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Come localizzare ed evitare gli hate words

2. Le parole che feriscono

2.5 Come localizzare ed evitare gli hate words

Come già accennato, l’odio si semina non solo online ma anche nella realtà parallela che è quella della vita reale. I soggetti che sono presi di mira non sono solo le donne, gli immigrati, i ragazzi con disabilità ecc…ma chiunque può trovarsi di fronte una persona che parli trasmettendo messaggi violenti, pieni di hate words che feriscono e leniscono la sensibilità di chi ascolta. Con l’evoluzione tecnologica, però, il linguaggio d’odio trova il suo massimo sviluppo sui social network utilizzati maggiormente dai giovani:

il social media208 più utilizzato è Facebook: tutti i giovani intervistati lo conoscono, ne sono utenti attivi e lo utilizzano quotidianamente, mentre solo qualcuno di loro utilizza Twitter. I social network vengono considerati strumenti per gestire con estrema efficacia la socialità e il proprio ruolo nella rete di amicizie, conoscenze e potenziali tali. Rappresentano una rete di possibilità, quella di contattare tutti e di non perdere nessuno anche se in prevalenza, le persone frequentate sui social network dai ragazzi intervistati non si conoscono e non sono le stesse che vengono frequentate quotidianamente nel gruppo di amici “reali”.209

Ed è proprio su questa rete di possibilità che ci si può imbattere in commenti offensivi che incitano all’odio, popolata non solo da giovani, infatti «i discorsi di incitamento all’odio siano molto diffusi sui social network ma non necessariamente solo tra gli utenti giovani: la fascia più attiva pare risultare quella dei 30 - 40enni».210

207 Zingari (Rom ecc.) 1: chiarimenti sulle loro origini. Dal sito YouTube.

208 L’uso dei social network ha visto una crescita esponenziale negli ultimi anni e coinvolge un numero sempre maggiore di popolazione. Secondo il 43° rapporto annuale del Censis (Centro studi investimenti sociali), pubblicato all’inizio dell’anno, sono 19,8 milioni gli italiani che hanno confidenza con almeno uno dei tanti social network esistenti. La conoscenza di Facebook e YouTube è massima tra i giovani di 14-29 anni (il 90,3% e l’89,2% rispettivamente), risulta elevata tra gli adulti (il 64,2% e il 64%) e scende notevolmente solo tra gli anziani (il 24,6% e il 22,9%), tra i quali è l’uso a essere praticamente nullo (intorno all’1,5%). Più della metà dei giovani, invece, utilizza Facebook (56,8%) e più di due terzi YouTube (67,8%), e non è trascurabile l’impiego di YouTube anche tra gli adulti (23,5%). Cfr. CENSIS, 2014.

209 Scaramella 2018 (a cura di), p.53.

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Alcune persone credono che sia giusto comportarsi in determinati modi anche se si tratta di odiare in quanto è un comportamento che riflette la società:

se io vedo che un politico incita all’odio, si esprime in maniera violenta, in maniera razzista, io faccio lo stesso, come componente di una società, no? Pensano che quella sia la libertà di espressione... Io non la vedo così, quindi se ovviamente io vedo che i miei genitori che si comportano in maniera negativa, [...] io seguo i miei genitori perché sono il mio esempio di vita...211

Per altre persone, invece, come già accennato nelle pagine precedenti, scrivere commenti volgari e offensivi non genera nessun tipo di paura (di essere puniti o di pagarla per aver scritto quel commento) in quanto su Internet tutti possono essere chiunque, e si crede quindi che

tra le principali cause del diffondersi dell’hate speech online ci sono l’anonimato, il senso di impunità, il non dover rispondere direttamente delle proprie azioni/parole di fronte a qualcuno di reale. Ciò che si teme è proprio questo, ovvero quanto viene inserito e circola su Internet rimbalza e si moltiplica, ottiene un’immensa visibilità, ma con la garanzia di un sostanziale anonimato. «Su Internet è molto più facile fare commenti offensivi perché possono creare profili falsi… si può dire ogni cosa che si pensa senza essere giudicati… giudicare senza essere giudicati».212

Di fronte a questi commenti si può decidere di rispondere, intervenire e reagire o semplicemente segnalare il commento in modo che venga eliminato perché ritenuto appunto inadatto. Anche se in ogni caso sembra non essere la soluzione per risolvere il problema della presenza di commenti d’odio in quanto «i commenti possono essere cancellati mentre le pagine è più difficile. Ma è inutile: i commenti possono anche essere cancellati ma poi ne vengono rifatti altri, se invece chiudi la pagina chiudi il problema».213 Così su Facebook si possono segnalare messaggi con parole e contenuti inappropriati:

in base al contenuto dell’ “attacco verbale” si possono identificare cinque diverse strategie per segnalare discorsi d’odio. Il primo passo da compiere è quindi quello di

211 Ivi, p.54.

212 Ibidem.

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valutare il contenuto del discorso e, in seguito, selezionare una delle principali strategie […]: denuncia penale, richiesta di rimozione del contenuto da parte dell’autore, segnalazione di contenuti illeciti/d’odio al Provider di Servizi Internet (ISP) che ospita contenuti ritenuti sgradevoli, notifica all’ufficio denunce - INACH - INHOPE - UNAR, una rete di uffici nazionali con il compito di raccogliere e trattare le denunce relative ai contenuti di istigazione all’odio o di contenuti illegali su Internet.214

Ci sono dei software che riconoscono l’hate words e non ne permettono la pubblicazione:

C’è chi ha identificato le parole proibite e le ha elencate in Google’s Official List of Bad Words; la scoperta è stata ripresa in vari siti ma va detto che le cosiddette offensive word list sono abbastanza comuni e hanno varie applicazioni nello sviluppo di software. […] Un altro tipico campo di applicazione sono i correttori ortografici, il completamento automatico e i sistemi di riconoscimento vocale e di riconoscimento della grafia. In questi casi si può ricorrere a due elenchi diversi, in base al grado di volgarità:

1 – parole altamente offensive che non vengono mai riconosciute

2 – parole meno offensive che vengono riconosciute ma mai proposte come suggerimento.215

Figura 11. PAROLACCE, SOFTWARE E LOCALIZZAZIONE DAL SITO TERMINOLOGIAETC.IT.

Il progetto PRISM216 (Preventing, Inhibiting and Redressing Hate Speech in New

Media) si propone di riflettere e far riflettere sulle sensazioni che provano i soggetti

214 Ivi, p.103.

215 Parolacce, software e localizzazione. 3 ottobre 2011. Dal sito terminologiaetc.it.

216 Il progetto Prism punta a sviluppare strategie e pratiche efficaci per un migliore uso del linguaggio, diffondendo la cultura del rispetto e superando la sottocultura della violenza verbale. «Le parole sono armi, questo lo slogan scelto per promuovere una maggiore consapevolezza sull’uso che si fa dei social media e per avviare un processo di

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colpiti: «la metodologia proposta è quella di un breve brainstorming volto a stimolare la partecipazione del gruppo e a trovare soluzioni in maniera partecipata e collaborativa»,217 partendo proprio dall’ «animare una discussione sulla responsabilità maggiore o minore dei media e sugli effetti che i loro contenuti possono suscitare sulla società».218

Una discussione e riflessione importante è proprio quella che si affronta sui commenti perché sono i commenti a contenere gli hate words. Di solito si trovano «commenti non d’accordo con il post - commenti d’accordo con il post - commenti intolleranti - commenti razzisti».219

Il razzismo è ormai talmente diffuso che sembra essere quasi normale che esista. È così diffuso che ci si è abituati

alle discriminazioni quotidiane, agli atteggiamenti attivi (e quindi consapevoli) di intolleranza verso gruppi di persone identificabili per la loro religione, il loro aspetto esteriore, le loro caratteristiche culturali, la loro sessualità. […] Agli atti linguistici che veicolano maleducazione (ad esempio, dare del tu a un immigrato pur non conoscendolo. […] È il razzismo dei discorsi che negano o mortificano i pensieri, i sentimenti e le esperienze di un individuo, […] quello dei luoghi comuni e delle leggende metropolitane ( i rom rubano i bambini), quello – rozzamente dissimulato – del non sono razzista però…[…] È il razzismo democratico, […] ha il suo lessico, i suoi stilemi stereotipati, le sue parole d’ordine: usi talmente radicati da sembrare normali, condivisi, universalmente e – acriticamente – accettati. È un razzismo a parole. Ma non per questo meno nocivo, meno condannabile, meno degradante.220

responsabilizzazione di tutti coloro che, per dolo, per ignoranza o semplicemente per ingenuità, credono che dietro a schermo e tastiera si possa dire qualsiasi cosa in qualsiasi forma. Hate/Love, Odio/Amore: questa la dicotomia richiamata per coinvolgere gli utenti a segnalare, e quindi a caricare direttamente sul sito, i post, i commenti, le notizie che incitano all’odio ma anche a promuovere tutti quelli che partecipano alla costruzione di una visione solidale, civile, etica e rispettosa dei diritti umani. PRISM intende scaricare le armi dell’odio e caricare in rete i valori positivi (upload) molto più di un blog; non solo un sito, ma uno strumento, un weapon buono con cui si può non solo studiare il fenomeno, ma agire: coinvolgendo il popolo della rete e la società».

217 Scaramella 2018 (a cura di), p.94.

218 Ivi, p.95.

219 Ivi, p.96.

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CAPITOLO 3