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Storia, cronaca e annali

I. NARRAZIONE E STORIOGRAFIA NEL PANORAMA FILOSOFICO CONTEMPORANEO

I.3 I L NARRATIVISMO

I.3.4 Hayden White: la spiegazione mediante l’intreccio

I.3.4.2 Storia, cronaca e annali

Nella sua Prefazione a Metahistory, White inizia a distinguere diversi livelli di concettualizzazione dell’opera storica e individua nella cronaca e nella storia gli «elementi primitivi» del resoconto storico i quali costituiscono già un primo livello di selezione e di combinazione dei dati forniti dal documento storico.

Storia e cronaca incominciano a delinearsi come strumento di mediazione tra la fonte storica pura e semplice e il pubblico particolare a cui esse sono destinate. Come afferma lo stesso White «l’opera storica rappresenta un tentativo di mediazione fra quello che chiamerò il “campo storico”, il “documento storico” non elaborato, “altri resoconti storici” e un “pubblico”»363.

Nel testo qui citato vengono indicate le differenze essenziali tra cronaca e storia, in base alle quali la prima appare come un livello precedente rispetto alla seconda. White infatti definisce la cronaca come organizzazione degli elementi del campo storico secondo l’ordine cronologico del loro accadimento. Un’ulteriore combinazione di quegli elementi in uno “spettacolo o processo di svolgimento”, che abbia un inizio, una parte centrale e una fine trasforma la cronaca in storia. Ecco un primo elemento di distinzione: la cronaca non ha un inizio, un evento inaugurale, essa inizia quando lo storico incomincia a raccontare. E non ha una fine: in linea di principio potrebbe andare avanti all’infinito. Né ha parti culminanti o risolutive.

Altro elemento di distinzione: la storia fornisce motivi e significati, costituisce un «processo diacronico completo, su cui poi si possono fare domande come se si avesse a che fare con una “struttura sincronica” di relazioni»364. Nella cronaca ogni evento funziona come un elemento di una serie, mentre nell’elaborazione del resoconto narrativo «lo storico sistema gli eventi della cronaca in una gerarchia di significato, assegnando agli eventi diverse funzioni come elementi della storia in modo da svelare la coerenza formale di un’intera serie di eventi considerata come un processo comprensibile con un inizio, una parte centrale e una fine distinguibili»365.

In questo passaggio da cronaca a storia, nel quale lo storico solleva domande a cui deve rispondere nel corso dell’elaborazione della narrazione, quali “Cosa accadde poi?”, “Come accadde?” etc., emerge anche un altro elemento: il ruolo che la finzione svolge nel lavoro dello storico. Su questo elemento e sulla dimensione sociale e culturale che contraddistingue le storie e che è invece assente nelle cronache, White si sofferma più a lungo in alcuni saggi pubblicati tra il 1978 e il 1992. In particolare, nel saggio “Il valore della narrazione nella rappresentazione della realtà”, White esamina le differenze tra storia, cronaca e annali considerando gli ultimi due come

363 Ivi, p. 14. Più avanti tale funzione di mediazione verrà messa in evidenza in quanto peculiarità della narrazione

storica.

364

Ivi, p. 15.

forme di rappresentazione storiografica frutto di concezioni alternative rispetto a quella che sta alla base della forma moderna di storia, piuttosto che come forme imperfette di quest’ultima366. Secondo la doxa della comunità degli storici, cronaca e annali presentano una storicità imperfetta per la loro incapacità di fornire agli eventi una forma narrativa. D’altra parte neppure i caratteri propri della narrazione sono sufficienti a distinguere i tre generi o a rendere un resoconto storico una storia vera e propria. Perché possa essere definito tale, un resoconto storico deve, tra l’altro, mostrare un’adeguata attenzione per le fonti e per l’ordine cronologico degli accadimenti e soprattutto deve rivelare «una struttura, un ordine di significato, che gli eventi possiedono non come semplice sequenza»367. Annali e cronache non hanno affatto queste caratteristiche. I primi infatti mancano della componente narrativa e forniscono semplicemente liste di eventi secondo una sequenza cronologica; la cronaca mira alla forma narrativa ma non la raggiunge: essa è incapace di raggiungere una conclusione narrativa poiché essa non conclude, cioè non risolve ma semplicemente termina. Essa inizia a raccontare ma si ferma in medias res, cioè nel presente del cronachista368.

L’aspetto interessante che White individua alla base delle distinzioni tra cronaca, storia e resoconti annalistici fornite dalla coscienza storica moderna, la quale individua nella storia la forma storiografica perfetta, è quello relativo alla concezione della realtà che sottende ciascuna di essa. Nella mentalità dello storico moderno la narrazione risulta essere lo strumento più adeguato per il semplice fatto che «gli eventi si dispongono all’occhio attento dello storico come storie che attendono di essere dette, di essere narrate»369. Questa concezione imputa dunque all’annalista l’incapacità di cogliere la struttura narrativa della realtà. Ma, sostiene White, ciò che bisognerebbe chiedere è: quale concezione della realtà sta alla base della scelta di un resoconto di tipo annalista?370

Allo scopo di rispondere a questa domanda l’autore prende in considerazione il testo degli Annali di San Gallo, una lista di eventi accaduti in Gallia nei secoli VIII, IX e X, e contenuti nel

primo volume dei Monumenta Germaniae Historica.

366

Secondo il sapere ufficiale cronaca e annali costituiscono forme imperfette rispetto alla storia vera e propria che assume invece la forma della narrazione (cfr. H. White, “The Value of Narrativity in the Representation of Reality”, in Id. The Content of the Form. Narrative Discourse and Historical Representation, John Hopkins University Press, Baltimore 1987, pp. 1-25, trad. it. “Il valore della narrazione nella rappresentazione della realtà” in Id., Forme di storia, a cura di E. Tortarolo, Carocci, Roma, 2006, pp.40- 41).

367 H. White, “The Value of Narrativity in the Representation of Reality”, op. cit., p. 41. 368 Cfr. ibidem.

369 Ivi, p. 42. 370

Le considerazioni che White fa nel corso di questa trattazione e la sua intenzione di mostrare l’impossibilità di considerare ciascuna scelta tra le tre forme di resoconti storici esaminate come più “realista” rispetto alle altre mirano ad evidenziare l’infondatezza del realismo su cui si fonda parte del narrativismo. La sua idea è che la realtà non sia affatto strutturata narrativamente e che pertanto la scelta di scrivere storie piuttosto che cronache o annali non risponde affatto ad un’esigenza di maggiore attinenza al reale, di oggettività. Tale scelta risponde invece ad una determinata concezione della realtà.

Innanzi tutto il testo non mostra un necessario collegamento tra gli eventi registrati. Ciò che li caratterizza e sembra renderli quindi degni di essere registrati e ricordati è la loro natura liminale. Riguardano infatti la vita e la morte, la devastazione, le inondazioni, le carestie. I problemi riguardanti i bisogni di base.

Gli eventi sociali riportati sembrano avere la stessa rilevanza o irrilevanza di quelli naturali: sembrano essere incomprensibili allo stesso modo, privi di una particolare valenza. Vengono registrati semplicemente perché accaduti.

Non c’è nessuna notizia relativa a chi e quando abbia registrato quegli avvenimenti. E non c’è neppure un vero incipit. In cima alle due colonne, di dati e di eventi, vi è soltanto un titolo, ammesso che lo sia: Anni Domini. È l’aspetto della regolarità del calendario a segnare il “realismo” di questo resoconto, la sua intenzione di occuparsi di eventi realmente accaduti. Il calendario individua gli eventi non nel tempo dell’eternità o nella cornice mitica cui sembra rimandare la dicitura “Anni del Signore”, ma nel tempo cronologico e umanamente esperito. Ciò che lo caratterizza in modo peculiare è il fatto di non avere punti alti o bassi: «esso è, potremmo dire, paratattico e infinito. Non ha intervalli vuoti»371. E anche se l’elenco degli eventi è discontinuo, cioè presenta delle lacune, quello delle date è continuo e sembra conferire in tal modo coerenza e pienezza agli eventi che vengono registrati in relazione ad esse. Ciò significa che «la lista delle date può essere vista come il significato di cui gli eventi registrati nella colonna di destra costituiscono i significanti. Il significato degli eventi è la loro registrazione in questo genere di lista»372. È probabilmente questo il motivo per cui l’annalista non ha sentito l’ansia che avverte lo storico moderno quando si trova davanti lacune e discontinuità: a differenza dello storico moderno che «cerca la pienezza e la continuità in un ordine di eventi; l’annalista le ritrova entrambe nella sequenza degli anni»373.

C’è da chiedersi allora quale sia tra le due l’aspettativa più “realistica”. È proprio questa la domanda che guida l’indagine che White sta conducendo; essa ha un carattere certamente retorico, come mostra un’ulteriore considerazione dell’autore circa l’assenza di riferimenti, nel resoconto annalista, ad avvenimenti che noi consideriamo significativi. White fa notare che la tendenza a organizzare gli eventi secondo la loro rilevanza per una cultura o un gruppo, ne permette una rappresentazione narrativa, ma per niente universalistica: essa infatti si fonda sul criterio della selezione di ciò che lo storico/narratore ritiene rilevante per la comunità, cultura o popolo a cui appartiene. Dal punto di vista annalista ciò potrebbe rappresentare addirittura l’abbandono di un punto di vista neutrale e realistico, laddove questo dà luogo alla registrazione di ciò che è accaduto

371 Ivi, p. 44. 372

Ivi, p. 45.

per il solo fatto di essere accaduto. Dunque registrare gli eventi semplicemente man mano che si presentano, costituisce un modo molto più “universalistico” e “oggettivo”.

D’altra parte quest’ultima tendenza è indice dell’assenza di un carattere peculiare della narrazione: il riferimento ad un sistema sociale che “fornisce” i criteri stessi per la classificazione o l’organizzazione degli eventi in più o meno rilevanti. Se il resoconto annalistico sembra avere quella «brama di realtà» che si esplica nella registrazione di tutti e solo di quegli avvenimenti del cui accadere si può essere certi, la narrazione mira invece a fornire un quadro privo di discontinuità ma che è allo stesso tempo frutto di un processo di selezione. Posto dunque il medesimo obiettivo di riferirsi fortemente a ciò che è reale, ciò che distingue il resoconto annalistico e la relativa concezione della realtà che lo sorregge dalla narrazione può essere condensato nel seguente passo:

esso rappresenta un prodotto di un’immagine della realtà secondo cui il sistema sociale, l’unico che possa fornire gli indicatori diacritici per classificare l’importanza degli eventi, è solo minimamente presente alla coscienza dello scrittore o, piuttosto, è presente come fattore della composizione del discorso solo in virtù della sua assenza. Lungo tutta la composizione sono le forze del disordine, naturale e umano, le forze della violenza e della distruzione a occupare il centro dell’attenzione. Il resoconto annalistico si occupa più di qualità che di agenti, proponendo l’immagine di un mondo in cui gli avvenimenti accadono alle persone piuttosto che di un mondo in cui le persone agiscono sul loro ambiente374.

È evidente che la centralità riservata all’azione nelle storie è del tutto assente negli annali. Qui le azioni umane sembrano avere la stessa rilevanza degli eventi naturali che determinano le condizioni di abbondanza e di carestia. Come questi risultano essere del tutto incomprensibili. Viceversa la narrazione, nel suo tentativo di riempire vuoti e lacune, mira proprio a dare agli eventi un’immagine di coerenza, esaustività e significato. Esaustività e regolarità che la lista di eventi fornita dall’annalista non può avere perché essa manca di «una nozione di epicentro sociale rispetto a cui collocare gli uni nei confronti degli altri, assegnando loro un significato etico o morale […]. È l’assenza di un centro di questo tipo che gli preclude o elimina ogni possibile impulso a costruire il suo discorso nella forma di una narrazione»375.

Il problema della distinzione tra i due tipi di resoconto storico si gioca dunque non soltanto sul piano della forma ma anche su quello del contenuto, come ribadisce White riprendendo l’idea hegeliana secondo cui una versione genuinamente storica deve avere oltre alla forma narrativa anche un contenuto di tipo politico-sociale376, il quale secondo Hegel meglio si presta ad una

374 Ivi, p. 46. 375 Ivi, p. 47. 376

Cfr. ibidem. Il riferimento è a G. W. F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte 1837, trad. it.

rappresentazione narrativa nella forma del conflitto tra passione e legge. Gli attori di una narrazione, che sia essa reale o immaginaria, sembrano in effetti agire sempre a favore o contro un determinato sistema legale. L’assenza di un tale sistema di riferimento nella cronaca377, forma successiva nel processo di evoluzione delle rappresentazioni storiche rispetto all’annalistica, in quanto verte sempre su un soggetto centrale, prevede una suddivisione dei materiali per argomenti e giunge ad una maggiore esaustività, sembra confermare che la narrazione abbia nel suo riferimento alla legge, alla legalità, all’autorità, una delle sue peculiarità. Del resto, aggiunge White, «l’autocoscienza storica, il tipo di coscienza capace di immaginare il bisogno di rappresentare la realtà come storia, è concepibile solo nei termini del suo interesse per la legge, la legalità, la legittimità e così via»378. Questa affermazione ha come sua importante implicazione il fatto di pensare che ci sia una relazione tra lo sviluppo della coscienza storica e la concomitante acquisizione di una capacità narrativa da una parte e l’efficacia del sistema legale nell’influire sui comportamenti e sui pensieri umani dall’altra. In questa ottica se ogni storia può essere considerata come un’«allegoria, il cui obiettivo è la comunicazione di una morale o l’assegnazione agli eventi, reali o immaginari, di un significato che non possiedono come semplice sequenza», si può concludere che la sua finalità, manifesta o latente, sia «il desiderio di moralizzare gli eventi di cui tratta»379.