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LA LETTERATURA IRLANDESE E IL CANONE: LA TEORIA

4.1 Come abitare il ‘caos-mondo’: la decolonizzazione culturale

All’interno di un ipotetico canone minore d’emergenza, la scrittura creativa postcoloniale, grazie alla sua valenza storica, globale e trasformativa e attraverso la specifica operazione di riscrittura dei classici della letteratura occidentale, offre la possibilità di comprendere, ma soprattutto di vivere, di abitare il ‘caos-mondo’ positivamente. Tale atteggiamento dipende dalla capacità delle letterature, delle culture, dei gruppi sociali, dei singoli individui, di relazionarsi costantemente col ‘Mondo-tutto’ e di rimodellarsi, trasformarsi, evolvere, partendo dal proprio luogo, dalla propria specificità, dalle proprie radici.

E’ proprio la necessità di esaltazione e rivalutazione della specificità locale, fondamentale per abitare il caos globale senza esserne risucchiati, che suggerisce di chiedersi quale ruolo possa avere la letteratura irlandese, considerata nel suo specifico, nella sua esperienza coloniale peculiare e distintiva, ma tutt’altro che anomala, in relazione alla postcolonialità e soprattutto al contesto della Letteratura globale.

Poiché l’abbattimento delle frontiere e il processo di globalizzazione potrebbero fornire un alibi per sfuggire al confronto con le problematiche politiche, sociali e culturali che trovano espressione in diversi ambiti, fra cui anche e soprattutto quello letterario, si manifesta ora la necessità di prestare attenzione alla specificità dei singoli contesti e delle loro manifestazioni culturali in relazione alle loro interazioni transnazionali. Si tratta di un campo di studi complesso che – nelle parole di Maria Renata Dolce –:

necessita […] di un duplice, contemporaneo approccio critico, che focalizzi l’attenzione sullo specifico locale e/ o nazionale, collocandolo, a un tempo, nella più ampia prospettiva delle interazioni e contaminazioni in ambito transnazionale. Tale lettura consente, come già suggeriva Rushdie nel 1983, di affrontare lo studio delle culture letterarie in inglese, letteratura inglese compresa, nella loro mutua interazione, per individuarne tanto le specificità che le reciproche contaminazioni esito del massiccio processo di impollinazione transculturale cui si è assistito, in particolare, negli ultimi decenni del secolo scorso121.

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Se il processo postcoloniale di riscrittura ‘palese’ del canone occidentale, attuandosi proprio per la sua palesità nella consapevolezza della storicità del canone, del suo carattere trasformativo e provvisorio, sembra, seppure non intenzionalmente, aver di fatto introdotto le letterature postcoloniali in una nuova fase di decolonizzazione culturale, e se la necessità di far riferimento a un corpus di testi per dar stabilità e organizzazione al nostro pensiero continua a manifestarsi nel presente, nonostante la consapevolezza del carattere arbitrario di qualsivoglia canone, di fatto, le letterature postcoloniali si trovano ora a operare all’interno del canone stesso.

Si tratta per esse di un’esperienza nuova, ma la specificità della postcolonialità irlandese può offrire una chiave interpretativa. Dal confronto e contaminazione con l’esperienza irlandese, le letterature postcoloniali possono trovare un esempio, un modello a cui ispirarsi per muoversi all’interno di questa per loro nuova quarta fase di decolonizzazione culturale interna al canone. Ciò è possibile perché la letteratura irlandese sin dall’inizio dell’esperienza della colonizzazione si è sviluppata sempre agendo all’interno del canone occidentale.

Attualmente le voci di scrittori come l’indo-caraibico V. S. Naipaul, l’indo-pakistano Salman Rushdie, il sud-africano J. M. Coetzee – solo per citare alcuni dei nomi più noti – sono di fama internazionale, e di fatto risulta difficile non pensare a una loro già avvenuta canonizzazione. Questa canonizzazione, però, si verifica mediante un processo di adozione forzata – come si è già evidenziato – in cui, o si rinuncia alla specificità, trascendendola in favore di un’universalità estetica, o ci si batte per difenderla, valorizzando un esotismo che crea un canone dell’anti-canone come reiterazione di un dualismo di impianto manicheo: in entrambi i casi l’allargamento del canone tradizionale o la creazione di un contro- canone finiscono per rafforzare l’ideologia e il prestigio del canone normativo occidentale.

Per trovare una soluzione alternativa a questo processo l’esperienza irlandese potrebbe fornire degli spunti d’azione dal momento che quando scrittori e teorici postcoloniali sono apparsi sullo scenario culturale europeo, i successi letterari irlandesi di Synge, Yeats, Joyce, O’Casey e Beckett erano già da un pezzo stati incorporati nel canone modernista europeo e anglofono allo scopo di

incentivarne la grandezza. Così a tal proposito scrive Joe Cleary in ‘Postcolonial Ireland’:

[…] by the time the new wave of postcolonial writers and intellectuals that emerged from these later indipendence struggles made their impact on Europe, the most ambitious literary achievements of the Irish Revival and immediate post-Revival period – those of Synge, Yeats, Joyce, O’ Casey, and Beckett – had already been incorporated into the canons of European and Anglophone modernism122.

Se, come prosegue Cleary, quest’assimilazione della letteratura inglese al canone modernista ha sino a ora scoraggiato un’analisi comparata con le altre esperienze culturali postcoloniali perché gli scrittori irlandesi con le loro opere vengono visti come parte di un canone di Letteratura mondiale concepito in termini eurocentrici, si vuole qui invece suggerire e incentivare un’analisi comparata che sposti l’attenzione da come la letteratura irlandese, inizialmente e in un certo senso anche per sua stessa vocazione – come testimoniano gli sviluppi, o meglio i silenzi accademici della critica estetica irlandese degli anni Cinquanta –, si ritrovi di fatto all’interno di un canone eurocentrico, a come invece essa abbia iniziato a muoversi, in anticipo rispetto alle altre letterature postcoloniali, e stia ancora lottando per uscire da questo canone anglofono tradizionalmente inteso, nel nome di un’ibridazione, creolizzazione culturale che, muovendo dalla valorizzazione delle proprie radici primigenie, offra la possibilità di inserirsi serenamente in un contesto globale.

Da un’analisi comparata, il caso irlandese, nella sua peculiarità, si rivela testimonianza di un percorso d’azione già avviato all’interno della quarta fase di decolonizzazione culturale interna al canone. Infatti, non soltanto l’apertura cosmopolita del periodo modernista ha indotto all’inclusione degli autori irlandesi nel canone occidentale per accrescerne il prestigio, anticipatamente rispetto agli scrittori degli altri paesi della postcolonialità, ma il rapporto, la mediazione, il confronto, la continuità col mondo classico, l’appartenenza al suo canone estetico, sono intrinseci già alla tradizione gaelica antecedente alla colonizzazione britannica del 1600 e addirittura diventano uno strumento di resistenza al dominio coloniale imposto. In altre parole, l’Irlanda, nella sua peculiare condizione di “colonia europea” appartiene, sin dalle origini della cultura gaelica, a una tradizione culturale classica e, muovendosi all’interno di essa, elabora delle

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strategie di resistenza al dominio coloniale in un processo che più che di frattura si rivela di continuità, rimodellamento e soprattutto trasformazione. La tradizione culturale irlandese, in quanto europea e soggetta a una dominazione europea, può elaborare una forma di resistenza all’assimilazione e subordinazione da parte dell’Impero britannico solamente muovendo dalla stessa tradizione classica e aulica cui appartiene, adattandola, rimodellandola, addirittura volgarizzandola, con coscienza pertanto sin da subito del suo carattere non certo universale, bensì storico, dinamico e trasformativo. Questa consapevolezza si rivela l’unico strumento atto ad affrontare una realtà dove a partire dal XVII secolo, non soltanto è in gioco il rapporto con la cultura inglese, ma dove convivono internamente due tradizioni culturali, quella gaelica e quella anglo-irlandese, il cui equilibrio diventa una ragione fondamentale di sopravvivenza, escludendo l’ipotesi dell’egemonia dell’una sull’altra, e in ultima analisi della stessa possibilità di esistenza di un’unica tradizione ufficiale, di un canone universale.

Il percorso di decolonizzazione culturale irlandese, seppure iniziato da una prospettiva interna al canone, è un processo lento e complesso che, proprio come negli altri paesi della postcolonialità, si articola nelle tre fasi teorizzate da Fanon e discusse da Declan Kiberd in Inventing Ireland. Ciò che però l’esperienza culturale irlandese sembra anticipare e da cui le altre esperienze locali postcoloniali possono in un certo senso attingere come risorsa creativa, come atto di sopravvivenza di fronte al rischio di essere risucchiate in un marasma culturale globale, è il ritorno al proprio passato, alle proprie origini primigenie, alla propria tradizione. Nella quarta fase di decolonizzazione culturale in cui ora il postcoloniale si trova a operare, il confronto, l’incontro, il dialogo, la relazione comparata con l’Irlanda, che in quanto colonia europea si muove sin da sempre entro il canone, può fornire un esempio, una chiave interpretativa, una modalità di affrontare il multiculturalismo attuale, per la scelta culturale irlandese di affrontare la coabitazione fra due culture locali ritornando al passato precoloniale, recuperando una fase anteriore alle tre teorizzate da Fanon, e suggerita da Glissant come modalità per affrontare e vivere il ‘Mondo-tutto’ a partire dal proprio luogo.

4.2 Il passato precoloniale: la valenza storica della letteratura