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La riduzione di un rischio per alcuni attori sociali comporta l’aumento del rischio per

3. Un’analisi dei rischi idrici ad Arborea: complessità intrinseche che emergono nel sistema

3.7 La riduzione di un rischio per alcuni attori sociali comporta l’aumento del rischio per

Un’altra circostanza paradigmatica del fatto che i rischi presentano, nella maggior parte dei casi, una natura più complessa di ciò che a prima vista può apparire è la situazione in cui la riduzione di un rischio, apparentemente a favore di una certa categoria di attori sociali, comporta di fatto l’incremento per un altro gruppo di individui dello stesso rischio, oppure di un altro rischio ad esso correlato. Come avremo modo di vedere in seguito, questo tipo di tensioni rivela in maniera evidente le dinamiche che caratterizzano situazioni di vulnerabilità e resilienza all’interno di un sistema sociale osservato con una prospettiva locale ma allo stesso tempo globale.

Per illustrare la natura multisfacettata di tali questioni, offrirò ora due esempi di problemi che in qualche modo coinvolgono differenti tipologie di attori sociali e, soprattutto, differenti sistemi di relazioni che intercorrono tra questi attori sociali. Allo stesso tempo, tramite questi esempi desidero dimostrare le profonde connessioni che intercorrono tra differenti problematiche per mezzo delle profonde reti di significazione, le quali rendono

12 Ciò non significa che il dibattito su tali tematiche non esista affatto, o che non vi sia una valutazione attenta

del problema. Quello che mi interessa sottolineare è che questi non sono stati tra gli argomenti emersi durante il mio periodo di campo o durante il dibattito ne La Rasgioni e, dunque, forse non è prioritario nei posizionamenti degli attori sociali con i quali ho avuto modo di interagire.

13 Nonostante non abbia avuto modo di interagire approfonditamente con questa categoria di attori sociali, alcuni

pescatori mi hanno riferito che lo scarico di acqua dolce, dovuto all’alluvione, ha creato danni alle loro attività economiche.

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evidente la complessità intrinseca del sistema, delle questioni prese in esame e, soprattutto, della percezione dei rischi ad esse collegate.

Prendiamo il caso dell’inquinamento da nitrati. Nel capitolo 2 ho brevemente presentato una panoramica del problema e della sua rilevanza a livello locale dal punto di vista del water taskscape e quindi delle dinamiche a livello ambientale ma, soprattutto, nella sua componente idrosociale all’interno della differenza di vedute tra allevatori e pescatori. Ora è utile approfondire ulteriormente la questione, sia allo scopo comprendere la densità interpretativa del problema, che al fine analizzare le profonde implicazioni che la questione solleva circa i rischi, le loro percezioni, nonché gli effetti che le pratiche di determinati individui appartenenti ad un certo gruppo sociale possono avere su altri gruppi, ma anche su altri componenti del proprio gruppo o, addirittura, su se stessi.

La questione dei nitrati è una problematica della quale gli imprenditori agricoli di Arborea erano parzialmente già a conoscenza nel momento in cui essi hanno dovuto predisporre le proprie aziende ad affrontare le limitazioni nello spargimento di liquami imposte dalla normativa europea. Come abbiamo visto, difatti, la Direttiva Nitrati risale al 1991, mentre la sua applicazione nazionale e regionale avvenne solamente nel 2005/2006. Più o meno a questo periodo risalgono, tra l’altro, i primi contatti importanti con l’NRD14

di Sassari, nel quale come ho spiegato lavorano ricercatori interessati non solamente allo studio della situazione agroalimentare ed idrogeologica in relazione alla questione, per l’appunto, dei nitrati, ma anche al dialogo con le cooperative e con gli allevatori, al fine di garantire una implementazione della normativa il più possibile efficace e, allo stesso tempo, comprendere i posizionamenti degli allevatori nei confronti della direttiva.

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Dei rapporti e delle influenze reciproche tra la realtà agricola di Arborea ed i ricercatori dell’università di Sassari sarà discusso in maniera più approfondita nel prossimo capitolo. In questo paragrafo mi interessa evidenziare invece quale sia la percezione dei rischi relativi ai nitrati da parte di diversi gruppi sociali nel territorio, tenendo anche in considerazione la componente diacronica dei posizionamenti e quindi andando ad osservare le mutazioni di percezione avvenute in questi dieci anni dall’applicazione della normativa, nonché le sue conseguenze.

Partiamo dal punto di vista degli allevatori, con i quali ho avuto modo di interfacciarmi in maniera più approfondita. La Direttiva Nitrati fu inizialmente percepita da molti di loro come una sorta di imposizione. Essi trovavano difficile comprendere come fosse possibile che le proprie pratiche di concimazione dei terreni potessero essere la causa di un inquinamento ambientale, dal momento che nei campi vengono sparsi principalmente letame e liquame15, ovvero ciò che è prodotto in maniera naturale dal bestiame.

Questa percezione è emersa solo parzialmente durante i miei contatti con gli allevatori. Ciò è dovuto, a mio avviso, al fatto che essendo l’implementazione della direttiva in atto da una decina di anni, gli allevatori hanno affrontato un percorso di cambiamento di percezione del problema per la maggior parte stimolato dagli scienziati sassaresi e dalle cooperative locali. Sebbene dunque non mi sia possibile affermare con certezza i posizionamenti dei locali nei precedenti l’implementazione della direttiva, è pur vero che dati reperiti in periodi antecedenti al mio campo forniscono importantissime indicazioni che aiutano la

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Gli escrementi animali sono divisi letame, la parte solida, e liquame, la parte liquida. I problemi con i nitrati caratterizzano principalmente il liquame, nel quale sono contenute le sostanze chimiche come per l’appunto i nitrati, che se utilizzate in maniera troppo consistente nella concimazione agricola, possono risultare inquinanti per i terreni e le falde.

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comprensione delle percezioni emiche odierne, ma anche dei processi che hanno portato a eventuali cambiamenti di prospettiva, ancorché parziali.

I ricercatori dell’NRD , difatti, hanno condotto tra il 2009 ed il 2012 una serie di indagini ad Arborea mediante interviste semi-strutturate, workshop interattivi che prevedevano la partecipazione di vari attori sociali (imprenditori agricoli, ma anche ricercatori e rappresentanti di varie istituzioni ed organizzazioni locali), esperimenti partecipativi e co- progettati con allevatori volontari, ecc. Lo scopo di queste ricerche era decostruire e ri- costruire il problema concernente i nitrati e raggiungere una migliore integrazione tra le conoscenze scientifiche e quelle locali (Lai Nguyen et al., 2014).

Da queste ricerche sono emersi tre maggiori posizionamenti, nei quali i partecipanti si dividono generalmente in base al gruppo sociale cui appartengono. Il primo posizionamento è quello definito vulnerable agro-ecosystems (agro-ecosistemi vulnerabili). Secondo gli individui appartenenti a questa categoria, in cui si riflettono per lo più i pescatori, ma anche alcuni ricercatori e circa un 10% degli imprenditori agricoli,

intensive dairy cattle farming is considered to be the main source of nitrate pollution and potentially harmful to other economic sectors like aquaculture and to Arborea’s agro-ecosystems (Lai Nguyen et al., 2014: 8).

La seconda categoria rispecchia principalmente i punti di vista di coloro i quali si occupano della gestione politica e tecnica della questione, come ad esempio i rappresentanti

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di ARDI, ARPAS e LAORE16. Essi propongono una visione di strategie risolutive con un orientamento tendenzialmente politico, legale e tecnico, associate all’idea che

The responsibility is placed on farmers to fulfil the obligations required under the ND17 (Lai Nguyen et al., 2014: 9).

La terza ed ultima categoria caratterizza la maggior parte della popolazione dell’area, tra cui figurano rappresentanti a vario titolo di gruppi quali gli allevatori, i sindacati degli allevatori, oltre ad alcuni ricercatori e a organizzazioni politico-amministrative locali. Questo gruppo di attori sociali ritiene che l’allevamento sia uno dei più fondamentali mezzi di sostentamento per Arborea e che

The ND was not considered a desirable policy measure for reducing nitrate pollution, since it affects the traditional livelihood of a large part of the local community. (Lai Nguyen et al., 2014: 9)

Questo ultimo gruppo risulta particolarmente interessante, poiché è la categoria di attori sociali con i quali mi sono principalmente relazionata. Le mie osservazioni precedentemente descritte, dunque, si allineano a quelle dei ricercatori che hanno lavorato a lungo nel contesto di Arborea. Risulta infatti che il gruppo degli imprenditori agricoli, al momento dell’attuazione della direttiva, non era convinto della sua efficacia o aveva

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ARDI: Agenzia Regionale Distretto Idrografico. ARPAS: Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Sardegna. LAORE: Agenzia per l’attuazione dei programmi regionali in campo agricolo e per lo sviluppo rurale.

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comunque la percezione di un forte rischio per le ricadute economiche e sociali su un sistema la cui attività tradizionale era ed è fortemente connesso all’agricoltura.

Allo stesso tempo, però, è interessante ricordare come l’agricoltura stessa, difesa dagli imprenditori locali come un valore tradizionale, è di fatto una tradizione relativamente recente. Allevamenti così marcatamente intensivi infatti esistono proprio in conseguenza del boom economico e delle spinte tanto economiche quanto istituzionali che fino agli anni ’90 hanno sostenuto quell’intensificazione oggi tanto stigmatizzata dalle politiche europee. È ancora più interessante notare come gli allevatori locali siano assolutamente consapevoli di queste dinamiche contraddittorie e si sentano in qualche modo imbrigliati in un sistema che li spinge a produrre il più possibile ma, allo stesso tempo, a prestare attenzione ad altre variabili come ad esempio, per l’appunto, quella ambientale. Tutto ciò è emerso anche dallo studio di Nguyen et al., il quale riporta come la visione dell’ultima categoria di attori sociali separi chiaramente gli interessi ambientali da quelli dello sviluppo economico, ancorché ritengano possibile l’esistenza di soluzioni che promuovano entrambi questi interessi. Essi, enfatizzano soprattutto il fatto che il sistema d’allevamento bovino è un’importante forma di sussistenza, nonché un’opportunità di impiego per la maggioranza della popolazione locale.

Stakeholders18 within this frame believe that it was important to find convergent solutions for agro-ecosystem conservation and livelihoods. (Lai Nguyen et al., 2014: 9)

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Sebbene non sia questo il contesto per discutere in maniera approfondita le scelte terminologiche di questa tesi, ritengo necessario fare una precisazione a proposito del termine stakeholder. Nonostante la consapevolezza che esso è utilizzato anche in lingua italiana nell’ambito di alcune discipline delle scienze sociali e politiche, in questa tesi ho preferito utilizzare l’espressione “attori sociali” in quanto essa rimanda, a mio avviso, ad una generale agency all’interno di una determinata società. Ritengo invece che stakeholder rifletta piuttosto un preciso posizionamento all’interno di un dibattito. Sebbene molto spesso le due interpretazioni siano sovrapponibili, sono del parere che un attore sociale possa avere un suo posizionamento tramite, ad esempio, una certa visione del mondo, senza tuttavia essere necessariamente coinvolto in maniera attiva all’interno di un

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Individuati questi posizionamenti, i ricercatori universitari hanno condotto esperimenti sul campo, come detto, in collaborazione con imprenditori agricoli volontari al fine di comprendere, da un punto di vista scientifico, quali fossero le relazioni tra le produzioni aziendali in riferimento alle pratiche colturali e di allevamento e la concentrazione di nitrati nell’acqua di superficie e nell’acqua sotterranea19

.

Non mi interessa in questa sede entrare nello specifico di quali fossero i risultati di questa parte di ricerca20. Mi preme invece sottolineare come il sapere scientifico sia stata utilizzata nel contesto arborense per co-creare non solo nuova conoscenza, ma anche per sviluppare una nuova visione del mondo basata sulle nuove consapevolezze condivise. Difatti, la parte più interessante dello studio per gli scopi di questa tesi, è a mio avviso quella relativa ai risultati emersi proprio sotto questa prospettiva. In effetti, gli autori sostengono che:

Despite their divergent framing of the problem and what was at stake, most stakeholders came to recognize that the contribution of excessive fertilizer inputs and the inappropriate management of animal wastes were among the main causes of nitrate pollution in Arborea. However, from the farmers’ viewpoints and based on their daily experiences, the ND was not considered to be an adequate measure for reducing nitrate pollution in the area. (Lai Nguyen et al., 2014: 12)

dibattito o con una specifica presa di posizione ed questo il motivo per il quale preferisco utilizzare l’espressione “attori sociali”.

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In questi esperimenti, gli scienziati e gli agricoltori hanno testato quattro differenti opzioni di fertilizzazione per confrontare i risultati in termini di produzione e in termine di apporti di sostanze nei terreni dei vari metodi.

20 Nel caso il lettore fosse interessato, rimando all’articolo originale di Lai Nguyen et al. (2013), menzionato nei

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Questi risultati sono in linea con la percezione sulla questione dei nitrati che ho riscontrato ad Arborea durante la mia ricerca sul campo. Oggigiorno, infatti, tutti ammettono che una regolamentazione sulla gestione dei nitrati era necessaria e che la maniera con la quale i liquami erano gestiti fino all’entrata in opera della direttiva europea non era adatta al territorio di Arborea. D’altro canto, però, permangono forti perplessità sulla modalità di implementazione della direttiva, percepita come “calata dall’alto” e poco elastica alle contestualizzazioni locali, nonché dotata di una serie di contraddizioni intrinseche che l’allevatore arborense non esita a sollevare. Quasi tutti i miei interlocutori infatti, illustrandomi la loro visione della direttiva, mi hanno spiegato che essa è stata applicata ad Arborea in quanto quella era stata identificata come un Zona Vulnerabile ai Nitrati (ZVN) a causa del fatto che gli agricoltori spargevano troppo liquame nei campi. Per questo motivo, la direttiva del 1991 ha stabilito che l’apporto massimo di azoto di origine agricola all’interno della ZVN è 170 chilogrammi di azoto all’anno, mentre al di fuori della ZVN la quantità può aumentare, fino a giungere a 340 chilogrammi di azoto all’anno.

Già a questo punto possiamo rilevare delle questioni particolarmente interessanti circa le percezioni emiche della questione. Innanzitutto, si tenga conto che la ZVN è, senza grosse sorprese, quasi sovrapponibile con i confini territoriali di Arborea. Ciò tuttavia significa che appena attraversata questa linea di demarcazione, il quantitativo di nitrati spargibili sui campi raddoppia. Questo ha delle conseguenze rilevanti dal punto di vista interpretativo locale. In primo luogo, gli allevatori che posseggono campi immediatamente al di fuori della zona designata sono chiaramente portati a trasferire parte del proprio carico su quei terreni, invece che pensare a strategie alternative per la disposizione dei liquami, come sembrerebbe lo scopo della direttiva.

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In secondo luogo, l’imprenditore agricolo fatica a comprendere come sia possibile che, a distanza di pochi metri, il quantitativo concesso cambi in maniera così drastica. Egli infatti percepisce il territorio come un continuum, a differenza della normativa che lo mappa stabilendo confini ben definiti. Ecco allora che l’allevatore arborense si ritrova ad applicare la direttiva per una questione di necessità, per non incorrere in sanzioni pecuniarie, ma non necessariamente perché la ritiene una normativa efficace.

In terzo luogo, la direttiva è percepita come ambigua da almeno una parte degli imprenditori agricoli. Alcuni di essi, infatti, hanno evidenziato una contraddizione interna: il limite per lo spargimento di azoto di origine organica è 170 chilogrammi all’anno, mentre per quello di origine chimica il limite è 340 chilogrammi l’anno. Sebbene non abbia trovato questo tipo di distinzioni nelle legislazioni, ritengo importante evidenziare questo posizionamento, poiché è a mio avviso indicativo dell’ambiguità percepita nella normativa e della diffidenza dell’agricoltore locale nei confronti di una legge che sembra punire un inquinamento di tipo naturale, solitamente ritenuto più “puro”, in maniera maggiore rispetto ad un inquinamento chimico, emicamente ritenuto più “contaminante”.

Infine è da sottolineare come non sembri essere indicato nella direttiva europea, né in quelle nazionali o locali una precisa indicazione di come disporre dei liquami in eccesso. La soluzione di Arborea è stata quella di costruire dei vasconi di contenimento per i liquami, la cui edificazione ha avuto importanti conseguenze sotto vari punti di vista, come avrò modo di mostrare a breve. Qui ritengo importante rimarcare ancora una volta la percezione emica di una normativa calata dall’alto senza una vera integrazione contestuale. Nessun allevatore mi ha riferito di un periodo di prova, ad esempio, o di graduale diminuzione dei liquami da spargere, o di un coinvolgimento locale al fine di programmare strategie sinergiche a livello

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territoriale21, come ad esempio vendere parte dei propri liquami ad agricoltori al di fuori di Arborea.

Una soluzione al problema è stata fornita dallo stabilimento di biogas collocato proprio ai confini di Arborea. Gli imprenditori agricoli forniscono il liquame gratuitamente a questo impianto il quale, in cambio, ritira il prodotto senza alcun tipo di spese per l’azienda ed evita quindi all’agricoltore i problemi di una risorsa in eccesso. Si può dunque affermare che il sistema di Arborea è comunque riuscito ad organizzarsi per far fronte ad un problema locale percepito come rilevante, mantenendo in qualche modo una sorta di equilibrio interno che permette agli arborensi di potersi definire una comunità resiliente e capace di trovare in sé le risorse per far fronte ai rischi, senza dover ricorrere a fonti di aiuto “esterne”.

Figura 35. Interno di un vascone di liquame.

Tornando alla percezione del rischio legato ai nitrati, come ho detto gli allevatori erano inizialmente preoccupati per la ricaduta economica che la direttiva europea avrebbe potuto avere sulla loro produzione e, dunque, sulla loro economia. Essi erano inoltre scettici

21 È vero che i ricercatori dell’università di Sassari hanno svolto questa funzione di coinvolgimento di vari attori

sociali; in questo caso tuttavia mi riferisco principalmente alle varie istituzioni ed organi pubblici e privati il cui compito è quello di favorire l’implementazione delle normative vigenti.

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in merito agli effettivi benefici che l’ambiente ne avrebbe potuto ricavare. Abbiamo già visto come gli imprenditori siano stati coinvolti in esperimenti e ricerche e quali siano i risultati osservati: la direttiva sembra effettivamente comportare un certo numero di vantaggi. Mi interessa ora però approfondire ulteriormente la questione utilizzando come base i dati etnografici da me raccolti. Riporterò infatti le osservazioni emiche che i miei collaboratori hanno evidenziato, ricavate dalle loro esperienze pratiche, ma anche introspezioni circa gli effetti che la direttiva ha avuto sulle pratiche stesse, come dunque è andata a modificarle.

Il problema dei nitrati, mi ha spiegato Simone Sardo durante una giornata di fine agosto mentre eravamo seduti sul trattore spianando il trinciato fresco22, è che dal momento che il terreno è sabbioso, l’azoto e tutte le sostanze chimiche filtrano e finiscono nelle falde, che ad Arborea sono piuttosto superficiali. Per limitare i danni, quindi, gli imprenditori spargono i liquami due volte all’anno: fino a metà novembre e poi fino a metà febbraio. Entrando in quest’ottica, ha continuato il mio interlocutore, si gestiscono meglio anche le spese. In effetti il risultato finale è positivo, perché in questo modo è necessario stoccare il liquame il quale, così facendo, giunge ad una maturazione che ne migliora anche le caratteristiche organolettiche. L’azoto quindi, mineralizzato, si fissa meglio nella coltura e di conseguenza migliora anche il proprio apporto di sostanza organica. I campi dunque, sebbene siano intensivi, non si impoveriscono perché c’è comunque un apporto di carbonio. È innegabile che si inquini, ha continuato l’interlocutore, l’inquinamento antropico apporta sempre il suo carico di problemi. Ma fino a pochi anni fa non c’erano i depuratori, l’apice negativo si è avuto negli anni ‘80, quando si usavano altri tipi di diserbanti e prodotti fitosanitari. Poi invece c’è stata una modifica nella cura dell’ambiente e anche se l’allevamento è ancora intensivo l’ecosistema sembra rispondere bene. Lui, ad esempio, ha

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notato un aumento di rane, il che dimostra che un qualche tipo di equilibrio c’è anche ad Arborea. Egli ha anche ammesso di immaginare le difficoltà di coloro che si occupano di legiferare a livello comunitario. Simone Sardo ha ragionato infatti sul fatto che una costrizione imposta dalla legge, come ad esempio le regole della Comunità Europea, muove per forza di cose un numero maggiore di persone e che per questo non è semplice sostenere l’applicazione di una legge, per la quale ci vuole una certa rigidità, e al contempo continuare a