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Gli anni universitari che Formiggini trascorse a Bologna produssero una brillante dissertazione volta a dimostrare che quel vincolo di affratellamento in grado di superare ogni confine, vagheggiato dalle ideologie cordafratrina e massonica, nonché sostenuto dall’unitarietà della componente ebraica della sua formazione culturale, poteva essere ricondotto, in concreto, a una pratica condivisa fra tutti gli uomini e largamente presente nelle esperienze di gioventù del modenese: il riso. Con accurata analisi logica ed etica, egli costruì nella propria Filosofia del ridere68 una sorta di «sociologia della risata», individuando nell’umorismo l’elemento comune, centrale e costitutivo dell’animo umano69 e, pertanto, quello in grado di cementare il vincolo ideale tra tutti gli uomini. Non solo: nel disegno formigginiano, esso assunse una dimensione di «riso umanitario», che «conducesse lontano dalla conflittualità pura e atroce»,70 consentendo agli uomini di superare le divergenze grazie alla generale attitudine di «serena fraternità e di sorridente pacifismo».71 Molti anni più tardi, quando già l’ombra del regime fascista si allungava su di lui, Formiggini stesso ribadì tale convinzione, riallacciandosi agli studi giovanili:

Nel periodo della mia vita che dedicai agli studi, la sola cosa, forse, a cui volsi l’animo particolarmente attento fu il ridere, e mi parve che esso, oltre ad essere la più emergente caratteristica dell’umanità (risus

quoque vitast), è il più specifico elemento diagnostico del carattere degli individui (dimmi di che cosa ridi e ti dirò chi sei), forse anche il tessuto connettivo più tenace e il più attivo propulsore della simpatia umana.72

68 ANGELO FORTUNATO FORMIGGINI, Filosofia del ridere. Note ed appunti, a cura di Luigi Guicciardi, CLUEB,

Bologna, 1989.

69 Secondo Formiggini, l’umorismo rappresentava «la massima manifestazione del pensiero filosofico», come si legge

nella minuta dattiloscritta indirizzata ad Alfredo Panzini dell’11 novembre 1910 (AEF, fasc. Panzini, Alfredo).

70 EZIO RAIMONDI, I Classici del Ridere, in Angelo Fortunato Formiggini. Un editore del Novecento, cit., p. 207-225:

p. 212. Le parole di Raimondi riprendono quelle di Formiggini stesso, nel corso di alcune conferenze tenute a Modena, Bologna e Rimini dopo la laurea bolognese, riproponendo il tema del ridere.

71 A.CASTRONUOVO, Angelo Fortunato Formiggini, cit., p. 420.

72 ANGELO FORTUNATO FORMIGGINI, La Ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e

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Se si considera che uno dei motti scelti dal modenese per rappresentare l’anima della casa editrice sarà proprio Risus quoque vitast, che il pluriennale progetto della collana dei “Classici del ridere” verrà additato dall’editore come «la sua cosa più seria»73 e che egli raccoglierà negli

anni una biblioteca di testi letterari e periodici di argomento umoristico denominata “Casa del Ridere”,74 si può già comprendere su quale sentiero camminerà d’ora innanzi l’uomo (così come

l’editore) Formiggini. «Lo humor non è uno stato d’animo, ma una visione del mondo», diceva Wittgenstein,75 e l’editore modenese fece dell’ilarità e dell’umorismo le cifre distintive della sua chiave interpretativa del reale, della sua attività culturale e imprenditoriale, così come del personale modus vivendi.

A ulteriore conferma di tale intreccio di idee e suggestioni, paiono significative le circostanze in cui si concretizzò la prima esperienza editoriale, che Formiggini più tardi ricordò con la consueta ironia: «Un bel mattino di maggio, nel 1908, svegliandomi mi accorsi che avevo le mani come prima, il naso come prima, tutto come prima, pur essendo completamente diverso: non ero più uno studioso, ero diventato un editore».76 In quell’anno – insieme con illustri docenti degli

atenei di Bologna e di Modena e intellettuali quali Giovanni Pascoli, Alfredo Testoni, Olindo Guerrini, Venceslao Santi, Tommaso Casini, il marchese Matteo Campori – egli si fece promotore e organizzatore di una serie di festeggiamenti alla Fossalta, in occasione delle celebrazioni in onore di Alessandro Tassoni e del suo poema eroicomico La secchia rapita.77 Le feste mutino-bononiensi si svolsero il 28 giugno 1908 nella località modenese ove aveva avuto luogo la celebre battaglia della Fossalta tra gli schieramenti dei guelfi di Bologna e dei ghibellini di Modena e Cremona, questi ultimi coadiuvati dalle truppe di Enzo, Re di Sardegna, e Riccardo, vicario imperiale della Marca anconitana e della Romagna, figli dell’Imperatore Federico II.

Nell’ottica di Formiggini, esse rappresentavano il modo per creare un clima goliardico di unità e affratellamento tra le due città emiliane, la cui lunga tradizione di rivalità, cantata anche

73 Sull’argomento, cfr. E. RAIMONDI, I Classici del Ridere, cit., e LUIGI GUICCIARDI, Le vicende editoriali dei

“Classici del Ridere”: dal progetto alla ricezione, in Angelo Fortunato Formiggini. Un editore del Novecento, cit., p.

227-263.

74 L’intera collezione, contraddistinta da un ex libris fatto disegnare ad hoc, è stata donata alla Biblioteca Estense di

Modena insieme con gli archivi dell’editore per suo esplicito volere testamentario, ed è ancora ivi conservata: Cfr. ELENA MANZINI, La casa del ridere, in A.F. Formiggini editore 1878-1938. Mostra documentaria, cit., 77-90.

75 La citazione si trova in E.RAIMONDI, I Classici del ridere, cit., p. 224.

76 AEF, Circolari, vol. 2 (1913-1917), «Bollettino editoriale», VII, 5 (1914). Cit. anche in LUIGI BALSAMO,

Formiggini, un privato editore dilettante, in Angelo Fortunato Formiggini. Un editore del Novecento, cit., p. 153-178:

155.

77 Trattasi del poema in ottave composto da Alessandro Tassoni, pubblicato per la prima volta nel 1621 (con data

1622) a Parigi e, in Italia, nel 1624. Attraverso il poema, sulla scia delle esperienze di Luigi Pulci e, successivamente, Francesco Berni e Teofilo Folengo, Tassoni intendeva dare vita a un nuovo genere che mescolasse con disinvoltura la tradizione comica al genere, più serio, dell’epica.

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dal Tassoni, era nota. Il festoso spirito di riavvicinamento durante un «fraterno banchetto»,78 dove i conflitti reali e letterari potessero essere sublimati nella risata e nei piaceri di un buon bicchiere di vino, fanno pensare ancora una volta all’amalgama tra l’atmosfera delle accademie goliardiche dell’università e le influenze cordafratrine, nonostante Formiggini avesse lasciato la guida della Sezione italiana della federazione già da alcuni anni. Non solo. Come sottolineato anche da Berti Arnoaldi, la data scelta in origine da Formiggini per la festa, il 31 maggio,79 gravitava molto vicina a un’altra, il 18 dello stesso mese, scelta dalla massoneria a partire dal 1903 per la celebrazione annuale dedicata alla pace e giustizia tra i popoli.80 Vari partecipanti alle feste mutino-bononiensi, oltre a Formiggini stesso e al suo mentore, Giovanni Pascoli, nominato presidente del Comitato organizzativo, erano vicini ad ambienti di stampo massonico e l’allora direttore del quotidiano cattolico «Avvenire» non mancò di far notare tale coincidenza. Nell’editoriale esplicitamente accusatorio del 7 febbraio 1908, dal titolo Quel che si può trovare in

una secchia, il giornale puntualizzava:

i nomi del Comitato, quasi tutti di radicali e di massoni e dall’intonazione anticlericale che si è già delineata per la festa non ci consentono di appoggiare un’iniziativa che, esplicantesi – certo per caso – alla vigilia delle elezioni amministrative in entrambe le città protagoniste, potrebbe forse portare a manifestazioni di significato diverso da quello di una scorpacciata di tagliatelle e di cappelli da prete, o di altre specialità gastronomiche delle due città sorelle. 81

La festa tassoniana venne additata come una manovra massonica e anticlericale per fini elettorali. Non può sfuggire la dimensione politica dell’evento, come osservato dalla stampa avversa alle simpatie internazionaliste e, indirettamente, socialiste che trasparivano dalla festa alla Fossalta, inquadrata all’interno del fenomeno di moltiplicazione di assemblee e raduni di stampo sia socialista sia radicale di quegli anni, in un momento delicato per la Chiesa cattolica. Proprio nel gennaio 1908 era stato approvato dal Consiglio comunale di Roma un ordine del giorno con cui si

78 Formiggini stesso, nel suo intervento Due parole sulla Toscana all’interno della pubblicazione miscellanea La

secchia (p. 69-71), richiama il gemellaggio tra due note osterie, il Tavolo parlante di Bologna e la Toscana di

Modena, e ne fa il modello di ispirazione per la sua iniziativa di goliardica riappacificazione.

79 L’improvviso decesso del sindaco di Modena Luigi Albinelli costrinse a posticipare le celebrazioni al 28 giugno. Cfr. a

tal proposito La cronaca della festa. 1908-2008, cit., p. 34 e p. 111, in cui è riportato il testo del volantino a stampa del secondo invito alla celebrazione, datato 17 giugno 1908: «La festa Mutino-Bononiense alla Fossalta, rinviata per la luttuosa morte dell’Ill.mo Sindaco di Modena, membro del Comitato d’onore, avrà indubbiamente luogo domenica 28 corr., col programma già prima fissato» (il documento originale, così come tutti gli altri di cui il volume propone la trascrizione, è contenuto in AEF, fasc. Festa Tassoniana [31 maggio 1908]); cfr. anche AURELIO RONCAGLIA, La cultura

a Modena negli anni di Formiggini, in Angelo Fortunato Formiggini. Un editore del Novecento, cit., p. 73-89: p. 82.

80 FULVIO CONTI, Massoneria e religioni civili. Cultura laica e liturgie politiche fra XVIII e XX secolo, il Mulino,

Bologna, 2008.

81 NICOLA BONAZZI, La Secchia… Restituita. La Festa Mutino-Bononiense e l’esordio editoriale di Angelo Fortunato

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invitavano Governo e Parlamento, in coerenza alle leggi vigenti, a escludere dalla scuola primaria qualsiasi forma d’insegnamento religioso. La mozione Bissolati che ne scaturì fu firmata dagli esponenti di spicco del socialismo e della sinistra parlamentare, da Leonida Bissolati, appunto, a Filippo Turati, passando per Enrico Ferri, Ettore Sacchi, Salvatore Barzilai e Federico Comandini, e innescò il dibattito parlamentare sull’obbligatorietà o meno della religione cattolica nella formazione scolastica. Nonostante la mozione fosse stata, alla fine, respinta, la disputa iniziò a minare l’egemonia sulla vita degli italiani della Chiesa. Quest’ultima risultava dunque particolarmente sensibile a qualunque minaccia, soprattutto se assimilabile in qualche modo a correnti di stampo socialista. La «smaccata strumentalizzazione»82 e demonizzazione delle celebrazioni tassoniane da parte degli ambienti cattolici provocò comunque alcune defezioni immediatamente successive all’articolo sull’«Avvenire»:83 primo fra tutti, il professor Venceslao

Santi, segretario della Deputazione di Storia Patria nelle provincie modenesi, si ritirò con un biglietto nello stesso giorno di rilascio del pezzo sul quotidiano.84 L’evento spinse Formiggini a

inviare una lettera di difesa al quotidiano, per evitare una «polemica incresciosa» e ribadire la buona fede dell’ideatore e del Comitato nel dar corso a «una festa che voleva avere un altissimo significato di civiltà a cui tutti potessero e dovessero partecipare», non mancando di sottolineare che il Santi stesso era coinvolto in quanto «fra i più insigni cultori degli studi Tassoniani» e non certo per tendenze radicali.85 L’apologia, supportata dalla pubblicazione di una lettera di Giovanni Pascoli da parte del «Resto del Carlino» il 9 febbraio, in cui il poeta si univa a Formiggini nel rammarico per le accuse ricevute,86 dovette essere convincente; solo pochi giorni più tardi Santi, presidente della compagine modenese del Comitato prontamente ritiratosi dopo le insinuazioni cattoliche, rientrò con rinnovato entusiasmo nella «nobile e altamente civile impresa», con «una fede vivissima nel progressivo andamento dell’umanità verso una meta di fratellanza e amore».87 Giustificò poi il previo abbandono di fronte agli altri membri del Comitato, nella riunione del 9 febbraio, sostenendo che «per la festa della fratellanza che doveva compiersi era necessaria, secondo lui, la mancanza assoluta di ogni voce discorde e specialmente la esclusione di ogni

82 Ibidem.

83 Perfino i fratelli di Formiggini, Emanuele e Giulio, gli scrissero il giorno immediatamente successivo per esprimere

le proprie perplessità in merito. Le lettere sono conservate in AEF, fasc. Festa Tassoniana [31 maggio 1908] e trascritte in La cronaca della festa, 1908-2008, cit., p. 45-46.

84 AEF, fasc. Festa Tassoniana [31 maggio 1908], doc. 9, trascritta in La cronaca della festa, 1908-2008, cit., p. 43. 85 AEF, fasc. Festa Tassoniana [31 maggio 1908], minuta dattiloscritta del 07.02.1918.

86 «Ci vuole una fantasia molto malata per trovare l’anticlericalismo nel poetico e patriottico disegno delle feste di

maggio, le quali vogliamo celebrare in pace e amore tra Modena e Bologna […]. E io penso. Questa improvvisa e torbida fantasticheria sta forse a provare che non siamo ancora degni di fare una celebrazione di concordia, di riunirci a convivio di amore […]?» (articolo riportato in La cronaca della festa, 1908-2008, cit., p. 30).

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intromissione della politica»88 e lo spettro di un travisamento dei nobili intenti lo aveva, pertanto, fatto vacillare.

Le celebrazioni ebbero, nonostante gli intoppi, un grande successo, come testimoniano i giornali dell’epoca e i due corposi fascicoli di corrispondenza in materia conservati presso la Biblioteca Estense.89 In particolare, il quotidiano modenese «Il Panaro» dedicò all’evento la prima pagina nel numero di domenica 28 giugno 1908, data della celebrazione, dilungandosi nell’intera cronaca della giornata ed elogiandone la perfetta organizzazione.90 Ma la conseguenza più rilevante dell’evento fu un’altra, ossia l’ingresso di Formiggini nell’editoria del suo tempo, ingresso maturato proprio a coronamento della «civile impresa» tassoniana. Lo stesso anno, egli diede alle stampe una raccolta di sonetti burleschi inediti del Tassoni e altri componimenti poetici e umoristici, a cura di Olindo Guerrini, dal titolo La secchia e una Miscellanea tassoniana di studi storici e letterari sul medesimo argomento91 con prefazione del Pascoli. Il “cuore fratello” tanto

ammirato non mancò di elogiare il giovane neo-editore: «Grazie e lodi abbia da quanti amano le buone arti e gli onesti studi questo giovane e valente scrittore e pensatore, avvolontato d’ogni bene. Egli è il filosofo del riso, e perciò innamorato del Tassoni e della Secchia; e del riso, proprio dell’uomo come il pianto, egli suol ragionare eloquente, con la sua lunga e bruna faccia malinconica».92 Formiggini ricordò sempre con orgoglio il giudizio positivo del poeta romagnolo e fu proprio quella esperienza a convincerlo che, di punto in bianco, quasi senza saperlo, era diventato un editore.

È rilevante il fatto che l’impresa editoriale dell’intellettuale modenese, parte integrante della sua vita (come dimostra l’altro motto scelto ad emblema della casa editrice, Amor et Labor vitast), abbia avuto origine proprio in quella occasione. Le feste tassoniane e le edizioni del «filosofo del riso» rappresentarono la prima, incompiuta sintesi di idee, suggestioni e attitudini intrise dello spirito del tempo in cui egli era nato e, allo stesso tempo, risultarono frutto di un’indole già di per sé votata a un desiderio di inclusione e superamento delle barriere di ogni genere in un’ottica di armonia universale. Fu quella, in buona parte, la leva su cui costruire il proprio progetto di impresa editoriale, inscindibile dalla più autentica missione culturale.

88 AEF, fasc. Festa Tassoniana [31 maggio 1908], doc. 26, verbale della prima riunione del comitato a casa

Formiggini, a Modena, del 09.02.1908.

89 AEF, fasc. Festa Tassoniana [31 maggio 1908].

90 La festa tassoniana d’oggi a Modena ed alla Fossalta, «Il Panaro», LXVII, 176, 28 giugno 1908.

91 La secchia: contiene sonetti burleschi inediti del Tassone e molte invenzioni piacevoli e curiose, vagamente

illustrate, edite per la famosa festa mutino-bononiense del 31 maggio 1908, prefazione di Olindo Guerrini, tipografia

Garagnani, Bologna-Modena, 1908; Miscellanea tassoniana di studi storici e letterari, pubblicata nella festa della

Fossalta, 28 giugno 1908, a cura di Tommaso Casini e di Venceslao Santi, con prefazione di Giovanni Pascoli,

tipografia Ferraguti, Bologna-Modena, 1908. Per approfondimenti sulle edizioni, cfr. schede relative alle due pubblicazioni in E.MATTIOLI, A.SERRA, Annali delle edizioni Formiggini (1908-1938), cit., p. 1-4.

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Quell’«amor di patria» viscerale, che tra Otto e Novecento il rabbino Benamozegh aveva individuato come elemento peculiare per distinguere l’ebraismo dal cristianesimo, e che lo aveva portato prima di tutto a sentirsi profondamente italiano, sostenendo che «l’ebreo […] aveva una patria, l’amore per la quale superava infinitamente per lui ogni altro amore»,93 era dunque in

qualche modo convinzione assimilata e radicata anche in Formiggini, già espressa in modo fermo in occasione della diatriba con il presidente della “Corda Fratres” Giglio Tos. Egli non si era mai sentito davvero ebreo quanto piuttosto indubbiamente italiano, anzi «modenese di sette cotte»94, e la devozione tutta laica verso la propria città d’origine restò una costante, declinata in molteplici aspetti. Anzitutto Formiggini utilizzò il dialetto modenese per le proprie composizioni poetiche, in cui impiegò lo pseudonimo Furmajin da Modna; accolse nel suo catalogo editoriale Modena

d’una volta (1936) di don Arturo Rabetti, sfruttando la prefazione per esprimere il proprio attaccamento alla patria geminiana; nonostante il ventennio di domicilio capitolino, sostenne che «qui de’d via la so Môdna i l’han scimper in-t-al-cor. Comme me».95 Per non parlare della

decisione estrema di ritornare a morire ai piedi della torre Ghirlandina, simbolo ma pure cuore religioso e civile della provincia emiliana. L’amore per la città che gli aveva dato i natali veniva però ad allargarsi e riflettersi sul Paese di cui si sentiva fieramente parte: il desiderio di servire e valorizzare la patria, attraverso la diffusione del libro e della cultura italiana al di fuori dei confini della nazione, si radicò saldamente anche nel Formiggini editore. Eugenio Garin, nel suo commosso ma lucido ricordo in occasione del convegno modenese del 1980, così si espresse: «Continuava a credere nella cultura, e nella sua diffusione attraverso i libri, come strumento di fraternità umana. Prima di uccidersi scrisse ancora: “Le cose mie più care, cioè il mio lavoro, le mie creature concettuali, invece di scomparire, potranno risorgere a nuova vita […]. Esse non sono più soltanto mie, e […] possono riuscire di utilità e di decoro alla mia Patria”».96 Garin aveva di certo in mente il testo dell’Epistola agli Italiani, con cui Formiggini prendeva commiato da quelli che considerava i suoi compatrioti:

La mia più diletta creatura, L’Italia che scrive, che occupò di sé tutti i minuti degli ultimi XXI anni di vita […] potrà sopravvivermi e rendere ancor segnalati servigi alla mia Patria: il mio gesto le costituirà un blasone. Forse soltanto così altre mie iniziative, ostacolate dalla mia presenza, potranno sopravvivermi, riaffiorare, svilupparsi e trionfare. […]

93 ELIA BENAMOZEGH, Morale ebraica e morale cristiana, Marietti, Genova, 1997, p. 145.

94 Così si era autodefinito nella lapide commemorativa scritta poco prima del gesto estremo e destinata ad essere

esibita nella Biblioteca Estense Universitaria, istituzione culturale locale a cui era maggiormente legato, dove tuttora è collocata. Per l’ultima volta, Formiggini richiama qui l’appartenenza alla comunità dove era cresciuto, la «modenesità» al di sopra della razza.

95 A.F.FORMIGGINI, Prefazione ad ARTURO RABETTI, Modena d’una volta, Formiggini, Roma, 1936, p. XIII. 96 EUGENIO GARIN, Angelo Fortunato Formiggini, in Angelo Fortunato Formiggini. Un editore del Novecento, cit., p. 30.

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La morte è lugubre e cupa, ma diventa bella e lieta se può essere illuminata dalla speranza che sia giovevole ai propri cari, al prossimo, alla Patria, alla Umanità.97

Siffatta dedizione orientò fin quasi dalle origini l’attività editoriale di Formiggini verso un progetto rivolto anzitutto alla promozione dell’italianità e alla sua diffusione nel mondo, in cui egli investì la maggior parte delle risorse intellettuali e finanziarie.98 Sarà lui stesso, nella lettera

Alla Consorte scritta poco prima del suicidio, ad ammettere con l’amara lucidità del senno di poi:

«Quelli che tu chiami i “beni terreni” mi interessano poco: la mia vita intera sta a dimostrare che ho speso quasi tutto il patrimonio avito per i miei nobili sogni e per i miei alti propositi di servire la Patria».99

1.4. «Publishing with an ideal»: la promozione della cultura italiana e «L’Italia che scrive»

Dopo l’avvio tassoniano e il riscontro positivo ricevuto, Formiggini mise subito i torchi al lavoro. Nel giro di qualche anno, precisamente nel 1912, la nuova casa editrice fu trasferita a Genova, con la speranza che «la grande città potesse meglio di una città di provincia, pure a me così cara, mettermi in più stretto contatto con autori e pubblico».100 La provincia ligure, al tempo fervido polo di attrazione di capitali finanziari, crocevia di flussi migratori tra l’Italia e l’estero, nonché culla della nascita del Partito Socialista Italiano, accolse una casa editrice in piena attività. Formiggini vi pubblicò una cospicua produzione di stampo in prevalenza filosofico-pedagogico, grazie alle relazioni strette intessute con gli ambienti della filosofia e delle istituzioni culturali positiviste e socialiste, coltivate fin dai tempi degli anni universitari romani grazie a Labriola.101 Giocarono un ruolo rilevante sulla costruzione del catalogo editoriale anche gli interessi della moglie e pedagogista Emilia Santamaria, onnipresente spalla: dalla “Biblioteca filosofica e pedagogica”, agli “Opuscoli di filosofia e pedagogia” (di cui 25 titoli su 30 furono lanciati sul mercato prima del 1915); dai periodici «Rivista di filosofia» (1909-1919) e «Rivista pedagogica» (già conclusa nel 1912), all’incarico di pubblicare gli atti dei congressi della Società filosofica