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W B Gallie e il concetto di followability

I. NARRAZIONE E STORIOGRAFIA NEL PANORAMA FILOSOFICO CONTEMPORANEO

I.3 I L NARRATIVISMO

I.3.2. W B Gallie e il concetto di followability

Con la filosofia analitica della storia si afferma l’idea che una caratterizzazione minimale della conoscenza storica consista in una sua concezione in termini di narrazione le cui caratteristiche principali sono quella della connessione interna e quella della successione temporale la quale offre già di per se stessa un elemento di interpretazione287.

La riflessione di Danto mette in evidenza soprattutto il primo di questi aspetti: le frasi narrative come si è detto sono proposizioni riguardanti eventi separati dal punto di vista temporale. Tuttavia il passaggio dalla teoria delle frasi narrative a quella del testo narrativo non può essere ancora compiuto poiché, sebbene Danto parli della peculiarità della narrazione di connettere eventi, egli non spiega come ciò possa avvenire all’interno di una frase narrativa. Infatti il nesso contenuto nella frase narrativa è qualcosa di diverso dalla connessione, dall’intreccio appunto, che costituisce un vero e proprio intrigo.

Il passaggio dalla frase al testo narrativo come forma minimale in cui consiste il sapere storico viene compiuto solo con l’introduzione del concetto proposto da W. B. Gallie di followability o capacità di seguire una storia288.

Con Philosophy and the Historical Understanding (1964) Gallie si propone di mostrare, recuperando la tradizione ermeneutica tedesca, la specificità della conoscenza storica che egli individua nella continuità del racconto, nella connessione degli eventi e nella ricostruzione di essi secondo l’ordine di successione temporale.

Come già in Danto, troviamo l’idea che la storia consista non nella semplice considerazione di un accadimento isolato ma piuttosto del legame che esso stringe con quelli successivi ad esso. Tale idea trova la sua massima espressione nella tesi secondo cui il contenuto di una spiegazione o comprensione fornita dal racconto sia in realtà di per se stessa derivante da un discorso avente già una forma narrativa. Nella Prefazione del testo del 1964 il legame tra il contenuto della spiegazione/comprensione e la narrazione viene considerato duplice: «questo contenuto deve essere valutato in rapporto al racconto dal quale deriva e che contribuisce a sviluppare»289. In questa affermazione troviamo espresse due idee. La prima, che segna nettamente la distanza dalla teoria hempeliana, ha a che fare con l’appartenenza da sempre dell’explanandum ad una qualche forma di racconto. L’evento appartiene già da sempre, prima ancora che di esso si tenti di dare un resoconto o una spiegazione esaustiva, ad un racconto nella forma di una testimonianza, di un documento, o,

287 Cfr. R. Aron, Leçons sur l’histoire, op. cit., pp. 213-214. 288

Cfr. P. Ricoeur, Temps et récit, I, op. cit., p. 225.

289 W. B. Gallie, Philosophy and the Historical Understanding, op. cit., p.

come ha affermato Danto, in quanto descrizione di un cambiamento che ha di per sé una struttura narrativa290.

La seconda idea invece sposta l’attenzione sulla struttura stessa della narrazione che viene intesa come ciò che deve essere valutato per stabilire il grado di comprensione dell’evento. Se da una parte il contenuto deriva da un discorso avente già forma narrativa, dall’altra esso è in funzione di una forma narrativa. È una tesi che si lega al concetto di followability, “capacità di seguire una storia” o “capacità della storia ad essere seguita” e a quello di accettabilità, il criterio in base al quale una narrazione in quanto forma di comprensione degli eventi viene sviluppata e di conseguenza giudicata come più o meno valida.

Ogni storia, dice Gallie, è la descrizione di una successione di azioni, esperienze che riguardano personaggi reali o immaginari. Tali elementi costituiscono i tasselli che rendono possibile lo sviluppo della storia e che in questo senso consentono di seguirla. Essi cioè rendono comprensibile tale sviluppo, mostrano in che modo si sia giunti ad una determinata conclusione. Ma per quanto tale svolgimento e conclusione siano comprensibili, «intellettualmente accettabili»291 o aristotelicamente verosimili, essi non possono essere mai previsti. Seguire una storia significa comprendere il modo in cui certi eventi, situazioni etc. abbiano portato ad una determinata conclusione o, in altre parole, ritenere accettabile, anche se non prevedibile, una data conclusione considerati gli eventi che hanno condotto ad essa. In questo senso, in quanto accettabile, una storia può essere considerata auto-esplicativa: essa mostra infatti o rende comprensibile lo svolgersi degli accadimenti. Come sostiene Gallie «idealmente, una storia dovrebbe spiegarsi da se stessa»292. D’altra parte può accadere che si giunga ad un punto di stallo, di blocco della comprensione che induce al ricorso alla spiegazione. Quest’ultima si inserisce ovviamente e pienamente all’interno della trama narrativa e rispetto a quest’ultima svolge una funzione «ancillare»293. Come si diceva sopra il contenuto, che sia oggetto di comprensione o spiegazione, è al servizio di una forma narrativa che ne costituisce la struttura di accoglienza294.

Questa sintesi della teoria di Gallie contiene diversi elementi che vanno ulteriormente discussi. Innanzi tutto, come già si è visto nel paragrafo I.2.4., il concetto di followability è di grande importanza nell’ambito della discussione su spiegazione e comprensione. Esso infatti, nella lettura ricoeuriana, mostra in che modo la comprensione fondi la spiegazione e d’altra parte in che modo quest’ultima renda possibile la prima. Il criterio che permette di stabilire la necessità di questo duplice ricorso è appunto quello dell’accettabilità dello svolgimento narrativo degli eventi.

290 Cfr. paragrafo precedente.

291 W. B. Gallie, Philosophy and the Historical Understanding, op. cit., p. 31. 292 Ivi, p. 23.

293

Cfr. ivi, p. 107.

Per quel che riguarda la spiegazione, secondo Gallie, come si è detto sopra, essa ha una funzione ancillare. Il ricorso ad essa avviene solo quando ciò si rende necessario, cioè «solo quando le cose diventano complicate e difficili – quando di fatto non è più possibile seguirle»295. Solo in quel caso si renderà «necessaria una spiegazione esplicita delle azioni dei personaggi e dei motivi che le determinano»296.

Gallie chiarisce che le spiegazioni che entrano a far parte di una narrazione storica non sono assimilabili a quelle di cui si servono le scienze naturali. Infatti solo in pochi casi le spiegazioni storiche implicano il ricorso a generalizzazioni al fine di chiarire fatti particolari altrimenti incomprensibili; nella maggior parte dei casi lo storico si serve delle spiegazioni per giustificare, illustrare le ragioni che lo hanno spinto ad abbracciare interpretazioni diverse da quelle generalmente accettate e appartenenti alla tradizione297. Si potrebbe quindi concludere che la spiegazione storica consista più che altro in un commento e una giustificazione del modo in cui lo storico presenta gli eventi, o potremmo dire dell’intreccio da esso fornito. In questo senso la spiegazione rafforzerebbe, come del resto ha sostenuto Gallie, la nostra capacità di comprendere lo sviluppo della storia, di seguirla. Essa eluciderebbe passaggi pochi chiari.

La volontà di considerare la spiegazione storica come qualcosa di diverso da quella scientifica basata sul ricorso a generalizzazioni ha a che fare, con la volontà di salvaguardare la categoria della contingenza. La generalizzazione e la tipizzazione degli eventi implicherebbero infatti una sua negazione.

Inoltre tale volontà ha a che fare con la convinzione che anche quando si ricorre alla spiegazione, ciò che si vuole evidenziare non è un nesso di causa ed effetto: infatti

la presenza nelle narrazioni storiche di congiunzioni come “così”, “perciò”, “di conseguenza”, ecc., sta ad indicare, o serve a ricordarci, non tanto una connessione esplicativa in senso causale quanto il fatto che certe azioni costituiscono la realizzazione o l’espressione di intenzioni, programmi o linee di condotta già note298.

La spiegazione serve dunque a mostrare ciò che generalmente può essere compreso e seguito senza problemi e che, però, in alcuni casi e per varie ragioni può risultare meno immediato, evidente.

295

W. B. Gallie,The Historical Understanding, in “History and Theory”, 1963, pp. 149-202, trad. it. “La comprensione

storica”, in AA.VV.,Filosofia analitica e conoscenza storica, a cura di M. V. Pedraval Magrini, La Nuova Italia,

Firenze 1979, p. 5

296 Ibidem. 297

Cfr. ivi, pp. 54-59.

Con questa serrata critica a metodi di spiegazione causale Gallie contrappone il modello di comprensione storica a quello di causalità proposto da Morton White, riprendendo concetti già visti ed esposti da Popper ne La miseria dello storicismo. Gallie infatti nega che si possa parlare di un unico modello o linea causale visto che nella spiegazione dello stesso evento intervengono e si incontrano diverse linee causali, e sottolinea l’esigenza di considerare aspetti necessari alla comprensione degli eventi che rientrano appunto nella “logica della situazione” e che possono essere colti mediante il “metodo dello zero”, come già aveva suggerito Popper299.

La capacità di comprendere una storia è qualcosa di diverso dalla conoscenza di cause necessarie e sufficienti di uno o più eventi; essa consiste nella capacità di seguire il suo processo di sviluppo.

Ma è proprio su questa avversione nei confronti del nesso di causalità a favore di una “fenomenologia del seguire” (così la definisce Louis Mink) che si concentrano le critiche di alcuni pensatori come Dray e Mink300. Tali critiche sono dovute principalmente al fatto che Gallie trascura di mettere in luce o di esplicitare il tipo di connessione tra eventi temporalmente distinti.

D’altra parte questa stessa avversione trova la sua importanza nella serrata difesa che Gallie conduce a favore della contingenza e, cosa ancor più importante, di un tipo di intelligibilità che non obblighi a rifiutarla.

La teoria della followability si fonda sull’idea che ogni evento, per quanto contingente e inaspettato, acquisti all’interno della storia, considerata come una totalità intelligibile, il suo significato. Ogni evento, ogni elemento della storia infatti contribuisce allo sviluppo della storia stessa. Riuscire a seguire quest’ultima significa proprio cogliere tale aspetto, comprendere cioè in che modo un evento contribuisca a quello svolgimento. Il problema è stabilire in che modo ciascun elemento della storia possa contribuire o determinare il successivo sviluppo di essa, visto che il nesso di causalità viene escluso da Gallie. Come si è già visto, la conclusione di una storia non è qualcosa che può essere predetto, ma qualcosa che può essere ritenuto il plausibile esito di stadi precedenti301. Ogni storia può contenere infatti sorprese, coincidenze, rivelazioni inattese; tuttavia esse si inseriscono in un intreccio che deve risultare accettabile, plausibile. È il criterio dell’accettabilità che costituisce una sorta di regola che viene rispettata tacitamente e dal narratore e dal lettore. Mentre il primo infatti cerca di costruire una ricostruzione che potremmo definire ragionevole, plausibile e comprensibile, il secondo cerca di valutarlo e accettarlo come tale. La corrispondenza tra questi due atteggiamenti viene in qualche modo garantita non da regole che

299

Cfr. il paragrafo I.2.2 del presente lavoro.

300 Cfr. W. H. Dray, On the Nature and Role of Narrative in History, in “History and Theory”, 10, 1971, pp. 153-171,

ora in Id., On History and Philosophers of History, E. J. Brill, Leiden – New York – Kobenhavn – Koln 1989, pp. 111- 130. e L. O. Mink, Philosophical Analysis and Historical Understanding, in “Review of Metaphysics”, 21, 1968, pp. 667-698, ora in Id., Historical Understanding, Cornell University Press, Ithaca – London 1987, pp. 118-146.

possano essere assimilate a quelle di un gioco, ma da una serie di convenzioni comunemente accettate che limitano il numero di sviluppi possibili di una storia e che in tal modo impediscono al narratore di distaccarsi troppo dalle aspettative naturali del lettore. È all’interno di un orizzonte di plausibilità che si danno sorprese e mutamenti; se così non fosse lo sviluppo e la conclusione della storia non sarebbero accettabili. La plausibilità dell’intreccio e della conclusione cui esso conduce rappresenta il segno di una forma di razionalità che si distingue nettamente da quella scientifica poiché individua appunto nella ragionevolezza e non nella cogenza dei nessi causali il criterio di validità della storia. Il tipo di accettabilità e plausibilità che caratterizza la storia è in fondo quello che domina ogni ambito delle attività umane. Si pensi ad esempio a ciò che accade in una partita di cricket: se si ha un minimo di conoscenza del gioco delle sue regole si sa perfettamente che cosa ci si può aspettare nel corso di una partita; ciò però non significa essere in grado di prevederne la conclusione né le vicende intermedie. Tuttavia non ci si aspetterà nulla che non sia consono al tipo di contesto e di attività che si sta praticando. Ogni vicenda, cioè, per quanto inaspettata, risulterà comunque intelligibile all’interno di quel contesto. Imprevedibile, contingente, ma anche plausibile. Allora, nel gioco come nel racconto o nell’ascolto di una storia,

più che la relazione di predicibilità fra gli eventi, è importante la relazione inversa che consente di notare non tanto che un evento precedente ne ha reso necessario uno successivo quanto che un evento posteriore ne richiedeva, come condizione necessaria, uno anteriore. Più semplicemente, quasi tutti gli episodi di una storia richiedono, come condizione necessaria di intelligibilità e di plausibilità, un’indicazione del tipo di evento o di contesto che li ha determinati, richiamati o almeno resi possibili. Questa relazione, più che la predicibilità di certi eventi sulla base dell’accadere di certi altri, è la principale connessione di continuità logica in una storia 302.

La suddetta relazione di connessione logica permette dunque di comprendere perché qualcosa sia accaduto; tuttavia ciò non lo rende necessario o predicibile. «E sotto questo riguardo, la struttura logica e il fondamento di intelligibilità delle storie coincidono esattamente con quelli della vita quotidiana»303.

Ciò che risulta essere in gioco qui è il tipo di razionalità che può rapportarsi a ciò che è contingente. Infatti nell’affermare la possibilità che le contingenze attraverso le quali la storia progredisce verso la conclusione siano accettabili, comprensibili, pur rimanendo contingenti, Gallie si contrappone chiaramente alla tradizionale concezione di razionalità e intelligibilità, «secondo la quale comprendere una cosa significa, in un certo senso, dominarla – aver, per così dire, sotto mano il suo svolgimento, in modo che non possa sfuggire o, più semplicemente e generalmente, non dar

302

W. B. Gallie, The Historical Understanding, op. cit., p. 8.

luogo a nessuna effettiva sorpresa»304. Secondo questa convinzione filosofica la categoria della contingenza, centrale secondo Gallie nel sapere storico, è da contrapporsi a quella di legge e regolarità; quest’ultima esprimerebbe un’esigenza di razionalità, mentre la prima l’irriducibilità di fatti particolari305.

Quella sostenuta da Gallie è invece l’esigenza di considerare ogni cosa o situazione nel suo svolgimento, di seguirne lo sviluppo attraverso una successione di eventi contingenti. Comprendere gli eventi, anche mediante l’uso di generalizzazioni, non significa necessariamente dominarli, anticiparli, prevederli, ma “seguirli”, al fine di «renderli razionalmente accettabili dopo tutto, cioè dopo tutto lo stupore e la sorpresa che il loro verificarsi può aver prodotto inizialmente»306.

L’accento posto su questa “fenomenologia della comprensione”, non ha lasciato il giusto spazio, secondo Mink al necessario momento della spiegazione. Come si è visto, per Gallie la spiegazione è ancillare rispetto alla narrazione che è auto-esplicativa307. Secondo Mink, il quale mira ad un superamento della nota dicotomia, la spiegazione dovrebbe correggere la comprensione e quest’ultima arricchire la prima. In questa ottica risultano essere limitati sia il modello di spiegazione causale di M. White, che non lascia spazio ad alcun concetto di svolgimento (development), sia quello della comprensione di Gallie che assimila il concetto di spiegazione a quello di necessità e di modello causale unico e ritiene le spiegazioni come “intrusive” e inadatte alle contingenze inaspettate e imprevedibili, vero oggetto di interesse della ricerca storica308.

Anche Dray discute il modo in cui Gallie tenta di istituire un nesso di connessione logica interna alla storia che non si identifichi con quella di tipo causale. Tale connessione o relazione di continuità è discernibile soltanto quando si considera il primo evento dal punto di vista del secondo. Cioè il primo evento risulta essere significativo soltanto in relazione al secondo che ha in qualche modo contribuito a far accadere. Il punto però è che il primo evento non viene considerato come ciò che ha reso necessario il verificarsi del secondo (ciò consentirebbe infatti la predicibilità di quest’ultimo), ma come la condizione necessaria perché il secondo accadesse (condizione che può essere considerata tale solo retrospettivamente). Dray si chiede a questo punto in che senso un evento può dirsi esplicativo rispetto ad un altro relativamente al quale costituisce la condizione necessaria. Lo stesso Gallie risponde in parte a questa domanda lasciando spazio ad un tipo di spiegazione che si fonda esclusivamente su ragioni e opportunità e che si fonda quindi più su una logica della situazione che sulla ricerca di nessi causali. La comprensione storica dunque risulta

304 Ivi, p. 10. 305

Cfr. ibidem.

306 Ibidem.

307 Questa affermazione sulla funzione auto-esplicativa della narrazione pone il problema su cosa si debba intendere per

esplicativo. Sappiamo già che le storie consentono di interpretare gli eventi, di renderli intelligibili.

308

Cfr. L. O. Mink, Philosophical Analysis and Historical Understanding, op. cit., p. 135 e W. B. Gallie, Philosophy

essere una forma di attenzione orientata teleologicamente, una sorta di attrazione che il racconto esercita sul lettore fin dall’inizio quasi contro la nostra volontà309.

Sono diverse le questioni aperte da queste affermazioni. Innanzi tutto la strenua difesa della contingenza. Ogni evento conserva la propria contingenza pur essendo accettabile, comprensibile310. L’evento stesso è in sé comprensibile, intelligibile. D’altra parte però Gallie afferma, in linea con Danto, che il significato di un evento emerge retrospettivamente e in relazione ad un evento successivo. Come abbiamo visto, spingendosi oltre, considera significativo l’evento in relazione al contributo che fornisce allo sviluppo della storia. Il problema che si pone, dunque, è se questo suo tentativo di garantire l’intelligibilità e allo stesso tempo la contingenza dell’evento, non fallisca in seguito alla subordinazione di quest’ultimo ad una nuova struttura o tipo di generalizzazione. Se manteniamo la particolarità dell’evento e il fatto che la successione attraverso la quale si sviluppa la storia è assolutamente contingente, dovremo probabilmente considerare come tipici anche se non come assolutamente necessari i nessi che si istituiscono tra quegli eventi311.

Ritengo che il tentativo di Gallie rivesta una notevole importanza e trovi nella rilevanza assegnata alla dimensione della temporalità il suo punto forte. L’idea che la connessione logica su cui si fonda l’intellegibilità della storia possa essere colta soltanto retrospettivamente consente in

309 Cfr. W. B. Gallie, Philosophy and the Historical Understanding, op. cit., pp. 22 e 28.

310 Il termine contingenza, secondo Mink, viene usato da Gallie esclusivamente in senso fenomenologico: contingente

sarebbe allora ciò che non è ancora prevedibile, ciò che è sconosciuto nel momento in cui si legge per la prima volta una storia. Il finale di una storia di omicidio sarebbe dunque contingente la prima volta che si percorre in avanti la storia. Ma quando si ripercorre a ritroso la storia, e ciò è quanto fa lo storico, quegli stessi eventi non possono più essere considerati come contingenti. La critica di Mink mi sembra accettabile solo in parte. Infatti è vero che quella relazione di continuità, quella connessione interna che lega gli elementi di una storia smette di essere inaspettata e non prevedibile perché non ancora conosciuta quando si legge per la prima volta la storia; d’altra parte ritengo abbia ragione Dray quando fa notare che Gallie non considera contingente semplicemente ciò che ancora non è stato spiegato o compreso, ma ciò che pur essendo ormai noto e spiegato sfugge a determinati modelli e tentativi di spiegazione. L’evento rimane contingente anche quando lo storico ha già ricostruito una storia perché continua a considerarlo non deducibile da generalizzazioni in base alle quali diverrebbe prevedibile (cfr. W.H. Dray, On the Nature and Role of Narrative in

History, op. cit., pp. 125-126). C’è da dire però che è proprio quel tipo di spiegazioni, fondato su generalizzazioni, che

secondo Mink caratterizza la “lettura riflessiva” dello storico, il quale pur conoscendo il finale della storia cerca di