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Il sistema delle finanziarie piramidali e la crisi del

Nel periodo compreso tra il 1991 e il 1996, l'Albania parve intraprendere un percorso di crescita senza precedenti, eppure, ancora prima di quella che sarebbe passato alla storia come la crisi del 1997, collegata da gran parte degli analisti al crollo delle cosiddette società piramidali, “seri dubbi venivano avanzati sulla affidabilità degli indicatori macro-economici albanesi e sulla concretezza del 'miracolo economico' schipetaro, tanto da far parlare spesso di 'economia di carta', soprattutto in considerazione del fatto che la produzione industriale albanese è apparsa tutt'altro che in ripresa nel periodo in questione.”134

I dati relativi a tutti i settori industriali (senza contare la completa scomparsa di alcuni settori di produzione come quelli di solfati, urea e fertilizzanti135), risultano essere, nel periodo 1993-1995, in caduta libera: “posta uguale a 100 la quantità di prodotto nell'industria nel 1993, troviamo che alla fine del '95 l'abbigliamento è sceso al 67,5, l'industria agroalimentare al 26,8 (con la sola eccezione della produzione di birra) i prodotti energetici al 75,2, la lavorazione della pelle e del cuoio al 60,7. Ed in effetti la produzione industriale nel suo complesso, che tra il 1991 e il 1992 si era

133 Ivi, p. 147

134 L. Zarrilli, Op. cit., p. 112 135 Ibidem

ridotta al 30% del valore che aveva nel 1990, continua a decrescere anche nel biennio successivo (-10% nel 1993 e -2% nel 1994), per conoscere una ripresa soltanto nel 1995 (+6%). Conseguentemente, la partecipazione al Pil del settore manifatturiero è in costante calo tra il 1991 e il 1996, passando dal 32,1% all'11,7%.”136

Il paradosso dato dal confronto dei dati reali con la situazione raccontata dai vertici di governo e dalle apparenze di crescita diffusa, hanno principalmente quattro semplici spiegazioni.

La prima riguarda il fatto che, se si prende il 1991 come punto di partenza per la curva di crescita, è necessario notare che l'economia albanese in quel periodo era letteralmente collassata, motivo per cui nella valutazione degli anni successivi si rischia di incorrere in una sopravvalutazione delle ricadute effettive del processo di crescita137. In secondo luogo, “si è sempre sospettato che il governo 'manipolasse' in qualche misura i dati macroeconomici perché l'andamento economico apparisse conforme alle prescrizioni del FMI, condizione questa per poter accedere al credito internazionale”138. Inoltre, connesso a quest'ultimo punto, va preso in considerazione il fatto che l'intervento della comunità internazionale aveva garantito l'accesso nel solo biennio 1991-1993 a circa 1,5 miliardi di dollari di stanziamenti, pari a circa il 58% del Pil albanese139, mentre, il solo valore delle rimesse dei circa 500 mila emigrati è stato stimato per lo stesso periodo intorno ai 600 milioni di dollari, pari a circa il 23% del Pil, e gli investimenti esteri nello stesso periodo avevano superato i 290 milioni di dollari140. Infine, l'ultimo elemento da tenere in considerazione riguarda il contributo

136 Ibidem 137 Ivi, p. 113 138 Ibidem 139 Ibidem 140 Ibidem

dell'economia illegale, infatti: “grazie anche alla guerra nell'ex Jugoslavia, il contrabbando con la Serbia e, soprattutto con il Montenegro, ha permesso facili guadagni a diverse fasce della popolazione. Bastava, in questi ultimi anni, recarsi nell'area di confine con il Montenegro per vedere file interminabili di auto che portavano taniche di benzina da rivendere a prezzi esorbitanti, ai montenegrini.”141

A questo proposito, ovviamente, il flusso di denaro derivante dai traffici connessi all'embargo imposto alla federazione serbo-montenegrina, non compare nelle statistiche ufficiali, ma è altrettanto scontato che abbia avuto delle ripercussioni sui circuiti economici legali, per cui si ritiene che “i settori che hanno maggiormente beneficiato di tale immissione di liquidità nel circuito economico albanese (riconducibile soprattutto alle rimesse degli emigranti e alle attività illegali) e quindi della accresciuta disponibilità economica della popolazione, sono quelli dell'edilizia e del terziario minuto, che hanno conosciuto un boom che in parte può essere spiegato in termini sociologici, ossia con la legittima e tenace aspirazione degli albanesi – e a dispetto della carenza di mezzi – verso la proprietà privata e la libera iniziativa, negate loro per 45 anni.”142.

Un'ultima considerazione riguarda il settore del commercio al dettaglio praticamente inesistente durante gli anni del regime. Nel 1994 risultavano ufficialmente registrati circa 18 mila esercizi commerciali al dettaglio che occupavano 23 mila persone, già nel 1996 il totale degli esercizi era 23.585 e davano lavoro a 31 mila persone, con incrementi, rispettivamente del 31 e del 35%, dati addirittura inferiori a quelli del comparto alberghiero e della ristorazione che faceva segnare un +39% nello

141 T. Perna, Così vicina, così lontana: economia e società albanese nell'era post-comunista, in “Il Mulino”, n. 368, Bologna, 1996

stesso periodo di riferimento143. Da notare che a queste cifre andrebbero sommate quelle relative agli esercizi abusivi e ai lavoratori “al nero”.

Nel suo complesso, al 1996, l'economia albanese “appare, se non proprio 'di carta' e nonostante i positivi giudizi del Fondo Monetario Internazionale, di sicuro assai poco fondata su una reale base produttiva: estremamente dipendente da fonti esterne o illegali, molto basata su attività sommerse ed informali, ancora fortemente agricola e pericolosamente orientata verso un'edilizia di speculazione. In altre parole, si era verificato un pericoloso divario fra la percezione, dominante negli ambienti finanziari internazionali, dell'Albania come success story della transizione verso il mercato, e quella prevalente all'interno del paese, dove la stragrande maggioranza della popolazione ancora non vedeva alcun progresso reale nel proprio tenore di vita, ed era di conseguenza portata a cercare 'scorciatoie' che consentissero la rapida realizzazione di quei benefici che il capitalismo doveva nell'immaginario collettivo necessariamente comportare”144.

Particolarmente interessanti, risultano a questo proposito i dati macroeconomici disponibili per il 1996: “il Pil, nonostante il trend positivo iniziato nel 1993, in termini reali risulta ancora inferiore a quello del 1990 (rispettivamente 16.482 e 16.813 milioni di lek a valori costanti). Il deficit del bilancio statale, che nel 1994 era stato ridotto al 7,7% del Pil dopo l'impennata del 1992 820,7%) , nel 1996 ha già raggiunto il 12,3%. L'inflazione che sembrava essere ritornata sotto controllo (6% nel 1995) vede triplicato il suo valore percentuale raggiungendo quota 17,4. I tassi di interesse a breve termine aumentano dal 20,5% al 24%. il deficit della bilancia commerciale (677 milioni di

143 Ivi, p. 114

144 S. Sechi, Aiuti all'Albania: caccia agli errori da non ripetere, in “Limes – Rivista Italiana di Geopolitica”, n. 2, 1998, pp. 263-278

dollari) arriva a rappresentare il 25% del Pil, contro il 19,5% del 1995.”145.

Il colpo di grazia a questa situazione che già presentava inquietanti segnali negativi venne dal tracollo delle cosiddette 'società piramidali', uno strumento finanziario che da più parti, soprattutto a livello internazionale e in particolare dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, “veniva considerato un valido strumento di integrazione dei redditi per le categorie meno protette in un periodo di transizione in cui si avviavano le prime privatizzazioni”146.

Le società finanziarie piramidali ebbero, nell'Albania di quegli anni uno sviluppo abnorme, arrivando a raccogliere un capitale stimato (dalle società internazionali di audit contabile incaricate di effettuare le verifiche conseguenti ai fallimenti delle società147) in circa 1,2 miliardi di dollari, una cifra equivalente al 45% del Pil nazionale148.

Gli stessi organismi internazionali che erano stati fino a quel momento particolarmente accondiscendenti su uno strumento finanziario difficilmente sostenibile sul lungo periodo, cominciarono, verso la fine del 1996, a esprimere una certa preoccupazione, legata in primo luogo alle dimensioni del fenomeno, all'eccessiva remuneratività dei capitali investiti (principalmente derivante dalle rimesse dei migranti), e dai sospetti sul coinvolgimento nelle società di organizzazioni criminali149.

In ogni caso, “i moniti rivolti al governo albanese perché adottasse misure idonee a contrastare lo sviluppo delle 'piramidi' (nelle quali a parere di molti, vi sarebbero state anche cointeressenze da parte di esponenti del vertice politico

145 L. Zarrilli, Op. cit., p. 116, con riferimento a dati INSTAT – Instituti i Statistikes 146 Ibidem

147 Ibidem 148 Ibidem 149 Cfr. Ibidem

albanese) non sono valsi ad evitare il fallimento delle finanziarie, la rivolta popolare e tutto ciò che ne è conseguito sul piano politico, economico e sociale.”150.

La crisi del 1997 è l'effetto di una serie di cause, non ultima appunto il crollo delle società finanziarie piramidali, ma considerare quest'ultimo come un fattore di assoluta rilevanza per la creazione delle condizioni che resero possibile la rivolta popolare sarebbe un errore prospettico.

La crisi è il frutto del convergere di una lunga serie di fattori sia interni, di carattere socio-economico e politico, sia esterni, generati dalle dinamiche instauratesi con Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, oltre che dai rapporti con l'instabilità dei Paesi confinanti.

Le vicende furono caratterizzate da un andamento 'anarchico' che giustifica l'idea secondo la quale: “in Albania non si è assistito ad una guerra civile tra fazioni etniche, politiche o religiose: in realtà motivazioni di ordine ideologico e di scontento sociale hanno dato impulso all'esplodere di una protesta popolare, degenerata in un conflitto tra bande criminali che hanno finito col coinvolgere intere città e piccoli villaggi in un “tutti contro tutti'”151 che rende al meglio il principio etico sintetizzato dal detto popolare 'sa mbaj muia, unë do të baj tya', (ciò che tu fai a me, io farò a te)152.

Questa interpretazione porterebbe in parte a ridimensionare il ruolo svolto da tutti i fattori esterni, ma non si può trascurare l'idea che, come messo in evidenza da alcuni studiosi, “la Grecia abbia avuto un ruolo nella crisi è sostenuta da alcuni fatti: a) nel febbraio 1997, il bandito Myrtezan Ҫaushi, noto come Zani, evade in circostanze

150 Ivi, p. 116-117

151 A. de Guttry, F. Pagani, a cura di, La crisi albanese del 1997, L'azione dell'Italia e delle

organizzazioni internazionali: verso un nuovo modello di gestione delle crisi?, FrancoAngeli, Milano,

1999, p. 35 152 Cfr., ibidem

misteriose da un carcere di massima sicurezza greco alla vigilia dei primi scontri a Valona; sembra che altre evasioni di criminali albanesi dalla Grecia siano avvenute in quei giorni;

b) il vice-ministro degli esteri ellenico è il primo diplomatico a visitare Valona, peraltro senza informare il governo legittimo di Tirana;

c) fonti riservate sostengono che i militari italiani del Tuscania, in forza alla FMP (Forza Multinazionale di Protezione) a Valona, hanno fermato e identificato due ufficiali del contingente greco in piena notte e a pochi metri dall'abitazione-fortino del bandito Zani;

d) i Greci, inoltre, durante la crisi hanno deciso di inviare aiuti umanitari al sud, in particolare a Saranda, per limitare un'eventuale ondata migratoria verso la Grecia, peraltro resa quasi impossibile dalla militarizzazione tanto albanese quanto greca del confine;

e) l'amicizia che lega Fatos Thanas Nano ad alcuni membri del Pasok, il partito socialista greco, si rivela in quest'ottica, non di secondaria importanza.”153

Non si tratta di speculazioni azzardate, anche perché è sufficiente ricordare come, l'interesse greco in un'eventuale crisi albanese derivasse dall'irrisolta, e parrebbe irrisolvibile, questione dell'autonomia dell'Epiro settentrionale a maggioranza greca, e fosse alimentata da tutti i fattori scatenati dal fatto di essere meta privilegiata dell'emigrazione albanese (nel 1996 si parlava di circa 300 mila migranti)154.

Mentre, il coinvolgimento della Serbia appare altrettanto plausibile alla luce della delicatissima situazione del Kosovo a maggioranza albanese che aspirava

153 Ibidem 154 Ivi, p. 36

all'indipendenza.

Ciò che rimarrà nella memoria storica, al di là di tutte le analisi economiche e geopolitiche dei fattori scatenanti, è il caotico succedersi di fatti innescati ai primi di gennaio 1997 dalla decisione della società d'investimento Sudja di non pagare gli interessi: “15 gennaio 1997 alcune decine di persone che, come ogni mattina, affollano il marciapiede antistante l'ufficio della 'società d'investimento' Sudja vengono respinti allo sportello dove si pagano gli interessi sui depositi versati, perché la finanziaria (la società fallirà pochi giorni dopo) ha smesso di pagare gli interessi. La notizia si diffonde rapidamente in ogni casa di Tirana e più tardi circa duemila persone si radunano davanti a quell'ufficio.”155.

Nel giro di pochi giorni la situazione assunse contorni drammatici. Cominciarono gli scontri di piazza e le richieste di dimissioni del premier Berisha si fecero sempre più pressanti, soprattutto perché la televisione di Stato controllata, ovviamente, dal partito al potere, aveva dato ampio spazio pubblicitario alle società piramidali e lo stesso Berisha aveva presenziato in veste di padrino all'inaugurazione di una stazione di servizio di proprietà di una delle maggiori società di investimento156.

L'irrealizzabile promessa di una restituzione dei capitali investiti entro il 5 febbraio dell'anno in corso generò, allo scadere dei termini, ulteriori manifestazioni di protesta che divennero sempre più violente nell'Albania meridionale. Nel goffo tentativo di tenere la situazione sotto controllo il governo assoldò studenti e contadini del nord promettendo paghe intorno ai 400 dollari (uno sproposito se paragonati ai 70 dollari dello stipendio mensile medio albanese dell'epoca) come forze di aiuto alle centinaia di

155 Ibidem 156 Cfr., ivi, p. 40

poliziotti inviati a Valona da tutto il resto del Paese157.

Il 28 febbraio nella città di Valona, “durante una delle ormai consuete manifestazioni guidate dai sindaci e dai consiglieri comunali quasi tutti appartenenti al Partito Democratico – cosa che denota una evidente spaccatura interna al partito – la protesta assume la veste di vera e propria rivolta con il sequestro di alcuni agenti dello SHIK ed una guerriglia urbana iniziata probabilmente da bande criminali.”158.

Ai primi di marzo Berisha fu costretto a dichiarare lo stato di emergenza e a istituire il coprifuoco in tutto il Paese, un tentativo estremo accompagnato dall'impiego, rivelatosi inutile, dell'esercito, infatti “nessun soldato sparerà un colpo sulla popolazione. Il sud è in fiamme: la popolazione insorge e assalta caserme e numerosi depositi di armi, che vengono abbandonati dai soldati alla vista della folla inferocita. In pochi giorni le bande di criminali, più feroci e spregiudicate degli insorti, approfittando del disordine prendono il sopravvento. I generi alimentari iniziano a scarseggiare a causa dell'impossibilità per i trasportatori di avventurarsi per le strade secondarie senza venir rapinati sistematicamente. I mercati sono ridotti a pochi banchi e finiscono la merce entro le prime ore della mattina. I villaggi sono più penalizzati dall'assenza di scambi commerciali ma sopravvivono grazie alla loro natura prettamente agricola.”159

La formazione a Valona di un comitato di notabili che si dota di una propria polizia e si impegna ad arginare l'uso delle armi e la distruzione della cosa pubblica, trova il sostegno della popolazione, un'idea che viene ripresa da molti altri centri dove

157 Cfr., Ibidem 158 Ibidem 159 Ivi, p. 41

oramai la situazione è però fuori controllo160.

Sul fronte dell'emigrazione, si tratta di un momento in cui aumenta il numero di fughe verso l'Italia, dovute soprattutto al “pericolo di morte che molti individui correvano per motivi che andavano da vendette personali a questioni di appartenenza politica a regolamenti di conti tra criminali”161.

Di fronte al degradare della situazione, l'iniziale ostruzionismo di Berisha che aveva ribadito a più riprese il 'no' alle elezioni anticipate, si risolse il 9 marzo in un accordo in otto punti, dovuto in grossa parte al lavoro diplomatico del ministro degli esteri italiano e supportato dall'intera Unione europea162. L'accordo, annunciato dalla stampa come un miracolo italiano, comprendeva:

“1) amnistia per tutti gli insorti; 2) proclamazione di una giornata di lutto nazionale per tutti i morti; 3) nomina ed insediamento di un governo di pacificazione nazionale; 4) elezioni entro due mesi (anche se i socialisti ritengono ne siano necessari almeno tre perché si deve varare una nuova legge elettorale); 5) invito formale del Presidente ai deputati socialisti a rientrare in Parlamento; 6) monitoraggio internazionale del processo elettorale; 7) riconsegna entro sette giorni delle armi trafugate; 8) avvio di una trattativa con gli organismi internazionali per un intervento finanziario nelle zone più colpite.”163

La resa totale di Berisha, se da un lato ebbe effetto stabilizzante, determinò una maggiore instabilità nelle regione del nord dove Berisha cercava di mantenere un serbatoio di voti facendo leva su “elementi culturali, quali la sua terra di provenienza e

160 Cfr., ivi, p. 42 161 Ivi, p. 41 162 Cfr., ivi, p. 42 163 Ibidem

la sua discendenza da un clan di alto lignaggio , che però si sarebbe comunque scontrata con il tradizionale forte senso di indipendenza di quelle zone”164.

I mediatori internazionali stabilirono la data delle elezioni per il 29 giugno e l'OSCE venne incaricata di gestire l'intera macchina elettorale. Il periodo che precedette le elezioni fu segnato da alcuni attentati, soprattutto contro esponenti del Partito Democratico e da una lunga serie di scontri tra esponenti dell'opposizione e membri del PD, entrambe le fazioni, infatti, denunciavano le difficoltà di muoversi rispettivamente al nord e al sud, i 'Comitati di salvezza' continuavano a tenere le fila dell'organizzazione locale, mentre il nuovo governo di Fino si trovava “di fronte ad un paese profondamente mutato, non solo per la rivolta, per gli assalti alle caserme, le evasioni di massa che hanno ridato la libertà anche al futuro premier Fatos Nano, ed il blocco totale delle attività economiche. L'ordine pubblico è sconvolto, l'Albania è in mano a bande di criminali che velatamente sponsorizzate da una o dall'altra parte politica creano un forte disorientamento nella parte sana della società.”165

Nonostante tutto, le elezioni si svolsero in un clima abbastanza tranquillo e lo spoglio vide la coalizione capeggiata dai socialisti conquistare 100 dei 155 seggi disponibili. Uno dei periodi più bui dell'intera storia albanese si concluse con l'elezione di Fatos Nano a primo ministro e di Rexhep Mejdani a nuovo presidente della Repubblica d'Albania, un esito che segnava un capovolgimento dello scenario politico e l'inizio di un periodo di relativa stabilità166.

Una fase che coincise col protrarsi dell'interesse internazionale con un'attenzione sempre maggiore sulla “costruzione della società civile nell'ottica di una 'strategia di

164 Ivi, p. 43 165 Ivi, p. 44 166 Cfr., ivi, p. 45

assistenza alla democrazia' che permetta di aggirare quei problemi e dilemmi democratici che possono portare alla costituzione di democrazie illiberali”167.

In quest'ottica, seppure con tutti i limiti del caso, possono essere considerate, ad esempio, l'italiana operazione Alba, conclusa nell'agosto del '97 e l'operazione Mape- Ueo, missione di assistenza tecnica a favore del Governo albanese, organizzata dall'Unione Europea Occidentale e protrattasi dal 1997 fino al 2001168.

167 Ibidem

Capitolo 3