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l’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana (1919-1923)

2.6. Competizione o compenetrazione? Il confronto con la Dante Alighier

I propositi dell’Istituto, così come l’aveva concepito Formiggini ai tempi della formazione originaria, si erano infatti affiancati ben presto a quelli di un altro ente già attivo da molti anni nel campo della valorizzazione culturale, ma con un’impostazione dall’accento più nazionalistico che mostrava uno spirito piuttosto diverso da quello formigginiano: la Dante Alighieri.

La Società Dante Alighieri era stata fondata nel 1889 da un gruppo di intellettuali che aveva preparato e diffuso un Manifesto agli italiani,166 con il proposito iniziale di riunire intorno a sé tutti i cittadini che auspicavano la completa unità della patria e sostenevano l’impegno a preservare il sentimento nazionale, le consuetudini, la lingua e la cultura italiana nelle terre ancora assoggettate al dominio Austriaco.167 Nel luglio 1893, a seguito di due prime esperienze associative,168 l’associazione fu eretta ad Ente morale; nello statuto, essa si prefiggeva di esercitare «la propria attività attraverso la promozione della cultura e dell’arte, per la tutela e la diffusione della lingua e della cultura italiane nel mondo, ravvivando i legami dei connazionali all’estero con la madre patria e alimentando tra gli stranieri l’amore per la cultura, la civiltà e la lingua italiana».169 Per il conseguimento delle sue finalità, la Dante Alighieri si strutturò in Comitati, disseminati sia sul suolo italiano sia all’estero170 e dipendenti dalla sede centrale di

166 Il documento fu redatto da Giuseppe Chiarini e firmato da 159 sottoscrittori, provenienti da diversi schieramenti

politici.

167 Cfr. BRUNO MANZONE, Dante Alighieri. Società Nazionale, in Enciclopedia Italiana, 1931; FILIPPO CAPARELLI, La

“Dante Alighieri” 1920-1970, Bonacci, Roma 1985; BEATRICE PISA, Nazione e politica nella società Dante Alighieri, Roma, Bonacci Editore, 1995, in part. il capitolo I profili di una identità complessa, p. 17-109.

168 La Pro Patria era nata nel 1886 nel Trentino in reazione all’operato della Deutscher Schulverein, associazione di

lingua germanica che sosteneva le scuole tedesche all’interno dei territori germanofoni della Val di Non, e all’intervento del governo in suo favore seguendo il modello delle Società nazionali tedesche e slave (AUGUSTO

SARTORELLI, La Società Pro Patria e il suo tempo, Tipografia della Camera dei deputati, Roma, 1919). La Giovanni

Prati, invece, fu fondata nel 1888 come un ramo bolognese della Pro Patria che, però, per il suo atteggiamento più

meditato, potesse incontrare il consenso anche degli italiani più prudenti e meno politicamente esposti. (GIAN

FRANCESCO GUERRAZZI, Ricordi di irredentismo. I primordi della “Dante Alighieri” (1881-1894), Zanichelli, Bologna, 1922).

169 Articolo 1 dello statuto della Società Dante Alighieri, in vigore ancora oggi e riportato sul sito internet ufficiale

dell’istituzione (<https://ladante.it/chi-siamo/lo-statuto.html>).

170 L’art. 16 dello statuto definisce i Comitati come «organismi periferici costituiti da un gruppo non inferiore a

cinquanta soci che si riuniscono per realizzare un programma concordato con la stessa, in particolare al fine di promuovere le attività culturali, raccogliere fondi e realizzare progetti culturali con istituzioni e soggetti locali», e

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Piazza Firenze a Roma. Essa diede vita a un’ampia serie di attività, tra cui l’istituzione e il sussidio di scuole, biblioteche, circoli e corsi di lingua e cultura italiane, la diffusione di libri e pubblicazioni e l’organizzazione di conferenze, soprattutto all’estero. Per mezzo dei Comitati, in Italia partecipava alle attività intese ad accrescere ed ampliare la cultura della nazione e promuoveva «ogni manifestazione rivolta ad illustrare l’importanza della diffusione della lingua, della cultura e delle creazioni del genio e del lavoro italiani»,171 mentre oltre confine mirava a diventare il punto di riferimento per gli emigrati, mantenendo vivo il loro legame culturale, umano e linguistico con la madrepatria. Giosue Carducci, uno dei suoi più illustri promotori, in uno dei rari discorsi tenuti per la Dante Alighieri, la sera del 12 marzo 1890, aveva puntualizzato che la nuova Società sorta «non era né letteraria né politica, bensì “qualcosa di più nobile e più alto”, cioè nazionale»,172 indirizzando le strategie verso un’idea di «fare politica senza fare politica»173 che divenne via via meno praticabile (e praticata) nel corso della prima metà del Novecento.

In qualità di roccaforte orgogliosa della lingua e dell’identità italiane, e considerate le condizioni originarie in cui era sorta, già in occasione della Prima guerra mondiale la Dante si schierò attivamente con la corrente interventista. Dopo l’iniziale tentativo di mantenersi su una linea più cautamente vicina al neutralismo, perorata dall’allora presidente Paolo Boselli, l’entusiasmo dei giovani della Legione studentesca Dante Alighieri di Udine nel 1914, insieme con le critiche a un silenzio che era sinonimo di una pratica politica «del sotterfugio, della dissimulazione, dell’opportunismo»,174 portarono la Società a una presa di posizione ufficiale. Il

25 maggio 1915 fu reso pubblico il Manifesto della Dante per la nostra guerra, sottoscritto da Boselli stesso, che giustificava l’intervento italiano nel conflitto bellico come misura preventiva in difesa dell’italianità contro il dominio e l’oppressione straniera, e faceva propria la missione di incitare gli animi alla resistenza e di far conoscere in Italia e all’estero i fini ideali per cui la nazione andava a combattere. Tali posizioni, predominanti da quel momento in avanti, si andarono ad allineare progressivamente con quelle del partito fascista e con il piano di egemonia culturale di stampo nazionalistico delineato da Gentile, per arrivare a una quasi totale assimilazione a partire dagli anni Trenta, con esiti del tutto differenti da quelli della parabola ideologica di Formiggini, nonostante il perseguimento di obiettivi affini, se non proprio simili.

delibera che essi «in armonia con le disposizioni del presente statuto e del regolamento, in linea con le indicazioni fornite dalla “Società Dante Alighieri” e, per quanto si riferisce ai comitati all’estero, con le leggi locali, ove necessario, possono provvedere al proprio ordinamento» (art. 17).

171 Art. 2 dello statuto.

172 B. PISA, Nazione e politica nella società Dante Alighieri, cit., p. 53. In nota, l’autrice precisa che il discorso del

Carducci non fu scritto o pubblicato, ma solo riportato da Albero Dallolio in un articolo dal titolo Giosuè Carducci e

la Dante negli «Atti della Dante Alighieri», fasc. III, 15 maggio 1923, p. 1.

173 Ibidem. 174 Ivi, p. 310.

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All’inizio degli anni Venti, però, quando l’Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana prese vita a tutti gli effetti, la Società Dante Alighieri era attiva sul territorio da circa un trentennio e, come già evidenziato, il suggerimento del conte Gramatica di Bellagio di strutturare un futuro istituto in «sezioni nelle varie città d’Italia e Comitati di propaganda all’Estero», che fu poi accolto dall’editore,175 non poteva non nutrirsi dell’esempio esistente ed efficace della Dante. La

presenza concomitante di un’associazione come quella pose fin dalle origini dell’Istituto il problema di come rapportarsi ad essa e di come giustificare la novità della propria creazione alla luce di un confronto che non poteva essere ignorato. Si trovano infatti riferimenti alla questione nelle bozze preparatorie già citate dei discorsi di presentazione dell’Istituto, in cui Formiggini anticipava eventuali obiezioni di fronte all’esposizione di obiettivi e attività che potevano richiamare in un pubblico attento (o maldisposto) quelli già associati alla Dante Alighieri. In un dattiloscritto integrato da correzioni manoscritte, ad esempio, si legge:

Voi direte: ma non c’è la Dante che ha una sua organizzazione che potrebbe servire ai vostri fini? Una intesa con la benemerita istituzione consorella che cordialmente ci aiuta l’abbiamo da gran tempo sollecitata: non bisogna però dimenticare che i programmi dei due istituti sono per quanto affini ben diversi: la Dante si propone la diffusione della lingua Italiana specie fra i nostri connazionali residenti all’estero: noi pur sforzandosi di fare pervenire i nostri repertorii bibliografici agli italiani residenti all’estero a cui si rivolge l’assiduo nostro pensiero amoroso come a sentinelle avanzate della nostra civiltà, noi confidiamo, con le edizioni straniere delle nostre pubblicazioni di potere esercitare una sempre più larga azione di simpatica propaganda italiana fra gli stranieri. E poiché l’Istituto nostro ha la i<m>pronta originaria di essere pensato da un ex editore, noi facciamo e faremo una propaganda culturale a base di una sistematica propaganda libraria quale la Dante non si è mai proposta di fare.176

La linea difensiva sviluppata da Formiggini si faceva forte della sua peculiarità rispetto agli intellettuali che presiedevano l’associazione con sede a Piazza Firenze: l’occhio dell’editore lo indirizzava verso l’utilizzo del medium librario come strumento principe di diffusione; inoltre, pur spingendosi entrambi oltre i confini nazionali, il suo Istituto poneva attenzione più mirata nell’instillare e nel coltivare la curiosità degli stranieri verso la cultura italiana, a differenza dell’interesse privilegiato della Dante Alighieri per la lingua e il mantenere viva una coscienza nazionale già esistente nelle colonie di emigrati in altri territori. La medesima argomentazione fu riproposta da Formiggini nella già citata lettera aperta al direttore della «Nuova Antologia» del

175 Nel verbale della Fondazione Leonardo pubblicato sull’ICS di agosto 1921 è infatti dichiarato: «Il Consiglio

Direttivo della Fondazione Leonardo ha affidato a persone scelte fra le più autorevoli e fattive l’incarico di costituire in ogni capoluogo di provincia un Comitato provvisorio il quale dovrà provvedere alla formazione delle sezioni» (IV, 8, agosto 1921, p. 173).

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’19, illustrando una sorta di suddivisione dei compiti tra i due Istituti. Di fronte all’obiezione legittima che fosse inutile diffondere il libro italiano all’estero «quando anche la lingua nostra non sia diffusa», Formiggini non mancava di elogiare per la promozione linguistica «una benemerita istituzione nazionale, la “Dante”» che per anni «ha fatto pertinaci e non inutili sforzi», riconoscendo «la necessità assoluta che una azione anche più attiva e più decisiva sia svolta in avvenire». Procedeva, tuttavia, separando nettamente le due sfere e asserendo che l’Istituto, «che ha avuto cordiali aiuti nei suoi esordi dalla “Dante”, da cui ne attende ancora altri e maggiori, sicuro ormai di poter rendere focaccia per pane, ha un programma suo proprio che nettamente lo distingue dalla nobile istituzione consorella, e ne giustifica la ragion d’essere». Il discrimine venne posto tra una Dante Alighieri che «per diffondere il pensiero italiano, si sforza di propagare la lingua» e l’ente formigginiano che, invece, «per diffondere la lingua» operava «con mezzi finora intentati la nostra propaganda di pensiero».177 Portava poi un esempio concreto della strategia:

Facendo sapere agli stranieri che c’è un’Italia che pensa e che scrive (specie se il nostro periodico e sopratutto le nostre Guide bibliografiche potranno uscire almeno in francese, tedesco ed inglese) verrà voglia agli stranieri di porsi in grado di leggere direttamente i nostri libri, come dobbiamo fare noi per la produzione inglese e tedesca… Per tal modo l’opera della “Dante” e quella del nostro Istituto vengono ad integrarsi. Non dite che ad un cinese non può interessare un’Italia che scrive, pensate piuttosto quanto riuscirebbe gradito a voi avere sul vostro tavolo una Cina che scrive, che scritta in una lingua a voi famigliare vi desse di mese in mese come in una pillola tutto ciò che si agita nel pensiero artistico e scientifico di quel popolo lontano.178

Formiggini utilizza, in entrambi i passi, il termine «consorella» per identificare la Dante Alighieri, come a porgerle una mano virtuale fin dall’inizio e, allo stesso tempo, dichiarare una totale assenza di competizione tra le due e, anzi, la necessità di un’integrazione tra le attività per raggiungere in modo più completo ed efficace l’obiettivo che le accomuna.

Nella primissima fase di costituzione e di consolidamento dell’attività di promozione culturale operata da Formiggini, in effetti, la Dante Alighieri sembrò accogliere e sostenere l’editore. Lo dimostra, ad esempio, l’articolo anonimo apparso sul «Bollettino mensile della Dante Alighieri» di Montevideo, in Uruguay, del luglio 1919, in cui si incoraggiavano i lettori desiderosi

177 Lettera aperta alla «Nuova Antologia», cit.

178 Ibidem. L’ultima frase torna, rielaborata, anche nella bozza della conferenza per il Circolo Filologico, in cui si

legge: «Mi fu detto: sei matto. Che cosa vuoi che interessi ad un Cinese di sapere che cosa c’è di stampato in italiano: un cinese non imparerà mai l’italiano. Ed io risposi: per valutare l’utilità della iniziativa sappiatemi dire con franchezza se non sarebbe per voi interessante l’avere una minuscola ed agile guida che vi riduca al corrente su ciò che i cinesi fanno rispetto alla disciplina che voi professate» (AEF, fasc. Istituto per la Propaganda della Cultura

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di «stare al corrente del movimento letterario e scientifico della nostra cara Italia» a leggere «L’Italia che scrive»: «la rassegna sobria, chiara, sinteticamente critica di tutto ciò che produce il pensiero italiano […] è venuta a riempire una lacuna che il mondo degli studiosi sentiva da molto tempo» e «facendo conoscere il prezioso contributo che l’Italia apporta alla vita scientifica, letteraria ed artistica, e pertanto alla civiltà mondiale, sarà uno strumento potente di propaganda in pro del nome italiano». Formiggini, in qualità di editore e direttore dell’innovativo periodico, appariva nel pezzo come «benemerito della nostra coltura».179 Inoltre, nella sezione Rubrica delle

Rubriche dell’ICS sono frequentissimi trafiletti in cui si dà conto dell’operato della Dante e delle

diverse sezioni.

Da questi apprezzamenti si capisce come dovessero partire bene i rapporti con la Società e con il suo presidente del tempo, Libero Fracassetti. Quest’ultimo, di origini bolognesi, dopo il trasferimento a Rovigo in giovane età aveva frequentato e, in seguito, presieduto per alcuni anni l’Accademia dei Concordi, associazione rodigina di antichissime origini che offriva ai suoi affiliati un luogo di scambi culturali improntato su reciprocità e collaborazione, sentimenti affini a quelli che avevano permeato l’esperienza cordafratrina di Formiggini. Dopo aver ricoperto, in contemporanea, l’incarico di capo di gabinetto nel biennio 1906-1907 presso il dicastero romano della Pubblica istruzione, retto da Luigi Rava, era entrato stabilmente tra le schiere della Dante Alighieri, arrivando a ottenerne la presidenza. I primi contatti epistolari con Formiggini, tra il ’20 e il ’21, furono cortesi, seppur sporadici: nella maggior parte delle lettere all’editore si firmò infatti «tuo», «con stima ed amicizia», «cordialissimi saluti all’amico Formiggini», dimostrando affabilità e collaborazione. I rapporti tra l’editore e il presidente della Dante parvero raffreddarsi invece a partire dal 1921, anno in cui l’Istituto formigginiano entrò a tutti gli effetti all’interno del sistema di propaganda dell’apparato burocratico statale e mutò pelle, diventando Fondazione Leonardo. Allo stesso tempo, mentre diversi giornali mostravano una risposta positiva alle attività della Fondazione,180 su alcune testate sia nazionali sia all’estero comparvero articoli dai toni meno concilianti che ne mettevano in dubbio, in modo un po’ provocatorio, il ruolo e l’effettiva utilità. Un giornale, nello specifico, prese di mira l’operato dell’editore modenese fin dai primi di gennaio: nell’articolo non firmato dal titolo

179 Il ritaglio di giornale contenente l’articolo è conservato in ARF, cartella n. 165, L’Italia che scrive 1919, busta

L’Italia che scrive anno II 1919.

180 Un esempio è l’articolo Per la propaganda della coltura, firmato da Adolfo Bianchi, sulla rivista milanese «Il

Segnalibro» (IX, 1, 1921), in cui l’articolista accoglie la visione formigginiana di compenetrazione tra i due istituti: «Senza dubbio l’opera dell’Istituto per la propaganda della cultura integra e complete quella della “Dante Alighieri”, poiché mentre quest’ultima diffonde all’estero la nostra lingua, la prima diffonde con pari ardore e nobiltà d’intenti il nostro pensiero scientifico e letterario. Onde sarebbe completamente sterile l’opera della “Dante” se gli stranieri non sentissero il desiderio di conoscere direttamente i valori culturali dell’Italia. E tale desiderio è appunto potentemente stimolato dallo “Istituto”» (in ARF, cartella n. 299, Fondazione Leonardo 2, busta Per Cambi 1°).

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Formiggini e lo Stato sul settimanale politico letterario «Il Nuovo Giornale d’Italia» di Cassino181 si insinuava che «il sig. aff»182 stesse facendo «una strana confusione tra l’Ente Morale da lui istituito e se stesso, tra la propaganda della cultura italiana e la sua casa di libraio, tra il suo istituto e lo stato».183 A riprova della tesi suggerita, il giornale precisava:

L’editore e libraio del Campidoglio sborsò L. 100000 per creare un Ente Morale autonomo e filantropico o per dar vita ad un istituto che avesse affinità e s’identificasse addirittura con le sue private industrie?

Attraverso l’Istituto del quale son presidenti onorari i Ministri dell’Istruzione e degli Esteri, ma del quale è direttore effettivo il padrone dell’azienda editoriale e libraria, il Formiggini accredita e moltiplica il suo periodico commerciale, le sue guide bibliografiche, i volumi editi dalla sua casa. Che c’entra in tutto ciò la propaganda della cultura italiana la quale anzi ne subisce un notevole danno giacché l’Istituto del Formiggini ha esautorato e sfibrato quello già florido e non mai abbastanza incoraggiato della «Dante Alighieri»?184

L’accusa di opportunismo a Formiggini è adamantina. D’altronde, nonostante l’articolo non rechi la firma di alcun articolista, si può riconoscere dietro gli attacchi la linea di pensiero del direttore responsabile del periodico, Raffaele Valente, strenuo oppositore del fascismo e della grande industria e alta finanza con cui il nascente partito stava intessendo rapporti sempre più stretti. L’innovativo espediente di coinvolgere ditte e imprenditori nelle attività dell’Istituto attraverso un sistema di doppia réclame sulle pagine dell’ICS, di cui Formiggini era andato tanto orgoglioso, nonché l’appoggio successivo dell’apparato statale, dovevano essere sembrati a Valente motivi sufficienti per additare l’editore come uno speculatore, un industriale come e peggio di altri, per di più incoraggiato ufficialmente, il quale poteva così «continuare tranquillamente a fregare il pubblico sotto la protezione del Governo e con il plauso di tutta la stampa incretinita».185 Il

giornale rincarava la dose il mese successivo, evidenziando il sostanziale inutile raddoppio della Dante Alighieri da parte di Formiggini:

181 Cfr. Cento anni di stampa periodica nel Lazio. 1870-1970. Repertorio, a cura di Ambretta Rosicarelli e Lucia

Zannino, Gangemi, Roma, 2009, p. 530; si veda anche la scheda del periodico nella Bibliografia del socialismo e del

movimento operaio italiano, trasposta on line in una banca dati liberamente navigabile sul sito internet della

Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani (<http://www.fondazionemodigliani.it/>). Qui, sono identificati il Direttore responsabile e fondatore, Raffaele Valente, il redattore D. Guarracino e il collaboratore principale Errico Malatesta e, nelle note di contenuto è indicato come un periodico «sorto con indirizzo interventista» che, dopo la guerra, «si orienta verso le correnti di estrema sinistra e sostiene una lotta accanita contro la grande industria, l'alta finanza e il nascente movimento fascista», il cui direttore Valente «prende soprattutto di mira, nei suoi articoli, le grandi case editrici dell'Alta Italia, che hanno il torto di rifiutare la sua produzione di scrittore e poeta libertario».

182 La sigla rappresenta l’acronimo di Angelo Fortunato Formiggini, utilizzata spesso anche dallo stesso editore. 183 Formiggini e lo Stato, «Il Nuovo Giornale d’Italia», 02.01.1921, ritaglio di giornale conservato in ARF, cartella n.

167, L’Italia che scrive 1921, busta Italia che scrive 1921 1°.

184 Ibidem. 185 Ibidem.

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Qui, egregi signori, si parla di un ente d’una importanza stragrande: Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana. Chi lo dirige è Formiggini. Perché lo dirige? Rispondono: perché lo ha creato. Fesseria. C’era un istituto più serio e che ha avuto meno fortune perché appunto non era diretto da un aff. Formiggini: quello della Dante Alighieri. Formiggini dunque ha fatto opera di copiatura ai danni dell’altro ente, e sostituendosi a quello ha assunta la bacchetta direttoriale. Perché? Facilissimo: perché è un editore e deve diffondere la sua merce.186

È interessante vedere, con il senno di poi, come un giornale che dichiarava posizioni fortemente antifasciste come quello di Valente prendesse le parti della Società Dante Alighieri, che fu in seguito molto più vicina e affine alle politiche del governo mussoliniano, a discapito di un editore che venne invece ostracizzato proprio dallo stesso regime di cui, in questa sede, era accusato di essere complice. Ciò sembra avvalorare, una volta di più, la sostanziale confusione e incertezza ideologica, politica e sociale in cui si dibatteva l’opinione pubblica italiana in questi primi anni di assestamento del movimento fascista, consentendo poi la formazione di quel consenso o tacito