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Le parole volgari: un’analisi sulle parole di genere dal maschile al femminile

3. Verso una comunicazione non violenta

3.1 Le parole volgari: un’analisi sulle parole di genere dal maschile al femminile

Molte parole si definiscono per la loro accezione negativa e molte rientrano con la denominazione volg. nei dizionari. Ad esempio lo Zingarelli

assegna il limite d’uso volg. a 168 lemmi. […] Volg. sta ovviamente per volgare: sono le parole che andrebbero usate solo in contesti volgari, ovvero parole che hanno il potere di far diventare volgare il contesto in cui ricorrono. Ma forse il concetto stesso di volgarità andrebbe ormai riformulato.221

Il confine tra il significato delle parole violento e volgare è molto sottile. La volgarità è un «modo di comportarsi, e soprattutto di esprimersi, volgare; gesto, frase, parola volgare».222 Quindi, definita così, non è detto che una parola volgare possa o debba per forza ferire. È una maniera scorretta di esprimersi e sicuramente una maniera non troppo apprezzata in contesti soprattutto formali, a differenza della parola violenta, che ha proprio l’intento di ferire perché indirizzata a qualcuno. O meglio, una persona violenta «usa con facilità e brutalità la propria forza fisica o altri mezzi di coercizione per imporsi ad altri, per sfogare i propri impulsi, o anche che è portata a fare del male e a vessare gli altri per indole e per carattere».223 Mentre, se prendiamo una persona volgare la definiamo come «priva di cultura e di educazione, di finezza, di eleganza nei modi e nella sensibilità; grossolana, ordinaria, rozza».224

Tutto sommato è molto possibile che la volgarità sfoci nella violenza e che quindi un linguaggio violento, tipicamente, si contraddistingua per la presenza di parole volgari. Infatti ci sono delle parole che in un primo momento possono sembrare

semplicemente parole volgari ma con un evidente e implicito significato di violenza.

221 Bartezzaghi 2011, p.117.

222 Vocabolario Treccani, s.v. volgarità.

223 Ivi, s.v. violento.

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Il problema è proprio questo, molto spesso le parole volgari possono essere celate,

nascoste in espressioni che sembrano del tutto innocue, possono essere costituite

da perifrasi che sono diventate frasi spregiative e stereotipate usate per ferire e offendere, così tanto comuni ed entrate nel parlato. A fatica si percepisce lo sfondo di dispezzo che esse sprigionano. Un esempio a riguardo lo si può fare in relazione a parole

che al maschile hanno il loro legittimo significato ma se declinate al femminile, assumono improvvisamente un altro senso, cambiano radicalmente, diventano luogo comune; luogo comune un po’ equivoco che poi, a guardar bene, è sempre lo stesso, ovvero un lieve ammiccamento verso la prostituzione.225

Questo si può notare nel passaggio dalla parola al maschile al femminile negli esempi che seguono:

un massaggiatore: un cinesiterapista. Una massaggiatrice: una… mignotta […], un uomo disponibile: un uomo gentile e premuroso. Una donna disponibile: una… mignotta. […] Uno squillo: il suono del telefono. Una squillo... dai non lo dico nemmeno. […] Un gatto morto: un felino deceduto. Una gattamorta: una …mignotta. Uno zoccolo: una calzatura di campagna. Una zoccola…226

Risulta abbastanza strano, incomprensibile e inaccettabile assegnare a un nome femminile una valenza negativa, ma questi piccoli dettagli di genere che sono insiti nelle parole hanno portato a considerare, in alcuni casi, come in quelli sopracitati, proprio la donna come un essere inferiore, che deve proteggersi da assalti e violenze che potrebbe ricevere in qualsiasi momento.

È evidente che la discriminazione è parte del lessico e non sempre se ne ha la totale consapevolezza, ma riflettendoci bene un po’ la si percepisce, la si avverte. In maniera molto ironica si pensa che si tratti soltanto di parole:

225 Il monologo di Paola Cortellesi – in occasione della consegna del Premio David di Donatello 2018. Dal sito Youtube. La 62ª edizione dei David di Donatello si è aperta su Rai1 mercoledì sera 21 marzo con un monologo contro la violenza sulle donne. A recitarlo l’attrice Paola Cortellesi che, al centro del palcoscenico, esordisce con un elenco di stereotipi che poi svela essere stato scritto dal noto giornalista ed enigmista Stefano Bartezzaghi. Nell’elenco si fanno dei parallelismi che portano alla luce numerose e clamorose discriminazioni, esistenti già nel lessico italiano, sulla donna.

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[…] certo, se le parole fossero la traduzione dei pensieri, allora sarebbe grave, sarebbe proprio un incubo fin da piccoli. Eh, sì. All’asilo, un bambino maschio potrebbe iniziare a maturare l’idea che le bambine siano meno importanti di lui. Da ragazzo potrebbe crescere nell’equivoco che le ragazze in qualche modo siano di sua proprietà. Da adulto potrebbe – è solo un’ipotesi! – pensare sia giusto che le sue colleghe vengano pagate meno e, a quel punto, non gli sembrerebbe grave neppure offenderle, deriderle, toccarle, palpeggiarle, come si fa con la frutta matura o per controllare le mucche da latte. Se fosse così potrebbe anche diventare pericoloso. Sí sí. Una donna adulta, o anche giovanissima, potrebbe essere aggredita, picchiata, sfregiata dall’uomo che l’ama. Uno che l’ama talmente tanto da pensare che lei e anche la sua vita sono roba sua, roba sua, e quindi può farne quello che vuole. Per fortuna, sono soltanto parole, solo parole, per carità!227

Diciamo ironicamente proprio perché in realtà le parole sono o dovrebbero essere la traduzione dei pensieri. Così, invece, è facile poi arrivare a scrivere o a pronunciare un commento nella realtà, ma anche nella virtualità del tipo: «Brava, sei una donna con le palle! Chissà quella cosa ha fatto per lavorare? Certo, anche lei, però, se va in giro vestita così! Dovresti essere contenta se ti guardano! Lascia stare: sono cose da maschi! Te la sei cercata!».228

Oltre a questi dettagli linguistici di una singola parola che cambiano radicalmente il significato se declinati dal maschile al femminile, bisogna tenere conto il modo in cui è vista la donna:

la rappresentazione delle donne attraverso il linguaggio costituisce ormai da molti anni un argomento di riflessione per la comunità scientifica internazionale, ma anche per il mondo politico e, oggi, sempre più anche per quello economico. In Italia numerosi studi, a partire dal lavoro Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, pubblicato nel 1987 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno messo in evidenza che la figura femminile viene spesso svilita dall’uso di un linguaggio stereotipato che ne dà un’immagine negativa, o quanto meno subalterna rispetto all’uomo. Inoltre, in italiano e in tutte le lingue che distinguono morfologicamente il genere grammaticale maschile e quello femminile (francese, spagnolo, tedesco, ecc.), la donna risulta spesso nascosta “dentro” il genere grammaticale maschile, che viene usato in riferimento a donne e uomini (gli spettatori, i cittadini, ecc.). Frequentissimo è anche l’uso della forma

227 Ibidem.

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maschile anziché femminile per i titoli professionali e per i ruoli istituzionali riferiti alle donne: sindaco e non sindaca, chirurgo e non chirurga, ingegnere e non ingegnera, ecc…229

C’è quindi qualcosa che manca, che non funziona proprio a partire dal linguaggio, tuttavia si può fare qualcosa per modificare queste barriere e preconcetti linguistici, un’ostilità che giornalmente ferisce, partendo dall’analisi del sentire empatico.

3.1.1 L’importanza dell’empatia nella comunicazione non violenta (CNV), in opposizione all’ostilità

La teoria dell’empatia sviluppata da Piaget si è iniziata ad affermare a partire dagli anni Sessanta e «ha messo in primo piano il ruolo del giudizio morale, cioè i criteri usati dai bambini a diverse età per valutare le azioni come buone o cattive, giuste o ingiuste».230 Infatti, è durante l’infanzia che i bambini iniziano a stabilire delle «tendenze alla simpatia e relazioni affettive in cui è facile trovare gli elementi costitutivi di tutte le condotte morali ulteriori».231 Quindi il ruolo delle emozioni nel comportamento morale non deve essere assolutamente sottovalutato in quanto sono proprio le emozioni «a dotare le regole sociali del senso di obbligo che le caratterizza e che induce le persone ad adeguare a esse la propria condotta».232 Rispetto, cooperazione, capacità di ascoltare, ascoltare profondamente, mettersi nei panni di qualcuno, immedesimarsi in una situazione, capire davvero questo qualcuno, sono tutti ingredienti che caratterizzano il sentimento dell’empatia. L’empatia viene definita come la «capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro».233 È un processo molto complicato che permette di accedere agli stati d’animo dell’altro. Molto spesso si pensa che l’empatia sia più sviluppata in alcuni e meno in altri ma in realtà questa capacità di sentire il sentimento dell’altro lo possediamo tutti da quando siamo bambini:

229 Cecilia Robustelli, Infermiera si, ingegnera no? 8 Marzo 2013. Dal sito https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/infermiera-s-ingegnera-no/7368

230 Hoffman 2008, p.14.

231 Ibidem, Piaget 1932.

232 Hoffman 2008, p.14.

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man mano che i bambini diventano capaci di interagire con i coetanei, si instaurano rapporti di cooperazione in cui nessuno (dato che non ci sono differenze di potere o di autorità) può imporsi all’altro. […] I bambini giungono a costruire spontaneamente […] sia dei principi generali di giustizia, fino a capire la necessità di trattare gli altri come essi stessi vorrebbero essere trattati. Il rispetto di queste regole e questi principi deriva dalla sensibilità dei bambini per i sentimenti degli altri e dal desiderio di continuare a mantenere con essi dei rapporti basati sulla cooperazione e il mutuo rispetto.234

Nonostante ciò, questa ipotesi, portata avanti da Piaget, rimane non verificabile empiricamente, così, sempre all’inizio degli anni Sessanta, Hoffman cerca di «estendere lo studio del comportamento morale all’altruismo e alla considerazione per gli altri, e di includere anche il dispiacere empatico tra le emozioni moralmente rilevanti».235

In questa nuova teoria Hoffman si concentra sulla «considerazione per gli altri – quella che spesso è chiamata etica del prendersi cura – ma include anche la giustizia e la relazione tra il prendersi cura e la giustizia».236

La mancanza di empatia è strettamente correlata al sentimento della sofferenza. I problemi morali sono molti e nascono con il porsi varie domande del tipo:

la persona darà aiuto? e, se non lo fa, come si sentirà? […] La persona eviterà di nuocere all’altro? e, in caso contrario, si sentirà colpevole? […] A chi dare aiuto? La persona si sentirà colpevole per aver trascurato gli atri? […] Quale principio prevarrà? La cura o la giustizia? E ci sentiremo colpevoli per aver violato l’altro principio? […] Questi dilemmi sono particolarmente importanti in società come le nostre, che stanno diventando sempre più diversificate culturalmente.237

Ci si sente male nel sapere che qualcuno sta male e che sta attraversando un periodo difficile anche se in realtà non si soffre in prima persona (ad esempio come può avvenire per i commenti spregevoli sui social); anche se non si è i destinatari di

234 Hoffman 2008, p.15.

235 Ibidem.

236 Ivi, p.23.

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quell’offesa la si percepisce in maniera talmente forte che ci si immerge nel sentimento e nella sofferenza altrui. In questo caso l’empatia

è definita come una risposta affettiva più consona alla situazione di un altro che non alla propria. Ogni situazione è caratterizzata da sofferenza empatica – si soffre ad osservare qualcuno che soffre – e da una o più motivazioni derivate da tale sofferenza: sofferenza simpatetica, rabbia empatica, sentimento empatico di ingiustizia, senso di colpa.238

Nella comunicazione, soprattutto in quella non violenta, l’empatia gioca un ruolo importantissimo. Ci sono due domande che hanno accompagnato Marshall Rosenberg, scrittore e psicologo statunitense del ’900, nel corso della maggior parte della sua vita:

- Che cos’è che ci fa allontanare dalla nostra natura empatica, portandoci a tenere comportamenti violenti e strumentalizzanti?

- Cos’è invece che permette ad alcune persone di rimanere collegate alla loro natura empatica anche nelle circostanze più difficili?239

Per rispondere alla prima domanda, analizza proprio il significato di violenza

parlata che riguarda l’uso inappropriato delle parole nella costruzione di una frase,

quindi la scelta di parole troppo forti, aggressive, violente che possono ferire e che sono portatrici di ostilità: «[dal lat. tardo hostilĭtas -atis]. – Atteggiamento ostile; sentimento o comportamento malevolo, contrario, da nemico».240 Il contrario di ostilità sarebbe amichevole, benevolente ecc… Sono interessanti i correlati della parola ostile che propone il Vocabolario Garzanti: «spietato – che non ha pietà, crudele, inesorabile e maligno – che ha la tendenza a pensare o a parlare male del prossimo o a vedere il male dove non c’è».241 In ogni caso «molta dell’ostilità parte da quel processo alle intenzioni preventivo che si da rispetto alle intenzioni altrui».242

238 Ibidem.

239 Rosenberg 2017, p.23.

240 Vocabolario Treccani, s.v. ostilità.

241 Vocabolario Garzanti, correlati di ostile.

242 Alberto Fedel (Partner @Newton Management Innovation di Parole O_Stili). Plenaria Parole O_Stili. Dal sito YouTube.

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La violenza parlata secondo Rosenberg si genera da quelli che lui chiama «giudizi moralistici»243 che, come già approfondito nel capitolo 2, esprimono il torto o la cattiveria nei confronti di chi non agisce come agiremmo noi e così siamo portati ad insultare, a etichettare e così via.

Ciò che invece permette ad alcune persone di rimanere collegate alla natura empatica anche nelle circostanze più difficili è uno specifico approccio alla comunicazione, alla parola, all’ascolto che porta a

dare dal cuore: chiamo questo approccio Comunicazione Nonviolenta (CNV), utilizzando il termine “nonviolenza” nel modo in cui lo usava Gandhi – per fare riferimento al nostro stato naturale di empatia, quando la violenza ha ceduto posto al cuore. Anche quando non consideriamo “violento” il modo in cui parliamo, le nostre parole spesso portano al dolore e al ferimento sia di noi stessi che degli altri.244

Con il termine empatia «termine derivato dal greco ἐν, “in”, e -πάθεια, dalla radice παθ- del verbo πάσχω, “soffro”, sul calco del tedesco Einfühlung»,245 non si vuole soltanto definire la semplice capacità di mettersi nei panni dell’altro ma anche il modo in cui questa capacità si realizza ovvero «in modo immediato e talvolta senza far ricorso alla comunicazione verbale».246

La capacità empatica nel suo significato a livello comunicazionale è

una modalità comunicativa che esige una capacità costante di valutare il tipo d’interazione che si sta svolgendo, tenendo conto della globalità dei linguaggi (verbali e infraverbali) e del grado di prossimità (o distanza) dall’intimità e sintonia. La comunicazione empatica implica, infatti, un attento rispetto dei tempi e delle modalità di apertura - e quindi di risposta - dell’interlocutore, in particolare per quanto riguarda la capacità di utilizzare soltanto le informazioni che egli ha spontaneamente fornito su sé stesso, con la chiara esclusione, cioè, di ogni sollecitazione di tipo interpretativo.247

243 Rosenberg 2017, p.39.

244 Ivi, p.25.

245 Vocabolario Treccani, s.v. empatia.

246 Ibidem.

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Nella CNV, che prevede una voglia reciproca di dare dal cuore, ci sono quattro componenti fondamentali che includono un atteggiamento empatico verso la comunicazione: le osservazioni, le sensazioni, i bisogni e le richieste.

Segue poi un’analisi di questi quattro elementi caratterizzanti e di come essi sono così potenti in grado di poter cambiare un intero modo di comunicare:

la CNV ci guida nel ripensare il modo in cui esprimiamo noi stessi ed ascoltiamo gli altri. Invece di limitarsi ad essere reazioni automatiche, abituali, le nostre parole diventano risposte coscienti, basate sulla solida consapevolezza di ciò che percepiamo, ciò che sentiamo e ciò che vogliamo. Siamo perciò indotti a esprimere noi stessi con onestà e chiarezza, prestando agli altri allo stesso tempo un’attenzione rispettosa ed empatica.248

Si tratta di un modo che vede la sua applicazione concreta nell’educazione nelle scuole e anche nelle aziende e promuove una crescita a livello linguistico, collaborativo e umano.