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Hate speech e Hate words nei media e online

2. Le parole che feriscono

2.3 Hate speech e Hate words nei media e online

Il contenuto di quello che scriviamo o diciamo dipende dalle parole di cui ci serviamo per trasmettere questo contenuto. Quindi spetta all’emittente scegliere le giuste parole per esprimersi in maniera corretta tra tanti modi di esporre. Un ruolo importante che spesso viene sottovalutato ce l’ha il destinatario. L’emittente, quindi, sceglie (tra tanti modi di esprimersi) l’espressione «pertinente dal punto di vista dei fini del discorso dinanzi a determinati destinatari».164

Questa sopracitata non è una regola, nel linguaggio non esiste nulla di troppo calcolato, infatti la lingua è dinamica e flessibile; tuttavia se si prestasse un’elevata attenzione a come si usano le parole e soprattutto a chi sono rivolte si potrebbe evitare di inciampare in quell’odio verbale che colpisce sempre di più soprattutto soggetti sui social network e che dilaga online. Piace sempre di più esprimere la propria idea, lasciarla scritta sotto un articolo o un post attraverso un commento. Il commento (che si lascia sotto un post), però, non dovrebbe ferire, danneggiare la sensibilità di nessuno e tantomeno offenderlo. Eppure è diventato sempre più comune che succeda il contrario. Molti credono che online sia tutto anonimo e più falsificabile ma

la maggior parte dei profili online che appaiono come anonimi sono in realtà facilmente rintracciabili dalle autorità giudiziarie in caso di reato e che essere veramente anonimi in rete richiede un grado di conoscenza del funzionamento della stessa che va oltre le capacità di una persona media.165

Per assurdo, c’è a chi non importa di apparire anonimo lasciando messaggi xenofobi e razzisti sul web; queste persone «non si curano minimamente di nascondere la

163 De Mauro 2016.

164 De Mauro 2003, p.139.

165 Scaramella 2018 (a cura di), p. 16. L’autrice per l’Arci ha coordinato il progetto PRISM. Preventing, Inhibiting and

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propria identità perché non percepiscono come illeciti o illegittimi i contenuti che pubblicano, né ne provano vergogna».166

Nonostante ciò pochi o nessun provvedimento o sanzione sembra essere applicata dalle autorità nei confronti di tali contenuti illeciti che si diffondono sempre di più e si moltiplicano a una rapidità impressionante in Internet. Anzi, Internet e in particolare i social media rappresentano ormai un mezzo per far risuonare sempre di più tali oscenità e contenuti d’odio per arrivare sempre a più persone:

la facilità nel poter nascondere la propria identità (per quanto in maniera illusoria nella maggior parte dei casi), l’immediatezza, la pervasività e diffusività dei contenuti erga omnes, l’amplificazione del messaggio, la sua replicabilità (tra più utenti, su più piattaforme), la sua validazione sociale (attraverso i like su Facebook o le condivisioni), la sua persistenza in rete e le limitazioni al diritto all’oblio.167

Un ruolo che Internet ha sempre avuto è quello di diffondere messaggi, informare e far conoscere in maniera rapida e veloce ai suoi utenti. «Il mondo dell’informazione ha vissuto negli ultimi anni cambiamenti notevolissimi che hanno avuto ricadute importanti sul modo di produrre, diffondere e consumare notizie».168

Questa nuova forma di italiano digitato e digitale ha permesso lo sviluppo di una scrittura brachigrafica e tachigrafica «ovvero utile per scrivere in modo più breve (dal greco brachys, corto) e più veloce (tachys, rapido)».169 L’evoluzione tecnologica ha creato la possibilità di ricevere notizie e informare le persone in qualsiasi momento. Notizie concise con una diversa organizzazione sintattica: «periodi più brevi, che contengono meno parole e meno proposizioni».170

In questo modo si sono affermati anche gli hate speech pieni delle annesse hate

words, che fanno intendere che ci troviamo di fronte a una informazione che

danneggia e che andrebbe arrestata e non promulgata.

Secondo i dati raccolti dall’Office for Democratic Institutions and Human Rights dell’Ocse (ODIHR), 166 Ibidem. 167 Ibidem. 168 Antonelli 2007, p.103. 169 Ivi, p.165. 170 Ivi, p.104.

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nel 2013 le forze dell’ordine italiane hanno registrato 472 casi di crimini d’odio, un numero decisamente maggiore rispetto agli anni precedenti, […] per la prima volta le discriminazioni online hanno superato quelle registrate nell’ambito della vita pubblica e l’ambiente lavorativo. Più di un quarto dei casi rilevati o segnalati (26,2%) si riferisce ai mass media (contro il 16,8% del 2012). (48%) riguardano discriminazioni su base religiosa; 194 (41%) riguardano fenomeni di razzismo e xenophobia; 52 (11%) riguardano discriminazioni contro persone LGBT.171

Si tratta di casi in cui le discriminazioni e l’odio nei confronti dei soggetti sopracitati è avvenuto e continua a diffondersi online o meglio sui social network:

Nel 2014, l’UNAR ha registrato 347 casi di espressioni razziste sui social, di cui 185 (oltre il 50%) su Facebook, le altre su Twitter e Youtube. A queste se ne aggiungono altre 326 nei link che le rilanciano, per un totale di quasi 700 episodi di intolleranza.172

Figura 7. IMMIGRATI, L’INCITAZIONE ALL’ODIO […]. DAL SITO REDATTORE SOCIALE.

Riguardo alle centinaia di commenti sotto i post, si può notare come essi siano quasi degli «sfoghi, l’espressione, anche brutale, del proprio pensiero immediato sulle vicende»173 e non tanto dei veri e propri dibattiti.

GLI HATERS – I VERI PROTAGONISTI

La parola hater è un anglicismo che è entrato a far parte dell’uso della lingua italiana sia nel parlato sia nello scritto soprattutto se riferita ai mass media, ai nuovi media e alla rete; ecco la definizione che possiamo leggere nella sezione Parole Nuove del sito dell’Accademia della Crusca:

171 Scaramella 2018 (a cura di), p.17.

172 Immigrati, l’incitazione all’odio è on line: 700 episodi di razzismo sui social nel 2014. 24 aprile 2015. Dal sito Redattore Sociale.

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persona che usa la rete, e in particolare i social network, per esprimere odio o per incitare all’odio verso qualcuno o qualcosa; odiatore. Dall’inglese hater, ‘odiatore’, a sua volta dal verbo to hate ‘odiare’, in uso in inglese sin dal sec. XIII. Già in Middle English esisteva il sostantivo hatere ‘chi odia’, mentre in Old English hetend significava ‘nemico’.174

Vari episodi molto recenti confermano questa malattia sui social che rende cattivi,

ipocriti e stupidi. Può accadere addirittura di trovarsi quotidianamente davanti a

insulti o addirittura ad auguri di morte, come di recente è accaduto alla ‘iena’ Nadia Toffa, presa di mira dagli hater (coloro che odiano anche senza nessun motivo apparente) proprio nei giorni più difficili della sua vita e presa di mira anche dopo la morte. Tutto questo male che è stato diffuso è stato anche denunciato, ma rimane il fatto che a scrivere quelle oscenità e a fare male sono in molti sui social. Sono proprio questi ultimi che si “alimentano” di sicurezze e di pollici all’insù:

Figura 8. COMMENTO D’ODIO DAL SOCIAL TWITTER.

L’utente che, solo poche ore fa, aveva insultato pubblicamente Nadia Toffa, senza riguardo alcuno delle sue delicate condizioni di salute, si è visto costretto a disattivare il suo account Twitter. La shitstorm che lo ha investito ha finito con l’ingoiarlo in poche ore, spingendolo a lasciare la piattaforma precedentemente utilizzata per scrivere un messaggio terribile indirizzato alla conduttrice de Le Iene. Dopo la denuncia della Toffa, è partita una vera e propria “caccia all’hater” che ha tratto beneficio dal fatto che la giornalista avesse pubblicato per esteso il profilo dell’utente in questione.175

I protagonisti, quindi, sono i cosiddetti hater di cui si accennava poco prima.

174 Accademia della Crusca – Parole Nuove. https://accademiadellacrusca.it/it/parole-nuove/hater/18446.

175 Stefania Rocco, L’hater di Nadia Toffa si cancella dai social network, aveva scritto: “Finirà presto all’obitorio”, 2 Ottobre 2018. Dal sito Fanpage.it

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Per la prima volta il termine «compare sui giornali online italiani nel 2008»,176 in un articolo si cerca di dare una definizione o meglio si cerca di delineare il profilo di costoro.

Chi naviga sul web e frequenta i social network si sarà imbattuto più di una volta nei cosiddetti haters. Nascosti sotto i nickname più improbabili, questi utenti avvelenano le discussioni con i loro commenti improntati a un odio violento e immotivato. Non si tratta di qualche post particolarmente aggressivo, ma di un atteggiamento costante di disprezzo e provocazione, che inquina le discussioni online.177

Un altro esempio di hate speech sui social, da parte di hater neonazisti,178 sta perseguitando la vita della senatrice Liliana Segre, che

superstite e testimone dell’Olocausto, riceve in media duecento messaggi d’odio. Mi chiedo perché non sia crepata insieme a tutti i suoi parenti, è il tono degli insulti rivolti quotidianamente alla senatrice a vita. Secondo il sito, che cita il rapporto dell’Osservatorio antisemitismo, gli episodi di antisemitismo sono 197 all’anno, non 200 al giorno.179

Figura 9. GLI INSULTI A LILIANA SEGRE E I NEGAZIONISTI DELL’ODIO DALLA TESTATA

ONLINE “LA REPUBBLICA”.

In altre parole gli hater che spargono quest’odio online possono essere definiti come

176 Accademia della Crusca – Parole Nuove.

177 Haters: chi sono costoro?, 11 Luglio 2008, Radiomontecarlo.net.

178 La diffusione italiana della parola è piuttosto recente; questo fa sì che vi sia ancora oscillazione tra plurale

invariabile e declinato (haters). In alcuni casi, si incontrano perfino usi della forma haters, plurale, al singolare: “Quella è una *haters”. Seguendo la regola per i forestierismi acclimatati, si consiglia di impiegare la forma invariata anche al plurale: tanti hater. Dal sito dell’Accademia della Crusca – Parole Nuove.

179 Piero Colaprico, Gli insulti a Liliana Segre e i negazionisti dell’odio: Repubblica conferma i dati. 12 Novembre 2019. Dal sito La Repubblica.

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un popolo nel popolo che spesso si nasconde dietro a un alias virtuale e quando appoggia le mani sulla tastiera, odia. Invoca Hitler se si parla di ebrei, biasima le donne quando vengono aggredite o uccise, grida ai froci se si discute di diritti LGBT, e pubblica tweet di fuoco contro gli immigrati. Gli esperti li chiamano internet haters, quelli che odiano su internet, uomini e donne, cioè, che col favore dell’anonimato utilizzano sul web un linguaggio violento.180