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Il ruolo dell'Italia nella transizione

Le relazioni internazionali e il ruolo dell'Italia

4.3 Il ruolo dell'Italia nella transizione

La riapertura dei rapporti italo-albanesi, come accennato a più riprese nella prima parte e in apertura di capitolo, avvenne in un clima di emergenza creato dagli sbarchi di migliaia di profughi sulle coste italiane e colse l'Italia in un momento estremamente complesso della sua vita politica internazionale, “con la fine del

288 Ivi, p. 25 289 Ibidem

confronto bipolare la politica estera italiana è entrata in una fase di transizione scaturita dal venir meno di alcuni presupposti fondamentali sui quali si era retta l’azione internazionale del paese. Secondo una interpretazione per molti aspetti semplicistica ma sicuramente non priva di verità, la principale novità fu rappresentata dalla fine della cosiddetta “rendita di posizione della guerra fredda”: la fine della giustapposizione Est-Ovest ha fatto venire meno l’obbligo, esistente in capo agli Stati Uniti e agli altri paesi atlantici, di pagare a caro prezzo l’Italia per la propria coerenza atlantica. In contemporanea il processo di globalizzazione economica ha portato all’affermazione di nuovi attori appartenenti alle aree emergenti, i quali hanno iniziato a far sentire il proprio peso economico e politico, acutizzando la perdita di peso dell’Italia nella gerarchia di potenza mondiale.”290

Lo scoppio delle guerre balcaniche fu il primo banco di prova per la partecipazione italiana al processo di stabilizzazione dell’area basato non solo sulla consueta attività “nelle principali sedi diplomatiche multilaterali ed europee – dall’ONU al Consiglio d’Europa – ma anche attraverso l’invio di forze per il mantenimento della pace.”291.

Posta di fronte all'emergenza albanese l’Italia in un primo momento “non seppe individuare una strategia di ampio respiro, limitandosi al contenimento dei flussi di disperati, al loro rimpatrio e alla lotta contro i fenomeni criminosi legati all’emigrazione”292.

Al fine di scongiurare “ulteriori trasferimenti di consistenti nuclei familiari albanesi e di elementi della malavita comune ed organizzata verso il nostro Paese,

290 Ivi, p. 27 291 Ivi, p. 28 292 Ibidem

attratti dal sogno italiano, il governo nazionale decise di portare in Albania i primi soccorsi umanitari. In base ad un Accordo sottoscritto, nell’agosto del 1991, dai rappresentanti dei rispettivi governi, l’Italia si impegnò a fornire aiuti economici a partire dal mese di settembre fino al 31 dicembre di quell’anno. L’operazione militare, denominata “Pellicano”, con l’invio di 1000 uomini, dislocati a Durazzo e Valona, assicurò il trasferimento ai magazzini di Stato albanese di generi alimentari e sanitari, nonché la distribuzione dei medesimi, di concerto con quelle Autorità.”293

Il coinvolgimento dei militari italiani si protrasse per tutto il biennio 1992-1993, mentre venivano poste le basi per i primi accordi bilaterali tra i quali l’Accordo per l’abolizione dei visti per i passaporti di Servizio e Diplomatici (1991) e l’Accordo del 12 settembre 1991 sulla promozione e la protezione degli investimenti294.

Mentre l’Albania cominciava un percorso di trasformazione istituzionale, le Organizzazioni Non Governative (ONG) italiane offrirono ospitalità ed assistenza ai profughi albanesi e, successivamente, contestualmente alle fasi più importanti dell’operazione “Pellicano”, l’impegno fu assicurato con l’invio e la distribuzione di cibo e vestiario295.

I risultati dell'operazione “Pellicano” e “i connessi profili relazionali tra i due Paesi in chiave economica furono oggetto di attente valutazioni, comprensive di alcune critiche sollevate sulla gestione delle diverse operazioni, inficiata da casi di malversazioni e speculazioni in merito alla conduzione dei magazzini albanesi nei quali giungevano le merci oggetto di aiuti, con l’alienazione di parte di esse in Grecia e in

293 G. Fera, Il ponte Italia-Albania tra l'unione europea e i Balcani, Giappichelli, Torino, 2011, p. 26 294 Ibidem

Montenegro e l’immissione di altra parte nel mercato nero a prezzi di speculazione”296. La consapevolezza che ordine pubblico e lotta alla criminalità erano elementi indispensabili per il superamento della crisi spinsero il governo italiano sulla via della cooperazione che portò alla “sottoscrizione a Tirana, il 24 agosto 1991, di un Accordo tra i Ministri dell’Interno italiano e dell’Ordine Pubblico albanese in materia di prevenzione e repressione del traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope e di lotta al crimine organizzato. Con il Protocollo d’Intesa fu istituìto un Comitato bilaterale, presieduto dai due Ministri, con la previsione di riunioni annuali e la definizione di concrete misure tecnico-operative incentrate sulla condivisione di: congiunte iniziative nella lotta ai traffici di stupefacenti; modalità dei controlli alle frontiere; misure volte a garantire la sicurezza negli aeroporti e scali marittimi; programmi concernenti lo scambio di informazioni sui rapporti tra aggregati malavitosi dei rispettivi Paesi e sulle loro attività criminose, principalmente nei settori del riciclaggio dei proventi illeciti, del falso, dei furti di opere d’arte. Inoltre, furono stabilite consultazioni tra specialisti delle relative forze di polizia per assicurare lo scambio di esperienze in materia di organizzazione delle attività di contrasto del crimine e delle informazioni sulle misure giuridiche adottate”297.

Mentre si concretizzava il rientro dell'Albania nello scacchiere internazionale, la cooperazione con l’Italia si intensificò, “giungendo alla sottoscrizione, dal 1992 al 1995, di Accordi in importanti settori dello sviluppo sociale, economico-finanziario e culturale. […] Tenendo in debito conto le prospettive di una cooperazione tra i due Paesi, alimentate dalle intese perfezionate con l’Accordo del 24 agosto 1991, per far

296 Ivi, p. 27 297 Ivi, pp. 27-28

fronte a fenomeni quali il contrabbando, i traffici di armi e droga e la prostituzione, aventi come denominatore comune l’immigrazione clandestina, l’Italia effettuò, dal 1993 al 1995, incontri con la Parte albanese, a livello politico e tecnico, che, pur senza raggiungere immediati risultati, furono importanti per la pianificazione congiunta di progetti maturati successivamente, in aggiunta alle azioni sviluppate nell’alveo dei normali canali di collaborazione, come quello dell’Interpol”298

Nel dicembre del 1996, in occasione della prima riunione del Comitato bilaterale previsto dall’Accordo del 24 agosto 1991, presieduto dai Ministri dell’Ordine Pubblico albanese Halit Shamata e dell’Interno italiano Giorgio Napolitano furono prese le prime decisioni sul tema della lotta alla migrazione clandestina con la previsione di pattugliamenti in mare da concordare in sede tecnica299.

Per quanto riguardava il contrasto della criminalità, comune ed organizzata, dei traffici illeciti di stupefacenti e dello sfruttamento delle persone a scopo sessuale, si prevedeva il rafforzamento dello scambio di informazioni attraverso il potenziamento dell’assistenza tecnica con risorse umane e mezzi materiali forniti dall’Italia300.

Nel momento in cui la prima fase dell'emergenza era passata in secondo piano, dunque, ed erano state archiviate le “non trascurabili pulsioni isteriche”301 della società italiana alimentate da operazioni mediatiche spesso discutibili, l'Italia era tornata a considerare il fenomeno migratorio albanese come un problema di gestione di flussi e di lotta alla criminalità302.

Quando nel 1997 l’Albania divenne nuovamente argomento all'ordine del giorno

298 Ivi, p. 28 299 Ivi, pp. 31-32 300 Ibidem 301 Ibidem

della politica estera italiana, (anche se, diversamente da quanto avvenuto nel 1992, l’ondata di profughi non superò le 14.000 persone) a differenza dell’opinione pubblica (che ancora una volta diede segnali di considerare quella albanese come una vera e propria invasione303) “la politica italiana si dimostrò matura per affrontare la sfida che le si poneva di fronte”304.

In questo scenario “entrarono, in primo luogo, gli interventi straordinari definiti dal governo italiano con il decreto legge 20 marzo 1997 15 per fronteggiare l’eccezionale afflusso di stranieri provenienti dall’Albania. Il provvedimento legislativo, nell’autorizzare le attività di soccorso e di assistenza da svolgere nei confronti dei citati extracomunitari, disciplinò le procedure per il rilascio ad essi di un nulla osta provvisorio di ingresso e soggiorno nel territorio nazionale e l’adozione delle misure di controllo e di respingimento di quanti non in possesso del previsto permesso. Le descritte disposizioni furono integrate da una Direttiva del Presidente del Consiglio del 18 giugno 1997, con la quale, nel prevedere che le operazioni di rimpatrio dovevano concludersi entro il 31 agosto, furono previsti il perfezionamento, da parte del Ministro degli Affari Esteri, di intese con le competenti autorità albanesi anche per i programmi in materia di flussi di ingresso in Italia e la prosecuzione dell’assistenza, in territorio albanese, dei soggetti rimpatriati.”305

Inoltre, attraverso una serie di iniziative diplomatiche, “l’Italia seppe accreditarsi come principale potenza responsabile della gestione della crisi. La risoluzione 1101 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 28 marzo 1997 autorizzò la missione Alba, che mise sul campo oltre 7 mila uomini tra militari di 10 paesi,

303 Ibidem 304 Ibidem

impegnati come forza di protezione e pacificazione. La missione, durata da aprile ad agosto 1997, contribuì alla stabilizzazione interna dell’Albania e delle zone di confine. L’Italia, che ebbe il comando della missione e inviò il contingente più significativo, ottenne risultati lusinghieri in termini di crisis management e di cooperazione multilaterale: ampiamente superato fu il test case della capacità operativa delle forze armate e del coordinamento con gli altri partner europei e balcanici.”306.

Le finalità della missione erano di “assicurare l’afflusso e la distribuzione degli aiuti di prima necessità; creare le premesse di sicurezza riducendo il raggio di azione delle bande criminali; sostenere il ritorno alla stabilità politica dell’Albania e lo sviluppo di un giusto processo democratico”307

La missione Alba, dunque, è stata indispensabile per la costruzione di un quadro di cooperazione bilaterale che ha caratterizzato la relazione tra i due paesi negli anni successivi, infatti “sulla partnership militare si sono successivamente inseriti progetti di cooperazione civile ed economica che si sono poi sviluppati per via autonoma”308.

Dopo aver istituito la figura del Commissario straordinario per l'Albania, “con l'obiettivo di coordinare e rendere maggiormente efficace l'azione degli organi di governo e degli enti dell'amministrazione statale impegnati nel supporto alle istituzioni albanesi”309 e dopo aver insediato a Tirana una delegazione diplomatica “incaricata di coordinare sul territorio gli interventi bilaterali di assistenza”310, contestualmente al superamento della fase d'emergenza fatta segnare dalla crisi del '97, la terza Commissione Mista ha varato il piano triennale 1998-2000, “con un impegno di 210

306 F. Niglia, a cura di, op. cit., p. 28 307 G. Fera, op. cit., p. 33

308 F. Niglia, a cura di, op. cit., p. 29 309 Ivi, p. 101

miliardi di lire (circa 108.4 milioni di Euro), a cui vanno sommate ulteriori risorse per varie iniziative di assistenza, fino ad un valore complessivo di 317 miliardi di Lire (circa 163.8 milioni di Euro).”311

Tra i principali punti dell'intervento, il “rafforzamento delle capacità istituzionali dello Stato albanese che si concretizza mediante assistenza tecnica e forniture di materiali”312 e il “perseguimento di uno sviluppo economico fondato sulla piena realizzazione dell’economia di mercato”313.

Al centro della strategia di cooperazione del governo italiano si pone l'assistenza alla governance albanese, al fine di supportarla nella realizzazione di un percorso di stabilità istituzionale, mentre dal punto di vista materiale vengono privilegiati progetti per la realizzazione di infrastrutture e misure volte a ridurre la povertà314.

La ripresa della cooperazione bilaterale ordinaria “ha tuttavia subito una ulteriore interruzione con la guerra in Kosovo che ha avuto forti ripercussioni sul tessuto sociale ed economico albanese. La presenza di circa 400.000 displaced people provenienti dal Kosovo ha infatti reso necessarie nuove scelte circa le modalità di intervento nonché la concentrazione su eventi straordinari.”315

In ogni caso, è utile ricordare che la cooperazione bilaterale tra Italia e Albania si colloca nel più ampio contesto di una strategia europea volta alla stabilizzazione dei Balcani occidentali, “inquadrata nel 1999 all’interno di una strategia complessiva, lo Stability Pact for Eastern Europe, primo serio tentativo di realizzare una strategia globale e di lungo termine di prevenzione dei conflitti nell’area”316 un obiettivo che

311 Ibidem 312 Ibidem 313 Ibidem 314 Ibidem 315 Ibidem 316 Ivi, pp. 101-102

l'Italia non può non condividere, come messo in evidenza dai rapporti del Gruppo di riflessione strategica del Ministero degli Affari Esteri, creato durante il governo Prodi con l’incarico di individuare le priorità dell’azione internazionale dell’Italia, infatti, “la stabilità dei Balcani occidentali costituisce una priorità strategica per l’Italia. Se i Balcani non verranno stabilizzati, saranno l’Italia e l’Europa ad esserne destabilizzate. […] Serbia e Albania sono due attori centrali, anche perché punto di riferimento delle principali minoranze presenti negli altri Stati della regione: il loro riavvicinamento all’Unione Europea e alla NATO dovrà essere accompagnato, nella visione dell’Italia, dalla capacità di assumere comuni responsabilità per ciò che riguarda la stabilità regionale. L’Italia ha interesse a consolidare i partenariati territoriali con entrambi i paesi”317.

Di fatto, “la strategia italiana di promozione dell’Albania e degli altri paesi balcanici in ambito europeo si staglia, in conclusione, su un orizzonte di lungo periodo, che terrà la diplomazia nazionale impegnata in un costante lavorio. L’ipotesi di una accelerazione di questo processo, sostenuta da molti in tempi recenti soprattutto dopo l’indipendenza del Kosovo, appare difficilmente prospettabile, sia per la lunghezza del percorso di adattamento dei paesi candidati agli standard comunitari sia per l’incapacità dell’Italia di imporre una tale accelerazione agli altri membri dell’Ue”318 anche se, dati gli sviluppi degli ultimi anni, non appare più così improbabile che l'ingresso dell'Albania nell'Unione europea si concretizzi entro la fine del decennio.

317 Ibidem 318 Ivi, p. 33