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Esprimersi in maniera corretta attraverso le osservazioni, le sensazioni, i

3. Verso una comunicazione non violenta

3.2 Esprimersi in maniera corretta attraverso le osservazioni, le sensazioni, i

bisogni e le richieste

L’analisi e la successiva applicazione nel parlato delle seguenti caratteristiche vuole far emergere come non esprimersi con violenza e soprattutto a rispondere alla violenza a un commento, a una dichiarazione, a un’opinione, a un parere ecc… in maniera non violenta.

LE OSSERVAZIONI

Quando si osserva non si dovrebbe mai essere influenzati dalla valutazione, dal dare giudizi su ciò che si vede. È davvero molto difficile astenersi dal dare giudizi perché prima di tutto si pensa di avere dei valori, valori che sono giusti sempre (per noi) e non si accetta di vedere qualcuno comportarsi in maniera diversa: si giudica e si

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etichetta sempre qualcuno quando fa, dice o sa cose diverse da quelle che facciamo, diciamo o sappiamo noi:

L’osservazione empatica deve manifestarsi nel dire semplicemente quello che altre persone fanno che a noi piace o non piace. […] Il filosofo indiano J. Krishnamurti una volta affermò che osservare senza valutare è la forma più elevata di intelligenza umana.249

Non riusciamo ad astenerci dal dare giudizi, dopo aver osservato, anche perché, come già detto, quando parliamo

tendiamo a improvvisare. […] Tendiamo dunque a privilegiare il vocabolario che ci è più consueto e a portata di mano: il vocabolario del nostro ambiente, quelle parole che sentiamo, diciamo e pensiamo più di frequente, cioè le più ‘disponibili’.250

A livello semantico per una comunicazione empatica si possono sempre distinguere le osservazioni separate dalle valutazioni (OSV) e le osservazioni mescolate con le

valutazioni (OMV):

Uso del verbo essere senza indicare che chi valuta si prende la responsabilità della valutazione:

OMV: “Sei troppo generoso”

OSV: “Quando ti vedo dare ad altri tutti i soldi del tuo pranzo penso che tu sia troppo generoso”,251

in questo modo si esprime una sorta di giustificazione di quello che diciamo;

Uso di verbi con connotazione valutativa: OMV: “Sergio rimanda sempre a domani”

OSV: “Sergio studia per gli esami soltanto la sera prima”,

Implicare che le deduzioni personali di qualcuno relative ai pensieri, ai sentimenti, alle intenzioni o ai desideri di una persona sono le sole possibili:

249 Ivi, p.28.

250 De Mauro 2003, p.128.

89 OMV: “Non riuscirà a consegnare il lavoro”

OSV: “Non penso che riuscirà a consegnare il lavoro; mi ha detto – non riuscirò a consegnare il lavoro”.252

Con questa espressione l’interlocutore ha avuto modo di avere la certezza relativa a quello che gli è stato detto. Un altro esempio in cui le osservazioni sono mescolate alle valutazioni riguarda la

confusione tra previsione e certezza:

OMV: “Se non fai pasti equilibrati, la tua salute ne risentirà”

OSV: “Se non fai pasti equilibrati, temo che la tua salute ne risentirà”,253

in questo caso con il verbo temere esprimiamo un nostro pensiero.

Mancanza di riferimenti specifici:

OMV: “Le minoranze etniche non si prendono cura delle loro proprietà”

OSV: “Non ho mai visto la famiglia di immigrati che abitano al n.25 spalare la neve dal loro marciapiedi”.254

In quest’ultimo caso eliminiamo il giudizio perché stiamo affermando qualcosa di oggettivo che abbiamo osservato con i nostri occhi, in una specifica situazione senza generalizzare.

Uso di parole che indicano abilità senza indicare che si tratta di una valutazione: OMV: “Paolo è molto scadente come giocatore di calcio”

OSV: “Paolo non ha segnato un gol in 20 partite”.255

La nozione più importante che emerge da queste distinzioni è che nelle frasi in cui le osservazioni sono mescolate con le valutazioni ci sono sempre delle generalizzazioni tanto potenti da poter creare situazioni scomode o offensive dovute all’uso delle parole, come l’uso dell’aggettivo scadente. Dagli altri esempi, invece, si può dedurre che il significato di una frase, quello che vogliamo trasmettere cambi

252 Ibidem.

253 Ibidem.

254 Ibidem.

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completamente con l’introduzione di un verbo, come per esempio temere. Inoltre, bisogna evidenziare che anche l’utilizzo di avverbi di tempo come sempre, mai,

ogni volta, spesso e raramente possono provocare il mescolamento fra osservazioni

e valutazioni se usati come esagerazioni, come nella frase “non ci sei mai quando ti chiamo”, queste parole provocano un atteggiamento di difesa e attacco e non di empatia. La frase potrebbe trasformarsi in “le ultime volte che ti ho chiamato non hai risposto” in modo da separare le osservazioni dalle valutazioni. O ancora la frase “viene qui spesso” potrebbe diventare “viene qui almeno tre volte a settimana”. (Ovviamente tre volte è utilizzato per esprimere il concetto di spesso anche se è molto relativo e il significato cambia in base al contesto).

LE SENSAZIONI (I SENTIMENTI)

Dopo aver correttamente osservato, dentro di noi si creeranno inevitabilmente dei sentimenti: espliciteremo come ci sentiamo. Questa seconda componente è spesso sottovalutata, o meglio, a essere sottovalutate sono le parole che ci consentono di esprimere il nostro stato emotivo in maniera chiara. I sentimenti in alcuni ambiti come nelle scuole, «non sono ritenuti importanti […]».256 Grazie a un esempio, riguardo alla sua vita personale, Rosenberg nota e riporta che di rado gli è capitato di sentire una maestra chiedergli come si fosse sentito, infatti

quello che conta è ‘il modo giusto di pensare’- come viene definito da coloro che occupano posizioni di ruolo e di autorità. Ci viene insegnato ad essere ‘orientati verso gli altri’ anziché ad essere in contatto con noi stessi. Impariamo a ‘rifugiarci nella nostra testa’ chiedendoci che cos’è che gli altri pensano che sia giusto che io dica o faccia.257

Per questo può essere difficile esprimere i nostri sentimenti, proprio perché non siamo mai stati abituati a farlo. Linguisticamente talvolta tendiamo a confondere il verbo sentire con il verbo pensare. In alcune frasi pur utilizzando il verbo sentire non esprimiamo alcun sentimento.

256 Ivi, p.62.

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Ad esempio, nella frase - Mi sento di non aver fatto un buon affare - le parole ‘mi sento’ potrebbero essere sostituite, con maggior precisione, da ‘penso’. In generale, i sentimenti non sono espressi in modo chiaro quando il verbo sentire è seguito da:

Parole quali ‘che, come, come se’: “sento che dovresti saperne di più” “mi sento come se vivessi con un muro”

I pronomi personali (io, tu, lui, lei, voi, loro): “sento che (io) sono sempre in servizio” “mi sento che (lui) è inutile”

Nomi riferiti a persone:

“sento che Amelia è stata molto responsabile”

“sento che il mio capo si comporta da manipolatore.258

Esiste un catalogo di parole che utilizziamo erroneamente quando ci viene chiesto di esprimere i nostri sentimenti. «Parole come ‘ignorato’ o ‘frainteso’ esprimono il modo in cui interpretiamo gli altri […] – mi sento ignorato – è più un’interpretazione delle azioni di altri che non una chiara affermazione di quello che sentiamo»,259 è l’espressione di come ci sentiamo trattati da qualcuno e non il nostro reale sentimento. Se pensiamo di essere ignorati potremmo sentirci o sollevati se non avevamo voglia di partecipare o tristi se invece volevamo essere coinvolti. Alcune delle parole che appartengono a questo categoria sono:

abbandonato, costretto, imbrogliato, imprigionato, ingannato, interrotto, intimidito, manipolato, messo con le spalle al muro, messo sotto pressione, minacciato, molestato, non appoggiato, non voluto, piantato in asso, sfruttato, sminuito, tradito, ferito, umiliato, usato.260

Se i termini sopracitati non sono in grado di esprimere i nostri sentimenti, Rosenberg suggerisce di

258 Ivi, p.67.

259 Ivi, p.69.

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costruire un vocabolario di sentimenti […], servirsi di parole che fanno riferimento a parole specifiche, piuttosto che parole vaghe e generiche. Ad esempio, se diciamo - mi sento bene a proposito di quella cosa - , la parola ‘bene’ potrebbe voler dire lieto, sollevato, eccitato ecc.261

Parole chiare e precise che esprimono i nostri sentimenti di benessere possono essere:

a mio agio, affettuoso, allegro, amorevole, appagato, appassionato, audace, beato, brillante, brioso, calmo, caloroso, compiaciuto, contento, di buon umore, deliziato, divertito, emozionato, entusiasta, felice, gioioso/pieno di gioia, grato, in armonia, in pace, intenerito, ispirato, interessato, libero, meravigliato, ottimista, pieno di ammirazione/energia, raggiante, rilassato, sensibile, sicuro, soddisfatto, sorpreso, spensierato, speranzoso, stregato, toccato, tranquillo, vigile, vivace.262

Parole chiare e precise che esprimono, invece, i nostri sentimenti di malessere possono essere:

a disagio, abbattuto, addolorato, adirato, affaticato, afflitto, agitato, amareggiato, angosciato, annoiato, ansioso, arrabbiato, avverso, colpevole, confuso, contrariato, deluso, demoralizzato, depresso, di malumore, disgustato, disperato, dispiaciuto, dubbioso, esausto, freddo, frustrato, furioso, geloso, imbarazzato, impaurito, impaziente, inappagato, indifeso, infastidito, infelice, inquieto, insoddisfatto,

invidioso, malinconico, nervoso, pensieroso, perplesso pieno di

paura/vergogna/rancore, rattristrato, scioccato, scocciato, scontento, scoraggiato, scosso, senza energia, sfinito, solo, spaventato, stressato, stufo, timoroso, titubante, triste, turbato.263

LA RICEZIONE DEI MESSAGGI NEGATIVI (I BISOGNI)

La terza componente che permette di avere un atteggiamento empatico nei confronti della comunicazione è l’analisi dei nostri bisogni in relazione ai nostri sentimenti. La manifestazione di questi ultimi è il risultato di come noi stessi reagiamo di fronte

261 Ivi, p.70.

262 Ibidem.

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a quello che gli altri dicono o fanno, in base ai nostri bisogni e alle aspettative che abbiamo in quel determinato momento. Quando una persona manda un messaggio negativo abbiamo quattro possibili modi di riceverlo e quindi, anche quattro diverse reazioni. Di fronte alla frase:

Sei la persona più egocentrica che io abbia mai incontrato! - potremmo reagire: 1 - incolpando noi stessi e rispondere: - Oh, avrei dovuto mostrarmi più sensibile -

2 - incolpando gli altri e ribattere: - Non hai alcun diritto di parlare così. Io tengo sempre in considerazione i tuoi bisogni. Sei tu quello veramente egoista -

3 - percependo i nostri sentimenti e bisogni e rispondere: - Quando ti sento dire che sono la persona più egocentrica che tu abbia mai incontrato, mi sento addolorato, perché ho bisogno che i miei sforzi nel tener conto delle tue preferenze siano in qualche misura riconosciuti -

4 - percependo i sentimenti e i bisogni dell’altro e chiedere: - Ti senti amareggiato perché hai bisogno che le tue preferenze siano tenute in maggiore considerezione?264

Quando ci sentiamo in colpa pensiamo di essere la causa dell’infelicità di qualcun altro e per questo non assumiamo un atteggiamento empatico ma modifichiamo il nostro comportamento per non sentirci in colpa come nel precedente esempio numero 1. La migliore maniera per esprimersi in maniera empatica e non ostile sarebbe seguire ed esprimersi come riportato nell’esempio numero 3 e 4.

Nel parlato esistono degli schemi linguistici che ostacolano l’espressione dei nostri reali sentimenti, alcuni di questi sono:

l’utilizzo di espressioni o pronomi impersonali, come ‘ciò’, ‘questo’: - Mi fa davvero arrabbiare quando ci sono degli errori di grammatica nei nostri volantini, questo mi secca molto.

Affermazioni che nominano soltanto le azioni altrui: - La mamma è triste se non finisci il tuo pranzo.

Usare l’espressione: - Mi sento… (in un certo modo) perché… - seguita da un nome o un pronome diverso da ‘io’: - Mi sento arrabbiata perché il supervisore non ha mantenuto la sua promessa.265

264 Ivi, p.74.

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Sarebbe opportuno e indispensabile giustificare i sentimenti che proviamo e cercare di rispondere alla domanda: ‘perché mi sento così?’, in questo modo collegheremo il nostro sentimento a un bisogno e le frasi negli esempi sopracitati si trasformerebbero diventando i seguenti:

Mi sento davvero arrabbiato quando ci sono errori di grammatica nei nostri volantini, perché (io) voglio che la nostra impresa dia di sé un’immagine professionale.

Quando non finisci il tuo pranzo, la mamma si sente triste perché (io) desidero che tu cresca forte e sano.

Mi sento arrabbiato per il fatto che il supervisore non abbia mantenuto la sua promessa, perché (io) contavo di aver libero quel fine settimana per andare a trovare mio fratello.266

È fondamentale imparare a esprimere i propri bisogni anche se è altrettanto fondamentale pensare in termini di bisogni per una comunicazione empatica è una componente fondamentale, che tuttavia non è insegnata a livello scolastico istituzionale.

«Siamo abituati invece a chiederci che cos’è che non va nelle altre persone quando i nostri bisogni non sono soddisfatti»,267 modo di pensare ed esprimersi che induce a incolpare e a giudicare qualcuno e a provare sentimenti spiacevoli di rabbia o di insoddisfazione.

Può anche avvenire l’opposto, ovvero possiamo essere giudicati se esprimiamo i nostri bisogni, cioè essere l’oggetto del giudizio e si può dire che proprio il seguente pensiero le ha rese passive e impotenti di fronte al loro essere considerate inferiori:

Le donne soprattutto sono oggetto di critica. Per secoli l’immagine della donna amorevole è stata associata al sacrificio e alla negazione dei propri bisogni, allo scopo di prendersi cura di quelli degli altri. Poiché le donne sono educate a vedere come loro dovere più importante quello di prendersi cura degli altri, spesso hanno imparato ad ignorare i loro bisogni personali.268

Risulta, quindi, molto importante

266 Ibidem.

267 Ivi, p.78.

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esprimere i nostri bisogni in modo diretto, attraverso l’uso di valutazioni, interpretazioni e immagini, gli altri probabilmente vi sentiranno una critica. E quando le persone sentono qualcosa che suona come una critica, tendono ad investire le loro energie nella difesa o nel contrattacco.269

In quest’ultimo caso la comunicazione si trasformerebbe in una comunicazione violenta e aggressiva senza empatia. Per questo motivo è fondamentale collegare in maniera diretta i bisogni con i sentimenti per favorire l’empatia. Un esempio dell’espressione empatica dei nostri bisogni è racchiuso nella frase: «Ho bisogno di maggiore rispetto nel nostro dialogo. Invece di dirci come pensi che ci comportiamo, potresti dirci cos’è che facciamo che trovi fastidioso».270

LE RICHIESTE

La quarta e ultima componente che aiuta a implementare un linguaggio non violento è l’espressione di «che cosa vorremmo chiedere agli altri».271 Il primo passo per «esprimere le nostre richieste e per far sì che gli altri rispondano con empatia ai nostri bisogni è l’utilizzo di un linguaggio positivo nel formulare le richieste».272 Le richieste vanno espresse con chiarezza per evitare eventuali incomprensioni come nell’esempio che segue, dove una moglie non è in grado di esprimere correttamente i suoi bisogni nelle richiesta al marito: «Chiesi a mio marito di non passare così tanto tempo a lavoro. Tre settimane più tardi, mi rispose annunciando che si era iscritto a un torneo di golf!».273 È evidente che la richiesta della moglie

non combaciava con i suoi sentimenti e bisogni. Era riuscita a comunicargli quello che non voleva ma non quello che voleva. La riformulazione della sua richiesta con altre parole per esprimere i suoi bisogni sarebbe stata: «Vorrei avergli detto che desideravo che lui trascorresse almeno una sera alla settimana a casa con me e i bambini».274 Questo esempio vuole dimostrare che possiamo ottenere ciò che

vogliamo soltanto se facciamo richieste con un linguaggio chiaro, positivo e concreto: 269 Ivi, p.77. 270 Ivi, p.79. 271 Ivi, p.93. 272 Ibidem. 273 Ivi, p.94. 274 Ibidem.

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Spesso tutti noi usiamo un linguaggio vago ed astratto per indicare come vorremmo che gli altri agissero o si sentissero, senza specificare le azioni concrete che potrebbero intraprendere per arrivare ad essere o a sentirsi in quel modo; ad esempio, un datore di lavoro che si rivolge ai suoi dipendenti dicendo loro:

- Voglio che vi sentiate liberi di esprimervi in mia presenza -, comunica il suo desiderio nei confronti dei suoi dipendenti ovvero che si sentano liberi, ma non spiega ciò che essi potrebbero fare per sentirsi tali. Se egli usasse un linguaggio d’azione positivo per fare la sua richiesta, questa potrebbe suonare così:

- Vorrei che mi diceste che cosa posso fare per aiutarvi a sentirvi liberi di esprimervi in mia presenza.275

D’altra parte sarebbe corretto che l’interlocutore di fronte a una richiesta dicesse di aver compreso il messaggio. Di conseguenza si potrà chiedere al nostro interlocutore di ripeterlo. «Affermazioni come - Non mi hai sentito bene - oppure, - Non è quello che ho detto - oppure, - Mi hai frainteso -, possono condurre l’interlocutore a pensare che lo si stia criticando»,276 e quest’ultimo potrebbe

rispondere con delle frasi che fanno intendere quanto si senta criticato «Cosa pensi che sia sordo?, - ho sentito quello che hai detto, non sono mica stupido!».277 Ecco perché sarebbe opportuno spiegare al nostro interlocutore che, con quelle domande, stiamo solo controllando di esserci espressi in maniera chiara e non per mettere in dubbio le sue qualità di comprensione.

Molto spesso si tende a confondere la parola richiesta con la parola pretesa e viceversa. Nel significato di pretesa si incontra la seguente definizione:

il fatto di pretendere, e anche ciò che si pretende: accampare, avanzare una p., delle p.; spesso con connotazione negativa, richiesta assurda e immotivata: questa è una bella p.; ma senti che pretese!; avere la p. di ..., con un verbo all’infinito, ostentare pregi o qualità che non si possiedono: ha la p. di essere elegante; ha la p. di saper cucinare; con funzione di avv. o di agg. la locuz. con (o di) qualche p., di persona (o cosa) che vuole apparire più di quanto non sia: la casa è arredata con qualche p.; mi sembra gente con

275 Ivi, p.97-98.

276 Ivi, p.103.

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qualche p.; era solo una bettola … con decorazioni di qualche p., festoni di carta a colori e fronde avvizzite sul muro (Arbasino).278

D’altra parte la richiesta riguarda proprio

l’azione di richiedere, il fatto di venire richiesto, il modo con cui si effettua e ciò stesso che si richiede: fare, accettare, accogliere, soddisfare, rifiutare, eludere una r.; la sua r. mi ha colto di sorpresa; è seccato da continue r.; r. di mano d’opera; r. di denaro; la r. mi pare eccessiva, sproporzionata, oppure onesta, mite, giusta, moderata.279

Le pretese creano sentimenti negativi in chi le riceve e soprattutto creano un sentimento di paura di essere incolpati o puniti se non ci si conforma ad esse. La richiesta invece non è forzata, è il desiderio che qualcuno obbedisca solo se lo fa volentieri. Riusciamo a distinguere una richiesta da una pretesa anche dal modo in cui viene formulata la domanda, ad esempio: saresti disponibile ad apparecchiare

la tavola? è diverso da apparecchia la tavola. Ovviamente nel primo caso si

formula una richiesta e nel secondo una pretesa.

Se siamo pronti a mostrare una comprensione empatica di ciò che impedisce agli altri di fare ciò che abbiamo chiesto, allora abbiamo espresso una richiesta e non una pretesa […], quando esprimiamo una richiesta è utile anche verificare che nella nostra mente non vi siano pensieri del tipo seguente, i quali trasformano automaticamente in pretese le richieste:

Dovrebbe pulire dove ha sporcato. È il suo dovere fare quello che le dico. Merito un aumento di stipendio.

Sono giustificato per farli rimanere fino a tardi. Ho diritto ad avere maggior tempo libero.

Quando formuliamo i nostri bisogni in questi modi, finiamo per giudicare gli altri quando non fanno quello che chiediamo.280

278 Vocabolario Treccani, s.v. pretesa.

279 Vocabolario Treccani, s.v. richiesta.

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