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Quel che resta di un ideale: il salvataggio dell’ICS e la ricerca di nuove aperture

l’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana (1919-1923)

2.8. Quel che resta di un ideale: il salvataggio dell’ICS e la ricerca di nuove aperture

A partire dal 1925, dopo che la Fondazione Leonardo e il suo patrimonio vennero assorbiti dall’Istituto nazionale fascista di cultura, divenne chiaro che la cultura nazionale doveva essere una cultura schierata, in cui non ci si poteva più permettere di astenersi ma era necessario prendere delle posizioni. Nel marzo 1925 l’onorevole Franco Ciarlantini, alla direzione dell’Ufficio propaganda del PNF, organizzò il primo Congresso degli intellettuali fascisti, prospettando nuovi obiettivi per il regime, tra cui la costruzione di un “italiano nuovo” attraverso la forza delle idee, l’attenzione – in tal senso – ai temi culturali ed educativi e la commistione tra scelte politiche e culturali.246 Contestualmente, il già citato Manifesto degli intellettuali fascisti mise nero su bianco, in via definitiva, tale intersezione tra i due piani che diventavano, agli occhi dello Stato, uno solo.

Formiggini continuò invece a trincerarsi dietro la sopravvissuta ICS e a inseguire il sogno di rispecchiare, in un’Italia in cui molte voci andavano ormai spegnendosi, tutte le correnti della cultura nazionale, facendo della rinnovata e dichiarata indipendenza della rivista il nuovo punto di forza della propria attività di propaganda libraria. La linea del periodico venne improntata principalmente sulla difesa della libertà della cultura, contro coloro che volevano invece introdurre una filosofia e pensiero di Stato (il riferimento resta sempre a Gentile) e sulla rivendicazione di tale libertà per se stesso, in quanto editore. Quella portata avanti da Formiggini sul suo periodico è una «opposizione per il libro» di tipo ideologico, non politico avverso il regime:

L’ICS non ha mai mutato; è sempre stata un giornale politico ma di una sola politica si è occupata; cioè di quella del libro […]. L’ICS è un giornale di opposizione e lo sarà sempre, come sempre lo fu; il governo potrà fare miracoli per il libro, avrà sempre da noi fervidi incitamenti, potrà avere in certi casi il nostro plauso, ma non ci sentirà mai dire basta, che al libro non si deve pensare più. No, al libro si dovrà sempre pensare. L’avvenire del libro è l’avvenire della Patria. L’ICS è sempre stata un giornale libertario e tale si manterrà ancora e sempre.247

Lo strenuo tentativo di tenere separati i due piani (politico e culturale) che invece venivano portati dal regime a una progressiva convergenza si rivelò, in seguito, impraticabile. Ma nel frattempo, nonostante il mantenimento di rapporti benevoli con il PNF,248 gli oneri che il periodico e la sua

rete di distribuzione richiedevano per conservare il respiro internazionale conseguito con l’appoggio della Fondazione Leonardo e degli organi statali permanevano. In un primo momento,

246 Cfr. B.PISA, Nazione e politica nella Società Dante Alighieri, cit., p. 401. 247 A.F.FORMIGGINI, Nono esordio, «L’Italia che scrive», IX, 1, gennaio 1926, p. 1. 248 Testimoniato dalla già citata lettera del segretario del PNF Piero Bolzon.

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subito dopo la rottura tra ICS e Fondazione, l’effettivo timore per la sopravvivenza della sua creatura cartacea spinse Formiggini a rivolgersi nuovamente al presidente della Dante Alighieri, Fracassetti. In una missiva di accompagnamento all’invio della collezione completa della rivista, l’editore azzardò che, «sfogliando le fittissime pagine del poderoso volume sulle quali i miei occhi di lince si sono stancati e invecchiati anzi tempo» Fracassetti potesse convincersi «che questo mio è stato lo sforzo più cospicuo e più vittorioso che nel campo della propaganda culturale sia stato fatto in Italia e non in Italia soltanto». Proseguiva poi facendogli notare che «il tuo compianto predecessore aveva una grande simpatia per L’ITALIA CHE SCRIVE e se egli non fosse morto probabilmente l’ITALIA CHE SCRIVE sarebbe diventata il portavoce della DANTE», e addirittura che «quella benedetta LEONARDO che tante antipatie ha incontrato specie nell’animo tuo e che è stata cagione a me di così amare e ingiuste vicissitudini, non sarebbe mai sorta»; ciò avrebbe comportato che «il mezzo milione di lire che nel volgere di soli tre anni sono riuscito a mettere insieme per l’ingrata LEONARDO» sarebbe invece andato «a consolidare il patrimonio della benemerita associazione alla quale tu dai opera e fede».249 Lo scenario presentato da

Formiggini voleva mostrare come tutto ciò che era, invece, avvenuto – «e che è stato soltanto per me doloroso» – poteva essere utile a «correggere quello che è stato un vostro errore prospettico»:

Io non ho mai avuta l’ambizione di creare un Ente di propaganda culturale. Questo Ente c’era ed era la Dante e se aveste avuto fede in me quando era tempo non mi sarei distratto per altro, sebbene ti abbia ben chiarito che la LEONARDO aveva trovato la sua ragion d’essere fattiva e preziosissima che avrebbe completato e non ostacolato l’opera della DANTE. Nei verbali di consiglio della LEONARDO figura ben chiaro il mio intendimento di coordinare i vari enti di propaganda nazionale; se i miei conati non ebbero seguito, ciò dipese soltanto dallo spiegabile senso d’amor proprio dei dirigenti dei singoli istituti.250

Dopo le già citate polemiche sui quotidiani e le dinamiche non agili del rapporto tra i due enti, Formiggini tentò in questa sede una conciliazione, mettendo in luce la comunità di intenti che, a suo parere, in realtà era sempre esistita. Ma l’appello retorico aveva fini più concreti, come emergeva nella prosecuzione del discorso, in cui l’editore chiese a Fracassetti di riunire gli altri membri del Consiglio per una valutazione:

vedere se non convenga alla Dante di risparmiare l’ingente e inutile dispendio di pubblicare il suo bollettino riservandosi soltanto come tu stesso dicevi di pubblicare un annuario e accettare la liberale offerta che le farebbe l’Italia che scrive, di pubblicare gratuitamente gli atti della sua organizzazione, in

249 AEF, fasc. Fondazione Leonardo, doc. 140-142, minuta dattiloscritta di Formiggini del 23 maggio 1923. Nessuna

versione originale della lettera corrispondente ad essa è stata rinvenuta nell’Archivio Storico della Dante Alighieri a Roma.

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una pagina mensile compilata dal Consiglio della DANTE senza che in tale pagina la direzione dell’Italia che scrive potesse togliere e aggiungere una virgola, e senza che la DANTE possa aggiungere o togliere una virgola a quanto sarà detto sull’ITALIA CHE SCRIVE? Vuoi insomma proporre alla DANTE un innesto di nuova vitalità appoggiandosi a questo mio organo fiorente e forte, diffuso in tutto il mondo, destinato a diffondersi sempre di più, seguito con simpatia e con fiducia da tutti, meno sette o otto persone che hanno un valore soltanto provvisorio, e tentare con i maestosi schedari dell’ITALIA CHE SCRIVE e coi 16.000 soci della disciolta LEGA ITALIANA di cui possiedo l’indirizzario, tentare una nuova e più larga e più fresca affermazione della DANTE in Italia e all’estero?251

Formiggini ventilava un sodalizio ulteriore, insomma, con la realtà romana che in quel momento gli sembrava più vicina alla sua sensibilità. Ma il tentativo di dimostrare a Fracassetti come la Dante potesse trarre nuova linfa vitale dalla sua rivista mascherava – neanche troppo bene – il bisogno che, invece, l’ICS stessa aveva della solida e capillare distribuzione a livello globale di cui godeva la Dante Alighieri. Formiggini, tuttavia, proseguiva imperterrito:

Mi pare che il nuovo mondo che ti faccio intravvedere sia abbastanza interessante perché valga la pena di prendere la cosa in serio e pronto esame. Ripeto che dovrebbe restare ben chiaro che nessunissima ingerenza io vorrei avere sulla DANTE e che nessunissima ingerenza dovrebbe avere la DANTE sull’ITALIA CHE SCRIVE. […] Io credo che tu leggerai la presente al Consiglio della Dante e che essa non potrà non farvi quella impressione che io suppongo e confido di avere nel minor tempo possibile notizia delle tue intenzioni al riguardo e subito dopo di sapere quali saranno per essere le decisioni della DANTE. Che se queste saranno negative, come negative furono prima che la LEONARDO sorgesse, non vorrete mancare di prendere atto di questo segno di deferenza per la vs. benemerita e gloriosa istituzione e della mia personale simpatia per gli uomini che la governano. E vorrete altresì esser certi che attraverso la DANTE o senza la DANTE, L’ITALIA CHE SCRIVE è già il maggior veicolo di propaganda culturale e che se io non trascurerò qualsiasi buon mezzo per allargare l’orbita di azione e la rissonanza [sic.] del mio periodico che è tutto me stesso, io saprò comunque portare ai più estremi sviluppi questa mia iniziativa nella quale ho impegnato a fondo il mio amor proprio ed il mio esasperato puntiglio.252

I toni incalzanti usati nel tentativo di persuadere Fracassetti ad adottare l’ICS come rivista portavoce, dopo il rigetto da parte della Leonardo, sembrano una sorta di disperato escamotage per restare ancorato a una forma istituzionalizzata e a una rete internazionale, nel timore che l’ICS, plasmata per essere il veicolo di un progetto di diffusione della cultura italiana, non potesse sopravvivere slegata da tale contesto. Di qui, l’urgenza di avvicinarla alla realtà percepita più simile a quella per cui era nata, con la speranza che gli esiti potessero essere differenti. La

251 Ibidem. 252 Ibidem.

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puntualizzazione ripetuta della totale assenza di interferenze di pensiero tra le due entità (l’ICS e la Dante) rappresentava l’ennesima negazione di quell’accusa di aver sfruttato l’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana per il proprio tornaconto per tramite della rivista, uno dei cardini del processo gentiliano che, evidentemente, l’editore non riusciva a digerire. La risposta di Fracassetti all’accorato (e un po’ presuntuoso) appello di Formiggini fu una miscela calibrata di buonismo retorico e cortese distacco, in cui negava qualsiasi antipatia per la Leonardo ma, allo stesso tempo, palesava il disappunto provato nei confronti del sorgere di una nuova associazione che, insieme con la precedente fondazione dei Fasci italiani all’estero, era sembrata invadere il campo della Dante e togliere spazio ai suoi Comitati. La missiva era chiusa da una dilazione nella risposta alla richiesta di Formiggini che aveva già il sapore del rifiuto definitivo:

Della funzione che dovrebbe esercitare il tuo periodico mi riservo di riparlarne con te e di discuterne con S.E. Boselli, con l’amico Rava e con altri colleghi, ma la cosa non potrà esser esaminata dal Consiglio altro che quando tornerà in discussione l’annosa questione del Bollettino che, debbo convenirne, ora va meglio e costa meno, per l’inclusavi pubblicità, e che ha partigiani ferventi e difensori tenaci. Ciò ti scrivo non per disinteressarmi alla tua proposta, che è degna di attento e cordiale esame, ma per amore di sincerità e perché non vorrei che un probabile indugio ti apparisse immemore inerzia.253

Formiggini era già uscito dalle grazie di Gentile e del nuovo apparato politico-culturale messo in piedi dal fascismo e Fracassetti doveva avere una prospettiva più lungimirante. Non a caso, il nuovo direttore dell’Ufficio propaganda del PNF Ciarlantini era anche un antico socio della Dante Alighieri e quando, a dicembre del ’25, fu ufficializzato l’Istituto nazionale fascista di cultura con lo scopo preciso di promuovere «la tutela e la diffusione della cultura nazionale e delle idealità fasciste all’interno del Regno e all’estero», la Dante poté inserirsi come elemento prezioso in tale progettualità istituzionale, grazie alla sua esperienza pluridecennale nel campo, abbandonando l’apoliticità che era stata una delle basi della sua costituzione.254

Sfumato anche il sodalizio con la Dante, Formiggini si dedicò anima e corpo a proseguire la propria opera e allargarne sempre di più il respiro internazionale, cercando nuovi canali per continuare a coltivare una fitta trama di relazioni con cui sperava di sostenere ed innovare l’ICS dopo la mutilazione subita. Può essere visto in tale ottica il successivo avvicinamento al PEN Club (acronimo di Poets, Essayists, Novelists), una delle più antiche associazioni non governative di scrittori e intellettuali, fondata a Londra nel 1921 e diffusasi nel giro di pochi anni in tutta Europa

253 AEF, fasc. Fondazione Leonardo, doc. 143. Non figurano nell’archivio editoriale lettere successive tra i due, in

merito a questo argomento, e la proposta di Formiggini non si realizzò mai.

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e nel resto del mondo. Esso era nato su iniziativa della poetessa e drammaturga inglese Catharine Amy Dawson-Scott, fervente pacifista, come una sorta di dinner club in cui scrittori di tutto il mondo, senza distinzione di politica, religione o etnia, potessero ritrovarsi in un ambiente accogliente e conviviale in cui scambiarsi idee, opinioni o semplicemente godere della reciproca compagnia, dopo i drammi della Prima guerra mondiale. Col tempo, però, nuovi PEN Club furono aperti in diverse città europee per favorire gli incontri tra intellettuali e, nel primo congresso ufficiale del 1923, si definirono i principi cardine dell’associazione in crescita, basati su libertà di espressione, pace e amicizia, escludendo il dibattito politico e le questioni religiose o razziali.255

Gli ideali propugnati dal PEN Club combaciavano alla perfezione con l’«appassionato umanitarismo laico» che aveva animato Formiggini fin dalla giovinezza cordafratrina, e la rete capillare di contatti a livello globale che esso poteva offrire non era da sottovalutare. Infatti, l’adesione all’associazione è documentata da una cartolina di Prezzolini del 17 settembre 1924. Quest’ultimo ricordava a Formiggini il pagamento dovuto della quota di iscrizione al PEN Club (L. 25) e di quella per la partecipazione ad uno degli incontri conviviali (L. 37.50);256 sopra di essa,

l’editore aveva svolto diligentemente a penna l’addizione matematica in colonna dei due importi per poi appuntarsi: «pagato 19.09.1924».

255 Il PEN Club è attivo ancora oggi, con sedi in più di 100 stati e con il compito di promuovere ogni genere di

letteratura e difendere la libertà di espressione a livello globale. Per ulteriori informazioni, si rimanda al sito internet ufficiale <http://www.pen-international.org/>, e a quello della sezione italiana <http://www.penclubitalia.it/>.

256 AEF, fasc. Prezzolini, Giuseppe, doc. 50, cartolina con timbro postale del 17.09.1924. Fig. 5. Cartolina di Prezzolini con annotazioni autografe di Formiggini

(AEF, fasc. Prezzolini, Giuseppe, doc. 50r, t.p. 17 settembre 1924, Gallerie Estensi, Biblioteca Estense Universitaria, Modena.Su concessione del

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Alle riunioni del Club, Formiggini ebbe modo di interagire con altri intellettuali impegnati, come lui, negli scambi culturali e librari internazionali e nella promozione del libro italiano all’estero, come ad esempio Arthur Livingston, uno dei fondatori dell’agenzia newyorkese Foreign Press Service, o Benjamin Cremieux, segretario generale dell’Institut Français di Firenze, oltre a Prezzolini, segretario della sezione italiana dell’associazione. L’editore si impegnò a coltivare tali contatti e utilizzarli come tramite e ponte verso il resto del mondo e, in particolare, gli Stati Uniti; non può essere un caso che, nonostante il PEN Club fosse già presente in Italia dal 1922, Formiggini avesse deciso di entrare a farne parte proprio in questo momento di riassestamento e ridefinizione dei propri progetti, dopo il naufragio dell’Istituto.

Altro esempio di rinnovato e alternativo canale entro cui veicolare il proprio spirito di slancio internazionale che sorse al contempo è rappresentato dalla collana delle “Apologie”, sviluppatasi a partire dal 1923. Tale progetto editoriale prevedeva «una raccolta di tredici volumi ne quali è esaltata, da credenti o da simpatizzanti, l’essenza delle varie religioni e delle varie correnti del pensiero filosofico»,257 affidati a specialisti riconosciuti e accettati dalle diverse

autorità religiose. Formiggini recuperava ancora una volta gli ideali di gioventù, ponendosi l’obiettivo di «educare al rispetto delle altrui convinzioni religiose»258 e di «aprire gli occhi

all’umanità, che sta tuffandosi a capofitto in un nuovo fervore mistico, affinché questo fervore valga ad affratellarla di più, non a separarla in più profonde correnti d’odio».259 Unica tra le

collane formigginiane a essere tradotta in blocco all’estero, essa dimostra il grande impegno dell’editore nel progetto e la volontà di esportare non solo un prodotto editoriale ma anche l’ideale che lo animava, di cui si darà conto nel capitolo terzo. Il timore che leggere l’apologia di una religione diversa potesse in qualche modo affievolire la fede nella propria era infondato, poiché «è indubitato che la suprema ignoranza per tutto ciò che riguarda la sfera dell’emotività religiosa che direttamente non ci riguarda è stata cagione di odi fra le genti, sentimenti contrari alla vita serena»;260 dunque, la divulgazione dell’essenza delle varie confessioni era volta ad «affrettare quel mutuo rispetto e quella mutua comprensione fra gli uomini che condurranno l’umanità a

257 A.F.FORMIGGINI, Trent’anni dopo, cit., p. 92. Come puntualizzato anche negli Annali di Mattioli-Serra (p. XVIII),

delle 13 “Apologie” sono soltanto otto quelle riguardanti confessioni religiose vere e proprie (Cattolicismo,

Buddhismo, Protestantesimo, Ebraismo, Confucianesimo, Parsismo, Taoismo, Islamismo), mentre le altre quattro

(Ateismo, Positivismo, Scetticismo, Spiritualismo) interessano più un ambito ideologico-filosofico e il Paganesimo si colloca quasi a metà tra i due filoni, descrivendo la situazione non tanto dal punto di vista prettamente religioso quanto piuttosto da quello di un attitudine più generale dello spirito.

258 A.F.FORMIGGINI, Trent’anni dopo, cit., p. 94. 259 Ivi, p. 93.

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quell’affratellamento universale che fu il cardine massimo della dottrina del Cristo e che mi ostino a credere che sia la più alta e la più benefica di tutte le aspirazioni umane».261

Il concetto, ivi declinato in ambito religioso, sottendeva in realtà a tutte le attività dell’editore, compresa quella di diffusione della cultura nazionale, nella convinzione che far conoscere la letteratura e i prodotti dell’intelletto italiano fosse un modo per instaurare rapporti più profondi di accettazione e complicità con gli altri paesi del mondo, tassello indispensabile per una sempre più pacifica convivenza a livello universale. Gli sforzi profusi in questo senso e il rinnovato impegno con cui, dopo lo smacco subito in seguito alla «marcia sulla Leonardo», Formiggini si rimise al lavoro intrecciando nuovi rapporti e creando strade alternative proprio in questi anni, resero ancora più terribile il destino che lo attendeva e l’impatto, devastante, con l’antisemitismo e le leggi razziali, negazione totale ed assoluta di tutto ciò per cui egli si era sempre battuto.

Fino all’ultimo, infatti, avendo fallito nel progetto dell’Istituto, egli tentò di salvare e di far sopravvivere a sé i prodotti della propria carriera editoriale che riteneva quelli dal respiro più internazionale. Sempre al centro dei suoi pensieri fu l’ICS, per la quale continuò a ricevere attestati di stima, anche sui giornali stranieri, come testimoniano i moltissimi ritagli conservati – come vedremo – dentro l’«archivio delle recensioni».262 Per dare vigore al periodico, dopo una serie di iniziative pubblicitarie non del tutto riuscite,263 si spinse addirittura verso una condirezione nel 1934: la scelta ricadde su Giuseppe Zucca, poeta e scrittore messinese, già collaboratore di numerosi giornali e periodici e fondatore, nel 1926, della casa editrice romana “Il Fauno”, specializzata in libri umoristici di autori italiani. 264 Zucca accettò l’incarico e affiancò Formiggini a partire dal maggio 1934. Nell’editoriale dell’ICS di quel mese, l’editore annunciò «la grande novità»: «abbiamo issato un condirettore. Due direttori, vale a dire, un consolato», per poi giustificare ai lettori tale decisione:

Giuseppe Zucca non ha bisogno di esservi presentato nelle sue virtù di scrittore: lo conoscete e lo amate da tempo. Ma l’amico Zucca ha, anche, singolari e dai più ignorate virtù di organizzatore, nel campo editoriale e in campi contigui. Proprio per queste sue virtù, che qui avranno amplissimo campo di esser

261 A.F.FORMIGGINI, Commiato dalle Apologie (censurato), in ID., Parole in libertà, cit., p.103. Come ricordato in

nota dalla curatrice Margherita Bai, il testo era stato concepito da Formiggini come prefazione della nuova edizione dell’Apologia del Cattolicesimo, scritta da Leone Tondelli, ma è poi immediatamente censurata dallo stesso e il volume sarà pubblicata solo nel gennaio del 1939, dopo la sua morte, privo di tale Commiato. La bozza dattiloscritta con correzioni autografe del Formiggini è conservata in AFF, busta 22, fasc. 252, doc. 7.

262 La sezione dedicata alla rivista è la più corposa di tutto l’«archivio delle recensioni» e consta di più di 10.000

documenti, conservati in 57 contenitori, in ordine cronologico per anno di pubblicazione.

263 Cfr. M.I.PALAZZOLO, «L’Italia che scrive: un periodico per il libro», cit., p. 418-420. 264 Chi è? Dizionario biografico degli italiani d’oggi, Formiggini, Roma, 1938, p. 796.

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messe a tutta prova – (oltre che per il suo ingegno, per il suo buon gusto e per la sua vasta preparazione) – l’ho pregato di darmi una mano nel lavoro sempre più grave e delicato de “L’Italia che scrive”.265