria. Tale panorama, invero, solo apparentemente fonda le proprie radici nella reazione all‟abuso della libertà di contratto perpetrato nei regolamenti disposti dall‟impresa per la distribuzione di beni e servizi sul mercato. Disciplinando questo spazio contrattuale, caratterizzato dall‟asimmetria delle parti contraenti, il legislatore comunitario ha il potere di “armonizzare” il diritto interno degli Stati membri. In questo modo, solo mediatamente, protegge la “parte debole” del contratto giacché tale protezione, attraverso l‟armonizzazione dei diritti interni, costituisce un passaggio strumentale per conseguire uno scopo fondamentale per l‟ordinamento comunitario: la protezione del mercato concorrenziale7.

Davanti a simile preminente obiettivo, il legislatore italiano ha dovuto recepire le direttive comunitarie volte all‟armonizzazione, tra gli Stati, della disciplina sulle contrattazioni concluse dal consumatore. Non solo in tema di credito al consumo. In questo modo, sconvolgendo l‟intero assetto civilistico fondato sull‟accordo; sulla scelta volontaria che governa l‟intero iter negoziale, dalle trattative verso la conclusione del negozio8

. Simile impostazione istituzionale, poco si concilia con la disciplina speciale ormai data ai

5

Numerosi gli studi sul profilo causati del frequente uso dei contratti uniformi o di massa; numerosi gli interventi legislativi sul punto. Spiegati, questi ultimi, da JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, cit., p. 499, nel c.d. “fallimento del mercato”: nella circostanza, cioè, che “alla dilatazione spaziale del mercato si [sia] affiancata una sensibile opacizzazione che ne riduce gli effettivi margini di fisiologica funzionalità“.

6

DI MARZIO, Regolamento contrattuale, intervento giudiziario e tutela dei consumatori, Relazione presentata nell’ambito dell’incontro di studio organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura sul tema Tutela dei Consumatori, 2005, p. 1.

7

Il dato è apparso subito chiaro ai primi commentatori delle nuove regole sui contratti tra professionista e consumatore, tra i quali in particolare ASCARELLI, Sviluppo storico del diritto commerciale e significato dell’unificazione, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1995, p. 18 osserva che costituisce abuso di posizione dominante, e quindi comportamento anticoncorrenziale, l’ostacolo alla produzione o all’accesso al mercato o allo sviluppo tecnico o al progresso tecnologico a danno dei consumatori.

54 contratti seriali e di categoria9. Sia per il carattere fortemente equivoco della definizione di consumatore, che evoca classificazioni sociologiche più che giuridiche; sia per i problemi che crea nel caso di mutamento della qualifica soggettiva nel corso del rapporto; sia per le discriminazioni che ingenera nel trattamento di altre situazioni connotate dalla medesima asimmetria informativa ma collocate in un ambito imprenditoriale10; sia per i rimedi che essa reca: del tutto lontani da quelli istituzionali e, per questo, settoriali.

Per tale motivo, anche nel credito al consumo, è alla legislazione speciale (esterna al codice) lasciato il compito di disciplinare il fenomeno. Rimane così all‟interprete il ruolo di “svelare” le figure in essa contemplate: verificare quali elementi di fatto il legislatore ha reputato necessari per il verificarsi di date conseguenze giuridiche; e tentare, poi, di confrontare i risultati ottenuti con i modelli e con gli istituti disciplinati nell‟alveo del codice civile. Dimensione del diritto privato da cui, in ogni caso, si ritiene di non dover mai prescindere.

A tal proposito, è necessario sin da subito rendere noto di voler aderire a quell‟indirizzo dottrinale che non intende modificare la tradizionale prospettiva degli studi giuridici11. In ossequio a simile indirizzo, si presuppone che il criterio d‟individuazione del diritto privato debba essere ritrovato nel contenuto del codice civile, il quale disciplina negozi tipici e l‟uso di determinati strumenti tecnici.

Sicché, la consapevole presenza di leggi speciali che travalicano il modello codicistico, non impedisce un tentativo: mantenere comunque un ordine nel rapporto tra diritto privato e codice civile. In altre parole, nonostante le fonti settoriali non si limitino a recepire istituti civilistici – giacché li modificano, adattano e convertono a nuove esigenze

9

Argomenti di stretto diritto positivo, anche teleologicamente e sistematicamente orientati, denunciano la incongruenza di una limitazione della tutela legale a favore del solo consumatore. Ciò in numerosi scritti dottrinali – OPPO, I contratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, in Riv. Dir. Civ., 2004, I, p. 845; SIRENA, L’integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. Dir. Civ., 2004, p. 787; CARRIERO, Autonomia privata e disciplina del mercato: il credito al consumo, cit.; ID, La disciplina del credito al consumo, in Credito al consumo e sovraindebitamento del consumatore, LORIZIO-LOBUONO (a cura di), cit., p. 151; ID, Crisi del processo civile e giustizia stragiudiziale: l’Ombudsman bancario, in Foro it., 2002, V, p. 249 – ed orientamenti giurisprudenziali. Di legittimità: Cass., 18 settembre 2006, n. 20175, in Foro it., 2007, I, c. 1119 che estende la disciplina dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali anche all’ipotesi di beni e servizi “acquistati al fine di organizzare una futura attività imprenditoriale”; di merito: tra gli altri, Trib. Roma, 20 ottobre 1999, in Foro it., 2000, I, p. 645; Trib. Napoli, 22 luglio 2002, in Foro it., 2003, I, p. 336.

10

Da ultimo, le ontologiche differenze tra contratti degli imprenditori che scontano i problemi di dipendenza economica e di simmetria informativa sono oggetto, anch’esse, di specifiche legislazioni d’impulso comunitario. Come quelle tese a regolare il tema della subfornitura nella attività produttive (Legge 18 giugno 1998, n. 192) o, nel settore della finanza e del commercio, i ritardi di pagamento nelle transazioni (D. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231).

55 – appare comunque necessario che l‟interprete ricostruisca gli istituti tenendo sempre presente il lume dei “concetti dogmatici”12.

Ciò posto, si muova genericamente dalla disamina delle norme che, nel tempo, sono state dedicate al credito al consumo. Innanzitutto, quelle derivanti dal settore comunitario; e, conseguentemente, quelle di recepimento nazionale. Siffatta descrizione, circa l‟evoluzione normativa del fenomeno, permetterà dunque di fotografare l‟attuale panorama normativo che genericamente disciplina il “credito ai consumatori”. In seguito, poi, sarà possibile prendere in esame la peculiare forma di “credito collegato” scelta come oggetto di approfondimento della ricerca.

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