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Comprensione configurazionale e narrazione

I. NARRAZIONE E STORIOGRAFIA NEL PANORAMA FILOSOFICO CONTEMPORANEO

I.3 I L NARRATIVISMO

I. 3.3. Louis O Mink e le peculiarità della comprensione storica

I.3.3.2 Comprensione configurazionale e narrazione

Quello configurazionale è il tipo di comprensione che mette in atto lo storico, il quale, come si è già visto, fornisce mediante la narrazione degli eventi una loro interpretazione, cioè la loro organizzazione in una totalità all’interno della quale sono istituite le loro reciproche relazioni.

Come gli altri narrativisti Mink ritiene dunque che la narrazione produca un tipo particolare di comprensione, ma prende le distanze dai primi perché nega all’atto configurazionale e di conseguenza alla narrazione un carattere sul quale invece insistono molto gli altri: il loro carattere temporale.

Già aveva sostenuto questa convinzione mediante l’esempio dell’inferenza logica dicendo che l’intero procedimento può essere colto come un tutto piuttosto che come una sequenza, un susseguirsi di tappe.

Più in generale l’assenza della dimensione temporale dall’atto di “prendere insieme” viene espressa mediante l’accostamento all’idea della conoscenza divina del mondo come totum simul fornita da Boezio. Nel totum simul i successivi momenti del tempo sono co-presenti in una singola percezione nella quale essi formano un paesaggio di eventi. Descrivendo il totum simul come il tipo di conoscenza che Dio ha del mondo, Boezio ha descritto il grado più alto di comprensione configurazionale350.

La visione sinottica che questo tipo di comprensione fornisce è secondo Mink il vero motivo per cui abbiamo il piacere di rileggere o riascoltare una storia: le storie producono e rafforzano

349 Ibidem. Questa affermazione, che Mink trascura di motivare ulteriormente, ha senza dubbio a che fare con la

constatazione di diversi gradi o criteri di veridicità o di oggettività di conoscenza e comprensione. Se la questione viene posta in questi termini e cioè se la conoscenza viene considerata come ciò che può essere verificato e pertanto accettato da tutti, mentre la comprensione ha a che fare di più con un atto soggettivo non necessariamente condivisibile da un’intera comunità, allora l’idea che la comprensione sia un atto individuale può essere condivisa. Tuttavia essa risulta meno convincente se essa nega che un atto di comprensione necessiti di un esercizio e di un’esperienza all’interno di una comunità in base alla quale i suoi risultati finiscono con l’essere intelligibili e magari accettabili per la maggior parte dei membri di quella comunità. Si pensi a quanto lo stesso Mink ha sostenuto riguardo al fatto che il giudizio su cui si fonda la comprensione storica ha bisogno di una pratica, di un esercizio che consentirà allo storico di cogliere, ad esempio relazioni che in non addetti ai lavori difficilmente coglieranno. Egli riconosce implicitamente che quel tipo di relazioni risultano essere se non convincenti per lo meno plausibili per l’intera comunità degli storici. La stessa capacità di comprendere ciò che avviene nell’ambito di una rappresentazione teatrale ha a che fare con quel “riconoscimento” di cui parla Aristotele che si radica nell’esperienza e nella cultura condivisa di una comunità a cui appartengono narratore e pubblico. Lo stesso può dirsi delle considerazioni che Gallie fa a proposito della capacità di comprendere ciò che avviene in una partita di cricket… Questi sono solo alcuni esempi che mostrano il carattere sì personale, ma allo stesso tempo “pubblico” della comprensione e del giudizio. In seguito vedremo, riprendendo i pensatori citati ma soprattutto le riflessioni di MacIntyre, Arendt, Benjamin e Ricoeur, in che senso Mink abbia ragione nel ritenere la comprensione un atto individuale e come allo stesso tempo essa non possa che essere definita pubblica.

l’atto della comprensione in cui azioni ed eventi, sebbene siano rappresentati come occorrenti nell’ordine temporale, possono essere considerati tanto in un singolo sguardo quanto tenuti insieme in un ordine di significato, una rappresentazione del totum simul che non possiamo mai ottenere se non parzialmente351.

Questa affermazione consolida l’idea dell’assenza di sequenzialità delle storie e nello stesso tempo si inserisce nella critica che il pensatore rivolge alla “fenomenologia del seguire” di Gallie. Se il gusto di seguire una storia, quella forza di attrazione che essa esercita sul lettore dipendesse dal fatto che man mano, passo dopo passo la storia ci svela qualcosa che è interessante, almeno secondo la lettura di Mink, perché è ancora sconosciuto, non si spiegherebbe l’interesse che le storie esercitano su di noi anche quando ne conosciamo il finale.

La narrazione produce dunque un tipo di comprensione che fa svanire il pensiero di una successione temporale, inoltre nella comprensione configurazionale di una storia che uno ha seguito, il fine è connesso con la promessa dell’inizio così come l’inizio è legato alla promessa della fine.

Detto ciò, ne deriva che il tipo di connessione interna alla narrazione non ha nulla a che fare con l’ordine della successione temporale, come evidenzia l’esempio proposto da Mink di un’azione intesa come reazione ad un evento. Intesa in tal modo l’azione risulta essere legata all’evento da una relazione che non è temporale. Noi infatti, dice Mink, non descriviamo una storia aggiungendo in seguito l’affermazione che essa costituisce una risposta, una reazione ad un altro evento. La descrizione e la considerazione del suo essere una reazione a qualcosa coincidono: ad esempio descriviamo correttamente l’azione di spedire un telegramma come il modo per rispondere ad un’offerta di lavoro. Se non venisse descritta in questo modo, e cioè in relazione ad una proposta di lavoro, quell’azione non avrebbe alcun significato. Partendo da questo esempio si può generalizzare dicendo che «le azioni e gli eventi di una storia compresa come un tutto sono connessi da una rete di descrizioni sovrapposte»352, le quali, si può aggiungere, non si succedono nel tempo ma si riferiscono a quegli eventi o azioni contemporaneamente353. La serie di descrizioni sovrapposte, simultanee, possono anche non essere parte di una storia ma solo della comprensione di essa nella sua totalità.

351

Ivi, p. 56.

352 Ivi, p. 58.

353 A questo argomento, illustrato dall’esempio di spedire un telegramma, Ricoeur obietta che innanzi tutto tra l’atto di

ricevere un’offerta e quello di spedire un telegramma intercorre un atto intermedio che è quello di accettare l’offerta. Gli stessi tempi verbali che descrivono queste azioni, dice il filosofo francese, mostrano il verificarsi di un cambiamento che invece non verrebbe colto abolendo il legame temporale (Cfr. P. Ricoeur, Temps et récit, op. cit., p. 241).

Allora, se come si è detto prima si considera la funzione di scoperta della narrazione soltanto nel caso in cui si segue la storia per la prima volta, le considerazioni di Gallie possono essere ritenute esatte. Ma considerando il caso in cui conosciamo già la fine della storia o il fatto che la storia si comprende soltanto come totalità, non è possibile considerare quella funzione come fondamentale.

Ciò che Mink non tiene in dovuta considerazione però è il fatto che quelle relazioni alle quali dà tanto rilievo hanno spesso e necessariamente un carattere temporale, se non dal punto di vista del lettore, almeno dal punto di vista dello svolgimento dell’azione stessa. Cosa accadrebbe infatti se come il lettore Edipo venisse a conoscenza in anticipo del fatto che l’uomo che sta per uccidere è in realtà suo padre? Senza dubbio Mink potrebbe rispondere a questa obiezione sottolineando che la storia, e questo è un altro punto cardine della sua riflessione, è una ricostruzione del reale prodotta dal soggetto, è il frutto di un tentativo di comprensione e non una struttura di cui è dotata la realtà stessa354. Porsi di conseguenza domande su di essa significa considerare esclusivamente tale punto di vista. Ammesso che le cose stiano così bisognerà però riconoscere che la stessa comprensione degli eventi non può prescindere dalla considerazione dell’ordine temporale in cui essi si susseguono; è in base a tale ordine che un evento può acquisire un significato piuttosto che un altro o può essere o meno la causa di altri eventi. Si pensi a quanto cambierebbe la storia di Edipo se egli sapesse da subito chi è, chi sono i suoi genitori.

Ma anche la semplice considerazione del problema dal punto di vista della comprensione del soggetto, in base alla quale rivolge la sua critica al concetto di followability di Gallie, non regge.

Tale critica viene espressa anche in un saggio precedente nel quale Mink critica la tesi di Gallie sostenendo che la storia (history) non è scrittura ma ri-scrittura di quanto è avvenuto. Essa ha inizio quando ormai tutto è terminato355. La lettura di un’opera storica da parte di un lettore questa volta tutt’altro che ingenuo implica un’operazione riflessiva che mira a cogliere la serie di relazioni che intercorrono tra gli eventi, le eventuali generalizzazioni. Lo storico non percorre per la prima volta lo svolgimento della storia, ma lo ripercorre a tale scopo. E proprio perché conosce già la storia il suo rileggerla non sarà guidata dalla curiosità, né sarà caratterizzata da nuove scoperte. In quanto noti e oggetto di spiegazione, anche se non prevedibili, gli eventi e l’esito della storia perderanno, contrariamente a quanto sostenuto da Gallie, il loro carattere di contingenza. Detto ciò Mink rimprovera a Gallie il fatto di avere confuso innanzi tutto l’atto di seguire una storia con quello di aver seguito una storia e di aver proposto in tal modo una erronea ontologia del tempo in base alla

354 Cfr. L.O. Mink, History and Fiction as Modes of Comprehension, op. cit., pp. 59-60. Le cose accadono secondo un

ordine temporale ma non sono ancora inserite in una struttura narrativa che viene invece fornita dal soggetto, il quale così facendo fornisce ad esse una configurazione in cui la dimensione temporale è ormai assente. Ciò che il narratore racconta è ormai passato, la conoscenza che si ha di esso è per così dire simultanea.

355 In questo caso, come ha notato Ricoeur, Mink sostiene qualcosa di simile a quanto aveva già detto Danto circa il

fatto che si abbia storia di cose ormai passate, concluse. Cfr. P. Ricoeur, Temps et récit, op. cit., p. 236 e L.O. Mink,

quale considerare gli eventi della storia come appartenenti ad un “futuro presente”, considerandoli cioè come qualcosa che un tempo sono stati futuri.

Ma, come ha sottolineato Ricoeur, l’argomentazione di Mink non è condivisibile per diversi motivi. Per quanto riguarda la critica alla difesa che Gallie fa del carattere della contingenza, Ricoeur fa notare che tale carattere può continuare a riservare il suo potere di sorpresa anche nell’atto del seguire di nuovo una storia e ciò perché il passato, per quanto determinato non esclude quei cambiamenti retroattivi di significato di cui parlava Danto. Inoltre Mink trascura il fatto che sia l’attività di raccontare che quella di ri-raccontare mantengono quei tratti tipici dell’operazione narrativa consistenti in una dialettica tra contingenza e ordine, tra episodio e configurazione, tra discordanza e concordanza356.