CANONE: TEORIA E SCRITTURA CREATIVA POSTCOLONIALE
3.1 Sulla nozione di Canone
Il processo di riscrittura postcoloniale dei classici della letteratura inglese risponde alla necessità che l’attuale esperienza globale impone di rivedere i paradigmi fondanti del canone letterario, la sua nozione e la sua funzionalità. La globalizzazione dell’industria del sapere, la creazione di società multietniche e la conseguente contaminazione e ibridazione culturale hanno messo in discussione il concetto d’identità univoca legata all’appartenenza nazionale elaborato dalle civiltà occidentali e hanno indotto a ripensare alla validità di principi gerarchici nella definizione dell’identità contemporanea, fondata invece su indeterminatezza e fluidità.
‘Alla luce di tali radicali mutamenti delle società e delle relative culture’ – scrive Maria Renata Dolce in Le letterature in inglese e il canone –
ci si chiede […] se […] abbia ancora un senso formulare dei canoni prescrittivi e normativi basati sul principio dell’esclusione81.
Prima che da un’impostazione teorica, la risposta postcoloniale viene dall’atto pratico della scrittura creativa che prende corpo nella riscrittura dei classici della letteratura inglese e che si articola a partire da una posizione esterna al canone tradizionalmente concepito.
Questa risposta si inserisce all’interno di un dibattito ampio che si articola a partire dal secondo Novecento e che mette in discussione gli assunti stessi su cui si fonda la nozione di canone letterario. Tale dibattito si sviluppa parallelamente sia su un piano pratico che teorico e coinvolge l’esperienza di scrittori esterni al canone e di teorici che operano internamente a esso. In altre parole, a partire dal tardo Novecento, il canone letterario inglese viene decostruito, sia attraverso la riscoperta di canoni alternativi un tempo marginalizzati, sia attraverso lo
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smascheramento dei presupposti politico-culturali su cui i canoni nazionali fondavano i loro principi autoritari etici ed estetici, mascherandosi dietro una presunta oggettività naturale.
Gli assunti su cui si fonda il discorso culturale istituzionalizzato vengono messi in discussione dall’esterno, dalla scrittura femminista e da quella postcoloniale, che lo concepiscono come uno strumento d’identità normativa in cui non si riconoscono, e simultaneamente dall’interno, dai principi di Neostoricismo e Materialismo culturale, volti a contestualizzare, storicizzare il testo letterario, in modo da esplorarne il rapporto con forze e fenomeni sociali, nati dall’evoluzione dei modelli di lettura che tra Ottocento e Novecento spostano l’attenzione dalla produzione alla fruizione, dall’intenzionalità dell’autore all’interpretazione del lettore.
La nascita di un dibattito sul canone letterario, si articoli essa attraverso l’atto pratico della scrittura creativa, o mediante la nascita di una vera e propria prospettiva teorica, si fonda in entrambi i casi sulla premessa del riconoscimento della valenza storica del canone, perché il solo atto, teorico o pratico, di sollevare un dibattito su di esso, equivale a metterne in discussione la validità eterna. Come ben sottolinea Maurizio Ascari – ricercatore di Letteratura inglese presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bologna – nel suo I
linguaggi della Tradizione: canone e anticanone nella cultura inglese, ‘chi indaga
il canone è portatore di contenuti in qualche modo sovversivi’82. Egli cita Gerald Graff e Bruce Robbins che in ‘Cultural Criticism’ (1992) hanno osservato come:
in epoche di vasto consenso culturale e politico non c’era alcun bisogno di utilizzare la parola canone – o anche solo di concettualizzare tale astrazione – mentre la sua onnipresenza negli studi letterari contemporanei implica che esso ha perso “il suo statuto indiscusso” per diventare “un luogo di conflitti”83.
Invece, una riflessione sul canone e la sua funzione risulta invece quanto mai necessaria nell’epoca contemporanea, caratterizzata da società multirazziali e multiculturali in continuo divenire, i cui valori di riferimento collettivi sono ormai instabili. Ma mettere in discussione le fondamenta del canone significa inevitabilmente espugnare ‘la roccaforte della tradizione stessa’84.
82
Ascari, M., I linguaggi della tradizione: canone e anticanone nella cultura inglese, Firenze, Alinea, 2005, 26.
83
Ibid., 26.
84
Il termine “canone” – come spiega Silvia Albertazzi in Abbecedario
postcoloniale (2001), da lei stessa curato insieme a Roberto Vecchi – viene
mutuato dalla teologia, ‘in cui designa l’insieme dei testi riconosciuti dalla Chiesa come autenticamente ispirati dalla divinità’85 e ‘in letteratura indica, per traslato, l’insieme delle opere che in una data società, in un certo periodo o area geografica, sono ritenute fondamentali e autorevoli per i loro meriti letterari’86. Ma la rigidità e coerenza interna del canone, evocate fra l’altro dall’etimologia greca del termine – kanón significa fusto, bastone usato come strumento di misurazione –, vengono messe in discussione nel momento stesso in cui si apre un dibattito su di esso, perché la discussione mina la sua assolutezza di sistema chiuso e ne rivela così la relatività. Contestare il canone letterario significa affermare la relatività dei principi estetici, fondati su presupposti di oggettività e neutralità, invocati quali unici fattori determinanti nella sua formulazione, e assumere invece consapevolezza dell’arbitrarietà di un processo determinato dal contesto sociale, politico e culturale.
Il canone letterario – scrive Terry Eagleton in Literary Theory: An
Introduction –:
has to be recognized as a construct, fashioned by particular people for particular reasons at a certain time87.
Il valore letterario del testo non è assoluto e il canone è determinato dalla visione del mondo, dal gusto e dalle tendenze di ogni singolo periodo, tendenze che in una lettura diacronica evolvono e conseguentemente ne riassestano continuamente i confini. Dietro le presunte fondamenta estetiche si celano invece rapporti di potere ed egemonie intellettuali che il canone stesso veicola. Esso – come sottolinea F. R. Leavis in Mass Civilization and Minority Culture (1930) – è una summa selettiva dei valori prevalenti di una precisa comunità in un preciso contesto storico, e tali valori, espressioni dei gusti, delle esigenze e delle aspettative culturali delle ideologie dominanti, mutano continuamente88. Il canone non è fisso, ma si modifica nel tempo, e la coscienza di ciò rende possibile una discussione teorica su di esso dal suo interno, nonché una sua possibile rilettura,
85
Albertazzi, S., ‘Canone’, in Albertazzi, S. e Vecchi, R., a cura di, Abbecedario postcoloniale: Dieci voci per un
lessico della postcolonialità, Macerata, Quodlibet, 2001, 21.
86
Ibid., 21.
87
Eagleton, T., Literary Theory: An Introduction, Oxford, Basil Blackwell, 1983, 12.
88
riscrittura, reinterpretazione dall’esterno. Questi due fenomeni prendono vita proprio nel momento in cui entra in crisi la valenza di canone quale veicolo dell’ideologia nazionale perché cambia la società di cui esso è espressione.
Il processo di formazione del canone è legato alla memoria culturale di una nazione e quindi alla sua identità nazionale. La letteratura inglese nella fase di espansione coloniale ottocentesca, e in relazione con la missione civilizzatrice dell’Impero, si è affermata come disciplina di studio dapprima nelle colonie e poi anche in madrepatria. A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento lo studio della lingua, cultura e letteratura inglese diviene fondamentale nella formazione dell’India britannica. Come accennato nel primo capitolo, in ‘The Beginnings of English Literary Study in British India’ (1987) Gauri Viswanathan identifica nel
Minute to Parliament (1835) di Lord Macaulay il documento fondante dei
“cultural studies” perché conferisce alla lingua, cultura e letteratura inglese la funzione di insegnare i valori civili ai popoli colonizzati. La letteratura inglese – nelle parole dello stesso Macaulay –
functioned as a surrogate Englishman in his Highest and most perfect state89.
La convinzione che la letteratura possa farsi veicolo di valori culturali, dell’unità della cultura nazionale inglese come l’unica capace di civilizzare, trova la sua massima espressione nel mito della cultura elaborato da Matthew Arnold in
Culture and Anarchy (1869) e in una particolare forma di culturalismo – elaborata
da Raymond Williams – che concepisce la cultura come ‘arte’ piuttosto che come ‘modo di vivere’. La letteratura, come promotrice e al contempo garante del sistema imperante, assume il ruolo di guida della comunità nazionale. Ma la centralità della studio della letteratura inglese nei sistemi educativi coloniali e inglesi viene consolidata dal rapporto commissionato a Henry Newbolt nel 1919 e pubblicato nel 1921 intitolato The Teaching of English in India, meglio conosciuto come Newbolt Report.
La formazione di un canone nazionale diventa fondamentale nel processo di stabilizzazione dell’identità nazionale e tale coscienza si fa sempre più radicata anche in madrepatria sicchè alla fine dell’Ottocento docenti e critici accademici introducono lo studio della letteratura inglese come materia universitaria. Come evidenziato da Thomas Arnold Jr. nel suo Chaucer to Wordsworth: A Short
89
History of English Literature, From the Earliest Times to the Present Day
(1868), nel 1868 a Oxford, la più prestigiosa università inglese, non esisteva ancora una cattedra dedicata allo studio sistematico della letteratura nazionale.
Ma l’esaltazione del canone letterario come portavoce dello spirito nazionale e del mito della superiorità culturale occidentale nelle colonie e in madrepatria si fa più sentita proprio nel momento in cui si manifestano i primi segnali di declino del grande Impero britannico. Da un lato i movimenti interni destabilizzanti, la frattura fra l’élite al potere e la massa dei diseredati, le rivendicazioni femministe e socialiste, e dall’altro i domini coloniali messi in pericolo dalle prime forme di resistenza, inducono a una maggior esaltazione del canone come strumento di coibentazione del centro, come veicolo di quel senso d’appartenenza nazionale che preserva un’ “inglesità” che comincia a essere messa in discussione.
La coesione interna del canone entra in crisi nel periodo modernista con l’apertura cosmopolita di esso a autori di altre nazionalità: l’irlandese James Joyce, il polacco Joseph Conrad e gli immigrati americani T. S. Eliot e Henry James, solo per citare le figure più autorevoli.
Il canone, inteso come espressione della civiltà e cultura nazionale, viene inevitabilmente a deteriorarsi poi nel periodo del dopoguerra, a seguito del processo di internazionalizzazione della cultura che crea una frattura fra l’identità nazionale e l’identità linguistica, esito dei processi di colonizzazione e decolonizzazione. Sebbene la tradizione inglese abbia cercato di far fronte a questo processo appropriandosi degli scrittori che producono nella sua lingua adottandoli nel canone, il suo allargamento si è rivelato insufficiente.
Nel secondo dopoguerra le sempre più frequenti migrazioni dalle colonie verso la madrepatria hanno indotto a preservare il canone facendo leva sul fattore linguistico più che su quello dell’appartenenza nazionale, aggiornandolo mediante l’inclusione in esso delle opere di scrittori di fama internazionale provenienti dalle ex colonie britanniche irlandese, gallese o scozzese. Questo processo di “adozione”, però, è legittimato soltanto se lo scrittore rinuncia alla propria specificità locale, trascendendola per conferire alla sua opera una valenza universale, facendosi così garante della grande tradizione letteraria occidentale, integrandosi alla cultura dominante. Questo processo di adozione dunque risulta essere un’operazione di forzatura volta a incentivare la grandezza del canone
stesso, come denuncia il critico C. Baldik ne ‘I testi nel tempo: il dopoguerra e la fine della letteratura inglese’ (1996), sostenendo che la flessibilità del canone come espressione da un lato della produzione nazionale, dall’altro della scrittura in lingua inglese, ha consentito di:
intessere un canone nazionale inglese mediante un processo analogo a quello della rapina imperialistica90.
Il tramonto delle ideologie dominanti, l’abbattimento e ridefinizione dei confini, le migrazioni e contaminazioni culturali, impongono non tanto un allargamento o revisione del canone attraverso un processo di adozione, ma piuttosto un ripensamento della sua stessa natura e funzione perché, come sostituto di religione e politica, il suo essere espressione dei valori di una ristretta élite sociale e culturale lo rende anacronistico. Nel presente ‘caos-mondo’ – l’espressione è mutuata da Glissant – il canone non può più appartenere a un’unica tradizione, ma deve arricchirsi confrontandosi con le esperienze marginali e le voci oppositive che si articolano al suo stesso interno, per farsi espressione di contaminazione di percorsi e significati diversi, esito della polifonia delle moderne società multietniche e multiculturali.