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Frasi narrative e limiti della conoscenza storica

I. NARRAZIONE E STORIOGRAFIA NEL PANORAMA FILOSOFICO CONTEMPORANEO

I.3 I L NARRATIVISMO

I.3.1 La frase narrativa nella riflessione di Arthur C Danto

I.3.1.1 Frasi narrative e limiti della conoscenza storica

Il problema della indeterminatezza del passato ha a che fare con la possibilità di una sua conoscenza definitiva e completa. Si suppone infatti che, essendo il passato ormai compiuto, “morto”, sia possibile dare di esso una descrizione esaustiva, cioè un insieme di proposizioni che prese assieme dicano tutto ciò che c’è da dire su un evento. Tale descrizione dovrebbe anche riflettere l’ordine in cui le cose sono accadute. Tra essa e l’evento che descrive esisterebbe un isomorfismo. Il problema allora è evidentemente quello di stabilire se il passato, così fissato nella descrizione, sia immutabile e continui ad essere rappresentato in maniera esatta da quella descrizione225.

Ma, innanzi tutto, è possibile fornire una tale descrizione? Soltanto un Cronista Ideale, dice Danto, potrebbe farlo. Egli dovrebbe descrivere in maniera istantanea ciò che accade e nel modo in cui accade. Dovrebbe fare ciò che gli storici generalmente non possono fare: i loro resoconti infatti sono sempre soggetti a revisioni; possono contenere proposizioni false o proposizioni vere nell’ordine sbagliato; inoltre sono necessariamente incompleti. Evitare tali inconvenienti è possibile solo a un Cronista Ideale e non a uno storico. Quest’ultimo potrebbe al più limitarsi ad aggiungere proposizioni contenute nella Cronaca Ideale, se potesse disporne, ed eliminare quelle che in essa non sono contenute. Lo storico potrebbe così rinunciare al lavoro di ricerca di dati, formulazione di ipotesi e correzione, revisione di esse sulla base di nuove scoperte. Avendo a disposizione la

223 Ivi, p. 201. 224

Cfr. ivi, pp. 201-202.

trascrizione completa degli eventi potrebbe descrivere gli eventi nel modo in cui lo farebbe un testimone: descrivendo gli eventi nel momento e nel modo in cui accadono. Ma così facendo, svolgerebbe il suo compito di storico? No,

infatti, per ogni evento vi è una classe di descrizioni in conformità delle quali non si può essere testimoni e queste descrizioni sono necessariamente e sistematicamente escluse dalla C. I. L’intera verità relativa a un evento può essere conosciuta soltanto dopo, e talora soltanto molto dopo che l’evento stesso ha avuto luogo e questa parte di storia può essere raccontata solo dagli storici. Vi è qualcosa che rimane ignoto anche al miglior testimone. Ciò che abbiamo deliberatamente trascurato di fornire al cronista ideale è la conoscenza del futuro226.

È dunque la conoscenza del futuro che manca al testimone e che invece appartiene ed è indispensabile al sapere dello storico. Soltanto uno storico infatti può parlare della guerra iniziata nel 1618 come della Guerra dei Trent’anni. Solo lo storico infatti, a differenza del testimone, sa e a posteriori qual è la durata di quella guerra. Nessun testimone avrebbe potuto definirla in tal modo nel corso del suo svolgimento.

Nella riflessione di Danto queste affermazioni si fondano sulla sua analisi delle frasi narrative che descrivono la storia. Si tratta di frasi che «si riferiscono ad almeno due eventi temporalmente separati, anche se descrivono (o sono relative a) il primo evento cui si riferiscono»227. La frase «la Guerra dei Trenta Anni cominciò nel 1618», ad esempio, si riferisce all’inizio e alla fine della guerra facendo riferimento alla sua durata, tuttavia essa ne descrive l’inizio. Il Cronista Ideale non potrebbe fare asserzioni di questo tipo poiché dovrebbe far riferimento ad eventi futuri, non ancora accaduti, di cui non può essere quindi testimone. Il punto allora è quello del luogo in cui lo storico nella sua attività di ricerca si pone: egli descrive gli eventi sempre a posteriori, retrospettivamente, fornendo ad essi un inizio e una fine. Quell’inizio e quella fine che mancano alla Cronaca Ideale e senza i quali non v’è storia228.

Viene così ulteriormente sottolineato il disinteresse per l’ideale di un’oggettiva ed esatta registrazione del passato, quella che solo un testimone può fornire a favore di una forma di conoscenza che necessita di una certa “situatività”. E non solo. Viene posta l’impossibilità di conoscere in modo completo e definitivo il passato. E ciò per due motivi: il primo ha a che fare con l’impossibilità di formulare frasi narrative sugli eventi che siano contemporanee ad esse. Non si dà storia del presente perché le frasi narrative descrivono eventi passati rispetto al tempo dell’enunciazione stessa. Tali descrizioni, come si è visto, non possono essere fornite da chi non

226 Ivi, p. 207. 227

Ivi, p. 195.

conosce gli eventi successivi all’evento stesso: soltanto tempo dopo il suo verificarsi, può essere colto il significato dell’evento, il quale viene descritto nella frase narrativa in relazione a un evento successivo. Ciò potrebbe far cadere nel paradosso secondo cui l’evento successivo sarebbe causa del cambiamento del primo evento, quello che si intende descrivere. Si tratta in realtà di un fraintendimento: l’evento in questione acquista, alla luce degli eventi successivi, nuove proprietà, una descrizione sempre più ricca e ciò non implica in nessun modo un suo cambiamento quanto quello delle relazioni in cui viene a trovarsi con gli eventi successivi229. Ciò che invece si vuole sottolineare è il fatto che il significato dell’evento, il suo essere «causa di» un evento successivo o ancora le relazioni in cui si trova con esso, non sono accessibili al testimone o al cronista ideale, ma sono esprimibili soltanto in proposizioni narrative. Poiché la loro caratteristica, come si è detto, è quella di riferirsi ad eventi temporalmente distinti e passati rispetto all’enunciazione, esse non sono accessibili né al testimone né al cronista, contemporanei allo svolgimento dell’evento. Ciò significa che non si dà storia del presente e che non è ammissibile la pretesa di rincorrere l’ideale della conoscenza del passato come perfetta registrazione del suo accadere230.

Anzi, quello del limite della conoscenza storica costituisce un caposaldo della filosofia analitica della storia, nettamente contrapposta in questo senso a quella di stampo sostanzialista. Quest’ultima infatti pretende di fornire un resoconto esaustivo, completo della totalità della storia. Pretende cioè, secondo Danto, di conoscere non soltanto il passato ma anche il futuro. Il che, come si è detto, è impossibile. La stessa conoscenza del passato è limitata e strettamente dipendente dalle scoperte e dai nuovi eventi presenti e futuri. Compito della filosofia analitica della storia sarà proprio quello di identificare questo limite231.

Nettamente opposta è la posizione della filosofia sostanzialista che, sostiene Danto, mira a descrivere gli eventi prima che essi siano accaduti o che tende ad attribuire ad essi un significato all’interno di un contesto che coincide con la totalità della storia stessa. È evidente, considerate le affermazioni fatte in precedenza, che ciò è impossibile. Infatti lo storico descrive eventi riferendosi ad altri eventi che siano futuri rispetto ai primi e passati rispetto allo storico, mentre risulta impossibile descrivere eventi passati in riferimento ad eventi che siano futuri anche rispetto allo storico. Infatti «gli eventi vengono continuamente ri-descritti e il loro significato ri-considerato alla

229 Cfr. ivi, p. 212.

230 L’accento posto sui tempi dell’enunciazione e degli eventi a cui essa fa riferimento segna, come ha sostenuto

Ricoeur, uno scarto tra descrizione ordinaria e descrizione narrativa dell’azione. Se la prima infatti pone l’accento sull’aspetto intenzionale dell’azione, la narrazione storica, in quanto enunciazione che dà conto della verità degli accadimenti, pone la sua attenzione sulle conseguenze o gli esiti non voluti dell’azione. Infatti «la verità di questi enunciati concernenti gli eventi ulteriori è rilevante per il senso stesso della descrizione narrativa» (P. Ricoeur, Temps et

récit, I, op. cit., p. 221).

luce delle successive informazioni»232. Chiedersi il significato di un evento vuol dire porre una domanda a cui si può dar risposta soltanto all’interno di una narrazione storica. Lo stesso evento può acquisire un significato diverso a seconda della narrazione in cui viene inserito, cioè a seconda degli eventi successivi con cui viene messo in rapporto. «Le narrazioni costituiscono il contesto naturale in cui gli eventi acquistano un significato storico»233 e poiché si danno narrazioni vere solo riguardo al passato, a differenza di quanto sostengono i filosofi sostanzialisti, il significato di un evento può essere colto soltanto a posteriori234.

La filosofia analitica rivela tali limiti e si occupa delle proposizioni narrative considerandole come l’elemento minimale della conoscenza storica. È attraverso la loro analisi che essa può far emergere e risolvere i problemi filosofici che riguardano la storia e che sono strettamente connessi con il concetto che noi abbiamo della storia235.

Come ha sottolineato Ricoeur, questo modo di indagare le questioni relative alla conoscenza storica ha il duplice merito di fissare i limiti e di essa e delle stesse frasi narrative236. Infatti anche di queste ultime Danto riconosce l’incompletezza. Non dubito, dice il pensatore, che gli storici riescano a fornire asserzioni vere sul passato, ciò di cui però bisogna dubitare è il fatto che esse debbano essere massimamente dettagliate. In questo senso l’insegnamento di Ranke, secondo cui la storia deve raccontare tutto ciò che accaduto deve essere interpretato come l’affermazione del fatto che raccontare ciò che è accaduto significa descrivere ciò che è significativo rispetto alla domanda che lo storico si pone. Allora dire che non si può avere una conoscenza perfetta del passato non significa riconoscere solo un problema di fatto consistente nell’impossibilità di accedere a perfette testimonianze, registrazioni del passato237 bensì ammettere che

se anche potessimo essere testimoni dell’intero passato, ogni resoconto che ne daremmo implicherebbe selezione, accentuazione, eliminazione e presupporrebbe un criterio di pertinenza (relevance), per cui il nostro resoconto, anche se desiderassimo il contrario, non potrebbe includere ogni cosa238.

Viene così riconosciuto un elemento di arbitrarietà e di incompletezza costitutiva delle narrazioni storiche che in nessun modo possono essere considerate un «resoconto perfetto degli eventi»239. Esse escludono sempre qualcosa. Innanzi tutto perché, nel senso in cui si è detto sopra, «siamo 232 Ivi, p. 21. 233 Ibidem. 234 Cfr. ivi, p. 22. 235 Cfr. ivi, p. 195.

236 P. Ricoeur, Temps et récit, I, op. cit., p. 218.

237 A. C. Danto, Analytical Philosophy of History, op. cit., p. 156 238

Ivi, p. 158

temporalmente provinciali rispetto al futuro»240. Inoltre bisogna ricordare che ogni descrizione presuppone «un’organizzazione narrativa e l’organizzazione narrativa è qualcosa che facciamo noi» e che «implica logicamente un ineliminabile fattore soggettivo. Vi è in essa un elemento di pura arbitrarietà. Noi organizziamo gli eventi che hanno relazione con alcuni eventi che troviamo significativi» cioè rispondenti agli «effettivi interessi di questa o quella persona»241. Questo potrebbe essere considerato il secondo motivo per cui la conoscenza storica è inevitabilmente una conoscenza incompleta242.