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3. Un’analisi dei rischi idrici ad Arborea: complessità intrinseche che emergono nel sistema

3.3 Rischio, pericolo, incertezza

Cos’è dunque il rischio? Qual è la differenza tra rischio e pericolo, quali sono le relazioni che legano questi due concetti? Dove si posiziona il concetto di insicurezza in questa dialettica? Partiamo dal concetto di “pericolo”:

Circostanza o complesso di circostanze da cui si teme che possa derivare grave danno.1

Una situazione o un evento che costituisce un pericolo è dunque una circostanza ritenuta nociva da parte della società. Il pericolo ha una sua componente di “misurabilità”, data dal fatto che un danno può essere calcolato secondo varie modalità. A partire da quelle economiche: se prendiamo ad esempio un incendio è possibile stabilire l’entità dei danni materiali; se invece pensiamo alla chiusura di un’attività di famiglia è possibile far riferimento ai debiti accumulati, nonché alle necessità di far fronte a nuove spese.

Vi sono poi altre variabili che possono essere solo parzialmente calcolate nel momento in cui si va a valutare un pericolo, come ad esempio gli effetti negativi che esso ha avuto o potrebbe avere sulle persone: i danni fisici conseguenti all’evenienza di un incendio, oppure i danni psicologici che la perdita di un lavoro può comportare. Altri fattori, poi, sono ancor più difficilmente valutabili, generalmente quelli che si legano ai valori, come ad esempio la perdita di un punto di riferimento comunitario qualora a bruciare fosse una chiesa, oppure la perdita di riferimenti identitari per un individuo che si ritrova a chiudere l’attività di famiglia tramandata per generazioni.

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Già a questo punto è possibile notare come il concetto di pericolo riveli anche una condizione intrinsecamente relativa, poiché diversi attori sociali possono percepire l’evento dannoso in maniera molto differente. L’incendio della chiesa può essere una perdita di riferimento importante per un credente, un danno al patrimonio artistico per un laico; la chiusura dell’attività di famiglia sarà percepita in modo diverso ma parimenti grave dal titolare così come dal cliente affezionato. L’insieme di queste valutazioni avvicinano il concetto di pericolo a quello di rischio. Analizziamo dunque il concetto di “rischio”:

Eventualità di subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili.2

Secondo le più accreditate definizioni, il rischio è legato alla possibilità o alla probabilità che un determinato evento dannoso si verifichi. A primo acchito, il contesto d’uso della parola “rischio” è sicuramente correlato al “pericolo”, ma allo stesso tempo vi si discosta in ragione proprio dell’aggiunta di quella nozione di possibilità o probabilità. Ciononostante, vi sono alcune considerazioni da tenere presenti. Innanzitutto, come ha sostenuto Douglas, i contesti d’uso del concetto di “rischio” nei discorsi quotidiani risultano spesso sovrapponibili a quelli legati al campo semantico di “pericolo”, fatto che comporta una certa ambiguità interpretativa. In effetti, nelle nostre rappresentazioni mentali il rischio evoca non solamente l’idea di una qualche generica minaccia, ma amplifica il senso di angoscia poiché è associato all’immagine di un pericolo considerato come inaccettabile (Douglas, 1996: 42). Questa percezione è fortemente connessa proprio dall’ambiguità intrinseca alla rappresentazione mentale del rischio, che provoca un senso di incertezza, ambivalenza, complessità e risulta di conseguenza molto più spaventoso, suscitando sentimenti di ansia, paura, preoccupazione.

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Di per sé il concetto di “rischio”, dunque, non fornisce né precisione né tantomeno chiarezza, e deve in qualche modo essere più specificamente caratterizzato da parte di coloro3 che formulano questi discorsi sul rischio. È interessante tuttavia evidenziare come neppure l’associazione di un attributo come “alto rischio” o “basso rischio” riesce a fornire una definitiva chiarificazione utile a sciogliere questa sostanziale indeterminatezza.

Nel linguaggio ordinario, il termine “rischio” è perciò piuttosto vago. Nell’uso colloquiale di tale termine, la questione delle probabilità e delle possibilità di stimarle non è necessariamente importante. I termini rischio e incertezza tendono ad essere considerati concettualmente equivalenti: la parola rischio può indicare anche fenomeni capaci di causare danni notevoli, che sia possibile o meno calcolare la probabilità del loro prodursi. (Lupton, 2003: 15)

Ecco allora che entra in gioco la terza variabile, quella dell’incertezza. Per comprendere come essa si relazioni al concetto di rischio, ritengo utile fare riferimento all’articolo di Aven et al. (2011), che si occupa di indagare lo statuto ontologico del concetto di rischio basandosi sullo studio condotto da parte degli autori stessi, i quali hanno esaminato ed analizzato una serie di definizioni concernenti questo termine. Questi ricercatori hanno argomentato che si possono individuare tre categorie “tematiche”, indicatrici di tre modalità interpretative circa, per l’appunto, lo status ontologico del rischio.

La prima categoria di definizioni4 comprende quelle che presentano un determinato rischio facendo uso di modelli, stime e parametri; esse descrivono il rischio in modalità che

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Di questi attori sociali che creano e modellano i discorsi sul rischio tratterò in maniera più approfondita nel capitolo 4.

4 Nell’articolo di Aven et al. le categorie sono invertite rispetto all’ordine in cui le presento in questa tesi. Ho

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saremmo soliti definire “scientifiche”. In questa tipologia di definizioni, allo scopo di ridurre l’incertezza intrinseca nel concetto di rischio, la soluzione proposta è il calcolo delle probabilità, stimate facendo uso di “dati duri”, giudizi esperti o di una combinazione di entrambe queste variabili. Tali valutazioni, hanno sostenuto gli autori, sono tuttavia vincolate a interpretazioni pur sempre soggettive, sebbene un qualche tipo di inter-soggettività possa effettivamente emergere nel caso ci siano dati considerati sostanziali a informare il giudizio.

La seconda categoria è in parte simile alla prima: definizioni che presentano il rischio come un concetto “modellizzato” e quantitativo, dove però i parametri utilizzati appoggiano lo studio di probabilità basate principalmente sulla frequenza. Anche in questo caso, dunque, il rischio non esiste oggettivamente, anzi potrebbe addirittura non esistere dal momento che il fenomeno studiato potrebbe risultare da una situazione unica, in calcolata o trascurata. Ancora una volta, dunque, l’unico giudizio possibile deriva da un consenso inter-soggettivo negoziato tra esperti, consenso che potrebbe tuttavia essere messo in discussione con l’avvento di nuovi elementi, nuovi fattori, nuova conoscenza insomma.

La terza e ultima categoria presentata dagli autori concepisce invece il rischio come un concetto basato sugli eventi, le loro conseguenze e le insicurezze ad essi associate. Questo genere di definizioni, sostengono gli autori, presenta il rischio proposto come oggettivamente esistente, mentre l’insicurezza è in questo caso esaminata come variabile sconosciuta, che deve perciò essere valutata.

Effettuate queste categorizzazioni, gli autori formulano il loro giudizio circa l’ontologia e l’epistemologia del rischio:

nell’articolo come non sia loro intenzione presentare un giudizio in merito a quale categoria sia la più adatta a rappresentare il rischio, dunque ho ritenuto in questa sede di poter tranquillamente invertire l’ordine delle categorie senza modificare il senso delle loro argomentazioni.

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Hence risk as a concept exists objectively (category (a) and when risk is assessed it is dependent on the assessor—it become subjective (category (c)). This is the essential nexus between the ontology and the epistemology of risk. (Aven et al., 2011: 1077)

Come emerge dalle argomentazioni di questi studiosi, dunque, non è possibile affermare con certezza che un rischio è oggettivamente dato, ma è invece da considerarsi il prodotto di un giudizio condiviso da parte di una serie di attori sociali, generalmente di coloro che sono considerati esperti. Questo spiega la differenza tra l’ontologia del rischio, percepito come oggettivo, e la sua epistemologia, il contesto dove effettivamente il rischio viene poi elaborato, percepito, studiato, conosciuto e, soprattutto, comunicato.