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fra autori stranieri, traduttori ed editor

3.3 Comique o outré? Tra Sollazzevoli istorie e Dame galant

L’introduzione di un nucleo consistente di autori francesi all’interno dei “Classici del Ridere” pose a Formiggini, in alcuni casi, una problematica che andava al di là della traduzione: il carattere provocatorio – outrè, per usare le già citate parole di Raimondi – di alcuni di essi, in cui l’umorismo si intrecciava con una componente più erotica e dissacrante, rischiava infatti di indisporre l’opinione pubblica, in special modo quella di matrice cattolica. Già nella richiamata circolare confidenziale stilata nel novembre del 1912, in fase embrionale di progettazione della collana, rivolta a librai, editori, scrittori, illustratori e chiunque potesse in qualche modo aiutarlo nella costruzione di un corpus sensato di autori e testi, Formiggini asseriva preventivamente:

Non sarà una raccolta in usum delphini, ma nemmeno uno sciorinamento di cose pornografiche. La pornografia che è fine a se stessa e non giustificata da un alto valore estetico e comico sarà con rigore esclusa. Castigato poi dovrà essere l’allestimento decorativo, il quale dovrà servire a sottolineare il lato giocondo, o comico, od umoristico dei testi e non quanto di licenzioso per avventura essi contenessero.137

La questione necessitava una maggiore prudenza da parte di un Formiggini già sufficientemente preoccupato di non attirare su di sé quel genere di attenzioni,138 come emerge dalle confidenze fatte a Palazzi, sempre in merito alla scelta dei testi per i “Classici del Ridere”. In una minuta indirizzata all’amico, commentando la proposta ricevuta da Giuseppe Lipparini di inserire i

Ragionamenti di Pietro Aretino, l’editore scriveva infatti: «Non vorrei buscarmi la fama di editore

pornografico. I nostri novellieri sono grassi, ma non sono eccitanti. Che cosa ne dici? Mi dispiace lasciare fuori un classico dai coglioni così duri, ma d’altra parte…».139

In effetti, i timori di Formiggini si innestavano in un ambiente, quello del primo Novecento, in cui era fiorito un rinnovato fervore censorio da parte della Chiesa cattolica, di fronte ai cambiamenti innegabili in atto nella società contemporanea: l’avvento della libertà di stampa, la

137 AEF, Circolari, vol. 1, 1908-1912, c. 258, circolare del 22.11.1912. La circolare è riportata anche nel già citato

saggio di Luigi Guicciardi, Le vicende editoriali dei “Classici del Ridere”: dal progetto alla ricezione, insieme con molteplici stralci di carteggi con vari corrispondenti che documentano un ritorno costante al problema del confine (talvolta sottile) tra il riso e l’osceno e del necessario bilanciamento delle componenti nella scelta dei testi, restituendo una ricostruzione puntuale di molti dei casi di riluttanza in tal senso, sia da parte dei collaboratori sia, talvolta, di Formiggini stesso.

138 Si vedano, ad esempio, le citate remore sulla pubblicazione di un volume di Motti ebraici, per paura di scatenare o

alimentare dibattiti sui giornali che lo coinvolgessero direttamente; o lo scambio epistolare con Attilio Momigliano riguardo l’inchiesta condotta dalla Procura di Modena contro la Ninetta del Verzee di Carlo Porta, inclusa nell’Antologia portiana edita nel 1913 (L.GUICCIARDI, Le vicende editoriali dei “Classici del Ridere”: dal progetto

alla ricezione, cit., p. 248-251).

139 Lettera di Formiggini a Palazzi del 31.12.1912, collezione privata. La minuta corrispondente si trova in AEF, fasc.

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sempre più massiva circolazione di ogni tipo di scritti con la massificazione della produzione editoriale tra XIX e XX secolo, il passaggio di molte biblioteche dalla gestione ecclesiastica a quella statale dopo l’Unità d’Italia avevano comportato un’inevitabile riduzione del controllo della Chiesa sulle letture dei suoi fedeli.140 In risposta a tale minaccia, la pubblicazione del nuovo

Indice dei libri proibiti141 da parte della Santa Sede nel 1900 aveva portato all’inasprimento della censura nei confronti dei libri che venivano tacciati di eccessiva sensualità e ad attacchi via via più feroci nei confronti di autori ed editori da parte della critica giornalistica di affiliazione cattolica.142 Nel mirino del Sant’Uffizio e di quotidiani quali «Civiltà cattolica», «Rivista di letture» o il «Giornale d’Italia» erano già finite le opere di un altro scrittore ebreo di origini modenesi, Guido da Verona – «discepolo dello scostumato d’Annunzio»,143 anch’egli colpito più volte dagli strali della censura – per la strabordante sensualità dei suoi personaggi. Non stupisce troppo, dunque, la cautela di un Formiggini che teneva in particolar modo a non essere coinvolto in scandali di alcun genere; di fronte a un’apostrofe piuttosto ironica di Palazzi, che lo definiva «editore moralista»,144 Formiggini ribatteva infatti piccato: «Io non voglio essere un editore

moralista, ci terrei però ad essere un editore morale».145

Tale dilemma di carattere etico ebbe, indirettamente, una ripercussione anche sulle scelte dei traduttori di determinate opere e sull’iter editoriale che, in certi casi, divenne più accidentato. Si ricordano, nello specifico, due episodi (con esiti differenti) legati alla traduzione e pubblicazione di opere francesi problematiche, poiché esponenti di un comico pericolosamente confinante (soprattutto la prima) con l’erotico, ovvero le Vies des dames galantes di Brantôme e i Contes

Drolatiques di Honoré de Balzac.

Il primo caso è forse quello più eclatante dell’intera produzione formigginiana: Le dame

galanti di Brantôme venne infatti tradotto e licenziato in tre volumi nel 1937, ma l’intera tiratura

140 MATTEO BRERA, Novecento all’Indice. Gabriele d’Annunzio, i libri proibiti e i rapporti Stato-Chiesa all’ombra del

Concordato, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2016, p. 15.

141 Sulla scia della costituzione apostolica Officiorum ac munerum, promulgata da Leone XIII nel 1897, in cui il papa

dichiarava sostanzialmente guerra ai libri ritenuti osceni e a una letteratura eterodossa, tanto più pericolosa poiché «ora pubblicata grazie ai più svariati “stratagemmi”, massime la libertà di stampa» (Ivi, p. 16).

142 D’altronde, nella nuova era in cui l’opinione pubblica, l’informazione e la diffusione su scala industriale del sapere

diventano attori preponderanti sulla scena culturale, il discorso sulla censura va inevitabilmente a intrecciarsi con quello del controllo sociale sui mezzi di trasmissione di tali informazioni nell’allargata società di massa, in cui, come sosteneva Hegel, la lettura dei quotidiani si trasformava nella “preghiera mattutina” dell’uomo moderno (ROBERTO

LIMONTA,ROLANDO LONGOBARDI, Il silenzio delle idee. Libri, lettori e censure, postfazione di Riccardo Fedriga, EncycloMedia, Milano, 2012, p. 112).

143 M. BRERA, Novecento all’Indice. Gabriele d’Annunzio, i libri proibiti e i rapporti Stato-Chiesa all’ombra del

Concordato, cit., p. 108.

144 «Ma chi vuoi che si sogni che tu, editore del buon gusto (e t’assicuro che questa è la tua fama, e così sempre sento

parlare di te) possa indulgere alla pornografia? Il dire sboccato, quando è opera d’arte, è o non è una delle maggiori fonti del riso? E allora? O saresti per caso un editore moralista? Oibò!!!!» (AEF, fasc. Palazzi, Fernando, doc. 35, lettera del 23.01.1913).

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fu ritirata dal commercio e dalla distribuzione poco dopo la pubblicazione dallo stesso Formiggini, che dichiarò l’opera troppo indecente e, quindi, decise di anticipare sul tempo le polemiche moralistiche che inevitabilmente avrebbe attirato su di sé, autocensurandosi. L’opera di Brantôme è anche l’unico “Classico del Ridere” a non avere una propria cartella dedicata all’interno dell’«archivio delle recensioni», in parte probabilmente perché il brevissimo intervallo di tempo in cui i libri rimasero sul mercato non dette modo di recensirli alle altre testate giornalistiche, ma in parte a conferma della volontà formigginiana di cancellare le tracce di una scelta editoriale da lui giudicata incauta e, in qualche modo, ripudiata da un editore che teneva a definirsi «morale».

Il nome di Brantôme era comparso sulla scena ancora nelle fasi iniziali di costruzione della collana dei “Classici”: già nel 1913 Francesco Picco lo aveva menzionato:

Carissimo, resta inteso che ti darò – a comodo, s’intende – un volumetto – Brantôme. Conosco tutte le voluminose opere di questo Aretino della Francia e farò… un florilegio dei passi più importanti – dal punto di vista dei… Classici del ridere – delle opere migliori. Così ce la caveremo con un vol. e ti posso assicurare che sarà interessante.146

La proposta a Formiggini era quindi un’antologia generica di scritti del Brantôme, a cui Picco parve dedicarsi lungamente, poiché riferimenti a tale lavoro tornarono ripetutamente nel carteggio tra i due, fino almeno al 1918. L’argomento scomparve poi dalle lettere, senza esplicito motivo, fino al 1937; il 24 marzo di quell’anno, Picco scrisse a Emilia Santamaria Formiggini, ormai divenuta formalmente referente per le questioni inerenti alla casa editrice:147 «Non ho richieste particolari da farle. A meno che l’amico A.F. non voglia che mi occupi io de Le Dame Galanti. Il Brantôme è uno dei miei autori… ma non insisto; veda lui».148 In effetti, Picco era stato il primo a tirare in ballo l’autore francese e, pertanto, si aspettava forse una sorta di prelazione per la traduzione e curatela dell’opera; la speranza venne però disattesa, come attesta la cartolina successiva di luglio, indirizzata sempre alla moglie dell’editore: «Ringrazi A.F. del Brantôme, che peccato!».149 In effetti, i tre tomi delle Dame Galanti erano stati pubblicati tra marzo e maggio del

146 AEF, fasc. Picco, Francesco, doc. 20, lettera del 22.12.1913.

147 Già dal 1933 la casa editrice era stata trasformata in Società anonima A.F. Formiggini editore in Roma, in cui,

sotto la presidenza dell'avvocato G.D. Musso, Formiggini sarebbe rimasto solo in qualità di amministratore delegato. Nel 1938, con l’uscita dei provvedimenti antisemiti e il censimento dei dipendenti non ariani condotto dal Governo, ci fu una ulteriore modifica in Società anonima delle edizioni dell’Italia che scrive, per cancellare qualsiasi riferimento al nome ebraico del fondatore.

148 AEF, fasc. Picco, Francesco, doc. 142, lettera del 24.03.1937 indirizzata a Emilia Santamaria Formiggini. 149 AEF, fasc. Picco, Francesco, doc. 143, cartolina del 12.07.1937, sempre per la Santamaria Formiggini.

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1937,150 utilizzando una traduzione ancora inedita dell’opera, fatta in precedenza dallo scrittore Alberto Savinio, rivista e annotata successivamente da Giuseppe Balzi.151

La «storia di questa nostra edizione del Brantôme» fu narrata dallo stesso Formiggini nel

Commiato dell’editore posto in calce al terzo e ultimo tomo licenziato, che rappresenta, nel

contempo, una giustificazione di intenti e la presa di coscienza della decisione finale maturata di fronte ai lettori:

Sia come sia, noi avevamo fatto un’assai minuscola tiratura di questa sudata edizione, che avrebbe dovuto essere una “prova generale” per poi lanciare al grande vento una edizione alla portata di tutti […].

Tale proposito abbiamo del tutto abbandonato e, scomposto il piombo, l’opera non sarà più da noi ristampata.

Di distruggere anche i pochi esemplari tirati non abbiamo avuto il cuore perché non sarebbe giusto che di un lavoro di oltre dieci anni non restasse traccia.

Le poche copie non saranno inviate alle librerie, ma date privatamente ai collezionisti e agli studiosi. E gli antiquari, come tanto spesso avviene delle cose nostre, ne faranno loro lauto pro.

Sic vos, non vobis.152

Nonostante la sofferta “sconfessione” finale, la nota di mano del Formiggini ripercorreva tutti i travagliati passaggi che lo avevano condotto alla pubblicazione dell’opera, fin dall’iniziale eredità. Il testo era già stato tradotto dal francese da Savinio in passato, su incarico di Massimo Bontempelli, amico e collaboratore di Formiggini con cui, tuttavia, si era consumata tra il 1912 e il 1913 una aspra diatriba. Nella fase di avvio della collana dei “Classici del Ridere”, Bontempelli aveva infatti avanzato la paternità di un’idea analoga – i “Capolavori del Riso” – e la volontà di svilupparla egli stesso, in concorrenza diretta con Formiggini. Aveva ventilato addirittura l’idea di aprire una nuova casa editrice ad hoc per la pubblicazione di una collana di classici, progetto che Formiggini aveva liquidato come «roba da pazzi».153 Appianate le divergenze, complice la costante mediazione di

Palazzi, Bontempelli restò un punto di riferimento con cui l’editore mantenne un dialogo epistolare costante. Secondo la narrazione formigginiana, proprio da Bontempelli vennero acquisite una parte di opere già approntate per la collezione ideata e mai portata a compimento, tra le quali «la più

150 E.MATTIOLI,A.SERRA, Annali delle edizioni Formiggini (1908-1938), cit. p. 399-400.

151 Fondatore, insieme con Alfredo Tusti, e redattore capo della rivista quindicinale «Le cronache d’Italia. Rivista di

lettere, scienze, arti, politica, cultura», a partire dal 1922.

152 A.F.FORMIGGINI, Commiato dell’editore, in BRANTÔME, Le Dame Galanti, vol. III, Formiggini, Roma, 15 maggio

1937, p. 231-236: p. 236.

153 AEF, fasc. Bontempelli, Massimo, doc. 102, minuta di Formiggini del 14.10.1912. In realtà, dal 1915 Bontempelli

fu effettivamente curatore di una collezione di classici della letteratura italiana per conto dell’Istituto Editoriale Italiano di Milano.

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cospicua era la traduzione delle Dame Galanti del Brantôme fatta da uno scrittore di grande ingegno e di molto gusto, Alberto Savinio».154 Avendo così a disposizione una versione italiana già ultimata, non avrebbe avuto senso pagare per intero la traduzione ex novo (da questo ragionamento, probabilmente, derivò il rifiuto finale alla proposta di Picco di tradurlo per intero) ma sarebbe stato sufficiente raggiugere il traduttore originario e fargli rivedere le bozze a distanza di tempo.

Il carteggio con Savinio tra il ’27 e il ’28 conferma la reticenza del traduttore descritta da Formiggini nel Commiato; al momento dell’arrivo delle vecchie bozze delle Dame, speditegli dall’editore a Parigi dove si trovava, Savinio mostrò un notevole fastidio: «Caro Formiggini, con mia grande sorpresa mi sono visto arrivare le bozze delle “Dames Galantes”. Veramente non me l’aspettavo e il lavoro di correzione che mi tocca fare mi riempie di rabbia».155 Formiggini tentò in

tutti i modi di non vanificare un lavoro già in procinto di compiersi e tallonò Savinio per oltre un anno. Cercò di convincerlo a effettuare la revisione con ogni mezzo: prima sostenne che ormai la composizione era stata fatta e, pertanto, «bisogna che per forza metta fuori l’opera» e, in seguito, arrivò a proporre, qualora lo scrittore temesse che «il genere alquanto scabroso della pubblicazione» potesse suscitare «un antipatico dibattito sul tuo nome», di far uscire il volume con uno pseudonimo, «salvo a rivendicarla al tuo nome illustre quando a te faccia comodo».156 Come ultima opzione, nella malaugurata ipotesi che Savinio non volesse proprio saperne di correggere le bozze, Formiggini ammise che si sarebbe rassegnato anche ad affidare il lavoro di revisione a «un fidatissimo correttore»: in quel caso, Savinio avrebbe dovuto rimandare subito il manoscritto originario per evitare all’editore un «grosso guaio imprevisto». Formiggini chiuse la lettera con un appello accorato: «Ti prego vivamente di togliermi da queste pene nel minore tempo possibile».157 Non ricevendo alcuna risposta da Parigi, Formiggini divenne sempre più nervoso, perché la dilazione rischiava di provocare un considerevole danno all’impresa158 e ancora ad agosto del ’28

incalzò, piccato:

Mi permetto di dirti che comunque tu intenda di farmi uscire dall’angustia in cui mi trovo, faccio appello alla tua rettitudine, perché nella dannata ipotesi che tu non voglia mantenere la promessa fattami

154 A.F. FORMIGGINI, Commiato dell’editore, cit., p. 231. Della effettiva transazione tra i due, in merito al caso

specifico del Brantôme, non si è trovata una traccia documentale nell’archivio editoriale.

155 AEF, fasc. Savinio, Alberto, doc. 1, lettera del 22.12.1927 da Parigi. 156 AEF, fasc. Savinio, Alberto, doc. 2, minuta di Formiggini del 17.02.1928. 157 Ibidem.

158 «Carissimo Savinio, il mio tipografo non può più attendere. Se si trattasse di me attenderei ancora, ma tenere in

piedi tre volumi di piombo non è possibile, come non è possibile scomporli per poi ricomporli più tardi. […] Nella dannata ipotesi che tu non possa o non voglia correggere le bozze, ti prego vivamente di rimandarmele subito insieme con i manoscritti, e ti assicuro che la correzione sarà fatta qui con la più scrupolosa diligenza. Nella ipotesi poi più dannata ancora che tu non ti faccia più vivo, io debbo dichiararti che per non sottostare a un ingiusto danno, che nessuno mi compenserebbe, farò licenziare i volumi anche senza che tu mi mandi i manoscritti» (AEF, fasc. Savinio,

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di licenziare le bozze, secondo l’impegno che avevi col precedente editore al quale per far piacere a Palazzi sono subentrato, voglio credere che non mancherai almeno di restituirmi il manoscritto, poiché altrimenti il lavoro non potrà non riuscire che una solenne porcheria. E io non meriterei questo. E Brantôme nemmeno.159

L’ultima carta da giocare venne individuata nella intercessione della moglie, Emilia Santamaria, in visita a Parigi proprio nell’agosto del 1928; la signora fu ricevuta da Savinio e famiglia a cena e gli recapitò di persona le missive di Formiggini a cui lui non aveva mai risposto; Savinio non poté eludere tale strategia e, dopo l’incontro con la consorte, indirizzò all’editore un biglietto di scuse, in cui si impegnava: «La promessa fatta alla signora, la manterrò fedelmente».160

Trascorsero i mesi, ma le bozze corrette non giunsero mai in casa editrice. A febbraio dell’anno successivo, Formiggini rivolse al traduttore gli ultimi appelli, dandogli prima un «nuovo e definitivo ultimatum»161 e azzardando, infine, l’estrema speranza: «La vita editoriale è meravigliosamente ricca di disavventure, ma questa è delle più caratteristiche e impensate. Il mio ottimismo incorreggibile mi fa credere che questo appello postremo possa non essere vano».162 La risposta di Savinio arrivò, in extremis, dopo gli ultimi richiami e le bozze furono restituite ma senza correzioni e con l’autorizzazione a farle revisionare da qualcun altro. Formiggini affidò dunque l’incarico a un «coscienziosissimo collaboratore», il Balzi, il quale

rivide, corresse e in gran parte rielaborò la traduzione, tenendo sott’occhio le migliori edizioni francesi del Brantôme, colmando tutte le lacune e corredando il testo di sobrie ed utili note critiche e storiche. Fatica da certosino che si è protratta per lungo tempo e che (ahinoi!) ha implicato la ricomposizione tipografica non sappiamo quante volte…163

Un lunghissimo tempo di limatura, che ritardò la pubblicazione dei volumi dal 1929 fino al 1937, anno in cui i tre tomi uscirono dai torchi formigginiani, per poi essere prontamente “rinnegati” nello stesso Commiato che ne descriveva la genesi, a causa del rimprovero di una «persona molto autorevole» per aver stampato «un’opera troppo indecente». Formiggini, come già ricordato, era molto sensibile all’argomento e, fin dai primi momenti di costruzione del corpus di “Classici del Ridere”, aveva espresso più volte – sia pubblicamente in circolari sia privatamente con diversi corrispondenti – di avere ben chiara la differenza tra umorismo e giocondità e, invece, la

159 AEF, fasc. Savinio, Alberto, doc. 6, minuta di Formiggini del 22.08.1928. Il «precedente editore» a cui fa

riferimento è Bontempelli, come già ricordato.

160 AEF, fasc. Savinio, Alberto, doc. 7, biglietto del 08.09.1928.

161 AEF, fasc. Savinio, Alberto, doc. 9, minuta di Formiggini del 14.02.1929. 162 AEF, fasc. Savinio, Alberto, doc. 10, minuta di Formiggini del 28.02.1929. 163 A.F.FORMIGGINI, Commiato dell’editore, cit., p. 232.

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pornografia fine a se stessa, per la quale non c’era spazio all’interno della sua collana. Formiggini affidò dunque all’ultimo tomo delle Dame del maggio 1937 il proprio mea culpa, per smentire la fama di editore troppo «di manica larga»: confessò ai lettori che «dopo aver ritirato l’opera dalle librerie, abbiam voluto rileggerla tutta quanta per farci un concetto più preciso di questo autore».164 Il risultato della riflessione andò decisamente a suo sfavore:

In coscienza, non ci sentiamo di prenderne le difese! Riconosciamo, sì, che nelle sue pagine vi sono tesori di arguzia e di malizia, che vi sono svelati a migliaia piccanti retroscena della storia, ma tutto il libro è «scandaloso» […]. Tutto questo gli perdoneremmo [a Brantôme] (perché noi siamo di manica larga) se le veneri dello stile coprissero le altre veneri e se qualche volta non vi fossero espressioni indecenti: espressioni, è vero, del calibro di quelle che capita spesso di sentir ripetere intorno ai più ragguardevoli tavolini degli odierni caffè, ma che, se è deplorevole che siano dette, più deplorevole è che siano scritte.165

Formiggini si difese così dalle possibili perplessità dei lettori, mettendo in campo la necessità – anche di fronte a una raccolta come quella dei “Classici”, che non poteva sottrarre alla letteratura della civiltà latina quella «parte grassoccia» che era carattere intrinseco del suo umorismo – di trovare, in tutto, una «misura». Così, ciò che rendeva il Brantôme inassolvibile non era il fatto di essere «uno scrittore scandaloso, libellista e diffamatore», quanto piuttosto la sua mancanza di misura: