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Storia e cronaca

I. NARRAZIONE E STORIOGRAFIA NEL PANORAMA FILOSOFICO CONTEMPORANEO

I.3 I L NARRATIVISMO

I.3.1 La frase narrativa nella riflessione di Arthur C Danto

I.3.1.2 Storia e cronaca

Questi aspetti della narrazione emergono ulteriormente dalla serrata critica che Danto muove all’“antipatica” distinzione tra mera cronaca e storia propriamente detta, secondo la quale «la cronaca è un resoconto di ciò che accade e nulla di più» a cui la storia propriamente detta avrebbe il compito di attribuire un significato243. A tale distinzione corrisponde quella proposta da Walsh tra narrazione semplice (plain) nella quale lo storico si limita inizialmente a fornire una semplice ed esatta descrizione dell’accaduto, e narrazione significativa (significant) in cui a partire da quella

240 Ivi, p. 194 241 Ibidem 242

A questo proposito Louis Mink fa notare come Danto, nell’indicare i motivi dell’incompletezza e della relativa non definitività della conoscenza storica ponga l’accento soprattutto sul fatto che la possibilità di nuove revisioni dei resoconti storici dipenda soprattutto, oltre che dall’ignoranza del futuro e dall’inevitabile tendenza alla selezione, dall’acquisizione di nuove tecniche di conoscenza che potrebbero consentire di giungere a nuove informazioni sul passato e di rintracciare per la prima volta, per esempio, le cause della morte di un personaggio storico in malattie non diagnosticabili in precedenza. Mink sottolinea invece l’importanza che riveste il cambiamento dei concetti e dei sistemi concettuali da cui possono dipendere nuove revisioni. In effetti Danto assegna grande importanza alle prove concettuali (conceptual evidence) nell’ambito della costruzione di resoconti storici: esse ci consentono di fornire resoconti intelligibili anche di eventi rispetto ai quali abbiamo scarse prove documentarie. Tuttavia, nota Mink, Danto non tiene conto della storia e dunque del cambiamento che determinati sistemi concettuali possono subire nel tempo. Questa considerazione è tanto più importante se si considera il fatto che i concetti appartengono alle narrazioni storiche in due modi: da una parte essi guidano la nostra comprensione degli eventi passati, dall’altra essi possono essere, almeno in parte, costitutivi delle azioni passate, nel senso che essi guidano i soggetti agenti nella comprensione di ciò che stanno facendo. Ciò significa che la comprensione di determinate azioni del passato necessita del riferimento a concetti che possono non appartenere più al nostro sistema concettuale.

Come fa notare Mink, Danto non si occupa di queste asimmetrie concettuali con la stessa lucidità con cui tratta le asimmetrie del linguaggio temporale. Egli, in tal modo, non chiarisce bene la sua posizione rispetto al dibattito sulla possibilità di conoscere la storia acquisendo una conoscenza di essa assimilabile a quella degli stessi attori (secondo la teoria del reenactment di Collingwood) o diversa da essa (secondo l’approccio delle scienze sociali). Danto, dunque, lascia aperte entrambe le possibilità.(L. O. Mink, Philosophical Analysis and Historical Understanding, in “Review of Metaphysics”, 21, 1968, pp. 667-698, ora in Id., Historical Understanding, Cornell University Press, Ithaca – London 1987, pp. 140-142)

243 Cfr. A. C. Danto, Analytical Philosophy of History, op. cit, pp. 160-161. La critica a tale distinzione risulta essere

particolarmente significativa nell’ambito di questo lavoro poiché stabilisce i termini in cui il rapporto conoscitivo con la realtà storica viene posto. Non si tratta di distinguere una forma di conoscenza “rispettosa” dell’oggettività storica e in questo senso fedele ad essa, da un’altra che invece comporti l’accesso ad un livello ulteriore, altro rispetto quello del puro rendiconto oggettivo o della pura e semplice percezione dei fatti. L’idea che si fa strada in tal modo è quella di una forma di conoscenza in cui la soggettività, che si declina anche come immaginazione storica e razionalità, è fortemente e inevitabilmente implicata (cfr. Id., “Spiegazione storica, comprensione storica e scienze umane”, in La teoria della

semplice, lo storico tenta di fornire una spiegazione dei fatti244. Così intese la narrazione semplice e quella significativa corrisponderebbero rispettivamente alla cronaca e alla storia.

Danto rifiuta queste distinzioni affermando che «la storia è un tutto unico. Lo è nel senso che non esiste nulla che si possa chiamare descrizione pura rispetto a qualche altra cosa che si chiami interpretazione»245. Ciò ha come prima conseguenza il fatto che «la storia come imitazione o duplicazione del passato è un ideale impossibile»246.

La sua critica alla suddetta distinzione consente inoltre di fissare alcuni tratti distintivi e della narrazione e della sua teoria della storia. Danto infatti sostiene innanzi tutto che una narrazione, semplice o significativa, per essere tale deve soddisfare ulteriori condizioni rispetto a quelle generalmente indicate: riportare eventi realmente accaduti e in ordine cronologico (narrazione semplice) e spiegare ciò che accaduto (narrazione significativa). Con vari esempi Danto dimostra che queste caratteristiche non sono affatto sufficienti a definire una narrazione.

Perché si possa parlare di narrazione è necessario che vi sia un «qualcosa in più» e «qualunque cosa sia, deve essere invariante rispetto alla distinzione tra narrazioni semplici e narrazioni significative e che non può conseguentemente servire per distinguere le une dalle altre»247.

Un elenco non è una narrazione, né semplice né significativa248. L’asserzione S «Naram-Sin costruì il Tempio del sole a Sippar; poi Filippo III esiliò i Moriscos; poi Urguiza sconfisse le forze di Buenos Aires a Cepada; poi Arthur Danto si svegliò allo scoccare delle 7 il 20 ottobre 1961»249, ad esempio, non è affatto una narrazione. Così come non lo è l’affermazione «Napoleone perdette». Ciò significa che la caratterizzazione della narrazione semplice come percezione di quanto è accaduto distinta dalla spiegazione non regge: se si intende per narrazione semplice un’affermazione simile a quella precedente non ci troviamo di fronte ad una narrazione, ma a qualcosa di diverso e viceversa «una narrazione che spieghi, dice proprio che cosa realmente accadde e in tal modo si qualifica come una narrazione semplice»250. Se così è, che cosa di diverso una narrazione significativa? «Essa non può fare nulla, oltre a dire esattamente che cosa accadde, se

244 Cfr. Ivi, p. 161 e W. H. Walsh, Introduction to Philosophy of History, Hutchinson, London 1953, p. 31 e Id., Plain

and Significant Narrative in History, in “The Journal of Philosophy”, 55, 1958, pp. 479-484.

245

A. C. Danto, Analytical Philosophy of History, op. cit, p. 159. La distinzione crociana tra cronaca e storia, o tra narrazione semplice e narrazione significativa, è sostenuta da diversi pensatori, soprattutto narrativisti. W. H. Dray, per esempio, difende la teoria di Walsh dalle critiche di Danto, il quale non avrebbe affatto dimostrato, come vedremo più avanti, l’infondatezza di quella distinzione (cfr W. H. Dray, On the Nature and Role of Narrative in History, in “History and Theory”, 10, 1971, pp. 153-171, ora in Id., On History and Philosophers of History, E. J. Brill, Leiden – New York – Kobenhavn – Koln 1989, pp. 115-124). Tale distinzione viene sostenuta anche da M. White in Foundations of

Historical Knowledge, Harper – Row, New York 1965 e da H. White, in Metahistory, Baltimore, John Hopkins

University Press, 1973, trad. it. Retorica e storia, Guida, Napoli 1978, pp. 14-16, e in The Structure of Historical

Narrative, “Clio”, I, 1972, pp. 15-16.

246 A. C. Danto, Analytical Philosophy of History, op. cit, p. 159. 247 Ivi, p. 163.

248 Cfr. ivi, p. 166. 249

Ivi, p. 162.

deve restare una narrazione storica. Quindi la distinzione [tra narrazione semplice e narrazione significativa] non può essere fatta nella storia»251. Walsh ha definito la narrazione semplice come ciò che deve riportare, secondo l’insegnamento di Ranke, ciò che è accaduto. Ma, aggiunge Danto, la narrazione dice sempre ciò che accaduto e non può che dirlo spiegando. Pertanto, conclude, «mi sembra giusto dire che non esistono due tipi di narrazioni storiche»252. La caratterizzazione di narrazione fornita da Ranke, qualunque interpretazione sia stata data di essa, «è una caratterizzazione ammirevole di ciò che gli storici cercano di fare […] in quanto gli storici descrivono ciò che è accaduto per mezzo di narrazioni»; detto questo bisogna aggiungere «che la narrazione è un modo di organizzare le cose e quindi “va al di là” di ciò che è dato», essa consiste nel “fornire un’interpretazione”253.

Danto riconosce la problematicità della relazione semantica tra narrazione e “storia-come-realtà” e anche la complessità delle condizioni di verità delle narrazioni. Ma ribadisce che, per quel che riguarda il genere, «la storia è omogenea. Ogni tipo di narrazione, supponendo che vi fossero diversi tipi di narrazioni, richiederebbe e presupporrebbe criteri di pertinenza, secondo cui le cose andrebbero incluse ed escluse. Penso che ciò significhi che il resoconto massimamente dettagliato, il duplicato ideale della “storia-come-realtà”, non sarebbe una narrazione»254.