Misure di difesa commerciale: attuale normativa.
4.2. Dumping sovvenzioni misure di salvaguardia: principi fondamentali.
4.2.1. Concetto di dumping
Nel contesto dei rapporti economici internazionali si fa sempre più ricorso all’utilizzo del termine dumping per indicare genericamente pratiche scorrette o vantaggi economici conseguiti a causa del basso livello di tutela dei lavoratori o dell'ambiente vigenti in altri Paesi.
In realtà il termine dumping indica una specifica strategia commerciale, individuata per quanto di interesse del presente lavoro dal Regolamento del Consiglio n.1225 del 30 novembre 2009 “relativo alla difesa contro
importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Unione europea”73, abilita l’Unione ad imporre un dazio antidumping su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nel territorio europeo causi pregiudizio.
Secondo quanto si rinviene nel regolamento: “un
prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nell’Unione è inferiore rispetto ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel paese esportatore nel ambito di normali operazioni commerciali” ( art.1 n.2).
La fonte normativa in esame segue strettamente l'Accordo antidumping dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), elaborato nel corso del negoziato multilaterale dell’Uruguay Round del GATT conclusosi a fine 1994, parte integrale della complessa regolamentazione del commercio internazionale dello
stesso WTO74.
L’antidumping è quindi strumento lecito di reazione di uno Stato importatore, leso da un comportamento scorretto e pregiudizievole per la propria industria nazionale, che consente di proteggerla, introducendo dazi addizionali a quelli negoziati in sede multilaterale, in presenza delle condizioni richieste e a seguito di una rigorosa istruttoria.
L’esigenza di una normativa internazionale in grado di ridurre le aree di tensione tra gli Stati e di impedire che l’arbitrio dei singoli paesi possa avere il sopravvento costituisce, pertanto, il principale motivo ispiratore del vigente Accordo antidumping .
In tale contesto l'accertamento di una eventuale condotta illecita e il calcolo del suo ammontare sono affidati a un operazione molto complessa, condotta dalla Commissione, che si articola in tre fasi: la determinazione del “valore normale” del prodotto considerato; la determinazione del prezzo di esportazione; la comparazione tra il “valore normale” e il prezzo di esportazione.
Per lo svolgimento di ciascuna delle seguenti fasi sono previste nel regolamento dell'Unione regole precise. a) Per quanto concerne il “valore normale” per procedere alla relativa individuazione si utilizza il dettato di cui all'art 2 del Regolamento in parola il quale
74 Tale accordo disciplina, i presupposti,i limiti e le modalità di reazione dello Stato importatore nei confronti dei produttori- esportatori esteri i quali, praticano dumping, cagionando un pregiudizio alla industria nazionale di riferimento. Oggetto principale della disciplina OMC/WTO, è quindi l'antidumping e non il dumping (che non integra, di per sé, una pratica illecita). La normativa in esame, che ha come destinatari gli Stati e non direttamente le imprese, mira ad evitare che vengono adottate misure reattive per finalità meramente protezionistiche.
dispone :
“ Il valore normale è di norma basato di norma su prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore”.
A tal fine è necessario che, durante la conduzione dell’indagine la Commissione verifichi la sussistenza di una serie di condizioni in presenza delle quali il valore normale possa essere considerato attendibile.
La Commissione sarà tenuta, a valutare: la determinazione del paese di origine del bene; la similarità del bene; se le vendite siano effettuate nel corso di normali operazioni commerciali; a sufficiente quantità delle vendite nel mercato del paese esportatore75.
In alcune circostanze la regola prescritta per il computo del valore normale risulta del tutto inapplicabile, perché non è possibile accertare in alcun modo il prezzo del prodotto considerato nel mercato del paese esportatore. Ciò si verifica, ad esempio, quando nel mercato di riferimento non avvengono vendite di prodotti similari oppure si abbia un volume di vendite troppo basso per essere significativo. Un'altra ipotesi è quella di “una particolare situazione di mercato” nel paese esportatore, un concetto non ben definito dall’art. 2, ma che nella prassi degli Stati, viene posto, spesso in relazione alla situazione esistente nei paesi ad economia pianificata o in quelli ancora in transazione verso l’economia di mercato. Per superare le difficoltà che emergono in tutte le situazioni descritte, si può far ricorso a una serie di metodi alternativi di determinazione del valore normale
dettagliatamente descritti dall’art. 2 del regolamento comunitario.76
Il primo metodo alternativo per il calcolo del valore normale è previsto dall’art. 2.1 paragrafo2 del regolamento: “Qualora l'esportatore nel paese
esportatore non produca né venda il prodotto simile, il valore normale può tuttavia essere stabilito in base ai prezzi di altri venditori o produttori.”
La norma consente infatti alla Commissione di determinare tale valore facendo riferimento ai prezzi praticati da altri venditori e produttori nel caso in cui l’esportatore, nel paese di origine, non produca ne venda il prodotto simile. Ovviamente perché questo sistema funzioni, è necessario che il prezzo praticato nel mercato di riferimento sia rappresentativo e derivi quindi anche questa volta da “normali operazioni commerciali”.77 Alla luce delle precedenti osservazioni, si può ben
76 E’ opportuno ricordare che la comparazione tra il valore normale e il prezzo di esportazione determinerà margini di dumping e che l’autorità inquirente potrà avere interesse a determinare un valore normale più elevato di quello effettivo, in quanto più tale valore sarà elevato, maggiori saranno le possibilità per il paese importatore , di fare ricorso ai mezzi di reazione antidumping consentiti dal regolamento.
77 La sua applicazione appare ad ogni modo molto problematica
nella prassi , sia perché non è semplice individuare un paese terzo che presenti le caratteristiche appropriate , sia perché non sempre le autorità di un paese terzo forniscono la collaborazione necessaria per la conduzione dell’inchiesta antidumping. Inoltre, è probabile che anche le merci dirette verso un mercato terzo siano vendute ad un prezzo di dumping , o comunque ad un prezzo non molto elevato, per effetto di una strategia unitaria di affermazione sui mercati internazionali attuata da parte di una impresa o da un determinato settore produttivo del paese esportatore. Il paese importatore che conduca l’inchiesta antidumping risulta di conseguenza facilmente penalizzato dal ricorso a questo metodo , dato che esso produce di solito un valore normale dei prodotti inferiore a quello determinabile in base ad altri metodi.
comprendere perché in casi di impraticabilità della regola generale sulla determinazione del valore normale, si tende a seguire il secondo metodo alternativo.
L’art.2 comma3 del Regolamento consente, poi, il ricorso a metodi alternativi in situazioni in cui: “Nel corso di
normali operazioni commerciali, non vi sono vendite del prodotto simile, oppure se tali vendite riguardano quantitativi insufficienti oppure se tali vendite , a causa di una particolare situazione di mercato, non permettono un valido confronto.”
Questo viene detto metodo del “valore normale
costruito”, poiché consente appunto di costruire il valore
normale di un prodotto in base ai costi di produzione diretti e indiretti esistenti nel paese di origine del medesimo .78
L’art 2 comma3 paragrafo2 del Regolamento precisa inoltre che una “particolare situazione di mercato” è tra l’altro ravvisabile in presenza di prezzi artificialmente bassi, di accordi di compensazione e di altri regimi di perfezionamento non commerciali consenta il ricorso a metodi alternativi.
Riepilogando dunque in tali situazioni, poiché il calcolo del valore normale sarebbe impossibile o quantomeno non attendibile, il Regolamento stabilisce che lo stesso debba essere calcolato: in rapporto al prezzo comparabile di vendite all’esportazione di un prodotto similare verso un paese terzo appropriato ovvero mediante costruzione del valore normale basato sui costi di produzione ai quali
78 Il metodo in questione si propone di determinare approssimativamente il prezzo con il quale il prodotto esportato sarebbe stato venduto nel mercato interno del produttore oggetto di inchiesta.
devono essere aggiunti poi le spese amministrative di vendita , le spese generali e un margine di profitto. b) Per stabilire se un prodotto è oggetto di dumping, occorre confrontare il valore normale del medesimo calcolato alla luce di uno dei criteri illustrati , con il prezzo di esportazione dello stesso prodotto nel paese di importazione. L’art 2 paragrafo 8 del Regolamento definisce il prezzo di esportazione, “ il prezzo realmente
pagato o pagabile per il prodotto venduto per l’esportazione dal paese esportatore alla Comunità” .
E’ importante sottolineare che per “prezzo di esportazione” si deve intendere il prezzo del bene nel momento in cui giunge alla frontiera, (alla dogana del paese di esportazione), e non deve essere quindi confuso con il “prezzo di vendita al consumo” (quello al quale il bene viene rivenduto nel mercato di importazione). Il prezzo di bene al consumo contiene una serie di costi aggiuntivi, (rispetto a quello di esportazione), che normalmente gravano sull’imprenditore e dei quali non si deve tener conto ai fini del calcolo del suo valore alla dogana.
Anche in questo caso possono esservi delle situazioni in cui il prezzo del prodotto importato non può essere stabilito o possono esistere dei dubbi sull’attendibilità di tale prezzo. E anche questa volta sono previsti di conseguenza dei metodi alternativi di determinazione del prezzo fondati, sul prezzo al quale il prodotto importato è rivenduto per la prima volta ad un'acquirente indipendente, oppure su un prezzo di esportazione “ricostruito”. A riguardo l'art. 2 comma 9 del Regolamento consente, infatti, in tali ipotesi di ritenere come prezzo di esportazione (anche) quello: “al quel il
prodotto importato sia rivenduto a un acquirente indipendente, ovvero sia comunque determinabile secondo qualsiasi altro criterio ragionevole, in caso in cui il prodotto non venga rivenduto a un acquirente indipendente o non venga rivenduto nello Stato in cui è avvenuta la sua importazione .”
Il primo dei metodi innanzi ricordati ha finalità di determinare il prezzo di esportazione, (che sarebbe stato pagato dall’importatore indipendente), utilizzando quello praticato in una transazione successiva all’esportazione dall’importatore correlato verso un acquirente indipendente. Il regolamento prevede, inoltre che se il prodotto non venga rivenduto a un acquirente indipendente o non venga rivenduto nello Stato in cui è avvenuta la sua importazione, il prezzo di esportazione potrà essere determinato su qualsiasi altra base equa. Si fa riferimento ai casi in cui per esempio, il bene sia ceduto all'interno dell'Unione a un altro soggetto correlato ovvero non sia ceduto e al caso in cui il bene oggetto di indagine non si trovi più nello Stato importato in quanto trasformato.
Il Regolamento non offre, però, ulteriori indicazioni sul significato da attribuire all’espressione “su qualsiasi altra base equa” e inoltre l'Unione europea non ha mai fatto ricorso a tale metodo. In entrambi i casi in cui il prezzo di esportazione venga calcolato con metodo alternativo, il risultato raggiunto dovrà subire adeguamenti per evitare che dazi, imposte e altri costi intervenuti nel periodo compreso tra importazione e la rivendita, così come i profitti del importatore, siano computati nel prezzo di esportazione.
oggetto di indagine e il suo prezzo di esportazione, è necessario che i risultati ottenuti vengano confrontati tra loro al fine di verificare l’esistenza o meno di un margine di dumping, e più precisamente, l’importo di cui il valore normale supera il prezzo all’esportazione.
L’operazione, molto delicata, deve essere svolta con particolare attenzione ed è spesso causa del contenzioso oggetto di sindacato dell’organo di soluzione delle controversie.
Le prime regole del GATT contenute nel Tokyo Round
Antidumping Code, non assicuravano una corretta
comparazione, le autorità si sono avvalse di volta in volta, del metodo di comparazione che offriva loro la possibilità di pervenire al riconoscimento di un margine di dumping ovvero di un margine più elevato. L’accertamento di un margine di dumping positivo poteva quindi dipendere esclusivamente dal metodo utilizzato più che dall’effettiva differenza tra il valore normale e il prezzo di esportazione del bene.
Di conseguenza il Regolamento79 consente di accertare l’esistenza di un margine di dumping, l’importo di cui il valore normale supera il prezzo all’esportazione ) in base al confronto: tra la media ponderata del valore normale e la media ponderata dei prezzi di tutte le transazioni di esportazioni nella Comunità; tra i singoli valori normali e i singoli prezzi all’esportazione nella Comunità calcolati per ogni operazione; ovvero in base alla media ponderata del valore normale con il singolo prezzo di esportazione, ma tale metodo può farsi ricorso soltanto in casi eccezionali, nell’ipotesi in cui i prezzi all’esportazione
siano sensibilmente diversi 80.
Circa la verificazione della presenza dell'illecito in parola è necessario appurare la presenza di una “concorrenza imperfetta” ovvero il mercato può essere influenzato dalla determinazione dei prezzi operati dalle imprese o nel caso in cui il mercato si presenti tanto segmentato, da rendere non agevole la possibilità di acquistare beni in un mercato e rivenderli in un altro.
Solitamente si distingue in tre tipi: dumping predatorio,
dumping sporadico, dumping persistente.
Solo il primo reca danni sia per consumatori che per le
imprese.
Il dumping predatorio: è la vendita di un bene temporaneamente a sottocosto o a un prezzo più basso
allo scopo di spingere i produttori esteri fuori dal mercato e di poter poi elevare i prezzi avvantaggiandosi del potere di monopolio così acquisito ovvero per ampliare la propria quota di mercato estero e assicurarsi nuovi sbocchi alla produzione.
Il dumping persistente: integra un'ipotesi di
discriminazione internazionale dei prezzi ossia la
tendenza continua di un monopolista interno a
massimizzare i profitti totali vendendo il bene a un prezzo maggiore sul mercato interno che sul mercato internazionale.
Il dumping sporadico: è la vendita occasionale di un bene
sottocosto o a un prezzo più basso all’estero che all’interno allo scopo di disfarsi di una imprevista e temporanea presenza di un bene senza dover ridurre i costi interni.
Il dumping predatorio e in alcuni casi quello sporadico
hanno certamente un effetto negativo sul paese estero che importa il bene, quello persistente potrebbe anche essere positivo perché i consumatori nel paese importatore pagano un prezzo più basso del bene. Per neutralizzare gli effetti pregiudizievoli delle importazioni oggetto di dumping e ristabilire condizioni di concorrenza sleale viene applicata una misura
antidumping.
Secondo la normativa vigente, per applicazione di tale misura in genere sotto forma di dazio, è necessario che a seguito di un'indagine effettuata dall’autorità inquirente dello Stato di importazione venga riscontrato (oltre che al dumping) un pregiudizio all'industria nazionale o una minaccia di pregiudizio ovvero un sensibile ritardo nella creazione dell’industria nazionale. In assenza ti tali presupposti e di un nesso causale tra dumping e antidumping non è concessa quindi, la possibilità di applicare misure antidumping.