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Aspetti della transizione dell'Albania verso l'economia di mercato 1990-2010

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Indice

Introduzione

Capitolo 1

Il modello economico albanese 1945-1989

1.1 L'immediato dopoguerra e i rapporti con Belgrado 1.2 L'applicazione del modello sovietico

1.3 La rottura con Mosca e i rapporti con la Cina

1.4 La rottura con Pechino, l'isolamento e la morte di Hoxha

Capitolo 2

La transizione 1990-2000

2.1 La crisi politica e il collasso del sistema economico 2.2 Smantellamento della struttura socialista

2.3 Il comparto agricolo

2.4 Il sistema delle finanziarie piramidali e la crisi del 1997

Capitolo 3

L'impatto economico dei flussi migratori 3.1 Il fenomeno migratorio

3.1.1. Le migrazioni interne 3.1.2. Le migrazioni internazionali

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3.2 Evoluzione dei moventi, composizione e tipologie 3.3 Il ruolo delle rimesse nell'economia albanese 3.4 Brain drain e flussi migratori di ritorno

Capitolo 4

Le relazioni internazionali e il ruolo dell'Italia 4.1 Le relazioni internazionali

4.2 I rapporti con l'Unione europea 4.3 Il ruolo dell'Italia

4.4 Le relazioni economiche italo-albanesi

Bibliografia Sitografia

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Introduzione

Il lavoro di tesi svolto ha permesso di analizzare il complicato rapporto socio-economico albanese che ha iniziato a delinearsi a partire dal 1945.

Nel primo capitolo vengono ricostruite le vicende economiche tratte sia dai cambiamenti verificatisi nel quadro di alleanze internazionali interne al “blocco orientale” createsi nell’immediato dopoguerra, sia quelle scaturite dall’isolazionismo albanese iniziato negli anni settanta.

E’ utile sottolineare, ai fini introduttivi, che le alleanze poste in essere da Enver Hoxha avevano come scopo principale quello di provvedere alle difficoltà economiche nate nel Paese nell’immediato dopoguerra. L’idea iniziale della leadership comunista era quella di creare una forma estrema di centralismo e statalismo e porle come condizioni necessarie al raggiungimento di una stabilità politica e modernizzazione del Paese.

La prima coalizione nasce con Belgrado: il rapporto viene principalmente improntato su un mutuo beneficio. Tale alleanza ha determinato una drastica riduzione dell’indipendenza del Paese e inoltre ha previsto la restituzione del Kosovo albanese in cambio di un elevato prestito da parte della Jugoslavia, necessario per sopperire alla crisi economica dell’Albania. Nel 1948 vengono annullati gli accordi con la Jugoslavia di Tito e ciò ha determinato una serie di cambiamenti all’interno del “Partito del lavoro” di Hoxha e all’uccisione degli antagonisti del partito.

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vengono rinnovati tutti i prestiti concessi da Tito ma vengono apportate novità per quanto riguarda l’importazione e l’esportazione. La morte di Stalin e l’avvicinamento tra Mosca e Belgrado spingerà l’Albania ad interrompere i rapporti con l’Unione Sovietica e un costante avvicinamento con la Cina di Mao. Negli anni ’60 avviene la definitiva rottura e tale avvenimento portò ad un aumento degli scambi con Pechino. Nei rapporti internazionali, l’Albania veniva vista come un ponte grazie alla centralità e all’indipendenza preservate da Hoxha. La lontananza geografica con la Cina portò il Paese a rimanere scoperto in ambito di difesa nazionale e questo comportò la creazione di 400.000 bunker e allo stesso tempo si cercò di ammorbidire i rapporti con i Paesi confinanti per mettere il Paese al riparo dall’invasione sovietica.

I rapporti tra Cina e Albania iniziano ad incrinarsi intorno agli anni ’70 a causa della vicinanza tra Pechino e la Jugoslavia e a causa della non approvazione degli Stati Uniti nei confronti di Hoxha. Tali fatti portano ulteriormente al peggioramento delle condizioni economiche del Paese. L’Albania diviene sempre più isolata rispetto al resto del mondo determinando così il fallimento di Hoxha. Il socialismo e l’isolamento praticato da Hoxha in un contesto di sovranità si era rivelato non solo un fallimento ma anche un’illusione. Nel 1985, successivamente alla morte di Hoxha, prende il potere Ramiz Alia. In questi anni il Paese sprofonda in una forte crisi economica e sociale. Tra il 1990-2000 nascono le maggiori conseguenze scaturite dalle scelte politiche messe in atto dal dittatore.

Nel secondo capitolo di questo lavoro di tesi vengono analizzati il periodo post dittatura e gli enormi sforzi condotti dal regime di allora per risollevare le sorti del Paese. Grazie ad Alia, l’Albania inizia ad uscire dalla condizione d’isolamento che si

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era venuta a creare negli anni precedenti ma nessun passo avanti viene fatto riguardo alla libertà di movimento e di espatrio.

L’immobilismo portò ad un’occupazione delle ambasciate e alla partenza dei primi emigranti verso l’Italia. Nel 1991, per la prima volta dopo quarantasei anni di dominio comunista, vennero fatte le prime elezioni che portarono alla vittoria del PLA e all’ascesa al potere del Partito Democratico e del suo leader: Sali Berisha. Nel 1992 Alia viene definitivamente sconfitto e inizia l’ascesa al potere di Berisha. La drammatica situazione economica post elezione porterà alla privatizzazione delle terre e delle aziende statali.

Nel periodo compreso tra il 1991 e il 1996, l'Albania parve intraprendere un percorso di crescita senza precedenti, eppure, ancora prima di quella che sarebbe passato alla storia come la crisi del 1997, collegata da gran parte degli analisti al crollo delle cosiddette società piramidali. La promessa di restituzione dei fondi investiti in queste società non verrà mantenuta e porterà il paese sull’orlo della guerra civile obbligando Berisha a dichiarare lo stato d’emergenza. Ci saranno nuove elezioni con l’intervento OSCE che porteranno al potere Fatos Nano come primo ministro e Rexhep Mejdani come Presidente della Repubblica.

Rilevanti sono stati anche i flussi migratori che vengono analizzati nel terzo capitolo. Migrazione non solo esterna ma anche interna verso le aree urbane come Tirana e Durazzo che hanno portato allo svuotamento delle regioni montuose. Per quanto riguarda il fenomeno migratorio internazionale invece i paesi maggiormente interessati da questo fenomeno furono, a partire dai anni ’90, l’Italia e la Grecia. Tale fenomeno, fino al 1999, riguardava maggiormente la lotta alla sopravvivenza e la

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ricerca di una vita migliore dei giovani albanesi. A partire dagli anni 2000 il fenomeno migratorio ha riguardato le donne, gli anziani e gli studenti universitari provocando il Brain Dain (fuga di cervelli). E’ utile sottolineare che tra il 1999 e il 2010 tali flussi sono diminuiti ma ciò che va evidenziato e che risulta essere interessante è che sono invece aumentati i flussi di rientro volontari in Albania.

Il quarto capitolo è dedicato all’analisi dei rapporti internazionali e al rapporto dell’Albania con l’Italia. A livello sintetico si può affermare che inizialmente l’interesse internazionale era rivolto ad una strategia di assistenza alla nascita della democrazia e inoltre grazie ai rapporti internazionali si voleva risolvere i rapporti legati all’emigrazione.

Nel 1991 l'Albania aderì alla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE), alla Banca mondiale ed alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers). Tra il 1992 e il 1996 viene stipulato un accordo commerciale, di cooperazione e associazione con la Comunità europea che permette al Paese di beneficiare dei fondi del programma Phare. Inoltre, con Bruxelles, viene stipulato nel 2006 un Accordo interinale che prevedeva la creazione di una zona di libero scambio e nello stesso periodo viene riconosciuta come stato ‘potenzialmente candidato’ per poi diventare ufficialmente paese candidato nel 2014.

Un importante passo avanti viene fatto nel dicembre 2010 grazie all'abolizione del regime dei visti per la circolazione nell'area Schengen. Con l’Italia, l’Albania intraprende un percorso di cooperazione prevalentemente umanitaria che si concretizzò nella missione Italfor Pellicano per far fronte alla crisi migrazione. Inoltre dal 1992 al 1995 vennero presi importanti accordi nei settori dello sviluppo sociale,

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economico-finanziario e culturale. Nel 1997 per risolvere la nuova ondata di profughi l’Italia mette in atto la missione “Alba”: indispensabile per la costruzione di un quadro di cooperazione bilaterale che ha caratterizzato la relazione tra i due paesi negli anni successivi.

I rapporti economici e commerciali tra Italia e Albania vanno a inquadrarsi nel vasto quadro strategico di stabilizzazione e sviluppo dell’area balcanica che dovrebbe preparare le condizioni per un ingresso futuro dei paesi dei Balcani occidentali nell’Unione Europea, rimane comunque il principale paese fornitore dell’Albania. Oggi la situazione sembra essersi capovolta, sono molte le aziende e gli imprenditori italiani che investono nel ‘paese delle aquile’.

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Capitolo 1

Il modello economico Albanese

1945-1989

In Albania, le fasi conclusive della seconda guerra mondiale determinarono la vittoria della Resistenza comunista incarnata dal Lufta Nacional Çlirimtare (Movimento di liberazione nazionale), e il conseguente ingresso del paese nel 'blocco orientale' sancito ufficialmente dalle elezioni del dicembre 1945 nelle quali il Fronte Democratico, espressione di tale movimento e unico partito a presentare una lista, ottenne “il 93% dei suffragi su una massa di votanti pari al 92% degli aventi diritto al voto”1.

A distanza di settantanni, l'impatto di quegli avvenimenti, e di ciò che generarono nei decenni successivi, continua a influenzare le dinamiche socio-economiche albanesi e, nonostante siano passati già venticinque anni dalla caduta del regime Enverista e più di trenta dalla morte dello stesso Hoxha, non è ancora possibile imbastire un'analisi di qualsiasi genere sull'Albania contemporanea senza fare i conti con quanto avvenuto nel periodo compreso tra il 1945 e il 1989.

Allo stesso tempo, la disponibilità di studi di un certo rigore sull'Albania socialista, specie in lingua italiana, risulta essere alquanto limitata, per cui, in questa prima parte dell'analisi, si cercherà di ricostruire le vicende economiche desumendole,

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in primo luogo, dai cambiamenti verificatesi nel quadro di alleanze internazionali interne al 'blocco orientale' a partire dall'immediato dopoguerra fino all'isolazionismo albanese dei tardi anni settanta.

1.1 L'immediato dopoguerra e i rapporti con Belgrado

Prima ancora di riconquistare ufficialmente l'indipendenza nell'ottobre del 1944, con il riconoscimento da parte di Stati Uniti e Unione Sovietica del primo governo provvisorio guidato da Enver Hoxha, tra l'aprile del 1943 e il dicembre del 1944, i dirigenti albanesi avevano manifestato una posizione di autonomia rispetto alle offerte di aiuto, in uomini e mezzi, da parte degli anglo-americani2.

Non deve stupire, dunque, che nel periodo immediatamente successivo alle elezioni del dicembre 1945, “i dirigenti albanesi varano, subito dopo la Jugoslavia, una costituzione che ricalca quella sovietica del 1936 differenziandosi, in questo modo, dalle altre democrazie popolari con le quali l'Unione Sovietica vuole dimostrare che i nuovi regimi non rispondono alla logica della dittatura del proletariato nel rispetto […] di quella formula concordata con gli ex alleati secondo la quale i Paesi dell'Europa centro-orientale avrebbero dovuto essere governati da coalizioni politiche di tutti i partiti a esclusione di quelli di ispirazione fascista o nazista.”3

Nel pensiero di Hoxha e della leadership comunista “l'adozione di una forma estrema di centralismo e di statalismo rappresentava una condizione indispensabile per conseguire la stabilità politica e la modernizzazione di un paese […] feudale ed

2 Ibidem 3 Ivi, p. 137

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anarchico allo stesso tempo, indebolito da rivalità claniche e tribali in cui dominavano povertà, analfabetismo e superstizione ed il cui tessuto economico si presentava inconsistente e basato in buona sostanza su un'agricoltura di latifondo e di sussistenza.”4

L'Albania post-bellica era uno dei territori maggiormente arretrati d'Europa, motivo per cui, “the most pressing problem facing the new regime was the reconstruction of the country's shattered economy”5. I danni derivanti dal conflitto erano, infatti, relativamente più lievi rispetto a quelli subiti da altre nazioni europee, ma erano comunque molto diffusi e comprendevano, oltre alle circa 28.000 vittime, la distruzione di circa un terzo del bestiame così come del patrimonio edilizio, “nearly all mines, ports, roads and bridges were rendered unusable, and few industrial plants were left in working order.”6.

Inoltre, la necessità di trovare una sistemazione per le migliaia di senzatetto generati dalla cancellazione di interi villaggi, dovette fare i conti con la distruzione di gran parte della già precaria rete viaria prebellica costituita di “poche strade in condizioni disastrose, spesso costituite da greti di torrenti in secca”7 e con la totale assenza di strade ferrate8.

Tale situazione condannò, di fatto, intere aree montane a lunghi periodi di isolamento nella totale assenza dei beni di prima necessità, situazione che spinse i dirigenti del partito a organizzare i contadini in vere e proprie brigate e battaglioni di

4 L. Zarrilli, Albania, Geografia della transizione, FrancoAngeli, Milano, 1999, pp. 106.107 5 M. Vickers, The Albanians: a modern history, I.B. Tauris Publishers, Londra, 1995, p. 165 6 Ivi, p. 166

7 R. Jace, Albania, Storia Economia e Risorse, Società e Tradizioni, Arte e Cultura Religione, Pendragon, Bologna, 1998, p. 39

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lavoro al fine di ristabilire le vie di comunicazione9.

Contemporaneamente, i contadini vennero mobilitati anche per la cura dei campi rimasti sostanzialmente incolti per tutta la durata del conflitto, i loro debiti furono cancellati, mentre i depositi di grano dei vecchi proprietari venivano confiscati e lo stato requisiva il grano per evitare speculazioni10.

Alla vigilia della guerra di liberazione la struttura fondiaria albanese vedeva il 3% dei proprietari terrieri detenere il 27% “della superficie agricola utilizzata, all'epoca pari a quasi 400.000 ettari. Il 13,5% delle oltre 155.000 famiglie contadine albanesi non possedevano della terra, mentre i piccoli e medi proprietari (128.000 famiglie) conducevano degli appezzamenti aventi una superficie media pari a circa 1,8 ettari.”11

Nell'agosto del '45 una legge di riforma agraria ridistribuì i terreni privati eccedenti il limite dei 5 ettari tra i contadini senza terra, e proibì la compravendita dei terreni. Una mossa che si rivelò efficace sia sul versante economico che su quello politico, con il conseguente indebolimento dei potentati locali e la creazione di una nuova classe di contadini, riconoscenti per le terre ricevute, che divennero ardenti sostenitori del nuovo regime12.

Si trattò, dunque, di una mossa populista che non teneva conto delle perplessità di alcuni dirigenti di partito, tra i quali Sejfulla Maleshova, in merito all'inadeguatezza dei contadini nel garantire le condizioni di produttività sui livelli necessari al soddisfacimento dei bisogni nazionali13. Inadeguatezza che si manifestò in modo chiaro

9 M. Vickers, op. cit., p. 166 10 Ibidem

11 A. Segrè, La rivoluzione bianca, processi di de-collettivizzazione agricola in Russia, Paesi Baltici,

Cina, Albania: una difficile transizione dallo stato al mercato, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 271

12 M. Vickers, op. cit., p. 166 13 Ivi, p. 167

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l'anno successivo quando, anche a causa di una serie di inondazioni, l'Albania si trovò sull'orlo di una carestia che venne scongiurata solo grazie agli aiuti provenienti dall'UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) e all'intervento della Jugoslavia, 14.

Ma il processo di collettivizzazione delle terre “che fu portato a termine nell'arco di un ventennio, iniziò volontariamente e la prima cooperativa di produzione agricola fu costituita nel 1946 a Krutje nel distretto pianeggiante di Lushnje, a sud di Tirana. Le famiglie contadine misero in comune una parte delle loro terre mantenendo degli appezzamenti di circa un quarto di ettaro da lavorare in modo individuale. Lo stato incoraggiò gli abitanti dei villaggi ad unirsi alle cooperative dando loro delle agevolazioni quali la riduzione dell'imposizione fiscale e l'abbassamento delle quote di consegna obbligatorie.”15

Contemporaneamente, sulle superfici “appartenenti alle istituzioni religiose, sulle aree che appartenevano ad imprese estere e ai grandi latifondisti […] lo Stato aveva portato avanti la costituzione delle aziende statali”16, aziende privilegiate sia dal punto di vista tecnico che finanziario, “ad esempio, al contrario delle cooperative le aziende di Stato disponevano di un parco macchine proprio, godevano di sovvenzioni statali e la retribuzione del personale era basata su un salario fisso e garantito”17.

Durante il biennio 1946-47, il legame tra Albania e Jugoslavia fu al centro di una rapida evoluzione “la grave crisi economica che attanaglia l'Albania induce il governo di Tirana a concludere un trattato (9 luglio 1946) per la restituzione del Kosovo in

14 Ibidem

15 A. Segrè, op. cit., p. 272 16 Ivi, p. 273

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cambio di un consistente prestito, assolutamente necessario per la sopravvivenza stessa del Paese. Nel corso di queste trattative si palesa il disegno, neppure tanto occulto, di Tito sull'Albania come settima repubblica della federazione.”18.

L'atteggiamento della Jugoslavia nei confronti dell'Albania, seppure apparentemente improntato a un rapporto di mutuo beneficio, si risolveva in un'aggressiva manovra di indebolimento dell'indipendenza albanese, basata soprattutto sullo sfruttamento delle materie prime albanesi, di cui Belgrado rappresentava l'unico mercato d'esportazione, praticata attraverso una politica di speculazione basata su prezzi d'acquisto cinque volte inferiori ai prezzi di vendita19.

La rottura tra Mosca e Belgrado del 1948, che portò all'uscita della Jugoslavia dal Cominform, rese possibile un'inversione di rotta nel rapporto sbilanciato tra l'Albania e il suo vicino del nord, “l'avvio del lungo contrasto tra Tito e Stalin determina le scelte di politica interna ed estera dell'Albania che si allinea prontamente alle posizioni di Mosca e utilizza la condanna del titoismo per rinnovare in linea di principio, le aspirazioni sul Kosovo dove viveva e vive, circa il 40% della nazione shqipëtara. Enver Hoxha ne approfitta per affrancarsi dalla tutela del potente vicino e per liberarsi, anche fisicamente, dei dirigenti vicini alle posizioni jugoslave.”20

Il I° luglio 1948, tutti gli accordi economici tra Jugoslavia e Albania vennero annullati, mentre il personale operativo jugoslavo di stanza a Tirana venne costretto a lasciare l'Albania entro 48 ore.

L'allontanamento da Belgrado venne sfruttato dalla leadership di Hoxha per giustificare una purga all'interno del partito (che nel frattempo aveva cambiato nome

18 A. Biagini, op. cit., p. 137 19 M. Vickers, op. cit., pp. 167-68 20 A. Biagini, op. cit., p. 138

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divenendo il 'Partito del Lavoro') che si risolse, dopo una serie di processi penali per tradimento, nell'espulsione del partito di circa la metà degli appartenenti al Comitato Centrale e nella condanna a morte di Koçi Xoxe, uno dei principali antagonisti di Hoxha, un'epurazione che diede inizio al “lungo periodo di potere personale, assoluto, di Enver Hoxha che si concluderà solo con la sua morte nel 1985”21.

1.2 L'applicazione del modello Sovietico

Oltre a lasciare irrisolto il nodo del Kosovo, e addirittura inasprendolo a causa di una serie di rappresaglie nei confronti della popolazione albanese all'interno dei confini della federazione jugoslava, la rottura dei rapporti con Belgrado spinse l'Albania sotto l'influenza sovietica con la stipula, nel settembre del 1948, del primo accordo economico tra URSS e Albania, ratificato dal viaggio di Hoxha a Mosca l'anno successivo22. Grazie ad esso, oltre al rinnovo di tutti i prestiti precedentemente concessi all'Albania da Tito, l'URSS si impegnava ad acquistare le esportazioni albanesi al doppio del prezzo garantendo, al tempo stesso, importazioni a prezzi dimezzati23.

Contemporaneamente, il fatto che “the albanian regime faced perhaps the most difficult internal situation of any of the socialist states because of the relatively backward conditions and low standard of living”24 portò la direzione del partito a tentare la via della programmazione stalinista, un modello di “highly centralized planned economy, with strong emphasis on self-sufficency in heavy industry”25.

21 Ibidem.

22 M. Vickers, op. cit., p. 175 23 Ibidem

24 Ibidem 25 Ivi, p. 176

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Nonostante l'Unione sovietica, come già aveva fatto la Jugoslavia, premesse affinché il regime albanese si concentrasse sullo sviluppo agrario piuttosto che sullo sfruttamento delle risorse minerarie messe in luce dai sondaggi italiani effettuati durante il conflitto, gli sforzi del regime si focalizzarono in modo sempre più evidente sullo sviluppo dell'industria, e con il piano biennale 1949-50 vennero costruite le basi per la realizzazione del successivo, e più impegnativo, piano quinquennale26 .

Il piano biennale inaugurò una fase di grandi progetti e grandi realizzazioni, tra queste “the Lenin hydro power plant to meet the needs of the Tirana district, the Stalin textile mills and the Maliq sugar refinery. In January 1949, a new system of procurement and supply was introduced by the Central Committee to improve economic relations between the town and countryside. The state guaranteed market-supplied goods at fixed prices to working peaple on the basis of ration cards or were not engaged in cooperative agricultural production.”27.

Il primo piano quinquennale si tradusse in un ambizioso piano di elettrificazione e industrializzazione del paese che, nonostante il malcontento di Mosca, si orientò verso lo sfruttamento dell'abbondante presenza di minerali di pregio come cromo, petrolio, nichel, carbone e rame28. Il piano, che avrebbe dovuto innanzitutto mirare ad alleviare i pericoli derivanti dalla scarsa produzione di beni di prima necessità e puntare a rafforzare l'economia locale nel suo complesso, “proved to be far too ambitious, ignoring as it did the realities of Albania's severe lack of adequate machinery, skilled labour and a developed communication network. […] on the agricultural front the situation was even more serious. The objective of the first five -year plan was to prepare

26 Ibidem 27 Ibidem 28 Ibidem

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the ground and create conditions for the rapid development of collectivization. The resulting dislocation, accentuated by two consecutive very dry years (1951-1952), cut grain production, as well as cattle, sheep and goat populations, between 10 and 25 per cent, and caused very acute food shortages”29.

Nonostante una serie di interventi volti a tamponare la situazione, tra i quali: l'arresto temporaneo del processo di collettivizzazione, la riduzione delle quote obbligatorie, l'eliminazione di quelle anticipate e la distribuzione di grano ai contadini, non si ebbero particolari miglioramenti della situazione e la produzione di grano continuò a essere irregolare e insufficiente come, d'altronde, i numeri del comparto zootecnico30. Ciò mise ulteriormente in evidenza che “agricultural methods were still very primitive, and mechanization remained very much a dream”31.

Risale a questi anni anche l'inizio della seconda fase del processo di collettivizzazione “con l'estensione della produzione cooperativa nelle regioni di collina e di montagna, sia nelle regioni meridionali – tradizionalmente più ricche – che in quelle settentrionali”32.

Malgrado la gravità della situazione, comunque, furono proprio quelli gli anni in cui il PLA, finalmente libero dall'ingerenza di Tito, cominciò a dare forma alla società albanese nella sua interezza con una serie di provvedimenti fondamentali per la capillare penetrazione del partito nel tessuto culturale, sociale ed economico albanese. Tra questi, sul fronte culturale, va senza dubbio annoverata la lotta del partito contro ogni forma di religione. La religione, infatti, veniva vissuta come causa di fratture interne a un

29 Ivi, p. 177 30 Ivi, p. 176 31 Ibidem

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progetto di comunismo nazionale che necessitava di una forte coesione intorno al partito33.

Al tempo stesso, moventi simili, furono alla base della decisione di stabilire l'eleggibilità di ogni cittadino al di sopra dei diciott'anni a qualsiasi carica elettiva, compresi tutti ruoli di potere all'interno delle cooperative industriali e nelle organizzazioni sociali, mentre contemporaneamente venne istituita un'assemblea rappresentativa del popolo, con un rapporto di rappresentanza di un eletto ogni 8.000 cittadini, che aveva nominalmente il potere di nominare o destituire il governo34.

La morte di Stalin, nel 1953, e il conseguente cambio di rotta avviato dalla dirigenza sovietica non ebbero un impatto immediato sull'evoluzione delle vicende albanesi35; contrariamente alle correnti revisioniste che presero piede nel resto dei paesi satelliti, in Albania si parlò di “un paese 'orfano' di Stalin nel quale culto della personalità, devozione e gratitudine – la scomoda e ingombrante influenza jugoslava, in fondo, era stata eliminata grazie all'incondizionato appoggio del dittatore georgiano – costituiscono i pilastri, indistruttibili e rassicuranti, del potere personale di Enver Hoxha che può, nel 1954, cedere la presidenza del consiglio a un suo fedele, Mehmet Shehu – successivamente da lui ucciso o fatto uccidere – e aderire al Patto di Varsavia (1955) consentendo all'Unione Sovietica di installare una propria base navale a Valona e controllare, riorganizzandole, le forze armate”36 albanesi.

Le altalenanti relazioni tra Unione Sovietica e Jugoslavia, che portarono al loro riavvicinamento nei primi anni cinquanta e a un nuovo allontanamento nel 1956, non

33 Cfr. M. Vickers, p. 177 e A.Biagini, op. cit., p. 141 34 M. Vickers, op. cit., p. 178

35 A. Biagini, op. cit., p. 140 36 Ibidem

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intaccarono la campagna anti-titoista di Hoxha né, apparentemente, l'atteggiamento sovietico nei confronti di Tirana, infatti nel 1959, contestualmente a una lunga visita di Chruscev,, “gli aiuti economici vengono incrementati e il leader sovietico definisce pubblicamente l'Albania una base avanzata del sistema difensivo del blocco socialista e ipotizza la costruzione di basi missilistiche sul territorio albanese.”37.

Già alla fine dell'anno però “il ripristino delle relazioni tra Mosca e Belgrado spinge Tirana a manifestare sempre maggiori simpatie verso la Cina comunista di Mao, in rotta di collisione con l'Unione sovietica per questioni che riguardano la leadership del sistema socialista mondiale e l'influenza politica sugli equilibri in Asia”38.

Tra i motivi del raffreddamento dei rapporti tra Tirana e Mosca, oltre al già ricordato riavvicinamento di Mosca a Belgrado, il fatto che l'Unione sovietica cominciasse a legare la concessione dei prestiti e degli aiuti alla redditività degli stessi39, sostenendo, al tempo stesso, l'area revisionista interna al Comitato centrale che si contrapponeva a Hoxha. Sostegno che non impedì allo stesso Hoxha di espellere i suoi avversari dal partito con l'accusa di adesione al revisionismo chrusceviano e di ordinare “al delegato albanese, Hysni Kapo, di assumere la difesa delle posizioni cinesi al congresso del partito dei lavoratori rumeni”40, imbastendo quella definitiva rottura con l'Unione sovietica che divenne ufficiale con il discorso pronunciato da Hoxha alla conferenza dei Partiti comunisti di Mosca del novembre '60, e nel successivo discorso di apertura del primo congresso del PLA nel febbraio del '6141.

37 Ivi, p. 142 38 Ibidem 39 Ibidem 40 Ivi, p. 143 41 Ibidem

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1.3 La rottura con Mosca e i rapporti con la Cina

Il XXII° Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica “condanna le posizioni staliniste di Hoxha e invita il governo ad annullare tutti gli accordi e gli impegni presi con Tirana. Si giunge così alla rottura ufficiale delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, Mosca interrompe l'erogazione dei finanziamenti e ritira tecnici ed esperti militari”42.

L'isolamento da parte di tutti i paesi comunisti dell'area europea allineati alla posizione dell'Unione Sovietica venne immediatamente compensato dall'intervento di Pechino. Tra il 1960 e il 1964 gli scambi commerciali con Pechino passarono dal 4% al 46% eppure, come vedremo, tale incremento non fu sufficiente a risollevare le sorti dello sviluppo economico albanese nel suo complesso43.

Se dal punto di vista politico le scelte di Hoxha erano state orientate dalla volontà di preservare l'indipendenza dell'Albania dai suoi potenti vicini, giovando anche del fatto di non avere continuità territoriale con l'Unione Sovietica, per la Cina il rapporto economico costi benefici palesemente sbilanciato a favore dell'Albania, veniva compensato dalla possibilità di considerare il piccolo paese una testa di ponte nella rete di rapporti internazionali interna al blocco comunista europeo e a cavallo tra i due blocchi contrapposti44.

Sulla base di tali interessi, la Cina garantì all'Albania un prestito di 125 milioni di dollari che corrispondeva a più di quanto l'Unione Sovietica e gli altri paesi comunisti avessero garantito in precedenza, e successivamente ritirato, per la realizzazione del

42 Ibidem 43 Ibidem

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terzo piano quinquennale albanese previsto per il periodo 1961-.196545.

Durante questo periodo “Chinese aid to Albania steadily increased. Whereas Soviet aid had been limited to light industry, food and infrastructure, the Chinese gave Tirana assistance to build up heavy industry and thus a real base for long term self-reliance. As a result, several major industrial projects were completed during the third five-year plan. These included the Engels and Stalin hydroelectric plant, and the copper and iron smelting plants at Gjegjana and Elbasa. Also during this period many of the country's main reservoirs of water were built by the cooperatives.”46.

Nonostante questo, il piano dimostrava di essere eccessivamente incentrato sull'industria a discapito del comparto agricolo, un errore che aveva portato fino a quel momento ai fallimenti degli altri piani quinquennali, infatti: “here again industry and mining together were allocated 4.2 times the budget of agriculture. Even when allowing for the fact that some industrial projects, such as the artificial fertiliser factory, were essentially agricultural in aim, the plan remained unbalanced, with industry getting the lion's share of investment and agriculture completely under resourced.”47.

Nonostante gli aiuti cinesi, comunque, il regime dovette far fronte ai problemi derivanti dal rapido tasso di crescita della popolazione albanese, uno dei maggiori al mondo in quel periodo, dovuto in parte alla retorica tipica dei regimi socialisti dell'epoca che vedevano in un alto tasso di nascite la possibilità di immettere il vigore giovanile nel miracolo dello sviluppo industriale socialista, ma dovuto soprattutto ai miglioramenti delle condizioni del sistema sanitario; un tasso di crescita che doveva fare i conti, però, con la costante mancanza di grano e il rischio sempre concreto di nuove

45 Ibidem 46 Ivi, p. 190 47 Ibidem

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carestie48.

Nel 1967, con il golpe militare in Grecia e le vaghe allusioni del nuovo regime ai 'confratelli dell'Epiro del nord', allusioni che suonavano come velate minacce, e con la contemporanea invasione sovietica della Cecoslovacchia l'anno successivo, i timori albanesi si concentrarono sulla consapevolezza che l'alleanza con Pechino non prevedeva nessun aspetto di difesa militare in caso di invasione49.

La lontananza geografica dell'unico alleato concreto cominciò, dunque, a mostrare i suoi lati negativi e questo indusse la leadership albanese alla costruzione di circa 400.000 bunker in cemento armato mentre, sul fronte diplomatico cercava di ammorbidire i rapporti con i propri vicini, Italia, Grecia, Romania e Jugoslavia nel tentativo di costruire delle alleanze in grado di mettere l'Albania al riparo dal rischio di invasione sovietica50.

Ciò non vuol dire, però, che la presa di consapevolezza della lontananza geografica della Cina e dei suoi effetti collaterali significassero, al tempo stesso, un allontanamento dalle posizioni di Pechino, anzi. Nei tardi anni '60, infatti, in linea con la rivoluzione culturale cinese avvallata da Mao nel 1966, Tirana introdusse una serie di nuove politiche sostenute da un grosso sforzo propagandistico che avevano come obiettivo l'emancipazione femminile, l'abolizione della religione e il ridimensionamento dell'ipertrofico apparato burocratico51.

Contemporaneamente all'impegno in queste campagne, Hoxha mise in campo tutte le forze a sua disposizione per reprimere ogni forma di revisionismo, dimostrando,

48 Ivi, p. 191 49 Ivi, p. 192 50 Cfr., ivi, p. 193 51 Ivi, pp. 193-194

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dunque, di non aver cambiato posizione nei confronti dell'Urss nonostante il ritiro forzato dalle scene di Chruscev, ed esprimendo apertamente il suo apprezzamento nei confronti della rivoluzione culturale cinese in qualità di “valuable contribution to the theory and practice of scientific socialism”52, anche se nei fatti la leadership albanese si guardò bene dall'avviarsi sulla strada del caos sociale e degli eccessi che caratterizzarono il programma di Mao in Cina53.

Sul fronte economico, il piano di sviluppo continuò con il contributo cinese con la programmazione del quarto piano quinquennale 1966-1970 attraverso il quale venne avviata la costruzione del “Mao Tse-Tung textile mill near Berat, a plastics factory in Durres, and various other new industrial projects. Around 200.000 hectares of drained land were turned over to agriculture. The Chinese continued to supply the country with wheat until the Albanians, with advice and help from Chinese experts, were able to produce just enough grain to feed their country's growing population.”54.

Nonostante l'opposizione dei clan di religione cattolica radicati principalmente nel nord del paese, la collettivizzazione agricola venne portata a compimento, un successo garantito in buona parte da quel processo di erosione del potere dei clan dovuta all'eliminazione del fattore di coesione rappresentato, fino a quel momento, dalla religione che Hoxha aveva dichiarato fuorilegge55.

Al contempo, mentre si avviava un delicato riavvicinamento con la Jugoslavia in chiave antisovietica, i rapporti dell'Albania con la Cina si andavano lentamente raffreddando, in linea soprattutto con i cambi d'interesse delle rispettive politiche estere.

52 Ivi, p. 196 53 Ibidem 54 Ivi, p. 197 55 Ibidem

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1.4 La rottura con Pechino, l'isolamento e la morte di Hoxha

A metà degli anni '70 gli impegni formali tra Cina e Albania non erano più una garanzia per nessuna delle due nazioni, in occasione della visita della delegazione rumena alla corte di Mao, Hoxha si espose con un commento piuttosto sarcastico “Mao received Ceausescu saying to him: 'Romanian comrades, we should unite to bring down imperialism'. As if Ceausescu and Co. Are to bring down imperialism!! If the world waits for the Ceausescus to do such a thing, imperialism will live for tens of thousands of years'.”56.

Contemporaneamente, la graduale politica di apertura cinese nei confronti dei paesi non allineati, lasciava presagire che l'interesse di Pechino nei confronti dell'Albania era vicino al capolinea. La cosa divenne ancora più chiara con il viaggio in Cina di Nixon del 1972 che venne completamente oscurato dai media di stato albanesi, in linea con la disapprovazione di Hoxha per il nuovo atteggiamento di Pechino nei confronti degli Stati Uniti57. Contrariamente a quanto lasciava intendere l'atteggiamento di Pechino, infatti, per il leader albanese gli Stati Uniti continuavano a essere un nemico esattamente al pari dell'Unione Sovietica.

Il deteriorarsi dei rapporti con la Cina portò a una drastica diminuzione degli aiuti e non appena vennero bloccate le consegne di materiali e macchinari da parte di Pechino si ebbero riflessi immediati sui comparti produttivi alla base dell''economia albanese con l'arresto dei processi industriali58.

56 Ivi, p. 201 57 Ibidem 58 Ivi, p. 202

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Le cose peggiorarono ulteriormente con la morte di Mao nel settembre del 1976, nel momento in cui gli eredi del dittatore imbastirono la strada delle riforme, le cosiddette 'quattro modernizzazioni', e la linea di apertura nei confronti del mondo capitalistico e verso l'Unione Sovietica59.

Contemporaneamente, gli eredi di Mao individuarono nella Jugoslavia di Tito un alleato di maggior prestigio nella lotta di posizione con l'Unione sovietica. Appena due anni più tardi, quindi, nel luglio del 1978, considerando il programma di aiuti all'Albania come un peso non necessario, la Cina bloccò le linee di credito, richiamò in patria tutti i suoi tecnici e i consulenti mentre gli studenti albanesi furono invitati a rientrare in Albania60.

A seguito della rottura con la Cina, il regime proclamò l'intenzione di proseguire sulla strada del socialismo contrapponendosi, in qualità di unico paese realmente socialista al mondo, all'assedio degli imperialisti e dei revisionisti61.

Il risultato della rottura con la Cina non fu altro se non un volontario e auto-imposto isolamento. Da quel momento il regime dovette rinunciare all'ambizioso programma di sviluppo ma, perlomeno, il sostegno cinese degli anni precedenti aveva contribuito a rendere autosufficiente il paese sul versante della produzione agricola, della produzione petrolifera ed energetica62.

Eppure, “the stance of relative self-reliance restricted the country's access to modern technology and thus its capacity to more effectively exploit and process its natural riches. In particular, the oil, chrome and copper industries were faced with

59 A. Biagini, op. cit., p. 145 60 M. Vickers, op. cit., p. 202 61 Ivi, p. 203

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increasing productivity problems.”63 mentre la scarsa qualità delle produzioni dovuta all'uso di tecnologie non più all'avanguardia, combinata alla scarsa formazione dei tecnici si rifletteva sull'intero sistema di produzione64.

Nel comparto agricolo era stata, proprio in quegli anni, portata a compimento la collettivizzazione iniziata nel 1946, “nel 1970 le cooperative conducevano il 75,8% della superficie agricola utilizzata, le aziende statali il 20,7% mentre il restante 3,5% era costituito dagli appezzamenti personali dati in uso ai membri delle cooperative.”65

Nel 1976 iniziò la cosiddetta statalizzazione del settore agricolo con la promulgazione della Costituzione albanese che “sancì che tutta la terra era proprietà dello Stato. Sull'onda della rivoluzione culturale gli appezzamenti personali furono quasi totalmente aboliti, il bestiame fu definitivamente consegnato alle cooperative, i mercati privati dove i membri delle cooperative potevano vendere la produzione in eccesso furono definitivamente chiusi.”66. Contemporaneamente, le cooperative valutate come economicamente forti, furono trasformate in 'cooperative agricole di livello superiore' e per gran parte successivamente trasformate in aziende statali67.

Il sistematico accentramento di tutte le attività ritenute di un qualche rilievo riflettevano, ancora più che necessità di tipo economico, un processo in atto in tutte le sfere della vita del paese, così come la sensazione di accerchiamento provata dal leader Hoxha venne trasferita all'intero paese attraverso la creazione di uno stato di allerta costante giustificato dalla retorica di discorsi infiammatori di questo tenore: “They will never catch us asleep, we will never be lacking in vigilance, let everyone understand

63 D. Hall, Albania and the Albanians, Pinter Reference, Londra, 1994, p. 40 64 Ivi, p. 41

65 A. Segrè, op. cit., p. 273 66 Ivi, p. 274

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clearly: the walls of our fortress are of unshakable granite rock”68.

Sicuramente l'ansia e il disagio erano ampiamente giustificati dal fatto che l'Albania, per la prima volta nella sua storia moderna, si ritrovava da sola, senza un appoggio esterno.

I primi anni '80 videro il regime albanese fronteggiare le difficoltà dovute alla rottura con la Cina e il conseguente rallentamento dello sviluppo economico e sociale, ma al centro delle difficoltà affrontate dalla leadership si pose la questione del passaggio di consegne reso inevitabile dall'aggravarsi delle condizioni di salute di Enver Hoxha69.

Anche se inizialmente la scelta di Mehmet Shehu, da tempo braccio destro di Hoxha, parve essere la più scontata, ma durante il periodo immediatamente successivo alla rottura con Pechino, il dittatore parve preferirgli il moderato Ramiz Alia, un 'compagno' che nelle parole della moglie di Hoxha, Nexhmije, portavoce del dittatore nell'ultimo periodo della sua vita, era visto come “a revolutionary embodying the ability, courage, wisdom and determination needed to carry forward the complete construction of socialism at the head of the Central Committee of the PLA.”70.

L'investitura di Alia suonò come una dichiarazione ufficiale che segnava il destino di Shehu, sicuramente poco propenso a fare passi indietro, e forte della sua base di potere radicata nell'esercito e nella Sigurimi. Il 18 dicembre 1981 “the astonishing announcement that Shehu had committed suicide whilst 'in a state of nervous crisis'. This followed Shehu's subjection to severe criticism for arranging the betrothal of his son to a woman whose family had, it was alleged, collaborated with the occupation

68 M. Vickers, op. cit., p. 203 69 Ivi, p. 208

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forces during the war.”71.

La reazione più evidente di Hoxha alla morte di Shehu fu di approfittare del momento di confusione per promuovere ampie purghe in quegli apparati che, come ricordato, costituivano la base di potere del defunto, Sigurimi ed esercito.

Anche se non sarà mai possibile accertare i fatti, e la morte di Shehu rimane ufficialmente un suicidio, si ritiene che gli esecutori materiali dell'omicidio di Shehu fossero lo stesso Hoxha o una sua guardia del corpo72.

Ciò che rimane chiaro è il principale punto di disaccordo tra il dittatore e il suo 'Generale' e, quindi, il movente di quello che sarebbe un omicidio prettamente politico, i due, infatti “had opposing priorities regarding the economy. Hoxha insisted on maintaining the principle of self-reliance, whilst Shehu argued of more economic interaction with the west”73.

Movente che risulta essere ancora più credibile alla luce delle improbabili dichiarazioni di Hoxha fatte a un anno dalla morte di Shehu, nelle quali il dittatore accusava il defunto braccio destro di essere stato per lungo tempo una spia al servizio di Gran Bretagna, Jugoslavia, Stati Uniti e Unione Sovietica74.

Con la morte di Enver Hoxha, l'11 aprile del 1985 si chiuse, per l'Albania, un lungo periodo di isolamento e si cominciano a intravedere le crepe che porteranno alla dissoluzione del dominio del partito unico appena quattro anni più tardi. Impietoso il giudizio degli storici che pur riconoscendo i progressi fatti dall'Albania nell'agricoltura, nell'industria, nell'educazione e nella sanità, considerano questi progressi

71 Ibidem 72 Ibidem 73 Ibidem 74 Ibidem

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“overshadowed by a horrific legacy of brutal repression, the full story of which has yet to be told. The albanian people had been cowed into a fearful state of submission, which led them, like their country, to withdraw into themselves with their thoughts kept secret, paranoid and suspicious of all around them”75.

Il tentativo di Hoxha di praticare il socialismo in un contesto di sovranità e isolamento si era rivelato, oltreché un fallimento, anche un'illusione. Quando i leader albanesi, con la loro retorica di regime, dichiaravano che lo sviluppo economico del paese era dovuto esclusivamente agli sforzi degli stessi albanesi, dimenticavano di menzionare il fatto che il continuo cambio di alleanze era stato soprattutto un modo efficace per non pagare i debiti all'ex alleato di turno. A questo proposito sarebbe sufficiente ricordare che il solo debito accumulato nei confronti della Cina alla vigilia della rottura ammontava a circa 5 miliardi di dollari americani76.

75 Ivi, p. 209 76 Ibidem

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Capitolo 2

La transizione 1990-2000

Con la morte di Enver Hoxha si apre per l'Albania un periodo di transizione politica che confluirà, di lì a breve, nella più ampia dinamica di transizione innescata dal crollo del blocco orientale. Questo periodo vedrà l'Albania sprofondare in una crisi profonda e drammatica sotto tutti i profili.

Alla leadership carismatica e problematica di Hoxha si sostituirà quella pragmatica ma a tratti spaesata e inefficace del riformista Alia costretto a fare i conti, oltre che con il mutare improvviso del quadro internazionale, con un'economia isolata e insostenibile da un lato e con la difficile situazione politica e sociale dall'altro.

All'acuirsi della crisi politica, dunque, corrisponderà il collasso del sistema economico che porterà allo smantellamento dell'intera struttura di potere socialista e a un esodo di massa che caratterizzerà in modo indelebile il profilo economico e sociale dell'Albania contemporanea. Si tratterà, dunque, di un periodo di circa vent'anni (1990-2010) durante il quale la transizione dall'economia pianificata a quella di mercato inciderà profondamente su ogni aspetto della vita dei cittadini albanesi, sia di quelli che decideranno di rimanere all'interno dei confini nazionali, sia di quelli che decideranno di lasciare la madrepatria alla volta di paesi come la Grecia, l'Italia e gli Stati Uniti.

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2.1 La crisi politica e il collasso del sistema economico

La notizia della morte di Enver Hoxha non colse impreparata l'élite comunista, “particolarmente l'élite di Tirana che sapeva da anni della sua malattia degenerativa. […] due giorni dopo la morte di Hoxha, Ramiz Alia fu eletto segretario del Partito del lavoro albanese.”77

I primi anni di governo di Alia furono caratterizzati da un'attenta elusione di tutto ciò che poteva indicare una presa di posizione a favore del conservatorismo o della modernizzazione del paese. L'isolazionismo, dovuto alle rotture con Unione Sovietica e Cina aveva contribuito a trasformare il paese “in un'isola di crescente povertà e depressione, con delle infrastrutture in rapida via di disintegrazione, degli edifici cadenti e una classe lavoratrice malnutrita e poveramente vestita che adoperava primitive macchine agricole: quest'insieme era inquadrato da slogan ricordanti che Partia mbi te gjitha (Il Partito è al di sopra di ogni cosa).”78

Dal punto di vista economico e sociale, a metà degli anni ottanta “il rapporto tra il reddito più alto e quello più basso era di 2 a 1; il direttore di una fabbrica portava quindi a casa approssimativamente 900 lek al mese, un operaio di un'officina 750 e uno spazzino 600. Il partito comunista, o partito del lavoro, aveva circa 120 mila membri su una popolazione totale di circa tre milioni di persone. […] Il Partito controllava ogni attività senza alcuna eccezione: non esisteva assolutamente una società civile indipendente. […] Persino un'istituzione come la famiglia veniva violata, attraverso la vasta rete di informatori guidata dalla Sigurimi, la polizia segreta, che raggiungeva

77 M. vickers, J. Pettifer, Albania: dall'anarchia a un'identità balcanica, Asterios Editore, Trieste, 1997, pp. 37-38

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ogni stanza.”79.

Nel 1985 Ramiz Alia varò l'ottavo piano economico quinquennale dal 1946, un piano che, come vedremo non portò nessuno dei successi sperati80. Quando si tenne il congresso del Partito del Lavoro agli inizi del 1986, la leadership di Alia si presentò con delle deboli proposte riformiste “i suoi progetti erano di natura circoscritta e tecnocratica e in realtà avrebbero consentito una maggiore seppur modesta differenziazione nei redditi. […] Lo sviluppo agricolo e industriale era il tema principale dei lavori del congresso, poiché nel 1985 la produzione era stata molto scarsa. Molti delegati riconobbero apertamente il deteriorarsi della situazione, ma le riforme incontravano chiaramente scarsi favori, e in effetti quasi nessun tipo di cambiamento avvenne durante quegli anni.”.

Proprio in quel periodo il Partito dovette ricorrere sempre più spesso all'importazione di generi alimentari. Come già messo in evidenza, infatti, i problemi legati alla scarsità di cibo, “alla bassa produttività agricola e industriale, alla paralizzante mancanza di pezzi di ricambio e ad altri inconvenienti tecnici”81 non avevano mai abbandonato del tutto l'Albania del dopoguerra e non smisero di verificarsi “nonostante Alia e altri dirigenti politici impiegassero gran parte del loro tempo tentando di risolverli”82

Tra il 1986 e il 1989, non si verificò alcun miglioramento in nessuno dei settori cruciali dell'economia, tutte le proposte avanzate per tentare di incentivare il sistema produttivo vennero accolte con scarsi risultati83, “la stagnazione in tutti i settori

79 Ivi, p. 40

80 E. C. Del Re, Albania punto a capo, Seam, Roma, 1997, p. 31 81 M. Vickers, J. Pettifer, Op. cit., p. 41

82 Ibidem 83 Cfr., Ibidem

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continuò, e uno dei cosiddetti traguardi dell'era Hoxha, l'assenza di debiti con l'estero, si trasformò nella pietra al collo della leadership. Tutte le industrie albanesi avevano un bisogno urgente di modernizzarsi, ma ciò avrebbe inevitabilmente significato il ricorso a banche straniere, un rimedio che per ragioni ideologiche non poteva essere preso in considerazione.”84. Come già detto, l'assenza del debito estero, in realtà, era un'illusione causata dall'annullamento dei debiti con le superpotenze alleate in seguito alle rotture politiche e allo stesso tempo, “la nomenklatura, come si è scoperto poi, aveva contratto un debito estero pari a circa 400 milioni di dollari, spesi in generi di lusso come la costruzione del museo dedicato a Enver Hoxha – Padre della Patria – auto blu e altro.”85.

In ogni caso, durante gli anni in cui Alia fu alla guida del Paese, “l'Albania si aprì leggermente al mondo esterno, malgrado, con l'eccezione della fossilizzazione del Partito, avvenissero ben pochi cambiamenti interni, che d'altra parte quasi sempre non erano resi noti nemmeno all'interno del paese. In un discorso fatto all'Assemblea popolare nel tardo 1987, Alia distinse i 'dogmi primari' del sistema, che 'dovevano essere preservati e sviluppati' dai 'dogmi secondari', che dovevano sottostare a un costante 'sviluppo e perfezionamento'”86.

L'atteggiamento di cauta apertura permise all'Albania di partecipare alla Conferenza per la cooperazione balcanica del febbraio 1988, durante la quale i suoi rappresentanti stupirono gli osservatori con interventi pacati e non caratterizzati dalla consueta retorica marxista-leninista che aveva caratterizzato le precedenti partecipazioni

84 Ivi, p. 42

85 E. C. Del Re, Op. cit., p. 32

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albanesi a summit simili87.

Nella primavera del 1988 sulla stampa albanese cominciarono ad apparire critiche aperte alla politica dogmatica del Partito, tra queste un articolo riportava:

“Nel passato i leader comunisti albanesi avevano proclamato di essere contrari in ugual misura sia al settarismo che all'opportunismo. Secondo loro il primo termine racchiudeva un atteggiamento di sinistra, che si ritiene conduca a posizioni conservatrici e dogmatiche, mentre il secondo era solitamente associato a un pensiero di destra, che in Albania è sinonimo di revisionismo. Nel corso della sua storia il partito comunista ha concentrato i suoi attacchi sulle forze di destra e su quelle revisioniste, ma ha dato minor attenzione alla lotta ai sinistroidi. La profonda diffidenza verso la popolazione, sia dentro che fuori al Partito, che ha condotto a ripetute purghe, era in realtà largamente causata dall'orientamento di sinistra della leadership di Hoxha. È perciò significativo che i comunisti post-Hoxha abbiano diretto i loro attacchi al settarismo o al sinistrismo, un processo inaugurato dallo stesso Ramiz Alia al IX Congresso del Partito. In effetti, gli attuali attacchi della leadership al settarismo devono essere visti come una manifestazione del nuovo atteggiamento del paese nei confronti dei modi di pensare superati e conservatori.”88

Contemporaneamente, anche l'isolamento internazionale andò allentandosi, in luglio fu annunciata la riapertura dei canali diplomatici con l'Unione sovietica mentre una serie di incontri aprivano la strada per la ricostruzione dei rapporti con gli Stati Uniti anche se questi ultimi si sarebbero dimostrati riluttanti fino all'annuncio delle elezioni multipartitiche, mentre i rapporti con la Gran Bretagna continuarono a essere

87 Ibidem 88 Ivi, p. 45

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condizionati dalle richieste albanesi riguardo i circa 20 milioni di dollari in oro albanese requisiti dagli inglesi durante l'ultimo conflitto89.

Nel 1988 “l'eco della Perestrojka era giunto anche in Albania sotto il nome di përtëritje, ma ancora una volta il regima aveva decretato che si trattava di un attacco al marxismo-leninismo che avrebbe nuociuto grandemente al paese, e così mentre nel resto dell'Europa comunista soffiava il vento del cambiamento, in Albania l'aria restava stagnante e la regola autarchica in auge.”90

Come accadeva ormai da tempo, anche il 1989 fu un anno di grosse difficoltà economiche per l'Albania, specie nel settore agricolo, “i nuovi regimi sorti in Europa orientale si erano rimangiati molte delle promesse riguardanti gli accordi commerciali e lo scambio di prodotti industriali negoziati in precedenza. Le croniche complicazioni nel settore manifatturiero e in quello minerario causate dal progressivo invecchiamento dei macchinari cinesi e dalla carenza di parti di ricambio si aggravavano sempre di più, e la crisi era peggiorata dal secondo anno consecutivo della siccità che stava affliggendo gran parte dei Balcani”91.

Poco più di un anno dopo, nel 1990, Alia cominciò a concedere alcune aperture “che gli valsero l'epiteto di Gorbaciov dei Balcani, soprattutto in campo economico favorendo l'inizio della decentralizzazione del potere decisionale: ad alcune industrie fu permesso di stabilire autonomamente il piano di produzione, così come furono permesse, seppure molto limitatamente la produzione e la vendita private; la proibizione (prevista nella Costituzione) di accettare investimenti stranieri fu aggirata attraverso l'obbligo di creare joint-venture; ai contadini fu concesso di comprare

89 Cfr., M. Vickers, Op. cit., p. 215 90 E. C. Del Re, Op. cit., p. 32

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animale dalle cooperative per uso privato”92.

La situazione vide un'improvvisa accelerazione “un po' per l'effetto di questa timidissima ondata riformatrice, assai più per l'azione di ineludibili cause interne (la gravissima situazione economica del paese e l'esasperazione di un popolo ridotto alla mera sussistenza) ed internazionali (il crollo dei regimi comunisti in tutta l'Europa orientale) l'impalcatura comunista mantenuta per oltre 40 anni con il terrore, la disinformazione e l'isolamento comincia a vacillare sempre di più: a seguito della protesta studentesca e popolare che culminerà nelle imponenti manifestazioni di piazza”93.

Alia fu costretto a introdurre riforme sociali e politiche che comprendevano, tra le altre cose, la libertà di fede religiosa venuta meno con l'ultima versione della Costituzione. La dirigenza del Partito, nonostante i costanti richiami ai quadri interni affinché si estendessero i legami con le masse lavoratrici nelle città e nelle campagne rigettando ogni manifestazione di formalismo, ufficialità e burocrazia94, era ben conscia “dell'esaurimento del Partito come forza politica: ciò può essere dimostrato dalla teoria avanzata da alcuni dei suoi membri più giovani secondo i quali il comunismo albanese aveva consumato se stesso durante la rivoluzione culturale”95 ispirata sul finire degli anni sessanta dalla momentanea alleanza con la Cina.

Nel dicembre del 1990, questo processo di delegittimazione cominciato con il X Plenum del Comitato centrale, culminò nella legalizzazione del pluripartitismo che portò, nell'arco di qualche settimana alla nascita del Partito Democratico, del Partito

92 E. C. Del Re, Op. cit., p. 32 93 L. Zarrilli, Op. cit., p. 54

94 M. Vickers, J. Pettifer, Op. cit., p. 50 95 Ibidem

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Repubblicano e di altre formazioni politiche minori96.

Nel frattempo la situazione era andata precipitando su tutti i fronti, la produzione industriale era crollata al 40% della piena capacità, condizionata dalla mancanza di combustibile e dall'assenteismo97, ma la cosa più “importante fu l'avvio di quei cambiamenti sociali che erano fatalmente destinati a minare lo Stato monopartitico. […] da molti anni le ambasciate occidentali a Tirana erano confinate in un'area completamente inaccessibile al pubblico, sotto la stretta sorveglianza della Sigurimi, ma con il calo della credibilità del governo Alia e la crescente inefficienza dell'apparato di sicurezza interno adesso era possibile per i cittadini albanesi avvicinarsi agli edifici in cui si trovavano le legazioni straniere.”98.

Nonostante la popolazione sembrasse accogliere in modo positivo le riforme avviate da Alia, infatti, su un punto cruciale per la maggior parte degli albanesi come la libertà di movimento e di espatrio non era stato fatto nessun passo in avanti. Questo immobilismo si tradusse, ai primi di luglio, nella scintilla che innescò una reazione a catena, “una folla di 400 persone, in maggioranza giovani disoccupati si lanciò nel quartiere delle ambasciate e occupò un certo numero di edifici diplomatici occidentali. Il numero degli invasori salì presto a 4500. […] Contemporaneamente centinaia di persone cominciarono a spostarsi da ogni zona del paese verso il porto di Durazzo, dove questi aspiranti emigranti, impadronitisi di una nave, tentarono di salpare per l'Italia.”99.

Fu l'inizio di un periodo di grande confusione, “da una parte Alia e la

96 L. Zarrilli, Op. cit., p. 54

97 M. Vickers, J. Pettifer, Op. cit., p. 54 98 Ibidem

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leadership del Partito si sforzavano di introdurre delle riforme che, se effettivamente realizzate avrebbero presto posto fine al loro potere, ma dall'altra continuavano a comportarsi come se gli schemi di Hoxha e la rigida società comunista potessero venir mantenuti indefinitamente.”100.

Quando cominciò l'inverno del 1990, le condizioni materiali peggiorarono. Alla cronica mancanza di cibo ed energia elettrica la popolazione e in particolare i giovani, risposero attaccando le sedi del PLA e gli edifici pubblici considerati simboli del comunismo dando il via al cosiddetto 'tempo delle forze oscure', Forcat et errëta, un periodo di grandi difficoltà e incertezza per tutto il popolo albanese durante il quale si posero le basi per le prime elezioni libere dopo quarantasei anni di dominio comunista che si tennero a cavallo tra marzo e aprile del 1991 e videro la vittoria del PLA, ma la contemporanea ascesa del PD e del suo leader Sali Berisha101.

Questo primo esperimento elettorale “pure se in un sistema non del tutto pluralista e con una classe politica che detiene ancora tutte le leve del potere e della propaganda costituisce un punto di svolta importante ma non risolutivo lungo la strada della costruzione di un sistema parlamentare democratico.”102

Le successive elezioni del 1992 segnarono la definitiva sconfitta dei comunisti e il loro passaggio all'opposizione, Alia fu costretto a cedere la presidenza della repubblica a Berisha il cui partito aveva ottenuto il 65,6% dei voti e 92 seggi.

Si tratta di una “chiara inversione di tendenza in senso pluralista, confermata anche dall'ingresso in Parlamento di altre forze politiche come l'Unione per i diritti umani – in precedenza Omonia – che ottiene due seggi e rappresenta quella minoranza

100 Ibidem

101 Cfr., Ivi, pp. 60-62

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greca all'origine delle molte tensioni tra Tirana e Atene.”103

Contemporaneamente all'evolversi della situazione istituzionale e politica, che aveva portato alla promulgazione di una nuova costituzione, allo smantellamento della Sigurimi e all'affermarsi di vecchie figure del partito in nuove vesti politiche, si assistette alle fasi iniziali di un esodo di massa che, come già accennato, avrebbe segnato in modo indelebile la storia e il tessuto socio-economico dell'Albania contemporanea.

2.2 Smantellamento della struttura socialista

Lo smantellamento dell'intero apparato socialista non fu soltanto una questione politica. La maggior parte dei problemi della società e dello stato albanese nel periodo compreso tra il 1989 e il 1992 riguardano principalmente “le disastrose condizioni dell'economia, al punto da far dimenticare gli entusiasmi accesi alla fine della dittatura e provocare una disaffezione al voto che consente ai socialisti, nella tornata elettorale del luglio 1992, di recuperare consensi e ottenere un sindaco in oltre metà dei comuni.”104

Le condizioni economiche preesistenti all'avvento del regime e le caratteristiche di quest'ultimo in termini di dogmatismo e assoluta chiusura nei confronti del mondo esterno ai confini albanesi, avevano fatto in modo che almeno due generazioni non fossero a conoscenza delle trasformazioni verificatesi nel resto del mondo. Il rischio di uno shock culturale, oltreché economico, nel passaggio dall'economia programmata a

103 Ibidem 104 Ivi, p. 149

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quella di mercato era una preoccupazione reale di fronte a un rischio estremamente concreto. Se già con Alia, il governo si era mosso in direzione di un riconoscimento perlomeno dell'esistenza dell'interesse privato nel più ampio contesto dell'interesse pubblico, attraverso le concessioni all'iniziativa individuale, con i governi democraticamente eletti questo processo subì un'inevitabile accelerazione.

La drammaticità della situazione economica nel periodo immediatamente successivo alle prime elezioni libere, nell'agosto del 1991, costrinse il Governo a rivolgersi ai paesi europei con una richiesta formale d'aiuto per superare la crisi. La situazione era “spaventosa: si registrava una flessione della produzione industriale del 69% mentre ai lavoratori continuava ad essere corrisposto l'80% del loro stipendio, nonostante molti di essi non lavorassero per via di una crisi della domanda. Il reddito nazionale registrava una flessione del 62%.”105

Di fronte a questa situazione la prima mossa del governo fu la privatizzazione delle terre coltivabili che erano state collettivizzate nella loro totalità nel 1979. La questione della terra aveva, oltre che un valore economicamente e socialmente rilevante, anche un valore simbolico perché era stata al centro della politica socialista di Hoxha, “bisogna tener presenta che la collettivizzazione delle terre da parte di Enver Hoxha iniziata nel 1947 con la proibizione della proprietà privata, si applicava ad una società di tipo feudale, in cui la maggior parte delle terre era in mano a latifondisti e la maggior parte dei contadini viveva in condizioni di servitù della gleba. Solo il 10% delle terre era coltivato. Il paese si presentava come estremamente arretrato. Enver Hoxha con la sua politica diede inizio a quello che chiamo “paradosso del regime”: pur a prezzo di un'efferata repressione, le condizioni del paese migliorarono

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sensibilmente.”106.

Il fatto che il regime, attraverso le varie fasi della quarantennale riforma agraria, avesse garantito, perlomeno apparentemente, uno stato di 'autosufficienza alimentare' non poteva mascherare però le costante carenza di beni di prima necessità degli ultimi anni.

Nel 1992 il paese sembrava “essere uscito da un conflitto bellico più che sociale – visto lo stato di degrado e abbandono delle infrastrutture, ad esempio – in quell'anno erano già andate perdute 6 milioni di ore lavorative, di cui 2,5 milioni per sciopero, col risultato che nel 1991 il Pil era ridotto alla metà rispetto al 1990, e l'esportazione, che nel 1989 era di 400 milioni di dollari, nel 1992 era scesa a 50 milioni di dollari e il debito con l'estero assorbiva il 40% del prodotto nazionale (550 milioni di dollari). L'inflazione era – secondo dati non ufficiali – del 100% , mentre la disoccupazione interessava il 20-50% della popolazione. […] questo non poteva creare un'atmosfera di ottimismo nella popolazione albanese allora, considerando anche l'aumento vertiginoso dei prezzi dei beni di prima necessità in media del 300%”107.

Secondo le analisi della Tribunë Ekonomikë Shqiptarë, nel 1992 una famiglia media doveva spendere circa 4500 lek contro i 1300 del 1990 per gli stessi beni di consumo108 nel momento in cui un lek equivaleva a 10 lire al mercato nero, un altro fattore che spingeva soprattutto i giovani, ma non solo, sulla via dell'emigrazione.

La situazione nel suo insieme contribuiva a generare dei risvolti paradossali, nel momento in cui tutte le strutture dello stato totalitario venivano smantellate gli albanesi si trovavano a fare i conti con la propria libertà. La libertà “d'azione per quanto era

106 Ivi, p. 34 107 Ivi, p. 35 108 Ibidem

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