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3. Un’analisi dei rischi idrici ad Arborea: complessità intrinseche che emergono nel sistema

3.5 La componente sociale del rischio

Oggigiorno sarebbe sbagliato affermare che nei calcoli dei rischi l’aspetto umano e sociale siano trascurati. Ciononostante il continuo verificarsi di disastri di vario genere spingono a riflettere sul fatto che forse l’analisi delle dinamiche che si vengono a creare di fronte alla percezione di un determinato rischio spesso non vengano adeguatamente considerate. Come abbiamo avuto modo di vedere, già Douglas ha notato come le affermazioni contenute nel linguaggio sul rischio in merito, ad esempio, alle “basse” probabilità del verificarsi di un determinato evento pericoloso, non sempre aiuta a comprendere quale sia concretamente la scelta migliore da compiere. Difatti, la probabilità del rischio può essere ad esempio molto bassa ma il danno risultante dall’eventuale verificarsi dell’evento molto alto, come nel caso dell’esplosione di una centrale nucleare; oppure, viceversa, un rischio può essere molto alto ma gli effetti percepiti possono essere considerati

meno immutati: da una parte si posizionano Saras e tutti coloro che, in un modo o nell’altro, supportano il progetto; dell’altra parte vi è il comitato civico No al Progetto Eleonora e coloro che si oppongono alla realizzazione del pozzo esplorativo.

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quasi trascurabili. In questi casi, il puro calcolo della probabilità del rischio non è appunto sufficiente a determinarne gli effetti sulla percezione individuale e sociale.

Ciò avviene poiché molte delle variabili che gli individui ed i gruppi sociali ritengono giocare un certo qual ruolo, più o meno rilevante, nella definizione di un pericolo e di conseguenza nella percezione di un rischio, sono spesso escluse dai calcoli e dalle previsioni. Questo non perché la componente sociale non sia tenuta in considerazione, ma piuttosto perché si è spesso commesso l’errore di individualizzare la risposta del pubblico al rischio, ovvero si è tenuto conto dei posizionamenti e delle risposte da parte di singoli soggetti privati nei confronti del rischio e si è proceduto di poi ad analizzare la componente sociale effettuando una sorta di “aggregazione” dei posizionamenti, per l’appunto, individuali (Douglas, 1996).

Secondo Douglas tuttavia questo è un errore, poiché le pratiche sociali hanno origine e danno origine a dinamiche che non sono equiparabili ad una mera “somma” di comportamenti individuali. La reciproca interazione tra persone, lo scambiarsi consigli, il convincersi a vicenda non sono variabili esaminabili tramite indagini che fanno affidamento sull’analisi di dati basati su singoli individui, né sono esse componenti secondarie nel momento in cui si stia studiando le percezioni dei rischi, le attribuzioni di colpa, il sentimento di responsabilità, le dinamiche di fiducia.

In questo senso, l’utilizzo di strumenti antropologici nell’analisi delle percezioni dei rischi sembra adatto ad indagare le dinamiche culturali e sociali emergenti dalle interazioni tra individui e tra gruppi di persone e offre la possibilità di far emergere nuove variabili e prospettive che contribuiscono ad una comprensione più completa non solo dei fattori di rischio, ma anche delle dinamiche che si vengono a creare e che permettono ad una comunità di essere più o meno resiliente nel momento in chi un disastro o un qualche evento dannoso si

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verifichi. L’osservazione partecipante, in particolare, consente di esaminare i fattori culturali, le pratiche quotidiane, le gestualità routinarie e standardizzate che non sono facilmente estrapolabili dai racconti degli individui in quanto incorporate, date per scontate e spesso difficilmente descrivibili a parole, ma anche i fenomeni serendipici che comportano novità e trasformazioni nel contesto sociale. Questo è il motivo per cui la percezione del rischio in generale, e ad Arborea in particolare, può essere compresa ed interpretata solamente attraverso indagini condotte in situ.

Il quadro della discussione sul rischio si complica ulteriormente nel momento in cui si prendono in considerazione in maniera più approfondita le molteplici chiavi di lettura che possiamo individuare nei rischi e che si sovrappongono e si combinano a seconda dei contesti e delle situazioni. Per comprendere la complessità della questione ritengo utile partire da un esempio molto immediato che viene proposto da Douglas (1996: 31). Se immaginiamo la necessità di tutelare una biblioteca, dobbiamo tenere in considerazione le potenzialità di un rischio di incendio; le misure precauzionali che si possono prendere per diminuire tale rischio è assicurare un libero accesso ai luoghi. D’altro canto, tuttavia, questa misura comporta l’aumento del rischio di sottrazione di informazioni dalla biblioteca stessa. È chiaro dunque che a fronte dell’esistenza di una molteplicità di rischi, la vera discriminante in gioco è la valutazione di priorità che gli attori sociali assegnano ai differenti rischi. In questo specifico caso non è difficile constatare come l’esigenza di sicurezza dello spazio pubblico preceda la necessità di tutelare la biblioteca dal furto, dunque la scala di priorità è facilmente individuabile8. È chiaro che però nella maggior parte dei casi le soluzioni non sono così semplicemente concordate e devono al contrario essere spesso e volentieri negoziate. Ciò che

8 È pur vero che, qualora la biblioteca in questione dovesse contenere informazioni di assoluta rilevanza e/o

segrete, il bilanciamento del peso relativo nella prioritarizzazione dei due rischi potrebbe cambiare. Dunque, ancora una volta, si diviene evidente come la valutazione del rischio sia in costante negoziazione.

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mi interessa richiamare all’attenzione con il sopraccitato esempio è il fatto che la tutela da un determinato rischio può comportare l’amplificazione di un altro rischio già esistente, o addirittura crearne di nuovi.

La percezione da parte degli attori sociali di uno certo rischio può dunque variare in base al loro posizionamento, in base alle loro visioni del mondo, in base a ciò che essi considerano prioritario, in base alla percepita potenzialità del verificarsi del pericolo, o in base alla previsione del danno che tale eventualità comporterebbe per loro, a livello individuale o anche a livello comunitario e sociale. Per comprendere meglio la complessità e la variabilità dell’interazione di tutti questi fattori, ritengo utile riportare a titolo esemplificativo alcune situazioni concrete considerate potenzialmente rischiose nel contesto etnografico di Arborea. In questo modo, desidero dimostrare come le dinamiche che ruotano attorno alle percezioni dei rischi siano il più delle volte sottili e ricche di contraddizioni interne, che rendono la questione densa in senso geertziano e, di conseguenza, complicata a risolversi.