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CANONE: TEORIA E SCRITTURA CREATIVA POSTCOLONIALE

3.5 Il canone e la scrittura creativa postcoloniale

Come ha evidenziato Terry Eagleton nel citato Literary Theory: An

Introduction, parallelamente agli sviluppi teorici del Neostoricismo e del

Materialismo culturale interni al canone, una riconsiderazione della sua valenza viene anche dalla critica femminista e dalla scrittura creativa postcoloniale, riconosciute invece entrambe come fenomeni esterni a esso. A proposito della loro collocazione così scrive Ascari:

Storicizzato ‘dall’interno’ in quanto costruzione culturale, il canone è anche messo in discussione ‘dall’esterno’ attraverso la critica postcoloniale, che evidenziando i suoi legami con l’imperialismo si propone di fondare un più autentico multiculturalismo97.

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In verità, si cercherà di dimostrare che questa collocazione ai margini si rivela provvisoria nella continua e rapida evoluzione della globalità quanto provvisorio è il canone stesso, e che il postcoloniale, agendo inizialmente dal di fuori del canone letterario tradizionalmente concepito nei termini bloomiani, finisce poi per muoversi nella contemporaneità internamente a esso.

Comunque, sin da quando la scrittura creativa postcoloniale agisce dall’esterno del canone, la messa in discussione della sua normatività avviene partendo dalla consapevolezza attorno a cui ruota anche il dibattito teorico che il canone ha una valenza storica, e dietro la sua presunta volontà di diffondere e divulgare valori estetici universali, si cela la trasmissione di una determinata ideologia politica, sociale e culturale. Senza tale consapevolezza qualsiasi contributo letterario così come teorico alla riconsiderazione del canone non sarebbe concepibile. Maria Renata Dolce sostiene infatti che la nuova prospettiva di lettura del canone che coinvolge le letterature postcoloniali:

richiede consapevolezza delle dinamiche di esercizio dell’autorità culturale che il testo detiene e che ne fanno uno strumento di oppressione e controllo, funzione di cui è esemplare proprio il ruolo giocato dai classici della letteratura inglese nel processo di colonizzazione98.

La consapevolezza che il testo letterario non dimora in uno spazio di pura letterarietà, ma rientra nella storia, rivela la funzione centrale che esso ricopre nella politica imperialista di sottomissione e controllo dell’Altro. E’ la letteratura – come spiega ancora Terry Eagleton – a fungere da strumento di controllo ideologico nel periodo vittoriano, specie di fronte al vuoto determinato dalla crisi religiosa causata dalle scoperte scientifiche e dalle trasformazioni sociali:

As religion progressively ceases to provide the social ‘cement’ , affective values and basic mythologies by which a socially turbolent class-society can be welded together ‘English’ is constructed as a subject to carry this ideological burden from the Victorian period onwards99.

L’unica forma di resistenza costruttiva alla nozione di canone letterario autoriale sia in ambito teorico che in ambito creativo può realizzarsi soltanto dalla

98

Dolce, M. R., Le letterature in inglese e il canone, 73.

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coscienza che l’ideologia gioca un ruolo di primo piano nella formazione di qualsiasi canone, e cioè che – nelle parole di Silvia Albertazzi –:

il processo di canonizzazione dei testi letterari è sempre motivato dagli interessi (culturali, sociali, economici) e dalle credenze (religiose, politiche) di chi lo compila100.

Nell’atto postcoloniale di lettura, rilettura, reinterpretazione, riscrittura dei cosiddetti classici, è radicata la consapevolezza che essi sono il prodotto del contesto da cui prendono origine e forma. Nel concetto saidiano di rilettura contrappuntistica la storicità del testo è elemento centrale:

Texts are to be read as texts that were produced and live on in the historical realm. […]. And lastly, most important, humanism is the only, and, I would go as far as saying, the final, resistance we have against the inhuman practices and injustices that disfigure human history101.

La restituzione del canone alla storia e la sua lettura in relazione al contesto hanno determinato dunque una rilettura e rivisitazione di esso fino alla sua riscrittura intesa come strumento di decolonizzazione culturale che smaschera meccanismi di sottomissione attivati dall’Impero attraverso la narrazione. Il processo di riscrittura, nella consapevolezza della dinamicità del classico, è un atto palese di intertestualità “sovversiva”102, perché dichiarare esplicitamente di riscrivere la tradizione significa esaltare la necessità di istituire un dialogo con essa, esprimere la convinzione che è nell’interazione dinamica fra i testi, nella polifonia e coralità, che si scrive la storia delle culture, la cui identità è in continuo divenire.

Interrogare esplicitamente i classici, riscriverli in modo dichiaratamente palese, assolve allo scopo di far prevalere il principio di mutua collaborazione o ‘partnership’ su quello di dominanza o ‘dominator model’, principi il cui significato viene spiegato da Riane Eisler in The Chalice and the Blade: Our

History, Our Future (1987):

The first [model of society], which I call the dominator model, is what is popularly termed either patriarchy or matriarchy – the ranking of one half of humanity over the other. The second, in which social relations are primarly based on the principle of linking rather than ranking, may be described as the partnership model. In this model – beginning with the

100

Albertazzi, S., ‘Canone’, 21.

101

Said, E. W., New Preface to Orientalism, Harmondsworth, Penguin, 2003, xi-xxiii, xxiii.

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most fundamental difference in our species, between male and female – diversity is not equated with either inferiority or superiority103.

L’atto di riscrittura esplicita del canone esprime la volontà delle letterature postcoloniali di rispettare l’Altro, di farne il ‘partner’ ideale per un dialogo volto al reciproco arricchimento. Tele tipologia di relazione col passato e la sua tradizione impone quella che Aleida Assmann in Ricordare: Forme e mutamenti

della memoria culturale (1999) chiama ‘memoria funzionale’ – legata a un

portatore, sia esso un individuo, un gruppo o un’istituzione – sulla ‘memoria archivio’ – impersonale e onnicomprensiva. La ‘memoria funzionale’, legata a un portatore con un posizionamento socio-culturale, è capace di gettare un ponte fra passato, presente e futuro: nel dialogo che il portatore instaura nel presente con la tradizione del passato, egli si apre alla possibilità di forgiare dei valori etici e identitari in fieri per il futuro104.

La connessione che la riscrittura postcoloniale crea fra passato, presente e futuro apre il canone alla dinamicità ed evoluzione, sottraendolo alla chiusura impostagli dall’ideologia dell’Impero. Al concetto di letterarietà su cui si fonda ogni canonizzazione – sottolinea Silvia Albertazzi – :

si sostituisce l’idea di letteratura come insieme di libri scritti (e letti) non per acquisire nozioni, ma per mettere in moto l’immaginazione e con essa la capacità di emozioni del lettore105.

Nasce così una nuova idea di canone che risponde all’esigenza di trasmettere la convinzione che l’eredità culturale non sia cristallizzata, ma piuttosto in continuo divenire, capace di generare nuove forme tanto di ricezione quanto di produzione. Un canone chiuso, costruzione arbitraria della cultura egemone, non può adattarsi alla prospettiva di sviluppo di una letteratura mondiale, transnazionale, espressa in tutte le lingue del mondo. La scrittura creativa postcoloniale, mediante l’adozione del processo di riscrittura, determina dall’esterno del canone letterario tradizionalmente inteso un’apertura in chiave storica di esso affiancandosi così ai processi teorici interni che hanno caratterizzato il Neostoricismo e il Materialismo culturale negli ultimi trent’anni.

103

Eisler, R., The Chalice and the Blade: Our History, Our Future, San Francisco, Harper and Row, 1987, xvii.

104

Cfr. Assmann, A., Erinnerungsräume. Formen und Wandlungen des kulturellen Gedächtnisses, München, C. H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 1999 (trad. it. di Paparelli, S., Ricordare. Forme e mutamenti della memoria

culturale, Bologna, il Mulino, 2002).

105

Tale apertura, la nozione di mobilità e di capacità trasformativa del canone, hanno però creato il rischio di incorrere in un allargamento di esso, piuttosto che favorire un ripensamento del suo stesso significato. In altre parole, il riconoscimento che il canone sia in continua evoluzione in relazione al contesto in cui non solo si origina, ma viene a trovarsi nel tempo, oggetto di riletture e reinterpretazioni costanti, potrebbe giustificare un’assimilazione in esso delle stesse letterature postcoloniali che ne hanno messo in discussione proprio quella valenza normativa che impediva tale assimilazione. Il rischio di questo inglobamento è tutt’altro che ipotetico e la produzione letteraria degli scrittori postcoloniali viene ormai di fatto accorpata al canone, in un certo senso istituzionalizzata. Lo stesso Bloom, pur difendendo a spada tratta una nozione tradizionale di canone, include nel suo personale canone opere di scrittori postcoloniali come esempi di valore estetico universale.

Questo processo di allargamento riflette però lo sfruttamento delle voci altre, dell’ ‘esotico postcoloniale’, da parte del mercato culturale e dell’accademia, che si sforzano così di legittimare le letterature dei margini e farle partecipare a un processo di accumulazione del capitale culturale. Si tratterebbe – come sostiene Graham Huggan in The Post-Colonial Exotic: Marketing the Margins (2001) – di una mercificazione della marginalità culturale, dei ‘celebrity minority writers’, all’interno dell’industria culturale globalizzata106. Egli sostiene addirittura che anche l’attribuzione recente del Booker Prize a scrittori dei paesi di lingua inglese o appartenenti a comunità diasporiche trasferitesi in Gran Bretagna, più che segno di apertura transculturale, sembrerebbe una strategia delle imprese multinazionali alla ricerca di mercati alternativi per i propri prodotti. I nomi degli scrittori postcoloniali costituiscono ormai una garanzia sul mercato editoriale.

Le letterature postcoloniali che hanno partecipato dall’esterno del canone al mutamento della sua fisionomia tradizionale finiscono per essere testimonianza effettiva di questa trasformazione dall’interno, perché inglobate nel canone attraverso quella stessa nozione trasformativa di esso che hanno favorito e sostenuto dall’esterno. Anche se questo accorpamento è stato tutt’altro che ricercato e auspicato dagli scrittori postcoloniali, i quali hanno sempre sostenuto la propria autonomia di intellettuali ‘nomadi’, la loro appartenenza a un canone aperto è ormai un dato di fatto. Nel suo saggio ‘Postcolonial Literature and the

106

Western Literary Canon’ in The Cambridge Companion to Postcolonial Literary

Studies (2004), edito da Neil Lazarus, John Marx sostiene che le letterature

postcoloniali, dopo aver attraversato le due fasi di ‘rigetto’ e ‘revisione’ del canone, sarebbero entrate in una nuova fase di ‘definizione’ di un nuovo canone dall’interno di esso. Se si vuole ritornare per un momento alle tre fasi teorizzate da Fanon che segnano il percorso di decolonizzazione culturale, si può dire che le letterature postcoloniali, dopo aver superato le tre fasi di “copia” – alla quale Marx non fa cenno –, “rigetto” e “antropofagia”, sarebbero ormai entrate in una quarta fase. Dopo aver “copiato” la letteratura del colonizzatore, dopo averla “rigettata” scrivendo opere che esaltano la specificità nazionale come opposta alla produzione del dominatore, dopo aver “assimilato”, “digerito”, “riformulato” e “riscritto” il canone letterario tradizionale, ricercando una decolonizzazione culturale autentica nell’ibridazione della molteplicità della culture, le letterature postcoloniali sono a loro volta di fatto diventate canoniche nella nuova accezione aperta, storica e contestualizzata del canone, che esse ciò l’abbiano voluto o meno. Obiettivo del saggio di Marx è quello di:

describe how the novels, poems, and plays that scholars and common readers have come to recognize as postcolonial relate to texts likely to be included in a Western canon107.

Marx sostiene che la scrittura creativa postcoloniale contribuisce a creare un nuovo canone multiculturale fondato sull’eterogeneità e che esso viene ‘definito’ dall’interno dei suoi stessi confini:

Every newly celebrated work that emerges from the former colonies or from the migrant populations engendered by imperialism helps to transform the canon into a more heterogeneous archive. Instead of opposing or revising it from outside, postcolonial literature increasingly defines a new sort of canon from an estabilished position inside its boundaries108.

La letteratura postcoloniale, con la sua interdisciplinarità rende internazionale un campo di studio occidentalizzato e incorporando nuove esperienze letterarie e culturali in quelle tradizionali riconosce la necessità di una considerazione globale degli studi letterari nelle varie lingue europee. A tal proposito è sempre Marx a dichiarare:

107

Marx, J., ‘Postcolonial Literature and the Western Literary Canon’, in Lazarus, N. (ed.), The Cambridge Companion

to Postcolonial Literary Studies, Cambridge, Cambridge University Press, 2004, 83-96, 83.

108

literary study is becoming less exclusively focused on the question of how fiction from the Maghreb and poetry from Indonesia repudiate or revise Western writing, and turning towards analysis of how they perform as part of a new and improved canon109.

Agendo all’interno di un nuovo canone multiculturale le letterature postcoloniali corrono un rischio molto serio: quello di sostituire l’ortdossia tradizionale con una nuova di segno opposto. Evidenziando come i processi d’inclusione ed esclusione del canone occidentale siano dettati da dinamiche di potere, le letterature postcoloniali hanno avuto un ruolo determinante nella formazione di nuovi canoni e sono diventate anch’esse canoniche e al contempo esclusive: se si guardano i programmi di studio delle varie università del mondo, spesso si nota come esse siano studiate in qualità di ciò che John Guilroy in Cultural Capital:

The Problem of Literary Canon Formation (1993) definisce ‘canons of the non-

canonical’110. Un anti-canone si costruisce necessariamente in opposizione al canone dominante, rovesciandone e reiterandone criteri e principi. Così facendo le letterature postcoloniali non potrebbero realizzare il dialogismo che intendono promuovere, la rappresentazione della molteplicità di voci che partecipano al coro. Non ha senso, scrive ancora Guilroy, istituire un controcanone multiculturale le cui opere si pongano in funzione sovversiva rispetto al canone egemonico, ma piuttosto le letterature postcoloniali dovrebbero diventare canoniche in relazione ai loro influssi reciproci e ai rapporti con la cultura occidentale.