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Come già posto in evidenza nel paragrafo precedente, uno dei punti cruciali del passaggio dall'economia programmata e dal sistema centralizzato in direzione dell'economia di mercato e della privatizzazione fu la de-collettivizzazione delle terre.

Nel 1990 “alla vigilia degli avvenimenti che hanno modificato la storia del paese, il settore agricolo albanese manifestava già evidenti segni di crisi, apice di una stagnazione produttiva iniziata nella seconda metà degli anni '80. Nel 1990, infatti, nonostante le notevoli risorse investite per sviluppare il settore – circa il 30% degli investimenti totali – il valore della produzione agricola totale era di poco superiore a quello ottenuto nel 1985”119.

Ciò di cui bisogna tenere conto a riguardo, è che il settore agricolo albanese fino, appunto, al 1990 si componeva di tre categorie distinte all'interno della contabilità nazionale, ossia: settore statale (aziende statali) il cui apporto al bilancio dello Stato era rimasto costante, settore cooperativo, il cui apporto era invece notevolmente diminuito, e settore privato “costituito dagli appezzamenti personali dei membri delle cooperative nel frattempo riconcessi – che è andato aumentando in modo parallelo alla diminuzione della produzione nelle aziende cooperative”120. Ancora più nel dettaglio, “le 150 aziende agricole statali avevano una dimensione media variabile tra i 500 e i 2.000 ettari (in media 1.070 ettari pari al doppio della dimensione media delle aziende cooperative), contribuivano per il 29,2% della produzione agricola totale (28,3% nel 1985), coltivavano il 24%(170.000 ettari) della superficie agricola utilizzabile del

119 A. Segrè, La rivoluzione bianca, Processi di de-collettivizzazione agricola in Russia, Paesi Baltici,

Cina, Albania: una difficile transizione dallo stato al mercato, Il Mulino, Bologna, 1994, pp. 274-275

paese, occupavano il 21% degli attivi (inclusi i non agricoli), possedevano il 37% dei trattori (3.941) e il 26% delle mietitrebbie. Le 492 aziende agricole cooperative nel 1990 fornivano il 49,9% della produzione agricola (60,1% nel 1989; 62,5% nel 1985), occupavano oltre il 70% (504.000 ettari) della superficie agricola e oltre i tre quarti degli attivi agricoli. Il settore privato, costituito dagli appezzamenti e dagli orti personali dei membri delle cooperative (332.000 unità), produceva sempre nel 1990, il 20,9% della produzione (9,1% nel 1985) occupando il 4,2% (30.000 ettari) della superficie agricola totale.”121

Se le prime avvisaglie di una riforma in atto nel settore agricolo risalgono addirittura al 1988, il primo vero segnale di un'inversione di tendenza portò nel 1989 alla nascita di 34 nuove cooperative frutto di suddivisione di aziende cooperative più grandi, un atteggiamento opposto alla tendenza all'accorpamento tipica della gestione fondiaria praticata dal Partito122. La prima concessione alla conduzione agricola individuale “risale, tuttavia, al luglio 1990 (gli appezzamenti personali erano fino a quel momento tollerati per il loro contributo alla produzione agricola). In quella data l'ufficio politico del Partito del Lavoro deliberò un provvedimento che consentiva ad ogni famiglia i cui membri appartenevano ad una cooperativa di disporre nuovamente per uso personale di una superficie agricola di qualche migliaio di metri quadrati (superiore nel caso delle zone collinari e montagnose) e di un capo di bestiame.”123

Nonostante la resistenza da parte dei direttori delle aziende statali e collettive, spesso accusati a posteriori di aver sabotato il sistema di parziale re-distribuzione, nel tentativo di “far ricadere le colpe dei danni ai nuovi democratici per dimostrare la loro

121 Ivi, pp. 275-276 122 Ibidem

inefficienza nella gestione della cosa pubblica”, la de-collettivizzazione si innescò in modo spontaneo all'interno dell'ambito cooperativo già subito dopo le elezioni dell'Aprile 1991.

In quel periodo “i membri delle cooperative agricole si erano suddivisi le terre e gli animali, mentre fra giugno e settembre è avvenuto lo smantellamento fisico delle stalle, delle serre e delle altre strutture appartenenti alle cooperative. Con i materiali ricavati (mattoni, travi, attrezzature varie, ecc.) le famiglie contadine costruivano le proprie case iniziando attorno ad esse la coltivazione di micro-appezzamenti. Naturalmente ciò avveniva senza seguire un piano di distribuzione territoriale degli insediamenti urbani ed agricoli e soprattutto nelle zone irrigue, con la parziale distruzione degli impianti di irrigazione deviati nelle nuove piccole strutture produttive.”124

Il passaggio dalla fase di de-collettivizzazione spontanea all'inserimento della de-collettivizzazione tra le priorità di governo, avvenne innanzitutto attraverso la promulgazione della legge sulla terra del luglio 1991125.

Secondo la legge sulla terra “lo Stato concede alle persone fisiche e giuridiche il diritto di possedere (art. 29, a titolo gratuito (art. 3), i terreni agricoli inclusi i frutteti e i vigneti. Nella distribuzione delle terre non si prendono in considerazione i vecchi confini (art. 8), cioè la legge non fa riferimento ai diritti di proprietà antecedenti il 1946. mentre vieta esplicitamente la compravendita di terra (art. 2), anche se, al fine di favorire la ricomposizione dei fondi, lo scambio volontario fra gli assegnatari di un appezzamento di terreno è ufficialmente permesso (tollerato). Il quadro normativo

124 Ibidem

prevede inoltre l'obbligo per gli assegnatari di: utilizzare il terreno per fini esclusivamente agricoli (art. 11); avere cura degli impianti irrigui e di bonifica già in loco (art. 12); non cambiare destinazione all'utilizzazione agricola della terra (art. 13); utilizzare entro un anno la terra ai fini della produzione agricola, pena la perdita del diritto acquisito (art. 15).”126.

A corollario della legge “sulla terra” vennero pubblicate una serie di decisioni e di direttive necessarie a organizzare nel dettaglio la vasta materia, tra queste la n. 229 del 23 luglio 1991 per “censire il patrimonio zootecnico delle aziende cooperative e statali (punto 1); sottoporre ad esame veterinario tutti i capi animali concessi alle famiglie contadine (punto 2); impedire il danneggiamento e la distribuzione dei capi facenti parte del patrimonio genetico delle razze allevate nei centri zootecnici specializzati (punto 3); proibire l'esportazione del bestiame e delle produzioni animali dal paese, senza il permesso necessario (punto 4)”127.

Sempre il 23 luglio, venne pubblicata la decisione n. 230 sulla creazione delle Commissioni fondiarie allo scopo di guidare, organizzare e controllare il lavoro del ministero dell'agricoltura e delle altre istituzioni centrali, nei municipi delle regioni e dei villaggi nell'applicazione della legge sulla terra, per risolvere i contenzioni tra le regioni relativamente ai confini ed esaminare i casi di conflitto rilevati dalle Commissioni distrettuali. Queste ultime (in numero di 36, ossia equivalenti al numero dei distretti amministrativi) furono delegate a:”costituire dei gruppi di specialisti che compilano i documenti necessari alle rilevazioni catastali; risolvere i contenziosi emersi nella divisione delle terre; risolvere i contenziosi tra le persone fisiche e le Commissioni dei

126 Ivi, p. 279 127 Ivi, p. 280

villaggi. […] Le 2848 Commissioni fondiarie di villaggio, tanti sono i villaggi albanesi, sono infine incaricate dell'effettiva esecuzione delle misure legislative. Sono composte da membri liberamente eletti dalla popolazione residente nel villaggio fra rappresentanti politici e tecnici (agronomi e topografi)”128 allo scopo di “verificare il numero dei membri della famiglia residenti nel villaggio; eseguire la divisione della terra senza prendere in considerazione i vecchi confini; assegnare gli appezzamenti il più vicino possibile all'abitazione dell'assegnatario; compilare l'atto di assegnazione della terra per ogni famiglia con l'indicazione della sua localizzazione e misura della superficie.”129

Tra le altre decisioni di particolare rilevanza, è utile ricordare la n. 255 del 2 agosto '91 “sui criteri per la distribuzione delle terre agricole” da destinare agli ex membri delle cooperative proporzionalmente alle dimensioni dei loro nuclei familiari; la decisione n. 256 “sull'iscrizione, sui cambiamenti, sulla situazione delle terre e sui doveri del catasto”; la decisione n. 266 dell'8 agosto “sulla divisione dei capitali delle cooperative”; la n. 377 dell'11 ottobre sullo “scioglimento delle Stazioni macchine e trattori” e quelle (n. 378-379) sulla “riorganizzazione del servizio zootecnico e veterinario”130.

Infine, con un anno di ritardo rispetto a quanto fatto per le cooperative, il 1° agosto 1992, venne formalmente costituita un'Agenzia centrale per la privatizzazione delle aziende statali posta a capo di 33 uffici distrettuali. Le ragioni di tale ritardo sono probabilmente da individuare nella volontà di mantenere in piedi il più a lungo possibile un sistema in grado di garantire un minimo di continuità produttiva.

128 Ivi, p. 281 129 Ibidem

I criteri adottati per privatizzare le aziende statali furono molto simili a quelli previsti per le cooperative tranne qualche differenza, “come nelle cooperative la terra viene assegnata ai residenti nell'area su cui insiste l'azienda. Se questa non è stata costituita ex novo ma su un'azienda cooperativa di livello superiore, caso piuttosto frequente, la quota di terra pro capite assegnata non deve superare la superficie occupata dall'allora cooperativa. La quota terra non viene tuttavia assegnata in proprietà come nelle cooperative ma in uso perpetuo, essendo questo diritto trasmissibile per via ereditaria. […] differenza in questo caso soltanto formale. Diviene sostanziale invece per le superfici delle aziende statali che eccedono l'area della cooperativa, cioè le terre successivamente bonificate dallo Stato (si tratta in totale di circa 200.000 ettari): queste vengono assegnate in uso limitato dal punto di vista temporale. Più precisamente si tratta di una concessione gratuita per un periodo di tempo non superiore ai quindici anni.”131

L'insieme del quadro normativo che comprende la legge sulla terra e le varie decisioni che ne sono corollario, è stato da più parti interpretato come “consecutivo alla spontanea occupazione delle terre coltivabili appartenenti alle cooperative da parte dei loro membri e rappresenta un tentativo di attribuire a tale fenomeno una base di certezza legale. Fu, pertanto, una scelta obbligata, per fronteggiare un problema pressante.”132

A dieci anni dalla riforma, il bilancio non sembrava essere dei più rosei, gli effetti e i risultati “su cui hanno influito in misura notevole anche fattori di carattere storico, politico e sociale, è stato un'estrema frammentazione della proprietà della terra

131 Ivi, p. 286

132 M. Distaso, G. Vonghia, a cura di, Albania: alla scoperta di un possibile sviluppo rurale, Cacucci, Bari, 2002, p. 143

e la conseguente costituzione di aziende agricole non autonome. Si può affermare, dopo un decennio di transizione, che, il processo di redistribuzione della terra, pur avendo assicurato il diritto di proprietà sulla terra coltivata, ha, di fatto, originato una struttura incapace di assicurare il benessere della popolazione rurale.”133.