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G C Spivak, ‘Three Women’s Texts and A Critique of Imperialism’: lettura subalterna

Accanto a Said, precursore di queste trasformazioni, va citato il contributo di Gayatri Chakravorty Spivak il cui saggio ‘Three Women’s Texts and A Critique of Imperialism’, pubblicato per la prima volta nel 1985, rappresenta un esempio fondamentale di lettura del testo nel contesto coloniale. In questo saggio la studiosa bengalese fornisce un esempio nella storia letteraria di ciò che lei definisce ‘wordling the Thirld World’ – giocando sui termini “word”/ “world” – attraverso la rilettura di tre opere: Jane Eyre di Charlotte Brontë, Wide Sargasso

Sea di Jean Rhys e Frankenstein di Mary Shelley.

L’analisi letteraria di questi testi muove da due premesse fondamentali nel discorso di trasformazione del canone, e cioè che da un lato l’imperialismo ha avuto un ruolo fondamentale nella rappresentazione culturale delle identità nazionali europee nel XIX secolo, e che dall’altro la letteratura ha fornito un contributo essenziale a tale rappresentazione culturale. Continuare a trascurare questi fattori nella lettura dei testi in questione significa accettare passivamente che il progetto di dominazione imperiale continui a operare con successo. Così la Spivak apre il suo saggio:

It should not be possible to read nineteenth-century British literature without remembering that imperialism, understood as England’s social mission, was a crucial part of the cultural representation of England to the English. The role of literature in the production of cultural representation should not be ignored. These two obvious “facts” continue to be disregarded in the reading of nineteenth-century British literature. This itself attests to the continuing success of the imperialist project, displaced and dispersed into more modern forms23.

Ma, se invece i testi vengono letti tenendo presenti questi due fattori, se vengono analizzati in relazione al contesto cui appartengono e come veicoli di legittimazione del dominio coloniale, in un certo senso sarà possibile iniziare un nuovo percorso nella storia della letteratura, volto a rendere palese come la “terra”

23

Spivak, G. C., ‘Three Women’s Texts and a Critique of Imperialism’, Critical Inquiry, Vol. 12, No. 1, “Race”,

colonizzata sia stata creata e plasmata divenendo “mondo”. Tale metafora della creazione del mondo, del ‘wordling of a world’, dell’atto del plasmare la terra non ancora scritta mediante la parola e i sistemi di rappresentazione, viene ripresa da un’idea di Martin Heidegger (‘Le origini dell’opera d’arte’, in Sentieri Interrotti, Firenze, La Nuova Italia, 1997 [1977]) e viene usata dalla Spivak per spiegare come siano state le potenze coloniali europee a trasformare i territori verso i quali si sono spinte in colonie, a fare delle loro “terre” dei “mondi”. Questo processo si è verificato perché alla sua base c’è sempre stata una premessa: la convinzione che il Terzo Mondo, inteso come unità monolitica, sia antecedente alle incursioni europee, fuori dalla storia occidentale, non scritto.

Se invece letteratura e cultura vengono studiate in relazione all’imperialismo, se le culture del così detto Terzo Mondo vengono concepite come patrimonio letterario degno di essere recuperato, studiato, interpretato, allora sarà possibile dimenticare quel processo di “worldling of the world”, di creazione del mondo colonizzato da parte della potenza coloniale, in favore di una diversa concezione che fa di questo mondo un “significante”, che concepisce la sua creazione e definizione da parte dell’Occidente come atto fondamentale attraverso cui esso stesso forgia la propria identità, legittima la propria posizione di dominio, e contemporaneamente gli impone l’immagine di sé che si è creato, convincendolo della sua posizione subalterna.

Se si abbandona una visione della letteratura e della cultura come disinteressate al processo storico e ai meccanismi di potere, e si considerano al contrario intrinseche a essi, allora si capirà che la storia imperiale non è stata un semplice susseguirsi di avvenimenti, ma un vero e proprio progetto di dominio realizzato attraverso la costruzione di un mondo valido sia per il colonizzatore che per il colonizzato. L’imperialismo è un discorso creato affinché il colonizzatore concepisca se stesso come appartenente a un centro, a un mondo, a una cultura superiore che giustifica la sua posizione di dominio, mentre il colonizzato accetti e creda di trovarsi in quella posizione marginale, esterna alla centralità europea, cui l’impero lo ha relegato nelle sue rappresentazioni. La storia imperiale si dimostra pertanto una ‘epistemic violence’ – nelle parole della stessa Spivak–: il suo progetto è quello di mettere violentemente insieme l’episteme che al contempo “darà un significato” al soggetto colonizzato (nella sua stessa

prospettiva) e “riconoscerà” in esso (nella prospettiva del Sé colonizzatore) l’Altro da Sé della storia24.

Il tipo di lettura che la Spivak propone di Jane Eyre, Wide Sargasso Sea e

Frankenstein da una prospettiva diversa, “subalterna” rispetto a quella imposta

dalla cultura ufficiale, mette in discussione l’ortodossia della pratica testuale tradizionale. La sua rilettura di Jane Eyre può essere interpretata come alternativa alla critica letteraria femminista anglo-americana della fine degli anni Settanta che ha sacrificato la figura di Bertha Mason, la moglie creola di Mr. Rochester, per fare della protagonista Jane, impegnata nella sua lotta per l’autodeterminazione, un’eroina proto-femminista che si è liberata dalle imposizioni di un mondo patriarcale e oppressivo. Per celebrare l’emancipazione femminista di Jane, Bertha viene vista semplicemente come il “doppio” di Jane, come la proiezione del lato più oscuro e intimo della sua individualità, piuttosto che come un personaggio con un proprio ruolo, una propria dimensione, un proprio Sé. La pazzia di Bertha rappresenta per la critica femminista la rabbia che Jane deve reprimere per essere accettata in un mondo patriarcale; la sua morte, necessaria per l’emancipazione di Jane, è un esempio di come la figura femminile del Terzo Mondo venga utilizzata per rafforzare l’identità di una figura femminile europea. In altre parole, la Spivak accusa la critica femminista anglo-americana di riprodurre gli effetti del paternalismo coloniale e di ricreare nel rapporto donna europea/ donna del Terzo Mondo il binarismo colonizzatore/ colonizzato consolidando così l’ideologia imperiale e riproducendo gli assunti su cui si fondano i discorsi coloniali.

La lettura alternativa che la Spivak propone consiste invece nel prendere in considerazione le dimensioni coloniale e razziale che caratterizzano l’identità di Bertha, nonché le relazioni economiche di natura coloniale che emergono dal romanzo in modo tale da porlo in relazione con il contesto coloniale e dimostrare come esso riproduca molti degli assiomi dell’imperialismo e sia dunque un modo di diffondere e consolidare mediante la letteratura la sua ‘violenza epistemica’.

Nella rilettura di Wide Sargasso Sea di Jean Rhys come antecedente di

Jane Eyre, come racconto della storia di Bertha – che in Rhys prende il nome di

Antoinette –, la Spivak sostiene che nel delineare l’identità di Antoinette e Rochester la Rhys si serva rispettivamente delle figure di Narciso e di Edipo. Così

24

Per la definizione di ‘epistemic violence’ si consulti Spivak, G. C., ‘The Rani of Sirmur’, in Francis Barker et al. (eds.), Europe and Its Others, 2 vols., Colchester, University of Essex Press, 1984, Vol. 1, 131.

facendo ella scrive nella consapevolezza di farlo entro un determinato contesto storico che influisce sul testo e allo stesso tempo ne è influenzato:

[…] she has her finger on our “historical moment”25.

La scrittrice dominicana infatti descrive la formazione dell’identità dell’individuo servendosi della psicanalisi, cosa impensabile nel XIX secolo, e si sofferma sull’evoluzione di essa dall’ “immaginario” (Narciso) al “simbolico” (Edipo). Tale trasformazione riguarda l’identità maschile. Il fatto che la Rhys invece la attribuisca ai due protagonisti, Antoinette e Rochester, uno dei quali donna, rende esplicita la sua messa in discussione dell’imperialismo e la sua presa di posizione femminista.

Un ruolo fondamentale nel romanzo ha anche la figura di Christophine, la domestica di Antoinette, un personaggio che scompare dalla storia ben prima della conclusione e questo perché – come spiega la Spivak – una figura come lei, dominicana e non giamaicana, non può trovare un suo spazio in un romanzo che riscrive un testo del canone inglese dall’interno della tradizione narrativa europea negli interessi della figura creola bianca piuttosto che di quella nativa. Ella comunque gioca un ruolo importantissimo che è quello di smascherare il comportamento di Rochester e di metterlo di fronte ai suoi interessi materiali e coloniali nel matrimonio con Antoinette.

La lettura che poi la Spivak propone di Frankenstein cerca di dimostrare come il romanzo, sebbene espressione del nascente femminismo, rimanga misterioso perché non si esprime nel linguaggio dell’individualismo femminista che è tipico di quel femminismo con la “F” maiuscola della letteratura inglese. In altre parole, la Spivak ritiene che l’esaltazione da parte della critica femminista anglo-americana dell’individualismo e dell’autodeterminazione rappresentino un pericoloso corollario dell’ideologia imperialista. Non è che dal romanzo non emergano atteggiamenti derivati dall’ideologia imperialista, anzi, ‘there is plenty of incidental imperialist sentiment in Frankenstein’26, ma in quanto opera sull’origine e evoluzione dell’uomo nella società, essa non riproduce i principi dell’imperialismo.

25

Spivak, G. C., ‘Three Women’s Texts and a Critique of Imperialism’, 251.

26

La Spivak legge il romanzo come testo che sfida il concetto di soggettività unitaria, legata all’ideologia imperialista. Dimostrazione di ciò ne è il Mostro, ‘the Creature’, in cui non si possono fondere e operare in modo armonico la ragione teoretica, quella pratica e il giudizio estetico, le tre componenti che in Kant costituiscono l’individuo. Mettere in discussione gli assunti di Kant significa mettere in discussione il testo – La critica della Facoltà di giudizio (1790) – in cui sono contenuti, e conseguentemente quella cultura occidentale di cui quel testo è considerato espressione.

Il romanzo rimane inconcluso: il Mostro non può appartenere alla logica narrativa del testo, si perde ‘in darkness and distance’27: la relazione fra la riproduzione sessuale e la produzione del soggetto sociale che egli dovrebbe incarnare, e che è quel topos dinamico che caratterizza il femminismo del XIX secolo entro il contesto imperialista, rimane irrisolta e questo paradossalmente è il punto di forza del romanzo stesso.

Se letto in relazione a ciò che può essere ‘politically useful’28,

Frankenstein è esemplare perché si oppone alla distruzione dell’Altro, dello

schiavo ribelle, del Mostro, anche se, vincolato dall’essere espressione del suo tempo, esso non riesce a spingersi oltre, a immaginare l’Altro come avente una propria individualità a prescindere dal padrone, cosa che può avvenire soltanto in un contesto di piena decolonizzazione culturale.

Con l’analisi che la Spivak propone dei tre romanzi citati, spostando il punto di vista sulle figure subalterne e relegate in tali posizioni dai discorsi di razza, genere e classe relazionati all’ideologia imperialista, ‘Three Women’s Texts’ rappresenta un esempio fondamentale e di riferimento per una nuova pratica di lettura che indurrà a una revisione e riformulazione della nozione di canone letterario.

1.5 H. K. Bhabha, ‘Signs Taken for Wonders’: ambivalenza e