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Dalla realtà alla narrazione

I. NARRAZIONE E STORIOGRAFIA NEL PANORAMA FILOSOFICO CONTEMPORANEO

I.3 I L NARRATIVISMO

I.3.4 Hayden White: la spiegazione mediante l’intreccio

I.3.4.5 Dalla realtà alla narrazione

Con la sua teoria formale dell’opera storica culminante nella ripresa della teoria dei tropi linguistici White mette in risalto il carattere, potremmo dire, per nulla asettico o ingenuo della forma di discorso in cui consiste ogni narrazione storica. Viene a cadere in tal modo e in maniera più radicale qualsiasi possibilità di considerare la narrazione come forma di discorso adatto alla realtà storica perché intesa come calco fedele di essa.

Con White si pongono quindi in maniera ancor più radicale i problemi relativi al rapporto tra narrazione e realtà o più semplicemente il problema della verità. E questo per diversi motivi. Innanzi tutto le operazioni di prefigurazione che lo storico mette in atto, come si è visto, precedono e in qualche modo costituiscono lo stadio successivo di concettualizzazione consapevole del campo storico. Tali operazioni di prefigurazione sono affini a quelle strategie finalizzate alla spiegazione stessa degli eventi, le quali vengono scelte non sulla base di ragioni epistemologiche, ma sulla base di ragioni morali ed estetiche. Si pone quindi la difficoltà di rintracciare una metodologia o una criteriologia che consenta di scegliere e valutare le strategie e le strutture di ogni resoconto.

399 Ivi, p. 50. 400

Ivi, p. 51.

Il problema della verità deriva dal fatto che è possibile avanzare narrazioni contrastanti degli stessi avvenimenti e considerarle tutte ugualmente plausibili. Ciò è possibile perché «le versioni narrative non sono formate solo da affermazioni fattuali (singole proposizioni esistenziali) e da argomenti; consistono anche di elementi poetici e retorici grazie ai quali quel che altrimenti sarebbe una lista di fatti si trasforma in una storia»402. È possibile quindi fornire una versione narrativa diversa senza per questo fare violenza alle fonti fattuali, ma semplicemente assegnando agli eventi significati diversi attraverso la scelta di diverse strutture di intreccio.

Questa presa di posizione “antirealistica” era già emersa da quanto è stato detto sulle narrazioni attraverso le distinzioni tracciate tra esse e le forme annalistiche e cronachistiche, e sulle operazioni di prefigurazione su cui si fondano quelle di ricostruzione del passato e da cui derivano importanti implicazioni relative al nesso tra narrazione e realtà. Come si è visto a proposito della trattazione delle caratteristiche della storiografia annalistica, presupposto di base che guida l’analisi di White sullo sviluppo della nostra coscienza storica, è quello del riconoscimento di una pretesa di “realismo” che caratterizza ogni tentativo di ricostruzione storica, indipendentemente dalla forma che essa assume e soprattutto la necessità di individuare la concezione della realtà su cui si fonda la scelta di ciascun tipo di resoconto storico. Tale presupposto in realtà mette da subito in evidenza l’intenzione di sottolineare l’impossibilità di stabilire quanto legittime siano quelle diverse pretese di realismo, nella misura in cui ciascuna pretende di essere assoluta e quindi esclusiva.

Nell’ambito di una riflessione sul rapporto tra narrazione e realtà il primo aspetto da considerare ha a che fare con il riconoscimento che «nessun insieme dato di eventi storici casualmente registrati può costituire una storia in sé; al più, gli eventi possono offrire allo storico elementi per una storia. Gli eventi sono trasformati in una storia attraverso la soppressione o la subordinazione di alcuni di loro e la sottolineatura di altri»403. Bisogna tener conto innanzi tutto di un elemento di selezione guidata da un criterio di rilevanza, che come si è visto all’inizio distingue fortemente la narrazione dal resoconto annalistico, laddove quest’ultimo costituisce una semplice registrazione degli eventi per il solo fatto che sono accaduti.

Inoltre, il secondo aspetto da rilevare è che l’operazione di trasformazione degli elementi forniti dal documento in elementi di una storia avviene attraverso ripetizione di motivi, variazioni di toni, cambiamenti del punto di vista, strategie descrittive alternative e «tutte quelle tecniche che normalmente ci aspetteremmo di trovare nell’intreccio di un romanzo o di un pezzo teatrale»404.

402

H. White, “Historical Emplotment and the Problem of Truth”, in AA. VV., Probing the Limits of Representation.

Nazism and the “Final Solution”, a cura di S. Friedlander, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1992, pp. 37-53,

trad. it. “Le strutture d’intreccio nelle rappresentazioni storiche e il problema della verità” in Id., Forme di storia, op.

cit., p. 88.

403

H. White, “The Historical Text as Literary Artifact”, op. cit., p. 18.

Questa affermazione segna uno scarto tra narrazione e realtà, come sottolinea White dicendo che «nessun evento storico è intrinsecamente tragico, può solo essere concepito come tale da un particolare punto di vista o dall’interno del contesto di un insieme strutturato di eventi di cui è un elemento che gode di un posto privilegiato»405, e soprattutto l’avvicinamento della storia alla letteratura. La narrazione storica infatti può essere definita, seconda White, un «artefatto verbale»406.

Inoltre, il fatto che le situazioni storiche non abbiano in sé significati intrinseci fa sì che la scelta del modello di configurazione che più si adatta ad esse dipende interamente dal singolo storico407.

È per questo motivo che troviamo resoconti storici ugualmente autorevoli che raccontano gli stessi eventi configurandoli però con diverse strutture di intreccio. E non si può dire, afferma White, che tra gli autori di quei resoconti uno avesse una maggiore conoscenza dei fatti rispetto agli altri. Semplicemente essi avevano idee diverse circa il tipo di storia che si adattasse meglio ad essi. Né si deve pensare che quegli storici raccontarono storie diverse per il fatto di aver scoperto tipi diversi di fatti, ad esempio politici piuttosto che sociali; in realtà «essi sfruttarono generi diversi di “fatti” perché avevano tipi diversi di storie da narrare»408, tutte ugualmente plausibili. E ciò avviene perché le loro scelte di strategie esplicative non si fondano affatto su ragioni di carattere epistemologico, ma su ragioni di tipo extrastorico: ideologiche, estetiche e mitiche409.

Dunque, se i fatti non sono in se stessi né tragici né comici né romantici,

come si debba configurare una specifica situazione storica dipende dall’abilità dello storico di far

corrispondere una specifica struttura d’intreccio a un complesso di eventi storici cui egli desidera attribuire un significato di tipo particolare. Questa è essenzialmente un’operazione letteraria, cioè di costruzione fantastica, e chiamarla così nulla toglie allo status delle narrazioni storiche in quanto forniscono un certo tipo di conoscenza410.

Ciò che viene messo in dubbio allora non è la funzione conoscitiva svolta dalla narrazione. Infatti tale status verrebbe intaccato soltanto se credessimo che

la letteratura non ci insegni nulla sulla realtà, ma sia un prodotto dell’immaginazione appartenente a un mondo diverso, non-umano. Dal mio punto di vista avvertiamo l’“elemento di fantasia” nella storia

405 Ibidem. 406 Ivi, p. 16.

407 Cfr. ivi, pp. 18-19. Ciò apre la questione che White affronta nel saggio “Historical Emplotment and the Problem of

Truth” in cui si chiede se non vi siano dei limiti nella scelta del tipo di intreccio quando si tratta di fornire resoconti di fatti quali la Soluzione finale. Il problema riguarda, in ogni caso, la distinzione che White fa tra ragioni epistemologiche e ragioni etiche per la scelta di un intreccio piuttosto che di un altro.

408 H. White, “The Historical Text as Literary Artifact”, op. cit., p. 19. 409

Cfr. ibidem.

come una “spiegazione” per la stessa ragione per cui attribuiamo alla grande letteratura il potere di illuminare un mondo che visitiamo insieme all’autore. In entrambi i casi riconosciamo le forme con cui la coscienza costituisce e prende possesso del mondo in cui cerca di vivere bene411.

Dunque l’accostamento della storia alla letteratura non mira affatto alla destituzione del carattere conoscitivo della prima, ma piuttosto al riconoscimento del suo carattere immaginario che consente di spostare l’insegnamento della storia ad un livello di autocoscienza più alto. Tale riconoscimento consentirebbe di evitare agli storici di cadere vittima di preconcetti ideologici e di confonderli con «la percezione “corretta” di “come le cose veramente sono”»412.

L’elemento finzionale che caratterizza le narrazioni, reali e immaginarie, non consente di considerare la narrazione come «un “contenitore” neutro del fatto storico, una modalità di discorso “naturalmente” adatta a rappresentare in maniera diretta gli eventi storici» come suggerirebbe il fatto che solitamente essa si serve di linguaggi «cosiddetti naturali o quotidiani»413 anziché di linguaggi tecnici. Né consente di credere, come invece accade nell’ambito dell’establishment degli studiosi, che gli eventi stessi siano organizzati già in storie reali che attendono esclusivamente di essere raccontate o scoperte. Le narrazioni, afferma White, non sono affatto delle rappresentazioni immediate e intuitive di storie esistenti nella realtà, ma enunciati fattuali, «costruzioni verbali, i cui contenuti sono tanto inventati quanto trovati e le cui forme hanno più in comune con i loro corrispettivi nella letteratura di quanto abbiano con quelli nelle scienze»414. Esse forniscono alla realtà una coerenza e un significato che essa non possiede, rispondendo così ad una nostra aspirazione. È solo nella narrazione che la realtà assume «la maschera di un significato, la cui completezza e la cui pienezza possiamo solo immaginare, mai esperire»415.

È in base al nostro desiderio di rintracciare negli eventi coerenza e integrità e in base alla volontà degli storici di individuare una forma di rappresentazione che rispondesse all’esigenza di una disciplina, la storia, dotata del carattere dell’oggettività, che la narrazione è stata trasformata «da una maniera di parlare in un paradigma della forma che la realtà stessa mostra a una coscienza “realistica”» 416. Agli storici si deve dunque l’idea che la forma narrativa di un discorso che ha a che fare con eventi reali possiede in sé obiettività, serietà e realismo.

Il tentativo di individuare una forma di rappresentazione “diretta” della realtà è stato compiuto anche nell’ambito della teoria letteraria, la quale ha sostenuto che nel discorso narrativizzato, aspetti

411 Ivi, p. 34.

412 Cfr. ivi, pp. 34-35. 413

H. White, “Historical Emplotment and the Problem of Truth”, op. cit., p. 87.

414 Cfr. ibidem e “The Historical Text as Literary Artifact”, op. cit., p. 16. 415 H. White, “The Value of Narrativity in the Representation of Reality”, p. 56.

416 Ivi, p. 59. White fa notare, sulla base della trattazione delle forme annalistiche e cronachistiche, che se fosse

semplicemente una questione di realismo anche quelle forme dovrebbero essere considerate come paradigmi dei modi in cui la realtà si dà alla percezione (cfr. ivi, pp. 59-60).

come l’assenza di riferimenti al narratore, consentirebbero agli avvenimenti di «raccontarsi da soli». Ma, obietta White, gli eventi non dovrebbero affatto raccontarsi da soli. Essi dovrebbero invece limitarsi ad essere. L’artificiosità dell’idea che gli eventi dovrebbero parlare da soli è in fondo dimostrata dal ritardo con cui il discorso storico è stato inventato e dalle difficoltà derivanti da ogni tentativo di trasposizione narrativa degli eventi. Se essi parlassero da soli non ci troveremmo di fronte a tali difficoltà417.

La credenza che gli eventi possano essere correttamente rappresentati è in realtà fondata sul desiderio o su un impulso psicologico a considerare gli eventi come già naturalmente narrativizzati418.

Vi è dunque un bisogno profondo di credere che la realtà possieda quella coerenza che in effetti noi vi attribuiamo attraverso la sua configurazione in un intreccio. In realtà i vari intrecci in cui ci vengono raccontate diversi tipi di storie non sono altre che «immagini dell’autorità che ci convoca a partecipare dell’universo morale che senza la sua forma di storia non eserciterebbe alcuna attrazione»419. La funzione di conferire significato agli eventi è quindi strettamente connessa, secondo White, alla funzione moralizzante che ogni storia svolge. La stessa richiesta di conclusione basilare in ogni racconto, e assente nelle altre forme di rappresentazione storiografica, costituisce un’esigenza «di significato morale, una richiesta affinché le sequenze di eventi reali siano valutate secondo la loro rilevanza come elementi di un dramma morale»420. Del resto in che cosa potrebbe consistere una chiusa narrativa se non nel passaggio da un ordine morale all’altro? Non si può certo pensare alla fine di un racconto di eventi reali intesa come fine definitiva, come se in quel momento la realtà scomparisse e che gli eventi all’improvviso smettessero di accadere.

Questa dimensione morale è tale da essere rintracciata e nella necessità di un giudizio morale da parte del narratore sugli eventi, e nel riferimento imprescindibile, come si è visto, delle storie ad un sistema sociale che costituisce non solo la fonte di quei criteri di giudizio che permettono di sanzionare gli eventi di una storia, ma che consentono anche di stabilire quali eventi sono degni di essere inseriti in una storia e pertanto di essere ricordati. È un aspetto che abbiamo visto mancare nelle altre due forme di resoconto analizzate, nelle quali gli eventi vengono registrati per il semplice fatto di essere accaduti. È un aspetto così peculiare alla narrazione che nel momento in cui la sensibilità morale viene meno manca la stessa narrazione. Ciò vuol dire che laddove c’è narrazione il senso morale e l’impulso a moralizzare gli eventi sono presenti421.

417 Cfr. ivi, pp. 38-39. 418 Cfr. ivi, p. 40. 419 Ivi, p. 57. 420 Ibidem. 421 Cfr. ivi, p. 59.

Alla funzione moralizzante e di conferimento di significato della narrazione si accompagna indissolubilmente quella di una mediazione tra il documento storico e il pubblico, tra una realtà ancora priva di coerenza e una realtà che acquista tale coerenza mediante la sua organizzazione in un intreccio narrativo. Tale intreccio, come abbiamo visto, viene scelto liberamente dallo storico, il quale però nell’avvicinarsi alle fonti «porta con sé un’idea dei modelli di configurazione degli eventi che possono essere riconosciuti come storie dal pubblico per cui egli scrive»422. I modelli di configurazione che lo storico usa sono infatti appartenenti ad una cultura a cui appartiene lo stesso lettore il quale è così in grado di riconoscere e comprendere il senso che lo storico ha attribuito agli eventi. È solo in virtù di questa possibilità di riconoscere quelle forme, attraverso la quale la sua cultura di appartenenza fornisce senso al passato, sia pubblico che privato, che la narrazione può effettivamente svolgere una funzione di mediazione rendendo familiari, attraverso la loro codificazione in strutture note, eventi che sono inizialmente estranei, a volte addirittura traumatici. La familiarità delle forme letterarie di cui si serve lo storico è quindi fondamentale. Infatti, come ha sostenuto Collingwood, «non si può mai spiegare una tragedia a qualcuno che non sia già avvezzo ai tipi di situazione che sono considerati “tragici” dalla propria cultura»423.

Lo storico può scegliere tra le forme di codificazione offerte dalla sua cultura certo di rendere comprensibile e familiare ciò che prima non lo era perché egli

condivide con il suo pubblico idee generali delle forme che devono essere assunte da situazioni umane pregne di significato in quanto lo storico partecipa ai processi specifici di attribuzione di senso che lo identificano come membro di uno specifico ambiente culturale424.

Usando le tecniche del linguaggio figurativo proprie della sua tradizione culturale lo storico non si limita a descrivere gli eventi ma indica la direzione nella quale essi devono essere visti. In questo senso la narrazione svolge una funzione di mediazione che ci permette di parlare di essa nei termini di una «metafora estesa» che non si limita a riprodurre gli eventi, ma indica la direzione in cui pensarli e attribuisce ai nostri pensieri su di essi diverse valenze emozionali. Essa «non immagina le cose che indica; richiama alla mente immagini delle cose che indica, come la metafora»425. Le storie dunque sono strutture simboliche che assimilano gli eventi a forme con le quali abbiamo già consuetudine perché appartenenti alla nostra cultura letteraria.

422 H. White, “The Historical Text as Literary Artifact”, op. cit., p. 19. Ultimo corsivo mio. 423 Ibidem.

424

Ivi, p. 20 e p. 34.