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l’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana (1919-1923)

2.1. Una strategia concreta di diffusione

Il primo gennaio 1919, Formiggini rivolse una comunicazione a tutti gli italiani che riportava, in esergo: «“L’Italia che scrive” è fatta: ora facciamo l’Italia che legge! Ora che l’Italia è fatta facciamo conoscere l’Italia!».1 Nell’intestazione della circolare, per la prima volta, accostò

significativamente alla propria rivista il novello nome dell’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana; la «valanga» magmatica aveva trovato, alfine, una forma stabile, dotata di appellativo ufficiale. A dimostrare l’attenzione che il documento riveste sta il fatto che esso risulti oggi conservato nell’archivio editoriale in due versioni: una per il pubblico in generale, l’altra più dettagliata, probabilmente da accompagnare alla citata circolare per le ditte e le imprese del 16 gennaio. Sono presenti alcune differenze nella forma, ma i contenuti sono i medesimi ed entrambe sono datate 1° gennaio 1919. La seconda variante2 riporta l’appunto autografo di Formiggini in lapis blu che la qualifica come «Riservata», forse da allegarsi alla citata circolare dattiloscritta rivolta alle ditte e imprese, che rappresenta il documento del fascicolo immediatamente successivo;3 qui, infatti, si fa cenno all’«unita bozza che contiene un mio progetto». Le due circolari davano l’annuncio formale di ciò che, fino a quel momento, era stato accennato e anticipato in modo succinto in altre carte d’archivio:

L’Italia che scrive, anche adesso, com’è, riesce a dare un’idea abbastanza completa della cultura italiana e

potrà con poco sforzo diventarne addirittura l’eco ideale e perfetta, raggiungendo così due alti scopi: 1) quello di risvegliare e promuovere un più vasto movimento intellettuale nella nostra nazione; 2) quello di mettere in valore all’Estero la nostra cultura e quindi il buon nome e il prestigio italiano.

Persuaso della grande importanza nazionale che così potrà assumere il periodico, e poiché la modestia dei miei privati bisogni mi fa essere, con pochi soldi, un milionario, ho pensato di sottrarre L’Italia che scrive a ogni possibilità di speculazione e di crearne un Ente distinto dalla mia azienda editoriale, perché possa perseguire i suoi fini con maggior dignità e autorevolezza, e perciò l’ho regalata al mio Paese, costituendo

1 AEF, Circolari, vol. 3, 1918-1927, c. 33, 35. 2 AEF, Circolari, vol. 3, 1918-1927, c. 35. 3 Ivi, c. 36.

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un Istituto che avrà a suo tempo la sua veste giuridica e i cui proventi serviranno anch’essi agli stessi scopi d’interesse collettivo che già la rivista si proponeva. Così L’Italia che scrive diverrà strumento doppiamente efficace di propaganda italiana, coi suoi scritti e, più ancora, coi suoi profitti.4

Il passo sopra riportato appartiene alla variante del programma presumibilmente mirata a ditte e imprenditori, e presenta sottili ma significative modifiche, se confrontato con quello corrispondente della versione abbreviata per il grande pubblico, che suonava così:

Alcuni mesi fa ho lanciato una rivista, L’Italia che scrive, la quale riesce già a dare un’idea abbastanza completa di tutta la cultura italiana e che, sempre più perfezionista e tradotta in più lingue, potrà contribuire risvegliare un più vasto movimento intellettuale nella nostra nazione e a mettere in valore all’Estero la nostra cultura e quindi il buon nome italiano. Ho sottratto l’ICS a ogni possibilità di speculazione perché possa perseguire i suoi fini con maggior dignità e autorevolezza, e l’ho regalata al mio paese facendola organo di un Istituto che sarà eretto in ente morale e i cui redditi serviranno anch’essi agli stessi scopi d’interesse collettivo che la rivista si propone.5

In primo luogo, si nota l’aggiunta di «prestigio» accanto a «buon nome», là dove il primo termine poteva richiamare una qualità applicabile non solo all’ambito culturale ma anche a qualsiasi prodotto italiano che potesse essere reso noto; in secondo luogo, la dichiarazione di sobrietà dell’editore («la modestia dei miei privati bisogni mi fa essere, con pochi soldi, un milionario») volta, verosimilmente, a sfatare una volta di più qualsiasi dubbio su un possibile interesse personale sotteso al tutto; infine, il riferimento più esplicito a «proventi» e «profitti» «di interesse collettivo», a dimostrare l’esistenza di una componente concreta, economica nella progettualità, che potesse incentivarli a collaborare attivamente. Nell’unita circolare, infatti, Formiggini pose l’accento proprio sulle «larghe conseguenze non pure nel campo spirituale, ma anche in quello industriale e pratico»6 che l’adesione al suo sistema di réclame avrebbe restituito ai sottoscrittori.

Quest’ultimo aspetto, per così dire “venale”, non era invece presente nell’altra versione dell’appello, più generica, in cui Formiggini esponeva agli italiani la propria intrapresa solo nella sua veste più alta di servizio disinteressato alla collettività nazionale.

Così facendo, Formiggini cercò di intrecciare a doppio filo i due aspetti della vita nazionale, quello della cultura e quello del mercato,7 per trarne una base più solida possibile per la sua azione

4 AEF, Circolari, vol. 3, 1918-1927, c. 35. 5 AEF, Circolari, vol. 3, 1918-1927, c. 33. 6 AEF, Circolari, vol. 3, 1918-1927, c. 36.

7 Come evidenziava anche Maria Iolanda Palazzolo nel suo intervento riguardante la rivista formigginiana al

convegno del 1980: «La propaganda della cultura in Italia e all’estero diviene così – anche nelle intenzioni di Formiggini – propaganda del prodotto italiano, qualunque esso sia, e ad essa sono chiamati a collaborare quanti sono

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di promozione dell’italianità nel mondo, attraverso un argomentare ben strutturato, da fine oratore qual era, anche nello scritto:

La cultura è il cervello di un popolo, la sua espressione più eletta, l’indice sicuro della sua attività, del suo sano equilibrio, delle sue energie. È anche il più efficace mezzo di insinuarsi nella simpatia degli altri popoli. La popolarità universale della Francia è essenzialmente dovuta all’immensa diffusione del libro e del pensiero francese; e già l’arte e le lettere italiane furono i migliori agenti di pubblicità delle nostre industrie seriche cinquecentesche, dei commerci veneti, dei banchieri lombardi. Se un popolo ragiona bene, dovrà anche operar bene. Ne consegue che allo sviluppo e alla propaganda della cultura italiana sono di necessità interessati anche i commercianti e gli industriali, che diverranno i miei migliori alleati.8

Il riferimento alla Francia era inevitabile. La diffusione capillare del libro francese in Italia a cavallo tra Otto e Novecento è un dato di fatto.9 Un recente studio di Raphaël Muller si è concentrato sullo spoglio di cataloghi ed elenchi delle acquisizioni delle biblioteche pubbliche nonché sui registri di prestito della biblioteca del Gabinetto Vieusseux, uno dei più noti crocevia culturali a livello europeo, attivo fin dal 1819 a Firenze. La ricerca ha evidenziato la grande popolarità dei testi francesi in questo periodo: all’incirca il 40% del totale dei titoli stranieri acquistati dalle biblioteche di pubblica lettura provenivano dalla Francia, percentuale più o meno analoga a quella dei libri francesi presenti all’interno della biblioteca del Gabinetto fiorentino.10

Gli intellettuali italiani erano aggiornati sulle novità e sulle mode editoriali d’Oltralpe e studiavano il francese, pertanto ne leggevano le opere sia letterarie sia accademiche prevalentemente in lingua originale. Notevole successo aveva però anche il libro francese tradotto in italiano, specialmente dopo l’unità d’Italia e il conseguente allargamento del pubblico dei lettori con la scolarizzazione di massa;11 tra il 1886 e il 1913, intervallo di tempo oggetto degli studi di Muller, la maggior parte dei titoli tradotti risulta essere, più che altro, narrativa o letteratura d’evasione di autori minori ma molto amati dai lettori del ceto medio.12 Era un tipo di

interessati, nei campi pur diversi della loro attività, ad una crescita globale di credibilità sul mercato interno ed internazionale». (M.I.PALAZZOLO, «L’Italia che scrive»: un periodico per il libro, cit., p. 412).

8 AEF, Circolari, vol. 3, 1918-1927, c. 35.

9 Cfr. in proposito: La cultura francese in Italia all’inizio del XX Secolo. L’Istituto francese di Firenze. Atti del

Convegno per il centenario (1907-2007), a cura di MAURIZIO BOSSI, MARCO LOMBARDI, RAPHAËL MULLER, Olschki, Firenze, 2010; ADRIANA CHEMELLO, La letteratura popolare di largo consumo, in Storia dell’editoria nell’Italia

contemporanea, a cura di Gabriele Turi, Giunti, Firenze, 1997, p. 165-192.

10 Cfr. RAPHAËL MULLER, Le livre francais et ses lecteurs italiens. De l’achèvement de l’Unité à la montée du

fascisme, Armand Colin, Paris, c2013.

11 Si ricorda in particolare la Legge Casati (r.d. 13 novembre 1859, n. 3725 del Regno di Sardegna), entrata in vigore

nel 1860 e applicata, dopo l’unificazione, a tutta l’Italia.

12 Dall’analisi del «Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa» edito dalla Biblioteca

Nazionale Centrale di Firenze, Muller ha calcolato che tra il 1886 (prima annata del periodico) e il 1913 «4.464 titoli furono tradotti dal francese all’italiano durante questi 28 anni» e che «in media, gli editori italiani fecero tradurre circa

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pubblicazioni largamente diffuso, anche grazie alla popolarità al tempo goduta dal cosiddetto “romanzo di appendice”, stampato all’interno di quotidiani proprio sull’esempio del feuilleton francese;13 caso emblematico fu quello del «Secolo», testata milanese edita da Sonzogno a partire dal 1886 che, prima in Italia, diede spazio al nuovo genere pubblicando a puntate tali narrazioni amene ed arrivando a tirature di 130.000 esemplari al giorno.14

Formiggini era consapevole della profonda influenza che la cultura e la letteratura francese sortivano sul pubblico italiano, grazie anche al monitorare costante del mercato librario operato con recensioni e segnalazioni sull’ICS. Ciò venne da lui puntualizzato in varie occasioni, come dimostra la circolare esaminata o l’apostrofe, più provocatoria, all’uditorio nel discorso preparato per il giorno dell’inaugurazione dell’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana: «Ma val proprio la pena di fare la propaganda alla cultura italiana? esiste una cultura italiana? non è la nostra letteratura una propaggine francese, la nostra scienza un plagio tedesco?».15 Ma l’attrazione

riscontrata verso la letteratura francese ebbe inevitabilmente un peso nella pianificazione della sua collana più popolare e diffusa. Dei 106 titoli che compongono i “Classici del Ridere” a partire dal 1913, 22 sono testi francesi tradotti da autori quali – in ordine di apparizione – Cyrano De Bergerac, Claude Tillier, Voltaire, François Rabelais, Théophile Gautier, Alphonse Daudet, ecc.16 Formiggini utilizzò l’esempio del successo francese come incentivo a una diffusione analoga del prodotto intellettuale italiano, poiché era convinto che «il libro è sempre stato in tutti i tempi, ma specie nel periodo storico immediatamente anteriore alla guerra, la staffetta delle industrie»,17 che doveva tracciare il sentiero per il riconoscimento delle altre eccellenze della produzione nazionale da parte del pubblico straniero. Per questo motivo, la risposta alla domanda «come faremo la pubblicità al nostro pensiero nazionale?»18 doveva solleticare l’interesse (e il contributo) di commercianti e industriali. Proseguiva dunque, nella circolare a loro rivolta:

160 libri francesi ogni anno» (RAPHAËL MULLER, La diffusione del libro francese nell’Italia liberale, «La fabbrica del libro», XIX, 1, 2013, p. 33).

13 Cfr. ADA GIGLI MARCHETTI, Le nuove dimensioni dell’impresa editoriale, in Storia dell’editoria nell’Italia

contemporanea, cit., p. 115-164.

14 R.MULLER, La diffusione del libro francese nell’Italia liberale, cit., p. 36. La Sonzogno, insieme con Treves e la

Salani, rappresentavano un nucleo di case editrici che potevano dirsi specializzate nella pubblicazione di “letteratura amena” destinata ad incontrare i gusti di un pubblico popolare. Più della metà dei romanzi francesi tradotti in Italia tra il 1886 e il 1913 sono da ricondurre ai loro cataloghi con, in alcuni casi, quasi un monopolio sulle edizioni di determinati autori.

15 AEF, fasc. Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana, doc. 21, dattiloscritto con correzioni autografe di

Formiggini su carta intestata dell’Istituto.

16 Il rapporto tra Formiggini e gli autori stranieri sarà oggetto di approfondimento del terzo capitolo.

17 AEF, fasc. Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana, doc. 47, bozza manoscritta inedita intitolata

Conferenza di A.F. Formiggini tenuta al Circolo Filologico di Milano per far conoscere l’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana.

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Riconosco per altro che questo interesse è soltanto indiretto e troppo generico perché si possa su di esso solo fondare esagerate speranze. Saranno soltanto i più colti e intelligenti a capir subito gl’immancabili benefici di una simile penetrazione spirituale nel mondo. Ma se a questo interesse unisco un’utilità più immediata, più palpabile, più particolare, ho ogni ragione di credere che nessun commerciante, nessun industriale, vorrà negarmi la sua cooperazione.19

La chiave per aprire i forzieri delle ditte, per l’editore modenese, era custodita in una parola –

réclame – poiché, come fece loro notare «oggi non c’è istituto di credito, azienda commerciale, casa

produttrice che non spenda una cospicua somma annua, sia per la réclame sui giornali, sia per ricordarsi ai suoi migliori clienti con regali». Ed ecco la «trovata speciale»20 offerta da Formiggini:

un «doppio sistema di réclame che è nello stesso tempo un dono». Da un lato, la prima pagina della «copertina-fascetta» (da lui brevettata) avrebbe dato la massima visibilità possibile all’inserzione della ditta sottoscrittrice di un carnet di abbonamenti annuali all’ICS, per tutti i dodici mesi di durata degli stessi, ottenendo così una sorta di personalizzazione delle copie da distribuire alle singole imprese abbonate. Dall’altro, il riassunto delle pubblicità delle ditte sarebbe stato inserito all’interno del periodico, e ciascuna con uno spazio dedicato «proporzionato al numero di abbonamenti sottoscritti». A conclusione della descrizione dettagliata del meccanismo, l’editore strizzò l’occhio agli imprenditori e, allo stesso tempo, palesò il vantaggio che indirettamente ne avrebbe tratto l’attività di diffusione culturale veicolata dalla circolazione della rivista tra i clienti delle imprese:

Quale più simpatico sistema di réclame di questo che addita alla riconoscenza di tutte le persone colte dell’universo gli industriali che favoriscono l’incremento e la messa in valore della cultura del loro paese? Va da sé che ognuno dei sottoscrittori è a sua volta interessato che altri molti sottoscrivano, a ciò che la rivista diffondendosi a tirature enormi abbia una sempre più vasta potenza di réclame.21

A legittimazione della richiesta di finanziare il vasto progetto, Formiggini concluse l’appello ribadendo il coinvolgimento dell’amministrazione statale nella formazione dell’Istituto: pur precisando di volersi adoperare affinché l’iniziativa «non perda quel carattere di fresca indipendenza che ne assicuri la rapida operosità», essa si rivelava già troppo importante per il Paese e dunque l’editore si premurò di

19 AEF, Circolari, vol. 3, 1918-1927, c. 35.

20 L’idea, che era già stata lodata dal sottosegretario Gallenga Stuart il Natale precedente, colpì immediatamente anche

Dino Provenzal, amico e collaboratore di Formiggini, che scrisse in proposito all’editore già a fine gennaio, con un arguto gioco di parole: «La tua nuova idea è formi[ggini]dabile!!!» (AEF, fasc. Provenzal, Dino, doc. 33, biglietto autografo datato “Teramo, 23.01.1919”).

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fare uffici perché nel Consiglio d’Onore siano rappresentati anche il Ministro degli esteri e quello delle Colonie, come già in massima aderirono, con lusinghiere parole, A.BERENINI, Ministro della Pubblica Istruzione; P.BOSELLI, Presidente della Dante Alighieri; U.COMANDINI, Alto Commissario per la Propaganda all’Interno; R. GALLENGA STUART, Sottosegretario di Stato per la Propaganda all’Estero; A.TORRE, Presidente dell’Associazione della Stampa.22

I personaggi richiamati da Formiggini andavano così a rappresentare, all’interno del Consiglio dell’istituto da lui fondato, tutti gli appoggi fondamentali alla buona riuscita dell’impresa: l’istruzione, la propaganda interna e la stampa per la promozione a livello nazionale; la propaganda all’estero, la Società Dante Alighieri – al momento, l’istituzione che di essa si occupava più concretamente e capillarmente – e i due Ministri degli Esteri e delle Colonie, per ampliare al massimo il raggio d’azione. Nel consuntivo diffuso da Formiggini in chiusura della prima annata dell’ICS, erano rese pubbliche le lettere di consenso e garanzia ricevute da tutte le personalità sopracitate, così come quella inviata dai colleghi editori (con firme di Bemporad, De Marinis, Draghi, Hoepli, Messaggerie Italiane, Istituto poligrafico d’Arte di Terni, Istituto Librario Italiano di Zurigo, Paravia, Taddei), i quali facevano plauso «al proposito di volere destinare tutti i proventi della bella impresa all’incremento della editoria nazionale e alla propaganda del libro Italiano».23

Agli inizi del 1919 la costituzione formale dell’Istituto non era ancora avvenuta, come lo stesso Formiggini aveva comunicato in via confidenziale al redattore capo per l’Italia della «Nouvelle Revue d’Italie», Maurice Mignon, cui scrisse: «Carissimo Mignon, la inaugurazione è stata rimandata. È parso a Comandini che il momento politico internazionale e nazionale non fosse il più propizio per varare il grande piano».24 In effetti, a gennaio del ’19, data della lettera, non si era ufficialmente concluso il primo conflitto mondiale e alla stipula del Trattato di Versailles mancavano alcuni mesi, quindi gli equilibri internazionali erano forse ancora troppo instabili. La prima nomina del Consiglio direttivo provvisorio avvenne infatti solo a settembre, pochi mesi dopo la firma della pace, con la presidenza onoraria riservata al Ministro della Pubblica istruzione in carica, quella effettiva affidata a Ferdinando Martini, il ruolo di consigliere per Formiggini e la sede dell’Istituto fissata a Roma, all’interno della redazione de «L’Italia che scrive».

L’annuncio tramite le circolari di inizio anno fu corroborato dall’Esordio della seconda annata della rivista, sempre sottoscritto dal suo direttore, che andava preparando il terreno a successive mosse della concreta strategia di diffusione del libro italiano. Qui, Formiggini informò

22 Ibidem.

23 Le lettere sono riportate nella circolare Il “consuntivo” dell’ICS, in allegato all’Indice della prima annata

dell’«ICS».

24 AEF, fasc. Mignon, Maurice, doc. 2, minuta su carta intestata dell’Istituto datata 06.01.1919. Formiggini sarà co-

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il pubblico che le attività dell’ICS avrebbero costituito «il patrimonio di un ISTITUTO PER LA PROPAGANDA DELLA CULTURA ITALIANA che si intitolerà anch’esso L’ITALIA CHE SCRIVE e che continuerà, senza gli impacci burocratici, l’azione che io stesso avevo iniziato sotto gli auspici del Sottosegretariato della Stampa ora disciolto». Fece presente che esso avrebbe assunto «forma giuridica perché ne sia assicurato il regolare e perpetuo funzionamento» e che si sarebbe dotato di un «Consiglio d’onore (a cui saranno invitate a partecipare cospicue personalità del mondo politico e culturale) e un Sindacato di amministrazione, composto dei maggiori contribuenti». Anticipò infine la prospettiva futura delle «infinite iniziative che potranno essere promosse o incoraggiate dall’Istituto», ovvero «collezioni dei nostri migliori autori tradotte in lingue straniere, concorsi, scuole del libro, biblioteche e librerie italiane in lontani centri, ecc. Tutto dipenderà dall’entità dei fondi che, col propagarsi sempre maggiore del periodico e col fascino della grande causa, potranno essere raccolti».25 A chiusura dell’annuncio, Formiggini

condivise le proprie aspirazioni, che avevano radici consolidate da lungo tempo:

Dicemmo sin dall’inizio che la nostra opera avrebbe dovuto essere non l’ultimo atto di guerra ma il primo gesto del dopo guerra. E questo è infatti un giornale per la propaganda italiana nel mondo pacificato, ma è anche l’organo di un partito di politica internazionale nuovo in Italia, che oggi ha un solo inscritto, ma che spero ne avrà molti in seguito: il partito simpaticista. Vorrei cioè che sul mio Paese convergesse, non l’ammirazione, ma la simpatia del mondo. È qualche cosa di meno, ma può valere molto di più.26

Affiorava infatti il tema della «simpatia», di una dimensione di universale convivenza tra le genti che ritornò, con costanza, come obiettivo sotteso a tutti i progetti e le attività di Formiggini, già intravisto nell’universalismo pacifista di cui si è trattato nel precedente capitolo. La perorazione accorata e mirata della causa del costituendo Istituto attirò l’attenzione dei destinatari: come ricordò Maria Iolanda Palazzolo nel suo intervento al convegno modenese del 1980, «è massiccio l’apporto delle industrie le più varie, dal Cotonificio Benigno Crespi, che prenota 1000 copie, alla ditta Bellentani di Modena che ne acquista altrettante, ad altre imprese minori».27

Lo stesso Formiggini, poi, si attivò personalmente per raccogliere sottoscrizioni anche oltre confine, come dimostra ad esempio la missiva indirizzata a Francesco Chiesa, scrittore svizzero di lingua italiana residente nel Canton Ticino, sempre a inizio 1919: l’editore cercava da lui un suggerimento riguardo «una persona adatta che con l’aria dell’apostolo e non dell’agente di pubblicità mi organizzasse le sottoscrizioni di tutti gli industriali svizzeri che desiderino farsi

25 A.F.FORMIGGINI, Secondo esordio, «L’Italia che scrive», II, 1, gennaio 1919, p. 1. 26 Ibidem.

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conoscere in Italia e di tutti gli italiani e gli svizzeri che vogliono dare una prova di simpatia al nostro Paese», precisando che «ai propagandisti in forma privata (e perciò non compromettente) io