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fra autori stranieri, traduttori ed editor

3.1 Gli autori stranieri nel catalogo editoriale Formiggin

Chiudere con l’ICS avrebbe significato, per Formiggini, abbandonare per sempre la possibilità di divulgare sia gli autori italiani pubblicati nel nostro paese sia quelli che avevano beneficiato già di traduzioni nei canali ormai consolidati dal periodico, attivo ormai da vent’anni. Avrebbe provocato quindi l’interruzione di quel travaso virtuoso tra cataloghi editoriali italiani e stranieri su cui si sarebbe dovuta fondare la cultura comune, internazionale, consapevole delle affinità più delle differenze tra i popoli, cultura alla quale l’Italia avrebbe fornito un apporto sostanziale, privilegiato e fondativo. Ciò avrebbe rappresentato inoltre la fine del dialogo costante tra la rivista e l’intero catalogo fomigginiano, con autori comuni che passavano dall’una all’altro in una naturale e assai feconda osmosi. A partire dal 1918 sull’ICS erano infatti apparse recensioni, contenute nelle due rubriche dedicate agli scambi con l’estero, ovvero Letteratura straniera in Italia e L’Italia negli scrittori stranieri, affidate alle segnalazioni di intellettuali e letterati esperti e appassionati delle diverse letterature; molti di essi approdarono poi alle pagine dell’ICS dopo aver già collaborato con Formiggini con la redazione di “Profili” di scrittori europei o la traduzione di opere per i suoi torchi.1

L’attenzione costante di Formiggini verso realtà culturali e ideologiche al di fuori del territorio nazionale, incontrate sin dagli anni della formazione grazie anche alle esperienze associative sperimentate, si riverberò nella costruzione del suo progetto editoriale. Un calcolo della composizione percentuale delle tipologie di autori presenti nel catalogo formigginiano, effettuato nel 2015, restituisce il 18% di stranieri, riscontrando una propensione crescente a pubblicare loro opere dopo la Grande Guerra;2 l’editore – che aveva vissuto in prima linea il

1 L’argomento è stato ampiamente sviscerato in G. TORTORELLI, «L’Italia che scrive» 1918-1938, cit., in part. il

capitolo terzo, La letteratura straniera (p. 80-122).

2 Lo studio a cui mi riferisco proviene dalla tesi di laurea magistrale di GIULIA TANZILLO, Un bizzarro editore del XX

secolo: Angelo Fortunato Formiggini, corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura, Facoltà di Lettere e filosofia,

Università degli studi La Sapienza di Roma, a. a. 2014-2015, relatrice prof.ssa Maria Panetta, correlatrice prof.ssa Mirella Serri. Dalla tesi è stato estratto l’articolo Angelo Fortunato Formiggini: trent’anni di attività editoriale in

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fronte, seppur per un breve periodo – percepì in modo ancora più chiaro l’esigenza di guardare oltre i confini italiani, aprendosi a un ambiente letterario e culturale più vasto, con l’intento di contribuire al «ritorno di un’umanità più concorde».3 Ciò rispecchiava (e assecondava) anche l’emergere di «nuovi bisogni culturali e di conoscenza» sorti dopo il conflitto mondiale, a cui una rinnovata «opera d’informazione rigorosa attraverso le traduzioni, le riviste, l’editoria» cercò di dare immediata soddisfazione,4 per incontrare i gusti di un «nuovo pubblico moderno», caratterizzato da una «frammentazione in targets differenti»5 che andava assecondata.6

Dall’interpretazione dell’analisi dei numeri sopra citati, emerge un altro dato che merita di essere menzionato: la percentuale complessiva di autori ebrei editi dai torchi formigginiani è pari al solo 12%. Nonostante fosse egli stesso un ebreo, il suo lavoro non si concentrò dunque su un’editoria prettamente ebraica o con particolari riferimenti a tale cultura, come dimostrano le cifre piuttosto esigue; la scelta sembra confermare, una volta di più, la visione generale dell’editore, dove l’appartenenza all’etnia ebraica non era da considerarsi un tratto distintivo discriminante o meritevole di dedicarvi uno spazio privilegiato rispetto ad altri all’interno della propria produzione.7 In un caso specifico, al contrario, Formiggini mostrò una forma di ritrosia, in

merito: la proposta, da parte della traduttrice Ada Cippitelli Salvatore, di editare un volume composto da «storielle ebraiche o yiddish, come le “Histoires Juives” pubblicate nella collezione blu della “Nouv[elle] Revue Francaise”» che lei stessa si impegnava a raccogliere tra «amici di qui – ebrei italiani ma che hanno lungamente vissuto in Germania» che «ne hanno uno stock inesauribile».8 Inizialmente l’editore parve favorevole, a tal punto da suggerire egli stesso l’ipotetico titolo Motti e motteggi ebraici. La Salvatore gli inviò un saggio dattiloscritto di tali aneddoti raccolti, dodici in tutto.9 Subito dopo, però, forse trovando i motti in qualche modo troppo connotati dal punto di vista etnico (o, peggio ancora, razziale), Formiggini si fece più cauto: «Per i “Motti e mottetti ebraici” mi vorrei riservare di metterci io una nota editoriale introduttiva la quale potesse servire da parafulmine e da foglia di fico, nota che combineremo

3 E.RAIMONDI, I “Classici del ridere”, cit., p. 219.

4 GIANFRANCO TORTORELLI, La letteratura straniera nelle pagine de «L’Italia che scrive» e «I libri del giorno», in

Stampa e piccola editoria tra le due guerre, a cura di Ada Gigli Marchetti e Luisa Finocchi, p. 157-196: p. 188.

5 F.COLOMBO, La cultura sottile, cit., p. 96.

6 In merito al progressivo mutare dei gusti e dei consumi legati al mercato editoriale tra Otto e Novecento, cfr.

ALBERTO CADIOLI, Il consumo librario, in Storia d’Italia. Annali, vol. 27, I consumi, a cura di Stefano Cavazza ed Emanuela Scarpellini, Einaudi Torino, 2018, p. 505-518.

7 La cosa fu messa in luce già nel 1980 da Piero Treves, che constatò come «nessuna delle pubblicazioni

formigginiane […] risulta specificatamente dedicata a problemi ebraici, alla realtà e allo status dell’ebreo in Italia. Il quale (forse non l’ebreo in genere, certo però l’ebreo Angelo Fortunato Formiggini) si accorse del suo status di ebreo solo sotto la tempesta, o la minaccia, della persecuzione razziale» (P.TREVES, Formiggini e il problema dell’ebreo in

Italia, cit., p. 68).

8 AEF, fasc. Cippitelli Salvatore, Ada, doc. 42, lettera del 30 agosto 1924. 9 AEF, fasc. Cippitelli Salvatore, Ada, doc. 44, dattiloscritto, s.d.

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insieme».10 Pare una sorta di “ipercorrettismo”, un bisogno di prendere le distanze da una sfera che era inevitabilmente parte di sé, ma una parte che per Formiggini non andava ostentata né sottolineata perché subordinata all’appartenenza italiana. Il 5 maggio 1925 si assistette a un ulteriore e definitivo passo indietro:

Ora vengo con l’anima in mano a dirle che ho comperato il secondo volume delle Histoires Juives e che ho visto la prefazione polemica e la odiosa diatriba che la pubblicazione di questo libro in Francia ha provocato. Lei sa bene che io sono superiore, porca l’oca, a qualsiasi pregiudizio, ma l’idea di provocare un cicaleccio su di un argomento di tal genere mi peserebbe parecchio.

Anche non so come potrebbe essere tollerato dal pubblico il fatto di mettere un volume di folklore semitico fra i Classici del Ridere ed io le chiedo con molta umiltà se farei una figura molto brutta con lei a pregarla di dare il volume ad un editore del nuovo testamento che non avesse i motivi che io ho per astenersi dal fare una cosa certamente lucrosa e assolutamente innocua.

Mi dica francamente il suo pensiero, perché ciò che più mi dispiacerebbe sarebbe fare una magra figura con lei.11

Il turbamento traspare chiaramente e porta Formiggini a mettere a nudo i propri pensieri con toni accorati e carichi di incertezza che, di solito, erano riservati ad amicizie più strette quali, ad esempio, quelli usati con Palazzi. I casi sono, probabilmente, due: o il grado di confidenza con la traduttrice fu davvero notevole,12 per quanto la sua figura non incroci le vicende biografiche più note dell’editore, oppure la materia lo preoccupava a tal punto da spingerlo a esternare considerazioni così personali a una collaboratrice, pur di uscire da una situazione percepita come particolarmente insidiosa.

Formiggini, sempre attento e aggiornato sulle pubblicazioni straniere, aveva recuperato in prima persona le Nouvelles Histoires Juives13 raccolte da Raymond Geiger e pubblicate da

Gallimard nel 1925, due anni dopo il primo volume. La «odiosa diatriba» che fece tremare le vene a Formiggini si consumava in un ambiente come quello francese che, a cavallo tra XIX e XX secolo, era percorso da molteplici correnti antisemite. Intellettuali di notevole spessore, appartenenti sia al mondo cristiano sia a quello laico, avevano dichiarato un esplicito

10 AEF, fasc. Cippitelli Salvatore, Ada, doc. 45, minuta di Formiggini del 26.09.1924.

11 AEF, fasc. Cippitelli Salvatore, Ada, doc. 53, minuta di Formiggini datata a matita 05.05.1925. La «prefazione

polemica» a cui si riferisce è l’Avertissement con cui il curatore della raccolta, Geiger, introduce questo secondo volume (Nouvelles histoires juives, recueillies par Raymond Geiger, Gallimard, Paris, 1925, p. VII-XXIX).

12 I due si scrivono e collaborano con una certa continuità dal 1920 al 1937, come si vedrà nel paragrafo successivo. 13 È presente, infatti, all’interno della raccolta di libri e periodici di argomento umoristico costruita personalmente da

Formiggini negli anni, la “Casa del Ridere” (poi confluita, come già ricordato, nel patrimonio della Biblioteca Estense) un esemplare di tale testo nell’edizione francese Gallimard del ’25, con collocazione “CASA del RIDERE. 788”; con ogni probabilità, Formiggini se lo era procurato proprio in questa occasione. Il volume, come molti della raccolta “Casa del Ridere”, ad oggi non risulta ancora presente sull’Opac di polo né su SBN.

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antigiudaismo ed erano nate vere e proprie riviste e associazioni come «La libre parole» o la Lega antisemita, che avevano contribuito ad alimentare odio e diffidenza verso gli ebrei, esplosi in maniera incontrollata anche a livello mediatico con l’affare Dreyfus.14 Su un tale terreno, era

sufficiente una pubblicazione di argomento ebraico per riaccendere polemiche e la riproposizione di un volume analogo in Italia da parte di un editore ebreo sembrò a Formiggini una forma di esposizione troppo rischiosa e indesiderata. La questione ebraica, per quanto sempre tenuta a margine in virtù di ideali di apertura e universalità e di una primazia dell’italianità sul resto, restava tuttavia latente a livello sottocutaneo ed emergeva, talvolta – quasi per contrasto – nei tentativi dell’editore di discostarsene o di non associarla alla propria persona in maniera diretta, come in questo caso. Formiggini arrivò addirittura, andando contro il proprio profitto, a suggerire alla Salvatore di proporre il lavoro a un editore «del nuovo testamento» – ovvero non ebreo – che non avrebbe avuto scrupoli nell’affrontare la pubblicazione e un’eventuale polemica ad essa legata. Nella sua situazione, invece, si sarebbe resa necessaria una giustificazione, per una scelta che voleva e doveva essere (ma soprattutto essere dichiarata) di matrice esclusivamente editoriale e non personale. Il volume non vide mai la luce per i tipi di Formiggini15 (nemmeno in seguito,

con la ideazione della collana “Aneddotica”, che pareva il luogo adatto in cui collocarlo), e furono rare, come anticipato, le incursioni formigginiane nella letteratura ebraica.

L’apertura del catalogo a opere di autori stranieri iniziò con il trasferimento a Genova, porto internazionale e città cosmopolita, ricca di stimoli intellettuali: il primo passo risale al 1912 e consistette in un volume, seppur ancora scritto in italiano, del professor William Mackenzie,16 che l’anno seguente fu tra i fondatori della rivista di biologia sperimentale «Bios», data alle stampe da Formiggini dal 1913 al 1915. L’approdo a titoli stranieri in traduzione italiana venne, però, solo l’anno seguente, nell’ambito della nota collana appena avviata dei “Classici del ridere”. La netta maggioranza di opere di autori non italiani uscite dai torchi di Formiggini sono inquadrate proprio all’interno di tale collezione: 30 dalla lingua francese, 8 dall’inglese (britannico), 4 dal tedesco, 2 dallo spagnolo, 2 dall’yiddish,17 1 dal russo – per un totale di 47 titoli su 80 complessivi (più della

14 BERNARD-HENRI LÉVY, Le avventure della libertà. Dall’affare Dreyfus a Louis Althusser: storia degli intellettuali

francesi, Rizzoli, Milano, 1992.

15 Entrambi i volumi della raccolta francese di Geiger furono invece tradotti e pubblicati in Italia con i titoli Storielle

ebree e Nuove storielle ebree dalla casa editrice milanese Modernissima tra il 1925 e il 1926, con una prefazione di

Gian Dàuli, allora direttore editoriale (ma non ebreo) e fondatore, in seguito, della collana “Scrittori di tutto il mondo” per Corbaccio.

16 William Mackenzie (1877-1970), fu biologo, filosofo e parapsicologo. Di origini metà scozzesi e metà irlandesi,

Mackenzie nacque e visse prevalentemente in Italia, a Genova, dove ebbe la cattedra di Filosofia biologica all’Università. Il volume edito da Formiggini fu Alle fonti della vita. Prolegomeni di scienza e d’arte per una filosofia

della natura (E.MATTIOLI,A.SERRA, Annali delle edizioni Formiggini (1908-1938), cit., p. 54).

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metà).18 In una lettera a Palazzi degli inizi del 1913, in fase ancora embrionale di progettazione della intera collana, Formiggini già scriveva: «Occorrerebbe roba tedesca, inglese, polacca, russa, magiara, cocincinese, etc. etc.».19 La dimensione internazionale della collana umoristica non stupisce: il comico e il riso erano stati individuati già negli anni universitari come elementi universali e unificanti. All’interno della tesi di laurea bolognese, la Filosofia del ridere, Formiggini affermava esplicitamente che «l’umanità sarà sempre varia» ma che, in ciò, il riso sarebbe stato sempre strumento di «affratellamento».20 In questa ottica, l’inclusione di storie «del ridere» provenienti da altre realtà linguistiche e culturali e la loro divulgazione e condivisione attraverso la traduzione italiana diventarono l’estrinsecazione dell’universalità del concetto stesso. Luigi Guicciardi parla, in tal senso, di un ideale di «umanitarismo sociale tramite il comico» espresso attraverso tale collana, un «vago socialismo emotivo» – nutrito, come già detto, anche dall’orientamento filosofico-socialista dei primi collaboratori del periodo genovese – che aspirava al «fine sociale della simpatia».21 Sia Guicciardi sia Ezio Raimondi riscontrarono comunque,

ripercorrendo i carteggi dell’archivio editoriale, una prudenza nelle scelte da parte dell’editore che, soprattutto inizialmente, preferì conservare «una certa armonizzazione […] fra il testo outré e il testo più innocente, fra il testo di tradizione italiana – anche se in qualche modo eccentrico – e il grande testo europeo».22

Anche la popolarità della letteratura francese sul mercato tra Otto e Novecento ebbe inevitabilmente un peso nella pianificazione editoriale di Formiggini e ciò risulta nella sua collana più nota e, ancora di più, nell’altra che accoglie titoli stranieri, le “Lettere d’amore” (pubblicate tra il 1925 e il 1938): qui si assiste al predominio assoluto degli autori francesi, ben otto su tredici. Come già visto, degli ottanta titoli che compongono i “Classici del Ridere” a partire dal 1913, trenta sono traduzioni dal francese, che attingono alla produzione umoristica di autori quali Honoré de Balzac, Savinien Cyrano De Bergerac, Alphonse Daudet, Théophile Gautier, François Rabelais, Claude Tillier, ecc., con un aumento progressivo negli anni Venti.23

18 Si è preferito effettuare il calcolo basandosi sui titoli pubblicati, non sui volumi effettivi usciti per la collana (106),

poiché la presenza, ad esempio, di un Decamerone del Boccaccio in dieci volumi, o di un Gargantua e Pantagruele in cinque, avrebbe in qualche modo falsato il confronto basato sul fattore linguistico (prospetto completo della collana in E.MATTIOLI,A.SERRA, Annali delle edizioni Formiggini (1908-1938), cit. p. XV-XVII).

19 Lettera di Formiggini a Palazzi del 03.06.1913 (collezione privata). La Cocincina è la zona più meridionale del

Vietnam, confinante con la Cambogia, per lungo tempo assoggettata alla dominazione francese.

20 Citato in E.RAIMONDI, I “Classici del ridere”, cit., p. 215-216.

21 LUIGI GUICCIARDI, Le vicende editoriali dei “Classici del Ridere”: dal progetto alla ricezione, in Angelo Fortunato

Formiggini. Un editore del Novecento, cit., p.227-263: 234-235.

22 E.RAIMONDI, I “Classici del ridere”, cit., p. 218.

23 D’altronde, nel primo dopoguerra la quantità di opere tradotte dal francese subì un’impennata e, allo stesso tempo,

una virata dai grandi classici di fine Ottocento verso una narrativa più leggera, amena, che si prestava a soddisfare il gusto di un bacino di lettori in aumento, ma con aspettative e gusto diversi. Si privilegiavano pertanto romanzi di autori anche minori, ma con caratteristiche comuni di intreccio, evasione, sentimentalismo, che rispondevano a un

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Fin dai primi momenti di ideazione dei “Classici del ridere”, Formiggini si confrontò con amici e collaboratori (si ricordano, ad esempio, Palazzi, accanto a Francesco Picco, Emilio Bodrero, Attilio Momigliano) sulle opere da inserire nella collana e circa varie suggestioni e proposte dirette di traduzione e curatela ricevute. A tale proposito, Formiggini aveva infatti rilasciato una circolare «confidenziale», datata 22 novembre 1912, rivolta soprattutto ai principali editori e librai italiani – come lui stesso scrisse sulla bozza manoscritta preparatoria della stessa24 –, ma anche a scrittori e illustratori. Nell’originale appello epistolare egli chiedeva «consiglio per il felice compimento di una iniziativa che mi sta molto a cuore», annunciando di avere già raccolto «molte promesse di ottima collaborazione».25 L’editore sottopose i risultati del sondaggio a un vaglio cauto e ponderato; in alcuni casi l’esito delle trattative fu positivo, ma in altri si crearono situazioni anche delicate che portarono, per un motivo o per l’altro, ad esclusioni di testi o collaboratori inizialmente approvati, a dimostrazione dell’attenzione sempre costante di Formiggini nel voler tenere sotto controllo ogni singolo aspetto del suo fare libri.

In fase di progettazione, tra gli scambi più proficui hanno un rilievo particolare quelli tra Formiggini e Palazzi, uno dei corrispondenti più fidati e considerati dal modenese.26 Il 29

settembre 1912 una lettera dell’editore annunciò a Palazzi che «l’idea dei Classici allegri si fa strada», per poi, subito dopo, chiedere esplicitamente il suo aiuto: «Ora mi dovresti trovare un titolo per la raccolta ed aiutarmi a compilare un catalogo-preventivo di soggetti, di persone a cui affidarli sia per il testo sia per la decorazione. Quando puoi scrivimi un letterone in determinata materia».27 Palazzi rese omaggio alla fiducia riposta inviando a Genova, nell’ottobre del ’12, una quarantina di suggerimenti di autori e titoli; di questi, ben ventidue furono inclusi da Formiggini nei “Classici” e la metà esatta erano autori stranieri, principalmente francesi. In tali elenchi stilati dal Palazzi erano già presenti il primo classico in lingua non italiana che poi venne pubblicato, ovvero I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (1913);28 lo stesso vale per i nomi di Sterne e dei

consumo più ampio e popolare. (LUCIANO ERBA, Mezzo secolo di traduzioni dal francese in Italia (1900-1950):

appunti per uno studio, in Studi in onore di Vittorio Lugli e Diego Valeri, Neri Pozza, Venezia, 1961, p. 363-378).

24 Le bozze della circolare sono contenute in AEF, fasc. Classici del Ridere. 25 AEF, Circolari, vol. 1, 1908-1912, c. 258.

26 In un articolo sull’ICS, Formiggini stesso scriveva, riferendosi a Palazzi: «ciò che dice Palazzi sono abituato ad

ascoltarlo con speciale interesse. In materia letteraria io considero il suo giudizio infallibile non meno di quanto consideri infallibile il Papa in materia religiosa» («L’Italia che scrive», XII, 2, febbraio 1929, p. 36).

27 Lettera di Formiggini a Palazzi datata Genova, 29.09.1912 (collezione privata).

28 Per la traduzione integrale si offrì Aldo Valori, giornalista e scrittore toscano, che fu redattore capo del «Resto del

carlino» prima (1909-1925) e del «Corriere della sera», poi (1925-1943). Per velocizzare l’opera di traduzione, Valori seguì sì il testo originale, ma con l’ausilio anche di una versione in francese e una più vecchia e incompleta in italiano (E.MATTIOLI,A.SERRA, Annali delle edizioni Formiggini (1908-1938), cit., p. 92-93).

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francesi Rabelais, Tillier, Balzac, Gautier, Voltaire, Brantôme, De Coster,29 molti dei quali ritornarono anche nei consigli di altri amici interpellati, come Picco30 o Chiesa.

Un altro caso di suggerimento accolto, seppure non proveniente da un amico stretto come Palazzi né da un nome conosciuto, è quello di Leone Savoy Pacini riguardo la letteratura russa. Quest’ultima non era estranea al mercato librario europeo di fine Ottocento e inizio Novecento, complice il filone dell’editoria di stampo positivistico e popolare prima e l’ideologia socialista poi,31

che aveva contribuito alla pubblicazione e diffusione di romanzi a sfondo sociale di tendenza «democratica» quali, ad esempio, quelli dei francesi Victor Hugo ed Émile Zola e, con una grandissima fortuna in Italia, di Lev Tolstoj.32 Nel contesto tardo ottocentesco questi autori furono piuttosto utilizzati quali strumento dell’impegno militante degli intellettuali socialisti in una sorta di «propaganda sentimentale», che avvicinasse le masse popolari ai propri ideali attraverso letture amene con funzioni educative e sociali; in ogni caso, come puntualizzato da Gabriele Turi, il loro scopo non si esaurì ed essi continuarono a rappresentare, durante la parabola del fascismo, la controparte in cui riconoscersi per tutti coloro che si discostavano dall’ideologia del regime. L’apertura verso i grandi romanzieri europei incoraggiata dal movimento socialista ne favorì così la circolazione anche in Italia e spianò la strada a un interesse più puntuale per la letteratura russa, con Tolstoj come apripista.33

È del 1920, infatti, la nascita della rivista «Russia», ideata da Ettore Lo Gatto – studioso di lingue slave e traduttore da tedesco, polacco, bulgaro, cecoslovacco e russo – con l’intento di fare conoscere tutte le sfaccettature della letteratura russa, dalla saggistica alla poesia al teatro, e incentivare così studi più approfonditi della lingua stessa, che consentissero l’approccio diretto ai testi, per lungo tempo giunti in Italia solo attraverso traduzioni francesi e inglesi, spesso di bassa