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2. Water taskscapes: pratiche idrosociali dove l’acqua racconta il paesaggio

2.2 Le zone umide

Le zone umide di Arborea sono il primo elemento paesaggistico che chiunque arrivi alla cittadina da nord incontra. Quando mi sono recata ad Arborea per cominciare il mio

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periodo di campo provenivo dalla strada 1315 sulla quale avevo potuto osservare i tipici paesaggi sardi caratterizzati da colline aride, pecore e nuraghi. Il momento in cui ho visto sulla mia destra gli stagni, mi sono resa conto che mi stavo avvicinando alla cittadina e, dato il paesaggio a me così famigliare6, mi sono immediatamente sentita a casa. Gli stagni di S’Ena Arrubia e di Santa Giusta costeggiano la strada fino a giungere all’imponente idrovora del Sassu, che fa comprendere come l’intervento umano nella zona sia un elemento fondamentale per comprendere il paesaggio. Entrando in contatto poi con gli abitanti di Arborea e comprendendo l’importanza che per loro riveste la storia della cittadina, è apparso immediatamente chiaro che le zone umide sono un elemento ricco di significati intepretativi nel taskscape locale, già di per sé tra l’altro caratterizzato da una forte componente acquatica (Da Re, 2009).

Le zone umide sono interessanti per portare in evidenza la diacronicità del taskscape, una storicità che si esprime con modalità continue e non discrete. Le zone umide, infatti, sono uno dei fili conduttori che uniscono passato e presente, paesaggio artificiale e paesaggio naturale, risorsa economica e risorsa ambientale. Questa densità interpretativa diviene evidente se si tiene conto del cambiamento interpretativo a cui sono state soggette le zone umide: ieri terre paludose da bonificare, oggi riserve di biodiversità da tutelare. Cercherò ora di descrivere la natura di questo passaggio ermeneutico nel paesaggio delle pratiche idrosociali.

5 La strada statale 131 è la principale connessione tra il nord e il sud della Sardegna.

6 Frequentando spesso Venezia, gli stagni arborensi mi hanno immediatamente ricordato il paesaggio della

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La realizzazione della bonifica

La bonifica integrale della piana di Terralba, laddove sarebbe poi sorta Mussolinia, gioca un ruolo primario nella narrativa passata e presente di Arborea. Le ambizioni perseguite dal governo regio al fine di portare sviluppo nel Meridione sono riconoscibili nelle normative emanate al tempo. Già nel 1897, ad esempio, una legge speciale varata dall’allora Ministro dell’Agricoltura Cocco Ortu prevedeva la regolamentazione delle acque mediante la costruzione di sbarramenti sui principali fiumi della Sardegna, allo scopo di regolare le piene e migliorare i sistemi d’irrigazione e al fine di intensificare le coltivazioni, nonché sfruttare potenziali per la creazione di elettricità7. In Sardegna, il fiume Tirso fu immediatamente individuato come uno dei maggiori serbatoi idrici della regione e difatti nel 1913 fu varata la legge n.985 «sui provvedimenti relativi alla costruzione di serbatoi e laghi sul Tirso e sui fiumi Silani»8. Lo scopo di questo decreto era di modificare gli assetti idrogeologici per controllare e regimentare le acque del Meridione. Grazie alle opere di bonifica, di riordino fondiario e di sistemazione idraulica in queste aree, il governo sperava di raggiungere tre obiettivi di sviluppo del territorio: 1) estirpare la malaria9 dalle zone paludose del regno; 2) incrementare, razionalizzare e de-arcaizzare l’attività agricola nell’isola, spesso colpita da siccità10; 3) intervenire sul sistema idrico tramite sbarramenti, bacini e canali, al fine di diminuire i rischi di alluvione11 . Contemporaneamente inoltre si sarebbe potuto dare avvio alla produzione e allo sfruttamento di energia idroelettrica, fondamentali per il progetto di sviluppo industriale (Cooperativa 3A, 2006: 11). In effetti la bonifica e la costruzione della diga sul Tirso erano il «culmine della parabola del progetto elettro-irriguo» (Ortu, 2003: 153).

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Dal sito Società Bonifiche Sarde: http://www.bonifichesarde.it/storia.html, ultima consultazione 04/02/2016.

8 Dal Società Bonifiche Sarde: http://www.bonifichesarde.it/storia.html, ultima consultazione 04/02/2016. 9 La malaria che causò cinquantamila morti tra il 1902 e il 1913.

10 La siccità fu causa del dimezzamento triennale della produzione di grano tra il 1912 e il 1914. 11

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In virtù quindi degli impulsi da parte del governo regio fu quindi avviata la costruzione dell’imponente diga sul fiume Tirso, ufficialmente inaugurata nel 1923. Questa struttura permise di creare un grande lago artificiale chiamato Omodeo, dal nome dell’ingegnere a capo dei lavori. La gestione e la distribuzione dell’energia prodotta dalla diga fu in seguito affidata ad un gruppo di imprese, che comprendeva Elettrica Sarda, Imprese Elettriche del Tirso e Società Strade Ferrate Meridionale. La direzione unificata di queste imprese, affidata nel 1918 all’Ingegner Giulio Dolcetta, portò alla formazione della Società Bonifiche Sarde12

(SBS), società il cui scopo «era principalmente la bonifica idraulica ed agraria di terreni in Sardegna»13.

Dunque, come si può notare, l’acqua e la sua gestione ricevettero l’attenzione della politica regia sin dagli inizi del regno d’Italia. È interessante notare come già ai tempi di Giolitti e Mussolini, l’ermeneutica dell’acqua si rivelava ambivalente a seconda del contesto che veniva preso in considerazione. Da un lato infatti, l’acqua costituiva un problema indesiderato: è il caso delle paludi, dove era necessario intervenire prosciugando i terreni. Dall’altro lato invece, l’acqua era considerata una preziosa risorsa: il fiume Tirso poteva essere sfruttato a scopi irrigui e allo stesso tempo poteva produrre energia idroelettrica, necessaria per lo sviluppo industriale dell’isola.

Quindi i lavori per raggiungere questi due obiettivi, si può dire opposti, cominciarono e si svilupparono in parallelo. La diga sul Tirso fu costruita, inaugurata e continua tutt’oggi a essere utilizzata. Anzi, come si vedrà inseguito, gli interventi su questo stesso fiume hanno portato alla costruzione di una nuova diga, inaugurata negli anni ’90, denominata Eleonora d’Arborea o Cantoniera.

12 Come avrò modo di mostrare nel corso di questa tesi, la SBS gioca ancora tutt’oggi un ruolo nel taskscape

arborense.

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Per quel che riguarda la bonifica, invece, gli interventi furono cruciali nella configurazione dell’odierno water

taskscape arborense e per questo motivo

su di essi mi soffermerò più nel dettaglio. Prima di analizzare i discorsi e le pratiche emiche odierne, cercherò di fornire una visione più concreta di come la bonifica fu eseguita, e di come essa apportò importanti modifiche al paesaggio che si riflettono tutt’ora nella

consapevolezza locale. La bonifica integrale doveva tenere in conto di due elementi naturali che ostacolavano l’insediamento umano e l’attività agricola nella piana di Terralba: un era ovviamente l’acqua, l’altro era il vento.

Per quanto concerne l’acqua era prima di tutto necessario diminuire l’afflusso di immissari negli stagni della piana. A questo scopo furono messi in atto diversi interventi idraulici. La prima opera fu deviare i canali secondari che sfociavano nella palude, in particolar modo gli affluenti del fiume Tirso. Il secondo intervento fu la sopraccitata costruzione della diga sul Tirso. La terza operazione aveva come obiettivo eliminare l’eccesso di acqua nella piana; questo fu possibile per mezzo della costruzione degli impianti di prosciugamento: le idrovore.

L’idrovora è un impianto finalizzato al sollevamento meccanico dell’acqua che, tramite un’elettropompa a elica azionata da un motore elettrico, è utilizzata nelle opere di bonifica per drenare terreni paludosi o, comunque, al di sotto del pelo d’acqua (Pau, 2011). Gli impianti principali edificati nel territorio di Arborea sono l’idrovora del Sassu e l’idrovora di Luri, entrambe risalenti agli anni ‘30. Nella loro funzionalità e struttura, esse comunicano

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ancora oggi le aspirazioni architettoniche figlie del proprio tempo, portatrici di valori ed ideali di regime.

L’idrovora di Luri propone un’architettura a stampo classico, recante la scritta «Società Bonifiche Sarde». Con le forme squadrate e simmetriche e la presenza di due semiruote dentate in rilievo, questa struttura esalta lo scopo industriale per il quale è stata creata. L’idrovora del Sassu, al contrario, pone in evidenzia il carattere avanguardista che ha ispirato la sua realizzazione. Realizzata in cemento armato e

concepita con soluzioni innovative ed asimmetriche tipiche del Futurismo e del Razionalismo, l’idrovora del Sassu manifesta il proprio tributo fascista per mezzo delle decorazioni a forma di il fascio littorio. L’imponenza di questa struttura, dunque, non è affatto casuale, come non lo è la sua collocazione. Essa si rivela espressione plateale della funzione per la quale è stata creata: dimostrare il predominio dell’uomo sulla natura grazie ad un’ostentata potenza tecnologica, riflessa anche nella forma dell’architettura.

Figura 25. Idrovora di Sassu oggi.

65 Come sostiene d’altronde anche Pellegrini,

il compito della grande macchina idrovora era, per i tempi, immane, e l’edificio destinato a contenerla avrebbe ben potuto esprimerne portata e carattere. Se ne intuisce, forse, anche l’importanza della collocazione, opportunamente “scenografica”: la costruzione deve sorgere infatti, quasi monumentale porta d’ingresso, proprio al confine settentrionale delle terre bonificate, e bene si presta a diventare il simbolo nitido dell’intera, sovrumana fatica, da leggersi in senso marcatamente ideologico. (Pellegrini, cit. in Pau, 2011: 33)

Si può dire che lo scopo è effettivamente ben riuscito. Tuttora l’idrovora del Sassu, come detto, è il primo elemento paesaggistico che assieme agli stagni accoglie chiunque si rechi ad Arborea. La sua struttura imponente si fa notare e richiama alla mente quella maestosità che mantiene vivo il ricordo del passato della cittadina tanto per i visitatori quanto per gli abitanti del luogo. Inoltre, a più di 80 anni di distanza dalla sua inaugurazione, l’idrovora continua oggi a funzionare. Nel corso della breve storia della cittadina, questo impianto è stato oggetto di continua manutenzione, ma la sua struttura è rimasta intatta così come era stata costruita.

In questo modo quindi l’idrovora di Sassu continua a mantenere in equilibrio il water

taskscape di Arborea. Un equilibrio paesaggistico che è del tutto artificiale e di questo il

cittadino locale è pienamente consapevole. Allo stesso tempo, però il paesaggio arborense è oggi percepito emicamente come naturale o per meglio dire come naturalmente artificiale, e il ruolo fondamentale che l’idrovora gioca nel mantenimento dell’assetto territoriale allo stato attuale è ormai dato per scontato. Anzi l’idrovora è parte integrante e necessaria di questo

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Per far comprendere quanto questa struttura sia ormai incorporata nella lettura emica del paesaggio, mi riferirò ad un esempio concreto di mia esperienza mentre mi trovato ad Arborea con il progetto CADWAGO a ottobre 2015. Con il team internazionale di ricercatori ho avuto l’occasione di compiere una visita all’interno dell’idrovora di Sassu. In questo frangente, un responsabile locale per la manutenzione ci ha guidati all’interno dei locali e ci ha spiegato dettagli tecnici sul funzionamento dell’impianto. Uno dei ricercatori presenti gli ha rivolto una interessante domanda: quanto impiegherebbe la piana ad allagarsi nell’eventualità che l’idrovora smettesse di funzionare? La reazione del responsabile è stata di meraviglia, quasi di spaesamento. Questo mi ha fatto comprendere come l’idea che l’idrovora del Sassu possa smettere di funzionare per un tempo sufficientemente lungo da far allagare la piana non occorre assolutamente nel pensiero di coloro che abitano il territorio. In altre parole, la presenza concreta dell’idrovora e il suo funzionamento sono stati incorporati e “naturalizzati” all’interno del water taskscape di Arborea, tanto da essere oramai dati per scontati.

Anche se non direttamente connesse all’acqua, anche le fasce frangivento rivestono un ruolo nel water taskscape di Arborea, nella sua dimensione spaziale e storica. Una volta completata la bonifica idraulica, difatti, i coloni dovettero intervenire su un altro agente atmosferico che impediva la realizzazione di attività agricole nel territorio: il vento. Le forti raffiche di il maestrale (levante) e di scirocco rischiavano di vanificare tutti i lavori di prosciugamento idrico. Per questo motivo furono realizzate delle fasce frangivento piantando due specie arboree: il pino domestico (Pinus pinea) e l’eucalipto (Eucaliptus camaldulensis). Queste specie svolgevano altre funzioni ecosistemiche che portavano vantaggi nel paesaggio

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per le colture; avevano anche un effetto mitigante sulla temperatura e l’umidità locali (Ponti, 2003-2004: 16; Medda, 2009: 10-11).

Queste fasce frangivento, parzialmente conservate e accresciute, rivestono ancor oggi importanti funzioni paesaggistiche: proteggono ad esempio tuttora dai venti. I terreni, oramai desalinizzati, sono sempre a rischio di incrementare la salinità, data la prossimità di Arborea al mare. Le fasce frangivento dunque oggi servono a trattenere la salinità di risalita dal mare. Esse fungono infine da risorsa naturalistico-ambientale che viene enfatizzata per mezzo di espressioni come «incantevole pineta», «una felice oasi verde con una terra fertile e ricca di agricoltura e allevamenti di bestiame», «meta ideale per gite e picnic»14.

A questo punto vale la pena spendere qualche parola anche sulla configurazione paesaggistica di Arborea come centro urbano. Questo aspetto gioca un ruolo rilevante nel

taskscape arborense ed è ovviamente influenzato dal fatto che, in quanto la cittadina è

letteralmente sorta dalla palude (come il campanile della chiesa continua a ricordare), la sua geometria urbana è stata del tutto pianificata nei primi decenni del ‘900. Essa fu progettata per asservire gli scopi e le funzionalità che si ritenevano essere le migliori del tempo in campo ingegneristico. Questo fa di Arborea una realtà unica nel paesaggio campidanese, creando un senso di distacco, un confino paesaggistico che acuisce la sensazione di trovarsi in un’enclave veneta, un’isola nell’isola.

Il primo senso di questa unicità paesaggistica è avvertita dal visitatore che si reca ad Arborea dopo essere stato in altre zone della Sardegna. Ho già descritto come il paesaggio degli stagni e dell’idrovora del Sassu segnino uno stacco geografico. Vi sono però altri elementi che fanno percepire la peculiarità della cittadina: la sua forma completamente pianeggiante; le sue geometrie squadrate; la vegetazione; gli edifici. Nell’ottobre 2015, mi

14 Fonte: sito Campeggio Sardegna, http://www.campeggio-sardegna.com/itinerari.php; sito Comune di Arborea,

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sono ritrovata a parlare di Arborea con una ragazza veneta che, avendo il compagno sardo originario della zona del Campidano, l’aveva portata “in gita” ad Arborea. La ragazza mi ha spiegato il suo stupore quando è arrivata nella cittadina. Abituata al paesaggio sardo secco, disomogeneo e un po’ selvatico, l’arrivo ad Arborea dove vi sono tutti i campi irrigati, villette in stile veneto e palme nel centro cittadino è stato proprio come entrare una realtà altra.

In effetti, la sensazione che ha provato questa ragazza e chiunque si sia recato ad Arborea da “esterno” è comprensibile anche solo osservando l’immagine dal satellite della cittadina:

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Figura 27. Terralba dal satellite.

Come si può notare dalle immagini satellitari, la geografia di Arborea si distingue chiaramente da quelle dei paesi contigui. Arborea è caratterizzata da una geografia squadrata, razionale; le sue strade sono parallele e identificate per mezzo di numeri (Strada 18 est, Strada 20 ovest). Le vie inoltre sono distinte in siano pari o dispari: le strade pari sono asfaltate, mentre quelle dispari sono sterrate. Le vie del centro cittadino escono parzialmente da questo schema rigidamente geometrico, come è normale in un paesaggio urbano. I nomi di queste vie però riflettono ancora lo spirito del passato, poiché portano nomi come “via Dolcetta” in onore dell’ingegnere autore della bonifica, “via dei Pionieri”, “via delle Idrovore”. Nonostante la semplicità di questo paesaggio urbano, chi non è familiare con il luogo si confonde e si perde in queste vie, poiché mancano chiari punti di riferimento paesaggistici. Naturalmente, l’arborense non ha alcuna difficoltà ad orientarsi in queste strade, a leggere il territorio, e nella regolare geometria della cittadina egli si sente a casa. A pochi chilometri di distanza si trovano invece le urbanizzazioni più irregolari di Terralba, situata a 20 km, e dei centri vicini che fanno spiccare ancor maggiormente la diversità paesaggistica di Arborea.

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Anche i colori del paesaggio cambiano tra le due realtà. Arborea presenta campi perfettamente rettangolari sono omogenei, tendenzialmente coltivati tutti seguendo gli stessi piani colturali. In estate è possibile vedere il mais in crescita, sul quale a intermittenza cadono gli spruzzi zampillanti degli impianti a pioggia che irrigano i terreni. Il territorio immediatamente al di fuori della cittadina, invece sembra riflettere quella disomogeneità spaziale che si nota anche nella struttura paesaggistica. Ogni campo sembra essere a sé, alcuni coltivati altri lasciati incolti. Parte di questa irregolarità è legata all’alta parcellizzazione: le famiglie che ereditano i terreni piuttosto che gestire le compravendite in maniera tale da aggregare e ampliare i terreni, razionalizzare la gestione territoriale insomma, preferiscono mantenere fazzoletti in nome della “proprietà”, un valore ritenuto molto importante15

che essi sono disposti a difendere a tutti i costi. Questo atteggiamento, considerato come tratto tipicamente sardo, mi è stato presentato da molti interlocutori come un problema. Gli

arborensi si dichiarano distinti in questo dagli altri isolani, poiché danno priorità alla

dimensione sociale piuttosto che al mantenimento della proprietà. Per questo, i terreni di Arborea sono rimasti pressoché invariati nella gestione collettiva (possibilmente famigliare), e non hanno dato luogo alla parcellizzazione a stampo nucleare (Cole et Wolf, 1993) che si ritrova in vece al di fuori della cittadina.

La questione non sembra essere semplicemente legata ad una rivalità tra Arborea e i territori circostanti ( Terralba in particolar modo), sebbene questa rivalità di certo non manchi. Anche Serafino Meloni, direttore del servizio agrario del Consorzio di Bonifica dell’Oristanese (dunque non originario di Arborea) mi ha confessato che la parcellizzazione del territorio di sua competenza è un problema che il consorzio sta cercando di risolvere, ma a cui non è semplice trovare una soluzione proprio in ragione del fatto che gli abitanti al di fuori

15 Non ho avuto modo di approfondire questo aspetto dal punto di vista sardo, ma questa è una delle

caratteristiche che gli arborensi attribuiscono ai sardi e che, dal loro punto di vista, distinguono la cittadina sardo-veneta dal resto dell’isola.

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di Arborea sono molto attaccati alla loro proprietà. Dunque è evidente come il paesaggio

arborense, paesaggio creato per mezzo della bonifica, non rivela solamente aspetti estetici e

strutturali, ma è anche legato a profondi aspetti sociali e culturali che rivelano tratti dell’identità degli abitanti e mantengono viva nella percezione emica la distinzione tra Arborea e le realtà circostanti.

Torniamo ora a porre lo sguardo sulle zone umide di Arborea. La bonifica integrale lasciò nella piana una porzione di zone umide, oggi rappresentata nel comune di Arborea dallo stagno di S’Ena Arrubia e dal vicino stagno di Santa Giusta. La presenza e l’interpretazione di ciò che lo stagno rappresenta è rilevante per comprendere il water

taskscape, ovvero come i significati che ruotano attorno al paesaggio arborense siano densi in

senso geertziano , siano complesse reti di significazione che collegano, in un continuum diacronico e sincronico le interpretazioni del paesaggio in generale, e del paesaggio acquatico in particolare.

Gli stagni nell’area di Arborea sono oggigiorno classificati come “zona umida”. Questa definizione ha completamente perso la connotazione negativa che in passato era invece associata al termine “palude”. Tale mutamento interpretativo è sicuramente da collegare, almeno in parte, alla valorizzazione del territorio promossa a livello internazionale dalle organizzazioni che si occupano di ambiente. Le zone umide di S’Ena Arrubia e Santa Giusta, difatti, sono considerate aree dall’alto valore naturalistico e svolgono importanti funzioni ecosistemiche. Proprio in ragione di queste qualità, gli stagni sono classificati come siti Ramsar16. Essi sono dunque legalmente protetti come territorio ad alto livello di biodiversità, in quanto rappresentano l’habitat di molte specie animali, soprattutto uccelli17

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16 Fonte: sito Ramsar, www.ramsar.org, ultima consultazione 09/02/2016. 17 Fonte: sito del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare,

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Come mi ha spiegato Paolo Pinos, imprenditore agricolo arborense ma anche delegato provinciale della Lega Italiana Protezione Uccelli 18(LIPU), varie specie sono presenti nello stagno, tra cui il fenicottero rosa (Phoenicopterus roseus), il cavaliere d’Italia (Himantopus