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4.4 ‘Ireland as a test-case for the world’: la convivenza culturale irlandese come esempio per una cultura globale

Canone nazionale d’emergenza irlandese storico e trasformativo, ma anche e soprattutto bilingue, plurale, multiculturale e dunque precursore del globale. Il nuovo canone nazionale irlandese non si presenta solo come canone minore, ma si tratta di un canone plurale che include tanto la produzione anglo-irlandese, quanto quella gaelica. La convivenza nel contesto irlandese a partire dal XVII secolo di due tradizioni culturali a confronto con quella inglese anticipa la comprensione di una realtà necessariamente multiculturale. L’equilibrio fra di esse diventa la ragione fondamentale di sopravvivenza, escludendo l’ipotesi dell’egemonia dell’una sull’altra, e in ultima analisi della stessa possibilità di esistenza di un’unica tradizione ufficiale, di un canone universale. Così scrive Kiberd nell’Introduzione a Irish Classics:

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[…] the only persistent tradition in Irish culture was the largely successful attempt to subvert all claims to make any tradition official135

Il processo attraverso cui recentemente si giunge al tentativo di delineare un canone biculturale e bilinguistico è stato avviato a partire dalla fine del Settecento, ma ha sempre costituito un discorso minoritario di fronte alla posizione assunta nei confronti della letteratura e cultura irlandese, tanto nel contesto accademico inglese, quanto in quello irlandese. In ambito inglese infatti inizialmente né Oxford, né Cambridge hanno una cattedra di Letteratura irlandese, ma quest’ultima, sia per quanto riguarda la produzione anglo-irlandese sia quella gaelica, rappresenta un ramo della Letteratura inglese. Lo stesso accade nelle università irlandesi. Dopo l’indipendenza del 1921, nei dipartimenti d’Inglese presso le università irlandesi, al contrario di quanto ci si aspetterebbe, non ci si impegna in un dibattito nazionale creativo. Per almeno altri cinquant’anni le università sono centri di critica estetica, interessati allo studio del genere e alla critica di un canone di letteratura aulica. Si pensi addirittura che fino alla metà degli anni Sessanta nelle librerie di Dublino non c’è una categoria separata d’Irlandese. Fra il 1921 e il 1969 poi i corsi delle scuole secondarie non vengono mai riformati. Le produzioni di Yeats nella fase matura, di O’Casey, O’Brien e Beckett difficilmente entrano nei programmi di studio, che invece si focalizzano soprattutto sulla letteratura del XIX secolo.

Nel periodo modernista, dall’esterno, si cerca di europeizzare l’arte irlandese. Si pensi, ad esempio, a come l’americano Richard Ellmann, uno dei maggiori critici della letteratura irlandese, scrivendo di Yeats, Joyce, Wilde e Beckett li definisce moderni in relazione alla capacità che manifestano di trascendere la loro irlandesità. Lo stesso atteggiamento viene condiviso dall’interno, dalle élites irlandesi a partire dagli anni Cinquanta, in vista dell’ingresso nella Comunità Economica Europea.

Di recente, però, si assiste a un’inversione di tendenza, allo sviluppo di una critica nativa che – secondo Kiberd – trova espressione nel “Belfast Agreement” dell’aprile del 1998. Il provvedimento, fortemente legato alla teoria postcoloniale e a recenti forme di critica irlandese, rappresenta la realizzazione di quel discorso minoritario avviato nel Settecento volto al recupero della specificità nazionale irlandese intesa in termini biculturali.

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Come spiega sempre Kiberd nel capitolo di Irish Classics intitolato ‘Irish Narrative: A Short History’, il primo testo mossosi in questo percorso che concede parità di dignità alle due tradizioni è Reliques of Irish Poetry (1789) di Charlotte Brooke, ammonimento affinché gli inglesi conoscano la tradizione gaelica per poter amministrare una terra prospera e pacifica. Così scrive la Brooke, appartenente all’élite anglo-irlandese:

The British Muse is not yet informed that she has an elder sister in this isle; let us then introduce them to each other136.

L’auspicio della Brooke viene ripreso da Matthew Arnold verso la metà degli anni Sessanta dell’Ottocento con la sua richiesta, successivamente accolta, dell’istituzione di una cattedra di studi celtici a Oxford. Nella prima metà del Novecento, poi, la convinzione della continuità delle due culture, dello studio della tradizione gaelica e anglo-irlandese, viene portata avanti da due figure che rappresentano un’eccezione nei dipartimenti d’Inglese in Irlanda: Thomas MacDonagh (Literature in Ireland: Studies Irish and Anglo-Irish (1916)) e Daniel Corkery (Synge and Anglo-Irish Literature (1931); What’s This About the Gaelic

League? (1941)). Nel 1962 poi la pubblicazione di The Irish Comic Tradition di

Vivian Mercier ha rilanciato la disciplina ora denominata “Irish Studies”, dimostrando come l’amore irlandese per il macabro e il grottesco è sopravvissuto al passaggio dall’Irlandese all’Inglese. Egli celebra quella combinazione fra “wit” e volgare, elementi separati nella produzione anglosassone sin dai tempi di Shakespeare e Jonson, sottolineando invece come essi siano legati nella produzione letteraria irlandese proprio per la continuità con la tradizione gaelica. Il modello d’identità irlandese proposto da Mercier viene ripreso dalla “Field Day Theatre Company” fino a trovare la sua massima espressione nel citato “Belfast Agreement” che si fonda sul diritto della popolazione dell’Irlanda del Nord di scegliere se considerarsi e essere accettata come irlandese, inglese o entrambe le cose, di poter avere una doppia cittadinanza concordata da entrambi i governi. Uno dei provvedimenti più importanti del “Belfast Agreement” stabilisce che i cittadini della Repubblica devono rimuovere le loro rivendicazioni territoriali sulle sei contee del Nord, facenti parte del Regno Unito. Sin dalle prime esperienze scolastiche ai bambini della repubblica è stato insegnato che quella

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rivendicazione è naturale, determinata dalla stessa configurazione geografica dell’Irlanda in quanto isola. Ciò nonostante, il 94% dell’elettorato del Sud ha votato a favore della revoca di quella rivendicazione nel nome della pace e dei buoni rapporti con gli Unionisti, di un’identità aperta, fondata sulla relazione fra persone. Sebbene reticente in materia culturale, il linguaggio del provvedimento – sostiene Kiberd – è ‘poetico’, perché offre una visione d’identità multipla, in cui non esiste una lingua ufficiale. Il segretario di stato nord-irlandese Patrick Mayhew ha riconosciuto che il provvedimento non sarebbe stato possibile senza gli sviluppi irlandesi in campo letterario. Il “Belfast Agreement” mette fine a un nazionalismo politico anti-coloniale e getta le basi per poter pensare a un nazionalismo culturale autentico.

La convivenza culturale irlandese che nega l’imposizione di una tradizione come ufficiale è espressione di una coscienza plurale che anticipa una prospettiva di carattere globale e può rappresentare un modello politico e culturale per altri paesi:

The Belfast Agreement […] may in time produce political and cultural models that could be of use to communities in other war-torn parts of the world, where the problem of ‘blood and belonging’ cries out for cultural rather than military solutions137.

Nell’Introduzione a The Irish Writer and the World, citando la convinzione di Giordano Bruno secondo cui ‘ogni forza in natura sembra evolversi nel suo opposto – ma tale opposizione genera riunione’, Kiberd sostiene che il mondo gaelico e quello anglo-irlandese, spesso visti nel passato come nemici, si sono fusi, dando espressione a nuovi tipi di arte ibrida in entrambe le lingue. Questa convivenza culturale può essere di esempio – un ‘test-case’ – per altri paesi del mondo, così come la cultura globale può fornire delle chiavi attraverso cui reinterpretare l’esperienza locale:

Some of the cultural events played out in the global setting of the last decade of the millennium seemed a reprise, often in estreme forms, of familiar old themes138.

A scholar could […] use Ireland as a test-case for the world but also see in the culture of globalisation a whole set of issues which needed addressing in his own country139.

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Kiberd, D., Irish Classics, 631.

138

Kiberd, D., The Irish Writer and the World, 19.

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