3. Un’analisi dei rischi idrici ad Arborea: complessità intrinseche che emergono nel sistema
3.1 Il percorso ermeneutico verso l’antropologia del rischio
Lo studio delle percezioni dei rischi ha attirato l’attenzione di moltissimi studiosi in campo antropologico, poiché le consapevolezze emiche che ruotano attorno a questioni di sicurezza, spiegazioni di fenomeni e, non ultimo escatologia, sono tematiche di assoluto rilievo per chiunque si interroghi su una determinata società, sulle pratiche di auto definizione e autodeterminazione della società, sulla sua strutturazione, sui sistemi di pensiero ed interpretazione del mondo, ecc. Un’analisi approfondita dei differenti approcci interpretativi all’antropologia del rischio non è lo scopo di questa tesi1
. In questa sede proporrò invece le prospettive ermeneutiche che ritengo adatte a supportare il mio ragionamento analitico volto
1 Molti sono gli scienziati sociali che si sono occupati in maniera più o meno diretta del tema del rischio, a
partire da quegli antropologi sociali di stampo positivistico che caratterizzavano le interpretazioni native dei rischi e dei pericoli come un’espressione della loro “inferiorità evoluzionistica”. Nello sviluppo del pensiero antropologico e sociologico, solo per citare alcuni tra i più illustri esempi, Edward Evan Evans-Pritchard, il quale durante le sue ricerche presso gli Azande intuì che le interpretazioni emiche degli eventi spesso non forniscono spiegazioni circa la natura causale degli stessi, ma piuttosto ruotano attorno ai meccanismi tramite i quali gli attori sociali attribuiscono le colpe. Anche Clifford Geertz, pur non occupandosi specificamente della tematica del rischio, evidenzia con la sua prospettiva epistemologica fondata sulla percezione emica l’importanza ermeneutica dell’interpretazione sociale densa di un determinato rischio o pericolo. Mary Douglas, della quale tratterò in maniera più approfondita nel capitolo, è forse annoverabile come la fondatrice dell’antropologia del rischio. In tempi più recenti, moltissimi sono gli studiosi che si sono occupati specificamente di rischio, come Ulrich Beck, Niklas Luhmann, Deborah Lupton. In questa tesi offro una sintesi di riflessione personale sui vari contributi, ma per una più completa panoramica degli inquadramenti teorici si rimanda direttamente agli autori.
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ad evidenziare le percezioni dei rischi ad Arborea e la loro interpretazione attenendomi il più possibile ad una prospettiva emica.
Uno dei più importanti contributi all’analisi del rischio in campo antropologico è, a mio avviso, quello fornito dall’antropologa britannica Mary Douglas (2003, 1996, Douglas and Wildavsky, 1982) la quale, nel corso delle proprie ricerche di campo a partire dagli anni ’60, formulò l’ipotesi secondo cui le società definiscono i propri confini e la propria essenza per mezzo di discorsi che ruotano attorno a concetti quali, ad esempio, pericolo, rischio e colpa. Avvalendosi di questa ipotesi come punto di riferimento, Douglas si occupò poi di comprendere quali siano i meccanismi tramite cui le società gestiscono tali rischi, tali pericoli e gli eventuali disastri. La ricercatrice si rese conto così dell’esistenza di un meccanismo propriamente sociale secondo cui vi è la tendenza a delegare ad una certa categoria di attori sociali, o di istituzioni, il compito non solo di gestire i confini della società, ma addirittura di definirli, ridefinirli e difenderli.
Purezza e Pericolo (Douglas, 20032) fu la prima opera in cui l’autrice operò un’analisi
approfondita in merito alle dinamiche simboliche con le quali una società stabilisce i propri confini ed istituisce regole morali ed etiche, le quali permettono di definire chi appartiene a quella data società e chi, invece, ne è escluso. Successivamente, nel corso della propria carriera, Douglas si ritrovò ad ammettere di aver commesso una serie di errori epistemologici nelle prime fasi del suo percorso di ricerca. In Rischio e Colpa (1996), l’autrice ha rivisto infatti alcune delle posizioni prese nelle sue opere precedenti, dove aveva sostenuto che il pensiero primitivo è differente da quello delle società moderne. Questa argomentazione, viziata da un implicito pregiudizio che illude lo studioso della possibilità di creare una linea di demarcazione distinguendo un “noi” e un “loro”, comporta enormi difficoltà epistemologiche
2 L’edizione originale di quest’opera, come è possibile osservare anche nei riferimenti bibliografici, risale al
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oltre che ermeneutiche3. Ciononostante, Douglas stessa ha riconosciuto anche a posteriori che alcune delle argomentazioni sostenute nella prima fase della propria carriera ricoprono ancora un alto valore interpretativo ed effettivamente queste sono posizioni a mio avviso tuttora condivisibili.
In Purezza e Pericolo, ad esempio, Douglas ha proposto un’analisi della classificazione di ciò che è puro e ciò che è impuro nella prescrizione biblica in tema di cibo, usi e costumi. L’antropologa ha individuato i meccanismi simbolici tramite i quali una determinata comunità, nella fattispecie quella che considera validi i dettami presenti nell’Antico Testamento, stabilisce i propri confini morali. Il concetto estetico ma anche etico di “purezza”, sostiene l’autrice, è in questo contesto riferito ad elementi rappresentativi di sistemi tassonomici, i quali permettono di classificare e comprendere il mondo e, dunque, stabilire ciò che è moralmente accettabile. Viceversa, nella Bibbia è considerato impuro tutto ciò che non rientra negli standard delle sopraccitate categorie. Così, ad esempio, gli animali sono classificati in base alla loro appartenenza alla divisione tassonomica tra cielo, terra o acqua. Tutti quegli esseri che non sono perfettamente inscrivibili in una di queste categorie, o che sono collocabili in una posizione intermedia, devono essere considerati impuri. Ne consegue che il serpente è impuro, poiché striscia e non cammina sulla terra; la rana è impura, perché conduce la prima parte della sua vita in acqua e poi si trasferisce sulla terra; lo struzzo è impuro, perché è un uccello ma non vola4. Queste classificazioni tassonomiche sono dunque portatrici di simbologie ermeneutiche che veicolano significati molto più profondi che una
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Non intendo entrare specificatamente nel merito della questione. Ritengo tuttavia importante riportare questa riflessione autocritica che Douglas propone poiché, a mio avviso, è ancor oggi possibile incorrere in tipo questo errore. Nonostante oggigiorno sia imprescindibile per un antropologo sociale la consapevolezza di studiare società “contemporanee” e non più isolabili e rappresentabili in senso malinowskiano, il rischio di utilizzare linguaggi o concettualizzazioni che separano un “noi” da un “loro” è ancora presente, soprattutto nel caso di comunità “tradizionali”, come ad esempio quelle votate all’agricoltura. In questo senso, il riferimento all’autocritica di Douglas è un invito al lettore, ma anche all’autrice stessa, ad una consapevolezza circa il proprio posizionamento ed i possibili pregiudizi che possono compromettere la capacità interpretativa.
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semplice categorizzazione degli esseri appartenenti al mondo animale. Esse sono bensì rivelatrici di sistemi interpretativi, che sono stati istituiti al fine di definire le regole tramite le quali quella determinata comunità si autodefinisce. Regole che, qualora messe in discussione, rischiano di minare non sono le istituzioni sociali, ma tutta la struttura simbolica che supporta le interpretazioni del mondo degli individui, giungendo ad incrinare dunque anche la base dei legami e dell’assetto identitario di una comunità. Per chiarire cosa intendo, fornirò un altro esempio preso a prestito da Purezza e Pericolo. Tra le prescrizioni gastronomiche contenute nella Bibbia, è possibile trovare il divieto di cucinare il capretto nel latte di sua madre5. Douglas interpretò questo passaggio come simbolicamente riferito al divieto di praticare l’incesto.
Le ricerche dell’antropologa si focalizzarono quindi sempre maggiormente nella comprensione delle dinamiche che si instaurano nella dialettica tra purezza e perdita di purezza, il cosiddetto “inquinamento”. Questi elementi, visti generalmente come due opposti, sono in realtà tenuti assieme per mezzo di una logica discorsiva che ruota attorno al concetto di “pericolo”: la minaccia, il rischio di entrare in contatto con un agente contaminante, una fonte di inquinamento. Questo, a sua volta, comporta la perdita di purezza dell’individuo, dei soggetti e degli oggetti con cui egli è a contatto e può addirittura giungere a determinare anche la perdita della moralità. Il pericolo di inquinamento riflette dunque, secondo Douglas, l’idea di una contaminazione che è simbolica, oltre che concreta.
Inoltre, ha continuato l’antropologa, il concetto di inquinamento sembra generalmente essere impiegato in riferimento, principalmente, a due campi semantici: l’inquinamento ambientale e la contaminazione religiosa. Nelle società in cui la religione gioca un ruolo primario come riferimento morale, sebbene i discorsi sul pericolo e sulla contaminazione
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vengano formulati, per l’appunto, all’interno dell’ermeneutica religiosa, essi sono tuttavia talmente significativi da essere successivamente estesi anche alle altre sfere delle relazioni sociali, dalla famiglia alla società alle istituzioni.
Questa sorta di supremazia religiosa nella gestione delle dinamiche sociali sta però attualmente subendo forti mutamenti. Notando la crescente e progressiva perdita della dimensione religiosa che si verifica oggi nelle società contemporanee, Douglas ha cominciato a domandarsi: cosa sostituisce la religione nella nostre società come elaboratore di confini sociali e morali? Cosa sostituisce i tabù, espressioni della volontà di proteggere la società dai processi distruttivi esterni ed interni (Douglas, 1996: 18-19)? La tesi dell’autrice è che oggi queste funzioni siano assolte da un nuovo paradigma concettuale: il “rischio”. Questa constatazione, tuttavia, più che un punto di arrivo sembra essere un punto di partenza, poiché essa apre la strada a una miriade di nuovi interrogativi che devono essere investigati all’interno delle sociali. A partire da che cosa intendiamo quando parliamo di rischio, chi definisce qual è il rischio, cosa è a rischio e, soprattutto, per chi è il rischio?
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