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Con la crisi stop all’espansione delle GVC »

3. Come si muove il manifatturiero italiano nelle catene globali del valore »

3.2 Con la crisi stop all’espansione delle GVC »

Il commercio globale, dopo essere cresciuto ad alti ritmi, più che doppi rispetto a quelli del PIL, negli anni Novanta e Duemila pre-crisi, ha fortemente rallentato negli ultimi cinque anni, avan- zando a un passo inferiore a quello del PIL. Di conseguenza, l’intensità degli scambi globali di beni e servizi, definita come il rapporto tra scambi e PIL, che era cresciuta di 14,0 punti per- centuali in venti anni, toccando un massimo pari al 31,1% del PIL nel 2008, dopo la caduta nel 2009 e il rimbalzo fino al 30,5% nel 2011, ha corretto al 30,2% nel 2014 ed è scesa al 27,0% del PIL nel 2016 (dati UNCTAD).

Le cause del rallentamento del commercio mondiale sono molteplici e connesse tra loro e hanno effetti molto persistenti, come analizzato in più occasioni dal CSC3. Tra di esse, gioca appunto

un ruolo importante lo stop all’espansione delle GVC.

Le altre principali cause sono legate alla debolezza della domanda finale di beni trade intensive, cioè i più forti attivatori degli scambi con l’estero, anche e proprio attraverso le filiere interna- zionali della produzione. In particolare, la normalizzazione della crescita cinese e degli altri emergenti, con una dinamica più contenuta del manifatturiero e degli investimenti, e il calo degli investimenti nei paesi avanzati, specie nell’Eurozona, causato anche dalle prospettive in- certe della domanda. Nel biennio 2015-2016, inoltre, si è aggiunto un freno congiunturale, do- vuto alla caduta dei prezzi delle commodity (connessa anche alla debole domanda della Cina e degli altri emergenti). Nel 2017 la parziale risalita delle quotazioni delle commodity e la ri- presa della domanda degli emergenti hanno favorito un’accelerazione del commercio globale. Ci sono, infine, anche fattori trasversali che contribuiscono al rallentamento degli scambi con l’estero, di prodotti sia finali sia intermedi, come l’affievolimento, già dai primi anni Duemila, del rapido processo di liberalizzazione degli scambi avvenuto negli anni Novanta e il crescente ricorso, durante la crisi, a nuove misure protezionistiche (per esempio, nell’industria digitale). È estremamente utile, allora, distinguere gli effetti dell’evoluzione delle GVC, specie rispetto a quelli della domanda finale, sulla dinamica del commercio mondiale.

Il CSC ha avviato, già nelle precedenti edizioni di Scenari industriali, un programma di analisi delle GVC4. Utilizzando le tavole input-output globali WIOD, che misurano gli scambi di beni

e servizi tra 56 settori e 43 paesi del Mondo dal 2000 al 2014, è possibile stimare a livello setto- riale gli scambi in valore aggiunto, cioè la parte dei beni e servizi esportati generata dentro i con- fini nazionali5.

Il commercio mondiale misurato in valore aggiunto è significativamente inferiore agli scambi lordi, perché esclude i doppi conteggi dovuti alle compravendite internazionali di input inter- medi. Secondo le stime CSC era pari al 20,2% del PIL nel 2014 (inferiore di 7,8 punti rispetto ai dati lordi; WIOD). La dinamica degli scambi in valore aggiunto è stata inferiore a quella degli scambi lordi fino al 2008, mentre è stata sostanzialmente uguale dopo il 2011. Ciò suggerisce che le GVC sono cresciute prima della crisi (inflazionando gli scambi lordi) e si sono sostanzialmente stabilizzate negli ultimi anni (o almeno fino al 2014, ultimo anno per cui sono disponibili dati). Più precisamente, le esportazioni in valore aggiunto possono essere scomposte in base al tipo di domanda estera che vanno a soddisfare: quella finale per consumi e investimenti ovvero quella di beni e servizi intermedi, utilizzati in ulteriori processi produttivi. Quest’ultima com- ponente è quella propriamente relativa alle GVC, cioè alle filiere internazionali di produzione; può essere ulteriormente suddivisa in base alla complessità, cioè alla lunghezza, delle GVC: in particolare (e per semplicità) è distinta in GVC corte, con un solo passaggio transfrontaliero, e in quelle lunghe, con più di un passaggio (per una descrizione più dettagliata di questa scom- posizione si veda il riquadro Misurare gli scambi commerciali con il valore aggiunto).

I risultati della scomposizione confer- mano che il valore aggiunto generato nelle filiere internazionali della produ- zione è aumentato velocemente fino al 13,5% del PIL nel 2008, dopo la caduta nel 2009 è tornato sui livelli pre-crisi e poi si è lievemente ridotto al 13,1% nel 2014. Ciò risulta da una dinamica molto simile delle due componenti: quella relativa alle GVC corte (8,0% del PIL nel 2014) e quella delle GVC lunghe (5,1%). Il valore aggiunto at- tivato dalle esportazioni di beni e servizi finali, invece, è aumentato più lentamente prima della crisi (al 7,5% nel 2008), è sceso di meno nel 2009 ed è poi rimasto sotto i livelli pre-crisi (7,1% nel 2014; Grafico 3.1).

4 Si veda Centro Studi Confindustria (2013), capitolo 6, e Centro Studi Confindustria (2014), pagg. 21-26 e 44-48.

5 Si veda www.wiod.org.

Grafico 3.1

Si è fermata l’espansione delle GVC

(Mondo, valore aggiunto attivato all’estero, in % del totale)

GVC corte: un passaggio transfrontaliero. GVC lunghe: due o più passaggi transfrontalieri. Fonte: elaborazioni e stime CSC su dati WIOD.

3,0 3,5 4,0 4,5 5,0 5,5 6,0 6,5 7,0 7,5 8,0 8,5 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 201 1 2012 2013 2014 Export finale GVC corte

Le GVC, quindi, si sono fortemente sviluppate nei primi anni Duemila, contribuendo alla cre- scita dell’intensità degli scambi mondiali; si sono, invece, stabilizzate e poi lievemente ridotte durante la crisi (fino al 2014), facendo venir meno il loro effetto propulsivo sul commercio estero. Secondo uno studio dell’Università di Groningen, l’aumento dell’intensità degli scambi negli anni Duemila pre-crisi è spiegato, nella stessa misura, dallo sviluppo delle GVC e da un effetto positivo della composizione della domanda finale, con una dinamica più robusta per i beni trade intensive; viceversa, la sua diminuzione durante la crisi è dovuta soprattutto a effetti negativi della composizione della domanda finale e, in misura minore, solo negli anni 2011- 2014, alla riduzione delle GVC6.

6 Si veda Timmer, Los, Stehrer e de Vries (2016).

Il valore di un prodotto finale, per consumi o investimenti, è pari, da un punto di vista con- tabile, alla somma del valore aggiunto dalle imprese in ogni fase del processo produttivo, pro- cesso che può richiedere numerosi passaggi intermedi. Gli scambi di semilavorati tra imprese, sia nello stesso settore sia in settori diversi, sono misurati nelle cosiddette tavole input-output o delle interdipendenze settoriali.

Come proposto originariamente da Leontief, è possibile scomporre il valore aggiunto di ogni settore in base alla domanda finale che lo ha attivato, cioè alla sua partecipazione alla pro- duzione di beni finali di ciascun altro settore (per consumi e investimenti). L’analisi di Le- ontief può essere estesa all’intera economia mondiale, utilizzando una tavola input-output globale, che cioè collega ogni settore s in un paese p con ciascun altro settore s’ nel paese p’. Si calcola così il valore aggiunto di ogni coppia settore-paese (s,p) attivato da ogni altra cop- pia (s’,p’).

Nel presente lavoro si utilizzano i dati WIOD (World Input-Output Database), che com- prendono 56 settori in 43 paesi (più un aggregato resto del Mondo) per il periodo 2000-2014. Il numero totale di scomposizioni risulta, così, superiore a sei milioni. Una massa enorme difficilmente gestibile. Seguendo una recente letteratura economica, allora, il valore aggiunto di ogni coppia settore-paese può essere scomposto in sole tre componenti, in base al tipo di domanda da cui è attivato: 1) la domanda finale interna, 2) le esportazioni finali (cioè rivolte a soddisfare direttamente la domanda finale estera) e 3) la produzione estera (cioè le espor- tazioni di prodotti intermedi a imprese estere, che vanno a soddisfare direttamente o indi- rettamente la domanda finale in qualunque paese).

La somma della seconda e della terza componente definisce le “esportazioni in valore ag- giunto”, cioè il valore aggiunto attivato dalla partecipazione ai mercati esteri. Solo la terza componente, però, cioè quella relativa alla produzione estera, rappresenta la partecipazione nelle GVC (global value chains), cioè nelle filiere di produzione che superano i confini nazio- nali. Questa partecipazione può essere ulteriormente scomposta in base al numero di pas- saggi transfrontalieri. Per semplicità, si considerano due casi: le GVC corte (un passaggio),