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Si è fin qui parlato della teoria che ha determinato la riappropriazione postcoloniale del canone e delle pratiche di rilettura di esso che dalla teoria si sono diffuse. Ma la trattazione dell’argomento non sarebbe completa se si tralasciasse di dire che, affiancandosi alla teoria, anche l’effettiva pratica di riscrittura del canone è una tappa indispensabile, se non addirittura ancor più fondamentale, nel percorso di trasformazione culturale che caratterizza la postcolonialità, in quanto nel postcoloniale è la scrittura creativa, più che l’attività accademica, a trasformare il discorso culturale.31 La produzione di testi di riscrittura induce necessariamente a interrogarsi sulla loro eventuale collocazione entro il canone, sulla possibilità di allargare il canone stesso, di riformularne la nozione, in modo che esso possa contenerli.

E’ dunque doveroso ricordare anche il proliferare di opere di riscrittura che risalgono addirittura a un periodo antecedente a quello delle teorizzazioni dei tre critici citati: si tratta delle riscritture e riletture di The Tempest di Shakespeare che negli anni Sessanta coinvolgono scrittori africani e caraibici. La commedia

30

Ibid., 170.

31

Cfr. Ashcroft, B., ‘Ireland, Post-Colonial Transformation and Global Culture’, in Kuch, P., and Robson, J.A. (eds.),

shakespeariana che, insieme a Robinson Crusoe di Daniel Defoe, è riconosciuta come progenitrice di ogni testo coloniale, viene riletta e riscritta in chiave linguistica in ambito caraibico da George Lamming che in The Pleasures of Exile identifica in Calibano il colonizzato delle Indie Occidentali e fornisce inoltre una riscrittura in chiave romanzata delle sue teorie; sempre in ambito caraibico le due riscritture di Fernandez Retamar e la versione poetica di Edward Braithwaite sono un’ allegoria della rivoluzione cubana. Nel contesto africano si devono ricordare le riscritture del keniota ‘Ngugi Wa Thiong’o, del nigeriano John Pepper Clark e dello zambiano David Wallace, nonché la ripresa teatrale di Aimé Césaire.32

La continua produzione poi di opere di riscrittura che, a partire da questi antecedenti e dalle teorizzazioni analizzate, hanno continuato e continuano a segnare la produzione letteraria postcoloniale inducendo i curatori dei manuali di teoria postcoloniale a dedicare una sezione a sé alla riscrittura e al rapporto col canone33, hanno portato alla pubblicazione di un intero volume dedicato alla riscrittura postcoloniale e al suo valore intertestuale, intitolato The Ballistic Bard:

Postcolonial Fiction (1995), la cui autrice, Judie Newman, è docente di letteratura

americana e postcoloniale presso l’Università di Newcastel upon Tyne. Recentemente poi, in ambito italiano, Maria Renata Dolce ha pubblicato Le

letterature in inglese e il canone (2004), lettura delle letterature postcoloniali

come modello provocatorio di apertura dialogica fondata sul rispetto e sull’accoglienza dell’Alterità. La propensione al confronto con il canone della letteratura inglese – sostiene la Dolce – trova espressione nella riscrittura postcoloniale dei classici come strategia contro-discorsiva mirata alla decolonizzazione culturale. Tale processo implica una revisione del canone che induce a interrogarsi da un lato sull’esigenza di allargarne i confini o addirittura giungere a una sua dissoluzione, dall’altro sull’opportunità dell’eventuale configurazione di contro-canoni alternativi.

32

Cfr. Albertazzi, S., Lo sguardo dell’Altro, Roma, Carocci, 2000, 120.

33

Cfr. Childs, P. (ed.), Post-Colonial Theory and English Literature: A Reader, Edinburgh, Edinburgh University Press, 1999, (saggi e riletture di The Tempest, Robinson Crusoe, Jane Eyre, Heart of Darkness, Ulysses); Lazarus, N. (ed.),

The Cambridge Companion to Postcolonial Literary Studies, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, (chap. 5:

Marx, J., ‘Postcolonial Literature and the Western Literary Canon’, 83-96); McLeod, J., Beginning Postcolonialism, Manchester and New York, Manchester University Press, 2000, (chap. 5: ‘Re-reading and Re-writing English Literature’, 139-171); Loomba, A., Colonialism/Postcolonialism, London and New York, Routledge, 1998, (chap. 1: ‘Situating Colonial and Postcolonial Studies. Colonialism and Literature’, 69-93); Ashcroft, B., On Post-Colonial

Futures: Transformations of Colonial Culture, London and New York, Continuum, 2001, (chap. 6: ‘Caliban’s

Tornando alla Newman, nell’Introduzione a The Ballistic Bard, ella parte dal presupposto che negli scrittori postcoloniali impegno letterario e politico corrano sullo stesso binario, confermando così l’avvenuta inversione di tendenza nel concepimento del valore della cultura che Said in Orientalism – come si è visto – ha preannunciato:

Postcolonial writers are [therefore] often at their politically sharpest, when they are also at their most ‘literary’34.

Political and literary rewritings [therefore] go hand in hand, as the postcolonial novelist revises the fictions of influential predecessors in order to deconstruct conventional images of the postcolonial situation35.

Ciò che la Newman sostiene è che usando l’espediente dell’intertestualità, mettendo il romanzo in relazione col suo punto d’origine, con la sua collocazione storica, col ‘classico’ che riscrive al fine di riacquisire il controllo della propria storia, lo scrittore postcoloniale dimostra di essere consapevole che le storie condizionano i loro lettori e intervengono sul futuro. E’ questa consapevolezza che dà alla letteratura un significato politico liberandola da quel vincolo estetico cui era stata confinata. Così la Newman dichiara in chiusura del testo:

Postcolonial novelists write with the awareness that stories influence events, that ‘texts’ bring with them moral, social and political questions which must be faced. In will not have escaped the reader that, despite the challenge which postcolonial writing lays down to the temporal paradigm of ‘English Literature’, its deliberations keep turning into an argument with history, whether as pseudo-tradition, commodified past, or silenced trauma. Postcolonial writing descends from the ivory tower and refuses to be confined within purely ‘literary’ bounds – or even within the bounds of discourse itself36.

La riscrittura postcoloniale entrando in relazione dinamica con il classico che riscrive e stabilendo un dialogo con esso, più che essere un tentativo passivo di imitazione, assume una potenzialità trasformativa, si inserisce nelle fratture del discorso coloniale e lo trasforma, mediante una reinterpretazione e rielaborazione di quel testo che ha veicolato il suo intento dominatore.

Tanti sono gli scrittori postcoloniali impegnati nella riscrittura. La Newman stessa si occupa di autori appartenenti a più aree della postcolonialità: le Indie Occidentali, rappresentate da Jean Rhys, che riscrive Jane Eyre della

34

Newman, J., The Ballistic Bard: Postcolonial Fiction, Oxford, Oxford University Press, 1995, 4.

35

Ibid., 4.

36

Brontë, V. S. Naipaul, che in Guerrillas reinterpreta la Rhys e la Brontë, Barati Mukherjee che nella short-story Jasmine sfida Naipaul e crea un gioco intertestuale che a sua volta rimanda a Jane Eyre ; l’Africa, dove Buchi Emecheta in The Rape of Shavi riprende le modalità di scrittura di George Bernard Shaw, J. M. Coetzee riscrive Robinson Crusoe di Defoe, e Nadine Gordimer nella ‘novella’ ‘Something Out There’ analizza la presenza di Shakespeare nella rivolta di Soweto; l’India, dove Anita Desai e Ruth Prawer Jhabvala riscrivono Foster, la prima storicizzando A Passage to India in Baumgartner’s Bombay, la seconda ripoliticizzando The Hill of Devi e le convinzioni umaniste liberali in esso espresse in Heat and Dust, mentre Upamanyu Chatterjee satirizza Jhabvala.

Scrittori indiani, africani e caraibici sono impegnati a riscrivere il canone in termini postcoloniali. Ma che dire degli scrittori irlandesi? Se e nella misura in cui l’Irlanda può essere considerata un paese postcoloniale, nella sua produzione letteraria contemporanea la pratica di riscrittura è diffusa? Si può parlare di essa in termini postcoloniali come impegnata nella trasformazione della cultura ufficiale e nell’elaborazione di una letteratura propriamente autoctona e originale? Può la letteratura irlandese, considerata canonica, contribuire attraverso la riscrittura alla riformulazione del canone agendo, a differenza delle altre letterature postcoloniali, da una posizione interna a esso?