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L'Unione Europea e i mezzi di tutela commerciale.

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Academic year: 2021

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Indice

Prefazione.

...pag.4

Capitolo 1

Politica commerciale comune

1.1 Introduzione...pag.7 1.2 La politica commerciale comune nel TFUE... pag.8 1.3 La competenza esclusiva dell'UE nell'ambito della politica commerciale

comune...pag.15 1.4 Gli accordi commerciali stipulati dall'Unione europea: in particolare il GATT...pag.19

Capitolo 2

Strumento per la realizzazione del mercato

unico europeo: la libera circolazione delle

merci.

2.1 Introduzione...pag.25 2.2 La natura “interna” dell'unione doganale: divieto di dazi doganali e di tassa effetto equivalente fra gli Stati membri...pag.27 2.3 Divieto di restrizioni quantitative e di misure effetto equivalente...pag.31 2.4 Le eccezioni alle restrizioni quantitative ai sensi dell'articolo 36 TFUE...pag.34 2.5 La natura “esterna” dell'unione doganale: la tariffa doganale comune e la politica commerciale comune...pag.38

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Capitolo 3

Evoluzione storica della politica

commerciale comune in materia di

strumenti di difesa commerciale.

3.1 L'evoluzione della disciplina europea in attuazione delle disposizioni approvate nel tempo in sede GATT...pag.44 3.2 Il concetto di “sovvenzione” negli atti europei...pag.49 3.3 Le difficoltà incontrate nell'instaurazione della politica commerciale comune; il caso del regime comune applicabile alle importazioni (misure di salvaguardia)...pag.54

Capitolo 4

Le misure di difesa commerciale:

normativa attuale.

4.1 Introduzione...pag.58 4.2 Dumping, sovvenzioni, misure di salvaguardia: principi fondamentali...pag.63 4.2.1 Concetto di dumping...pag.63 4.2.2 Concetto di sovvenzione...pag.72 4.2.3 Concetto di salvaguardia...pag.79 4.3 Condizioni per istituire una misura...pag.81 4.4 Procedimento...pag.85 4.4.1 Elusione delle misure...pag.98 4.4.2 I diritti delle parti interessate...pag.100 4.5 Caratteristiche particolari delle misure di salvaguardia...pag.102 4.6 Impugnazioni delle misure...pag.105

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Capitolo 5

Nuovi obbiettivi dell'Ue nell'ambito della

politica commerciale in materia di

strumenti di difesa commerciale.

5.1 Introduzione...pag.106 5.2 Primo tentativo di riforma nel 2006-2007 “Libro Verde”: esito negativo a seguito di opinioni

divergenti...pag.108 5.3 La Commissione propone nel 2013 di modernizzare gli strumenti di difesa commerciale: emergono nuove esigenze nel commercio europeo volte a fronteggiare pratiche di concorrenza sleali...pag.115 5.3.1 Proposte per le quali è prevista una modifica

legislativa...pag.118 5.3.2 Prassi che richiede una codifica...pag.123 5.3.3 Proposte per le quali non è richiesta una modifica

legislativa ( inserite nella Comunicazione)...pag.126 5.3.4 Linee guida...pag 128 5.3.5 Spunti di riflessione...pag.129

Conclusioni

...pag.135

Bibliografia

...pag.139

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Prefazione

Il presente lavoro ha l'obbiettivo di fornire un contributo all'analisi della disciplina in materia di strumenti di difesa commerciale dell'Unione Europea.

In un'economia globalizzata le imprese dell'Unione devono competere sui mercati sia nazionali che esteri, affrontando numerose insidie concorrenziali, provenienti anche da Paesi terzi.

La continua e crescente internazionalizzazione del mercato fa emergere la necessità impellente per le imprese europee di rispondere alle sfide concorrenziali in modo efficace e tempestivo, avvalendosi di strumenti di difesa commerciale elaborati dal ordinamento europeo anche in considerazione dell'attuale crisi economica e della conseguente maggiore aggressività della condotta tenuta da ogni singolo operatore presente sul mercato. A riguardo, gli Stati membri dell'UE hanno elaborato una politica commerciale comune verso i Paesi terzi, finalizzata a favorire lo sviluppo del commercio mondiale attraverso l'abolizione delle restrizioni agli scambi e la riduzione di barriere tariffarie ed elaborando di conseguenza una politica doganale comune circostanza che postula la necessità di disporre meccanismi che assicurino il rispetto delle regole di una concorrenza leale tra le imprese anche nel più ampio contesto internazionale.

Le misure antidumping, antisovvenzione e di salvaguardia, sono le tre principali misure di difesa commerciale in essere conformemente alle norme

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commerciali internazionali e agli accordi stipulati in ambito OMC.

In tale contesto l'UE, in controtendenza rispetto a tutti i principali attori internazionali nonostante abbia fatto un uso moderato e con la minor incidenza economica possibile di tali misure, ha avviato nel 2012 un importante processo di riforma.

Invero, analoga circostanza si era verificata nel 2006, quando l'allora commissario dell'UE Mandelson tentò di effettuare una riforma che per molti aspetti aveva le stesse finalità ed caratteristiche di quella attualmente in discussione, ma non venne raggiunto il consenso per poter apportare alcuna modifica all'impianto attuale, ed il tentativo fallì.

Il lavoro prende le mosse da un analisi generale della politica commerciale comune nello spazio dell'UE esaminando il rapporto della stessa con la politica doganale.

Dopo aver ricordato l'evoluzione storica della politica in esame in materia di strumenti di difesa commerciale, si procederà ad effettuare un'analisi più dettagliata dei regolamenti in vigore riguardanti l'adozione delle misure antidumping, antisovvenzione, e di salvaguardia; analizzeremo le relative nozioni, ed il procedimento per la loro utilizzo.

La seconda parte del lavoro verterà sulla trattazione dei recenti sviluppi in materia, e si prenderà conoscenza attraverso la Comunicazione del 10 aprile 2013 presentata dalla Commissione al Parlamento e Consiglio europeo, della proposta volta alla “modernizzazione” di

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tali strumenti.

Alla fine del lavoro si tratterranno le conclusioni rispetto a questo percorso innovativo da attuarsi in seno all'Unione entro la fine del 2014.

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Capitolo 1

Politica commerciale comune

1.1 Introduzione

Il commercio riguarda tutti noi. Sebbene la politica commerciale possa sembrare un argomento complesso e tecnico, accessibile soltanto ad esperti, in realtà essa influisce sulla vita quotidiana di tutti noi, a prescindere da cosa facciamo e da dove viviamo. Con la globalizzazione un numero crescente di Paesi, sia ricchi che poveri, partecipa all'economia mondiale.

Questo processo modifica gli schemi del commercio internazionale e influenza in maniera crescente la nostra vita quotidiana.

La ricchezza generata dal commercio aiuta i paesi dell'Unione europea a garantire ai propri cittadini una migliore qualità di vita, oggi e anche in futuro.

Essendo la prima potenza commerciale a livello mondiale, l'UE è fortemente interessata a creare le condizioni necessarie per un'espansione degli scambi, per questo svolge un ruolo di guida nei negoziati sugli scambi internazionali ed è impegnata a creare condizioni commerciali eque e a guidare la globalizzazione facendo ricorso alle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio(OMC). In altre parole, essa punta a creare un sistema in cui tutti i Paesi possono commerciare liberamente tra loro in maniera equa e senza barriere protezionistiche.

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“condizioni di parità” e nel rispetto di “regole del gioco” chiaramente stabilite. L'intenzione è quella di eliminare gradualmente le barriere commerciali, a un ritmo sostenibile per tutti i Paesi, di risolvere le dispute in maniera pacifica e di elaborare una serie di norme concordate a livello internazionale. La liberalizzazione degli scambi crea una situazione diversa rispetto a quella verificatasi in passato, quando quasi tutti i governi limitavano le importazioni nel proprio paese al fine di aiutare l'economia nazionale.

Aprire i mercati significa eliminare le barriere commerciali tra Paesi, questo è stato uno dei principali obbiettivi della Comunità sin dai suoi primi giorni di vita infatti negli anni sessanta i Paesi membri hanno istituito tra loro un “unione doganale1”.

1.2 La politica commerciale comune nel

TFUE.

La politica commerciale comune2 è una delle fondamentali politiche poste in essere dall'Unione europea nel perseguimento dei suoi fini istituzionali, che negli ultimi anni ha avuto notevoli sviluppi a fronte dell'evolversi della dinamica degli scambi commerciali.

Essa sia pur con qualche incertezza e incoerenza, è

1 Si rinvia la trattazione al capitolo 2 .

2 La politica commerciale comune dell'Unione viene condotta nel quadro dei principi ed obbiettivi dell'azione esterna della medesima (cfr. il nuovo art.205 TFUE e il novellato 207 TFUE che così intendono affermare una contestata “unitarietà” dell'azione esterna: sul tema vedi A. Mignolli., L'azione

esterna dell'Unione europea e il principio della coerenza,

Napoli, 2009 ). In questa sede, si darà conto degli accordi commerciali.

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espressione di competenza esclusiva dell'Unione, in una,

inter alia, con la competenza a concludere accordi

internazionali e alla materia dell'Unione doganale3.

Malgrado emerga chiaramente, alla luce di quanto sopra esposto, l'importanza della politica commerciale comune nel quadro dell'integrazione europea, tuttavia il TFUE non fornisce una precisa definizione di tale politica .

Il Titolo 2 della parte quinta del TFUE, dedicato alla politica in esame è costituito dagli articoli 206 e 207 TFUE.

Più precisamente, la politica commerciale comune è “fondata” come recita il novellato art 207 TFUE, “...sui

principi uniformi, in particolare per quanto concerne le modificazioni tariffarie, la conclusione di accordi tariffari e commerciali relativi agli scambi di merci e servizi e gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale, gli investimenti esteri diretti l'uniformazione delle misure di liberalizzazione, la politica di esportazione, e le misure di protezione commerciale tra cui quelle da adottarsi nei casi di dumping e di sovvenzioni.”

Tale articolo si limita ad indicare alcune misure attraverso le quali può esplicarsi l'azione dell'Unione, ma non contiene una chiara indicazione dei settori in cui essa può intervenire sulla base di tale articolo, non specificando

3 Cfr art 3 del TFUE il quale dispone “L'Unione ha competenza

esclusiva nei seguenti settori: unione doganale; definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro; conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca; politica commerciale comune;

2. L'Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione degli accordi internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata.”

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cioè quando una misura vada considerata politica commerciale.

Fin dall'origine, l'elencazione degli scopi indicati dall'articolo in esame è stata considerata non limitativa: “una interpretazione restrittiva della nozione politica

commerciale comune rischierebbe di provocare perturbazioni negli scambi intracomunitari a causa delle disparità che sussisterebbero in tal caso in determinati settori dei rapporti economici con i Paesi terzi4.”

Essendo lo scopo della politica commerciale comune proprio quello di garantire il più possibile l'omogeneità nel regime degli scambi con i Paesi terzi, il metodo adottato è stato quello di verificare, caso per caso, se singoli obbiettivi perseguiti, ad esempio, da specifici accordi in ambito internazionale, rientrasse o meno nell'ambito della politica commerciale comune.

Questo approccio ha permesso di adattare l'interpretazione dell'articolo al mutare del contesto internazionale degli scambi, evitando di limitare la politica commerciale comune all'impiego degli strumenti destinati ad incidere unicamente sugli aspetti tradizionali del commercio estero.

La medesima appare particolarmente legata all'unione doganale costituendone per così dire un'appendice necessaria5.

Non a caso, invero, il Titolo 2 del TFUE, come sopra ricordato, (art.206 TFUE) precisa la stretta correlazione tra il concetto di unione doganale instaurata tra gli Stati

4 Parere della Corte di Giustizia n 1/ 78 del 4 ottobre 1979. 5 Sulla stretta connessione tra le norme relative alla politica

commerciale ed il regime dell'unione doganale, si veda Procuratore della Repubblica : causa 41/76 Raccolta, 1921 ss.

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membri e lo sviluppo del commercio mondiale, al quale essi intendono dare un armonica attuazione: “l'Unione

tramite l'istituzione di un unione doganale in conformità degli articoli da 28 a 32, contribuisce nell'interesse comune allo sviluppo armonioso del commercio mondiale, alla graduale sopressione delle restrizioni agli scambi internazionali e agli investimenti esteri diretti, e alla riduzione delle barriere doganali e di altro tipo.”

Vi è qui racchiusa in poche succinte disposizioni dunque tutta la sostanza della politica commerciale comune che (si potrebbe dire) in termini di filosofia economica sottostante al disegno dei Padri fondatori, vuole in linea di principio ribadire, in una prospettiva esterna all'Unione, la fedeltà ai principi del libero commercio e libero scambio propri dell'OMC (che dal 1995 ha per così dire istituzionalizzato il GATT ed esteso in modo importante gli accordi ad esso riconducibili.)6

L'unione doganale tra gli Stati membri dell'Unione invero, è notoriamente ammessa dalle stesse disposizioni originarie del GATT le quali prevedono, inter alia, che le parti contraenti riconoscono “....che la costituzione di

un'unione doganale o di una zona di libero scambio deve avere per obbiettivo di facilitare il commercio tra i territori costituenti e non quello di frapporre ostacoli al commercio di altre parti contraenti.”( articolo 14 dell'Accordo).

6 Come si rinviene in dottrina, “l'entrata in vigore dell'Accordo OMC, non ha determinato la fine del processo di integrazione ed ampliamento dell'ordinamento giuridico del commercio internazionale avviato nel 1947 con la conclusione del GATT. L'applicazione della nuova normativa costituisce ,infatti, una nuova, ma non ultima,tappa della progressiva evoluzione del sistema commerciale multilaterale verso una più ampia liberalizzazione degli scambi di beni e servizi” ( Picone, A Ligustro, Diritto dell'organizzazione mondiale del commercio, Padova , 2002.

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Nonostante tuttavia questa premessa liberista, è proprio con riferimento al commercio mondiale e all'organizzazione che oggi lo rappresentano (OMC) che l'Unione europea ha dato origine ad una prassi commerciale talora assai discutibile, avallata da una giurisprudenza della Corte di Giustizia spesso restia a volte a riconoscere la vincolatività del GATT rispetto alle istituzioni comunitarie.

D'altro canto, sono emerse fin da subito le peculiarità della politica commerciale comune nella prospettiva dell'integrazione europea, all'interno della quale ogni principio e finalità generale si stempera in concreto e si assoggetta a una logica per così dire “integrazionistica”, bilanciandosi con le esigenze proprie dell'Unione così come ricavabili dal riparto di competenze enucleate dagli articoli da 2 a 6 del TFUE7.

Tuttavia, è importante ricordare che il sistema alla luce dei mutamenti intervenuti in ambito internazionale, è stato modificato.

Attraverso il Trattato di Amsterdam, ha introdotto la possibilità per il Consiglio, con delibera all'unanimità, su proposta della Commissione, e previa consultazione del Parlamento Europeo, di estendere l'ambito della politica commerciale comune ai negoziati ed accordi internazionali su servizi e proprietà intellettuale, a meno che non rientrassero già nella competenza esclusiva prevista all'Unione dalla suddetta norma.

Con il Trattato di Nizza, il voto a maggioranza qualificata è esteso alla negoziazione e alla conclusione di accordi nei

7 Cfr. Corte di giustizia, Firma Anton Duerbeck, 5 maggio 1981, Raccolta, 1095ss.

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settori degli scambi di servizi e degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale, sempre che tutti accordi non prevedano disposizioni che esulino dalle competenze interne dell'Unione.

Non resta che considerare, complessivamente le novità introdotte del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009.

A riguardo si deve osservare come la riforma abbia affinato la chiarezza del testo normativo (in precedenza non sempre comprensibile) ampliando la portata delle competenze dell'Unione con un maggior coinvolgimento del Parlamento nel processo decisionale8.

Infatti i riferimenti contenuti nell'art 207 TFUE, il quale dispone che “per la negoziazione e la conclusione di

accordi nei settori di scambi di servizi degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e degli investimenti diretti il Consiglio delibera ad unanimità qualora tali accordi contengono disposizioni per le quali è richiesta l'unanimità e per adozione di norme interne.”

Il Parlamento e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure che definiscono il quadro di attuazione della politica commerciale comune.(207, n.2 TFUE).

Il Parlamento europeo, con il Trattato di Lisbona conquista il ruolo di colegislatore per quanto concerne le misure-quadro per dare attuazione alla politica in esame.

L'articolo 207 TFUE, prosegue disponendo che per la

8 Cfr. in tal senso M.Cremona, Definig competence in EU external relations: lessons from the Treaty reform process, in A.Dashwood, Marescau, law and practice of EU External Relations, Cambridge, 2008, p 34 ss.

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negoziazione e la conclusione di accordi con uno o più Paesi terzi o organizzazioni internazionali si applica l'articolo 218 TFUE, fatte salve le disposizioni particolari di cui al medesimo articolo 207 TFUE.

Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata (207, n.4 TFUE) con l'esclusione degli specifici ambiti per i quali viene richiesta l'unanimità. La Commissione presenta raccomandazioni al Consiglio, che l'autorizza ad avviare negoziati necessari. I negoziati sono condotti dalla Commissione, in consultazione con un comitato speciale designato dal Consiglio al fine di assisterla in questo compito e nel quadro delle direttive che lo stesso può impartirle.

La Commissione è tenuta a riferire periodicamente al comitato speciale e al Parlamento europeo sui progressi dei negoziati ( 207, n.3 TFUE).

Consiglio e Commissione debbono adoperarsi affinché gli accordi negoziati siano compatibili con le politiche e norme interne dell'Unione.

L'articolo 207 TFUE, non specifica in merito al ruolo del Parlamento europeo, nella negoziazione e conclusione degli accordi.

Vi è chi auspica che la prassi confermi l'interpretazione per cui il Parlamento, abbia il diritto a dare la sua approvazione in merito a tali accordi, sulla base del combinato disposto dell'articolo 207, n.2 TFUE con l'articolo 218, n.6 TFUE il quale sancisce che, per gli accordi che riguardano i settori ai quali si applica, appunto la procedura legislativa ordinaria, è richiesta la previa approvazione del Parlamento europeo unicamente

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L'articolo 207 si chiude con la puntualizzazione che “l'esercizio delle competenze attribuite dal presente

articolo nel settore della politica commerciale comune non pregiudica la ripartizione delle competenze tra Unione e gli Stati membri e non comporta un'armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri, se i trattati escludono tale armonizzazione” nel quale

emerge l'estremo tentativo degli Stati membri di conservare l'autonomia in un settore dove l'esclusività della competenza dell'Unione appare inequivocabile. Occorre sottolineare come la riforma abbia dato ragione a quella parte di dottrina9, anticipatrice del Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa nel quale per la prima volta si attribuiva all'Unione finalità nelle relazioni esterne e si rafforzavano i vincoli fra la politica commerciale e le altre azioni esterne all'Unione 10

1.3 La competenza esclusiva dell'UE

nell'ambito della politica commerciale

comune.

La Comunità economica europea ha cominciato ad utilizzare, fin dall'inizio, i poteri espressamente riconosciutile dai Trattati istitutivi, al fine di negoziare e concludere trattati internazionali nelle materie di propria competenza.

9 Infatti la politica commerciale comune è condotta nel quadro dei principi e degli obbiettivi dell'azione esterna dell'Unione Ch. Hermann, “Gripping globale governance,”in T Tridimas, P. Nebbia European Union Law for the twenty-first century, vol.1 Oxford, 2004.

10 Infatti la “politica commerciale comune è condotta nel quadro

dei principi e degli obbiettivi dell'azione esterna dell'Unione”

l'articolo 217 paragrafo 3 , corrisponde sostanzialmente all'attuale articolo 207 TFUE.

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In virtù di un certo souci d'efficacitè a favore delle norme attributive del potere di stipulare accordi, debitamente enfatizzato dalla Corte di Giustizia, l'Unione si è attirata presto le critiche di importanti partners commerciali costretti fin dall'inizio a negoziare con quest'ultima, affiancata dagli Stati membri del tutto riluttanti ad abbandonare i propri poteri sovrani in ambito internazionale.

Questo processo di naturale contenimento della competenza esclusiva dell'Unione in tema di politica commerciale comune troverà il suo culmine nel parere 1/94.

Prima di procedere all'esame di tale parere è importante ricordare che la Corte di giustizia, aveva chiarito che il riconoscere la coesistenza di competenze parallele dei singoli Stati avrebbe significato “ammettere che questi

possono assumere, nei rapporti con i Paesi terzi, atteggiamenti divergenti dall'orientamento generale della Comunità11” compromettere il ruolo istituzionale di quest'ultima.

In tal senso, l'Unione, in materia di politica commerciale comune, può sia adottare autonomi provvedimenti interni sia partecipare alla negoziazione ed alla stipulazione di accordi con Paesi terzi, godendo di una competenza esclusiva sia interna che esterna.

Si comprende, quindi, come la Commissione abbia in passato insistito per l'applicazione dell'attuale 207 TFUE, facendo leva sulla non definitiva delimitazione degli ambiti della politica commerciale comune, quale base

11 Si veda il parere delle Corte di Giustizia n.1/75 dell'11 novembre 1975.

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giuridica di numerosi atti o accordi che avrebbero potuto trovare in altre norme o politiche la loro giustificazione, incontrando dall'altra parte la resistenza degli Stati membri, da sempre restii a concessioni sulla propria sovranità. A riguardo molte sono le pronunce della Corte di giustizia in merito.

La stessa Corte, nonostante l'interpretazione ampia della nozione di politica commerciale comune12, non si era spinta sino ad inserire nella competenza esclusiva dell'Unione anche i negoziati commerciali in materia di servizi e proprietà intellettuale.

Con il proprio parere n.1/94 del 15 novembre 1994, relativo ai noti accordi OMC, con particolare riferimento ai c.d. Gats e Trips, la Corte , aveva affermato l'esistenza di una competenza ripartita tra comunità e Stati membri per quanto attiene gli Accordi in tema OMC sui servizi e sulla proprietà intellettuale13.

L'esito di tale contrapposizione, diretta conseguenza di una nozione tradizionale di politica commerciale comune mantenuta immutata nei Trattati, sino come visto nel paragrafo precedente al Trattato di Amsterdam, sono stati numerosi gli accordi conclusi all'unanimità, ovvero gli accordi misti, cioè conclusi dall'Unione e da tutti gli Stati membri, in quei settori non direttamente riconducibili ai tradizionali scambi di merci, quali appunto

12 Si vedano i pareri già sopra citati n.1/75, e n. 1/78.

13 La Corte ha affermato che solo eccezionalmente la competenza dell'Unione può dirsi esclusiva ovvero allorquando, essa “... ha incluso nei suoi atti legislativi interni

clausole relative al trattamento da riservare ai cittadini di paesi terzi o ha conferito espressamente alle proprie istituzioni una competenza a negoziare con i Paesi terzi...”ovvero ancora “ quando la Comunità ha realizzato una armonizzazione completa del regime di accesso a un'attività indipendente”

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servizi, la proprietà intellettuale, gli investimenti.

1.4 Strumenti della politica commerciale

comune nei Trattati istitutivi.

La politica commerciale comune, così come viene descritta nei suoi contenuti tipici nell'articolo 207 TFUE, si caratterizza per la progressiva abolizione di ogni restrizione al commercio internazionale e all'investimento diretto straniero, della riduzione dei dazi e di ogni altra forma di barriere( art. 206 TFUE) nonché del conferimento espresso di competenze esercitabili secondo una determinata procedura ( art. 207, commi 2-4).

E' inoltre importante evidenziare, che l' articolo 33 TFUE pur facendo parte del titolo 214, ne completa i contenuti, stabilendo l'adottabilità di misure sul rafforzamento della cooperazione doganale fra gli Stati membri e tra quest'ultimi e la Commissione, attraverso una procedura legislativa ordinaria.

Come sopra ricordato non vi è nei Trattati istitutivi una definizione precisa di cosa debba intendersi per politica commerciale comune, di conseguenza ciò conduce ad una esposizione degli strumenti della politica commerciale comune così come gli ritroviamo elencati ed affinati nel richiamato art.20715, riservando comunque

14 Id est ,Titolo 2, Capitolo 1 “Unione Doganale”.

15 Nel parere 1/78 si rinviene espressamente che “l'art.133 dà competenza all'Unione per stabilire una politica commerciale, basata su “principi comuni” indicando con ciò che la questione degli scambi esterni va risolta in un ampia prospettiva...La stessa conclusione si può trarre dal fatto che l'enumerazione, nell'art.113, degli scopi della politica commerciale è concepita

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agli accordi commerciali una considerazione più approfondita a parte, nel Trattato di riforma.

1.5 Gli Accordi commerciali stipulati

dall'Unione europea in particolare il GATT.

Come si è già anticipato parlando dei tratti essenziali della politica commerciale comune, l'Unione può fra altro, concludere accordi commerciali.

E' evidente che l'attività contrattuale è inerente alla politica commerciale comune, da un lato come si deduce dall'articolo 26 TFUE, per poter controllare in forma convenzionale l'immissione dei beni provenienti da paesi terzi all'interno dell'unione doganale, dall'altro, va sottolineato come essa sia particolarmente importante per soddisfare le esigenze derivanti dalla necessità di rafforzamento del mercato comune nel contesto della tariffa doganale comune con quelle relative all'opposta necessità di liberalizzazione della tariffa medesima nell'ottica del libero scambio e libera concorrenza

come un'enumerazione non limitativa la quale non deve, in quanto tale, escludere il ricorso, nell'ambito comunitario, a qualsiasi altro procedimento destinato a disciplinare gli scambi esterni. Una interpretazione restrittiva della nozione di politica commerciale comune rischierebbe di provocare perturbazioni negli scambi intracomunitari a causa di disparità che sussisterebbero in tal caso in determinati settori economici con i paesi terzi. Il che non pare propriamente in linea con l'interpretazione sicuramente restrittiva inaugurata in particolare modo con il parere 1/94. Si è osservato che “valorizzandole distinzioni tracciate all'interno del Trattato CEE, la Corte non ha consentito uno sviluppo della politica commerciale comune parallelo a quello che si realizzato nella politica commerciale mondiale con l'inserimento di servizi e , in parte della proprietà intellettuale,nell'accordo dell'OMC.”Gaja Adinolfi, Introduzione al diritto dell'Unione

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mondiali.

Prima di parlare dell'importanza delle negoziazioni commerciali vale la pena ricordare che l'Unione in più di cinquant'anni ha posto in essere tutta una serie di accordi bilaterali e multilaterali con paesi terzi istitutivi di unioni doganali16 di zone di libero scambio17, di tariffe preferenziali18.

Il 22 dicembre 1994, il Consiglio ha adottato con decisione n.94/800, a nome dell'UE e nell'ambito delle sue competenze, i risultati dei negoziati dell'Uruguay Round, incorporati nell'atto finale di Marrakech firmato il 15 aprile 1994.

Tale atto finale, oltre a istituire una nuova organizzazione internazionale denominata Organizzazione mondiale del commercio, che comprende numerosi accordi commerciali multilaterali ed strumenti giuridici ad essi attinenti, i membri del GATT sono divenuti di diritto membri originari dell'OMC ,a far data del 1 gennaio 1995. L'OMC succede al GATT, ovvero l'Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio, il quale è stato negoziato a Ginevra ed è entrato in vigore provvisoriamente( sulla base di apposito protocollo) il 1 gennaio 1948, stabiliva regole generali volte a disciplinare il commercio internazionale delle merci, si è dimostrato storicamente il più efficace strumento, prevedendo (per le sole merci) la riduzione dei diritti doganali fra paesi contraenti e il

16 Si veda a titolo esemplificativo, gli Accordi di associazione con Turchia Malta e Cipro.

17 Si veda in particolare, il libero scambio con gli Stati dell'EFTA cui poi si è sostituito l'accordo sul c.d. Spazio economico europeo firmato a Oporto il 2 maggio 1992

18 Si veda a titolo esemplificativo le tariffe preferenziali con i paesi ACP.

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divieto di restrizioni quantitative.

Sin dall'inizio l'accordo, di natura commerciale, rientrava a pieno diritto nella materia coperta dalla politica commerciale comune.

La Corte di giustizia, fin dalle prime cause che lo riguardavano, affermò che sia l'articolo 110 CEE( oggi art. 207 TFUE) che l'articolo 234 CEE (oggi art. 234 TFUE) rendono indiscussa la circostanza per cui “in tutti i casi in

cui, in forza del Trattato CEE, la Unione ha assunto dei poteri, già spettanti agli Stati membri, nell'ambito di applicazione del GATT, le disposizioni di questo sono vincolanti per la Comunità stessa.19

In altre parole, per quanto riguarda l'Unione e gli Stati membri, si era posto il problema della sostituzione o successione della prima ai secondi, come sopra citato la Corte di giustizia con la sentenza del 72' ha chiarito che l'Unione si è sostituita agli Stati membri per quanto riguarda l'assunzione di obblighi e dei diritti derivanti dal GATT.

Tale sostituzione è coincisa temporalmente con l'entrata in vigore della tariffa doganale comune il 1 luglio 1968.20 Come conseguenza di tale sostituzione, l'Unione, tramite la Commissione ha partecipato ai vari Round, anche

19 CGCE, sentenza del 12 dicembre 1972, International Fruit Company NV di Rotterdam e altri cause da 21 a 24/72, Raccolta, 1219.

20 “ a partire dall'attuazione della tariffa esterna comune....” per cui, “....a partire da tale data la Comunità , che agisce

attraverso le proprie istituzioni , è comparsa come parte nelle trattative tariffarie e come parte contraente negli accordi di ogni genere stipulato nell'ambito del GATT; in conformità dell'articolo 114 del Trattato CEE il quale stabilisce che gli accordi tariffari e commerciali sono conclusi a nome della Comunità”. Sentenza Internazional Fruit, nonché 16 marzo

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affianco degli Stati membri, ma assumendo in prima persona in prima persona gli impegni derivanti dagli accordi raggiunti nelle materie di propria competenza esclusiva.

Ma nonostante questa premessa, la Corte di giustizia si è dimostrata da un lato riluttante a riconoscere nelle norme GATT un idoneo parametro di di legittimità dell'azione comunitaria21, dall'altro, piuttosto sensibile alla naturale contrarietà degli Stati membri a perdere competenze in sede di interpretazione e applicazione del Trattato.

Infatti si è affermato si è affermato che “la validità degli

atti, ai sensi dell'articolo 177 del Trattato CEE( oggi 267 TFUE), emessi dalle istituzioni può essere influenzata da una norma di diritto internazionale qualora detta norma sia vincolante per la Comunità ed attribuisca ai singoli cittadini di questa il diritto di esigerne giudizialmente l'osservanza.22

La Corte dunque, sembra ammettere il controllo di legittimità sugli atti adottati dalle istituzioni europee alla luce del GATT, ma solo nel caso in cui esso contenga norme che siano direttamente efficaci “questo accordo,

fondato sul principio di negoziati da condursi su “una base di reciprocità e di vantaggio mutui”, è caratterizzato dalla grande flessibilità di deroghe, ai provvedimenti ammessi in caso di difficoltà, eccezionali ed alla

21 Pur ammettendosi, un controllo di legittimità laddove l'atto dell'UE dia esecuzione ad obbligazioni assunte in sede GATT ovvero rinvii espressamente a precise disposizioni dell'accordo: cfr Fediol c.Commissione, causa 70/87 del 22 giugno 1989; Germania c. Consiglio C 280/93, Raccolta, 1 -4973. sul punto cfr. Mengozzi, op. cit 2004 pag 363ss.

22 Si veda la sentenza International Fruit del 16 marzo 1983 SPI, Raccolta, 1983.

(23)

composizione delle controversie fra contraenti23.”

La Corte in concreto non ha mai affermato, l'invalidità di un atto delle istituzioni dell'Unione sulla base della norma GATT, nemmeno delle c.d. norme GATT 1994, per le quali pur apprezzandola loro novità specialmente con riguardo al sistema di soluzione delle controversie la Corte ha ribadito “... tenuto conto della loro natura e

finalità, gli Accordi OMC non figurano in linea di principio fra le norme al cui riguardo la Corte controlla la legalità degli atti delle istituzioni comunitarie.24

Tale interpretazione, continua la Corte, “ corrisponde del

resto all'enunciato dell'ultimo considerando del preambolo della decisione 94/800 a termini del quale, per propria natura , l'accordo istitutivo dell'OMC ,ivi compresi i suoi annessi, non è suscettibile di essere invocato direttamente davanti alle giurisdizioni comunitari e degli Stati membri.25

Occorre infine segnalare che , nonostante il tentativo di autorevoli Avvocati Generali di indurre la Corte al mutare la propria posizione in tema di efficacia diretta delle norme GATT26 la Corte ha ribadito che “...è pacifico che alcune parti contraenti, fra cui le controparti più importanti della Comunità da un punto di vista commerciale, hanno appunto tratto, alla luce dell'oggetto e dello scopo degli accordi OMC, la conseguenza che

23 Punto 21/22 sentenza Internazional Fruit 16 marzo 1983, SPI, Raccolta, 1219.

24 Punto n. 47, sentenza 23 novembre 1999, in causa C-149/96, Repubblica portoghese contro Consiglio dell'unione europea, Raccolta, 1-239.

25 Punto n.48 della sentenza 23 novembre 1999, in causa C-149/96, Repubblica portoghese contro Consiglio dell'unione europea, Raccolta, 1-239.

26 Cfr. ad esempio, l'A.G. Tesauro in Hermes, causa C-53/96 e l'A.G. Tizzano nella causa C-377/02, Van Parys.

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quest'ultimi non figurano tra le norme alla luce delle quali i loro organi giurisdizionali controllano la legittimità del loro diritto interno. Una tale sentenza di reciprocità, se la si ammettesse, rischierebbe di condurre a uno squilibrio nell'applicazione delle norme dell'OMC.27

(25)

Capitolo 2

Strumento per la realizzazione del

mercato unico europeo: libera

circolazione delle merci.

2.1 Introduzione

L'articolo 3 del TFUE, annovera tra i compiti dell'Unione (per il raggiungimento degli obbiettivi enunciati genericamente dall'articolo 2 del TFUE) l'attuazione di una politica comune nel campo degli scambi commerciali con i Paesi non membri. Per comprendere a pieno questa disposizione è necessario riprendere alcune nozioni. Ad esempio tra gli Stati membri dell'Unione è stata realizzata un'unione doganale, con la creazione cioè di di un unico territorio doganale comune.

Ciò comporta da un lato, l'attuazione nel mercato interno della libera circolazione di origine europea, attraverso l'abolizione dei tradizionali ostacoli al commercio reciproco tra Stati membri (dazi doganali, restrizione quantitative). Dall'altro lato, la creazione di un unico territorio doganale tra più Stati implica l'istituzione di una tariffa unica doganale verso l'esterno. Proprio questa caratteristica vale a differenziare le unioni doganali da quella forma meno approfondita di integrazione economica , molto diffusa, costituita dagli accordi di libero scambio: in questi ultimi infatti gli Stati contraenti acconsentono a liberalizzare il commercio reciproco, ma ciascuno Stato parte mantiene il proprio regime commerciale nei confronti dei prodotti originari dei Paesi terzi, sui quali impone autonomi dazi doganali.

(26)

Tappa fondamentale dell'instaurazione dell'Unione doganale europea è stata per l'appunto l'istituzione di un'uniforme protezione tariffaria rispetto a merci provenienti da Paesi terzi, attraverso la progressiva sostituzione delle tariffe nazionali con la tariffa doganale comune, entrata in vigore il 1 luglio 1968.

Va però sottolineato che la creazione di un territorio doganale comune si accompagna all'esigenza di una politica il più possibile coordinata ed uniforme negli scambi con i Paesi non membri.

E' questo un dato che risulta chiaro ove si ponga mente al fatto che le merci non europee una volta entrate nel territorio di un Paese membro si trovano in “libera pratica” nel mercato interno e cioè beneficiano della medesima libertà di circolazione di cui godono le merci europee. Il che significa, in altre parole, che i singoli Stati membri non hanno la possibilità di utilizzare strumenti di protezione per ostacolare l'ingresso di prodotti che provengono da Paesi terzi, transitando per altri Stati europei, e cioè di imporre dazi doganali o di restringere le quantità importate sul mercato nazionale situazione questa che viceversa non si verifica nelle zone di libero scambio all'interno delle quali non è accordato il diritto di circolare liberamente alle merci originarie dei Paesi terzi. E' di fondamentale importanza, per questo motivo, che venga limitata la la possibilità che i singoli Stati europei gestiscano rapporti commerciali con Paesi terzi senza tener conto delle esigenze dei partners dell'Unione.

Per tali ragioni il TFUE prevede l'istituzione di una politica commerciale comune, analizzata nel precedente capitolo

(27)

attribuendone la competenza esclusiva nelle materie che rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo stesso, con il conseguente venir meno della possibilità per gli Stati membri di adottare misure di politica commerciale, salvo su specifica autorizzazione della Commissione28.

L'attuazione di una politica commerciale gestita unitariamente a livello europeo rappresenta del resto un elemento essenziale per l'equilibrio e il corretto funzionamento del mercato interno.

2.2.La natura “interna” dell'unione

doganale: divieto di dazi doganali e di tassa

effetto equivalente fra gli Stati membri

La libera circolazione delle merci implica che le merci all'interno dell'Unione e quelle che si trovano in “libera pratica” in uno Stato membro29, non debbano incontrare alcuna barriera, di natura tecnica o doganale nel momento dell'attraversamento delle frontiere interne tra gli Stati membri.

Alla luce dell'articolo 28 n.1 TFUE si perviene, infatti, che l'Unione comprende un'unione doganale “che si estende al

complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all'importazione e

28 A parere della Corte il riconoscimento di competenze concorrenti degli Stati membri ostacolerebbe quell'unitarietà dell'azione che è indispensabile al perseguimento dell'interesse globale dell'Unione in questo campo (il parere dell' 11 novembre 1975 nonché la sentenza del 15 dicembre 1976, 41/76 Donckerwolck ).

29 Si fa riferimento all'articolo 29 TFUE in cui i prodotti provenienti da Paesi terzi per i quali sono state adempiute in uno Stato membro le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e le altre tasse esigibili.

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all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente”

oltre l'adozione di una tariffa doganale comune nei rapporti con i Paesi terzi.

L'abolizione dei dazi doganali all'importazione e all'esportazione tra gli Stati membri è stata pienamente realizzata nel luglio 196830 ovvero in prossimità della scadenza del c.d. periodo transitorio della libera circolazione delle merci, l'Unione ha introdotto un tariffa doganale comune applicata da tutti gli Stati membri ai prodotti importati dai Paesi terzi.31

Alla luce dell'articolo 28 TFUE, si può dedurre che l'eliminazione delle tasse effetto equivalente ai dazi doganali, cioè egli oneri pecuniari imposti unilateralmente da uno Stato per il solo fatto che le merci varcano i suoi confini, in sé discriminatorie e protezionistiche, ha avuto una graduale attuazione grazie soprattutto al ruolo svolto dalla Corte di Giustizia nel corso degli anni.

La quale ne ha infatti precisato la nozione di tasse effetto equivalente, dichiarando di volta in volta contrarie al divieto imposto dal Trattato sulle singole imposizioni. In un primo momento, ha individuato i caratteri tipici di una tassa effetto equivalente negli elementi discriminatori e protezionistici insiti nell'imposizione stessa32.

30 Regolamento n.950/68, in GUCE, 22 luglio 1968. 31 Cosidetta TDC: cfr. decisione 13 febbraio 1960.

32 Nella decisione nota come caso del “panpepato” la Corte ha infatti precisato che ai sensi degli articoli 28 e 30 TFUE “la

tassa effetto equivalente può essere considerata, indipendentemente dalla sua denominazione e dalla sua struttura, come un diritto imposto unilateralmente sia all'atto dell'importazione sia in un successivo momento e che colpendo specialmente una merce importata da un Paese membro ad esclusione del corrispondente prodotto nazionale, produce il risultato di alterarne il prezzo e di incidere così sulla libera circolazione delle merci”. Nel caso di specie, la Corte ha

ritenuto che l'aumento e l'estensione di un “diritto speciale

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In seguito la Corte ha focalizzato l'attenzione più sugli effetti causati dalle imposizioni vietate, anche per il caso in cui l'onere non avesse in sé carattere discriminatorio33, affermando il principio in base al quale sfugge al divieto di tassa effetto equivalente l'imposizione che sia contropartita di un servizio effettivamente reso sempre che vi sia proporzionalità nelle prestazioni.

Secondo la Corte non costituisce tassa effetto equivalente il diritto riscosso alle autorità di uno Stato membro all'atto dell'importazione o del transito di animali vivi provenienti da altri Stati membri, e destinato a coprire le spese dei controlli veterinari: l'uniformità dei controlli mira a garantire la libera circolazione delle merci, dato che si propone la compensazione di un obbligo imposto nello stesso modo a tutti gli Stati membri, e che non può essere equiparato ad un dazio doganale.

Occorre adesso evidenziare il rapporto tra l'articolo 110 TFUE34 che disciplina le imposizioni protezionistiche e gli articoli 28 e seguenti TFUE relativi all'eliminazione delle tasse di effetto equivalente. Tale rapporto è delicato e ha dato luogo a una serie di importanti pronunce.

Lussemburgo, presentassero tutte le caratteristiche di un tassa effetto equivalente ad un dazio doganale contemplata negli articoli 28 e 30 TFUE.

33 Infatti, la Corte ha specificato come un onere pecuniario, sia pur minimo, imposto unilateralmente e che colpisce le merci nazionali o estere in ragione del fatto che esse varcano la frontiera, se non è un dazio doganale propriamente detto, costituisce una tassa d'effetto equivalente, anche se non sia riscosso a profitto dello Stato, non abbia alcun effetto discriminatorio o protezionistico e il prodotto colpito non sia in concorrenza con un prodotto nazionale.

34 L'articolo 110 TFUE dispone che nessuno Stato membro applichi direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai produttori nazionali similari, come pure imposizioni interne intese a proteggere indirettamente altre produzioni.

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Dal testo dell'articolo 110 TFUE emerge la differenza tra le previsioni degli articoli 28 e seguenti che pongono un divieto assoluto di tasse d'effetto equivalente: l'applicazione di un tributo interno alle merci di provenienza europea non è oggetto di un divieto in sé , ma solo nel caso in cui vi sia una discriminazione tra i prodotti nazionali ed importati; deve quindi essere eliminato il carattere discriminatorio del tributo attraverso la riduzione della parte in eccesso rispetto all'imposizione che grava sui prodotti nazionali35.

Ma con la sentenza Denkavit del 31 maggio 1979 la Corte ha precisato la distinzione tra tassa d'effetto equivalente ed imposizioni facenti parte di un regime generale di tributi interni, ai sensi dell'articolo 110 TFUE, affermando che per rientrare in quest'ultima categoria e non ricadere sotto le disposizioni che vietano le tasse di effetto equivalente ai dazi doganali “l'onere a cui è soggetta la

merce importata deve colpire il prodotto nazionale e il prodotto importato identico per entrambi i prodotti36.” Ed infine la Corte ha ribadito che le disposizioni relative alle tasse d'effetto equivalente e quelle che riguardano le imposizione interne discriminatorie, non sono applicabili cumulativamente, dunque per sapere se essa rientri nella nozione tassa effetto equivalente, occorrerà verificare se sia in presenza di un onere pecuniario imposto

35 Si tratta di un divieto di natura complementare alle disposizioni relative all'abolizione dei dazi doganali e delle tasse effetto equivalente, inteso a garantire la libera circolazione delle merci fra gli Stati membri, volto ad evitare manovre fiscali protezionistiche da parte di uno Stato membro.

36 Si trattava nel caso in esame di un imposta riscossa sulle importazioni di strutto, considerata dalla Corte una tassa d'effetto equivalente in quanto volta a compensare la riscossione di un tributo nazionale sulla macellazione dei suini ed avente un diverso fatto generatore dell'imposta.

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unilateralmente, indipendentemente dalla sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisce le merci per il fatto che esse attraversano una frontiera37.

2.3.Il divieto di restrizioni quantitative e di

misure di effetto equivalente.

Oltre all'abolizione delle barriere doganali, prevista ai sensi dell'articolo 28 TFUE, fra gli Stati membri è prevista l'eliminazione di tutti quegli ostacoli che uno Stato può porre in essere, e che pur non concretizzandosi in oneri fiscali, appaiono volti a proteggere la produzione nazionale a discapito dei prodotti importati da altri Stati membri.

Gli articolo 34, 35, 36 del TFUE, mentre i primi due prevedono il divieto di ogni restrizione quantitativa rispettivamente all'importazione e all'esportazione, nonché di qualsiasi misura di effetto equivalente, nell'articolo 36, TFUE sono previste esplicite deroghe ai divieti disposti dalle norme precedenti, in ragione di una serie di motivi.

Tali motivi sono stati interpretati restrittivamente e tassativamente dalla Corte di Giustizia proprio in quanto eccezioni al principio fondamentale dell'abolizione di ogni ostacolo alla libera circolazione delle merci38.

37 In quel caso ,quando non si tratti di un dazio doganale in senso proprio, esso costituisce una tassa effetto equivalente ai sensi articoli 28 e 30 TFUE.

38 Precisamente si tratta di motivi di moralità pubblica , di ordine pubblico di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico, o archeologico nazionale o di tutela della proprietà industriale e commerciale.

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Attraverso il divieto di restrizioni quantitative si vuole evitare che uno Stato membro possa determinare la quantità massima importabile di un bene sul proprio territorio, in quanto in tal modo controllerebbe, di fatto, gli scambi, ostacolando, la libera circolazione delle merci. Per quanto riguarda la nozione di misura d'effetto equivalente la Corte di Giustizia e la Commissione, ne hanno chiarito la nozione, e la portata del relativo divieto che ha acquistato un'importanza fondamentale nell'attuazione del mercato comune e nella sua evoluzione in mercato interno.

Sono state definite misure di effetto equivalente e quindi vietate, le normative degli Stati membri prive di una completa armonizzazione, in relazione alle modalità di produzione alle caratteristiche dei prodotti, alla loro composizione nonché alle modalità di vendita di essi, adottate nei confronti degli importatori di prodotti di altri Stati membri in cui le norme diverse regolano le modalità di produzione e di commercializzazione.

Le misure effetto equivalente possono produrre sugli scambi degli effetti restrittivi, i quali possono essere suddivisi in tre categorie: le restrizioni formali; le restrizioni materiali; le misure non discriminatorie.

Le prime sono applicabili formalmente ai soli prodotti importati da altri Stati membri e riguardanti le modalità di fabbricazione, d'importazione, di trasporto, ecc.

Le seconde sono formalmente applicabili, sia ai prodotti nazionali che a quelli importati ma de facto gravanti solo o sopratutto su questi ultimi.

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facto a tutti i prodotti nazionali e importati. Tali misure, che in un primo momento non venivano neanche considerate misure d'effetto equivalente, hanno dato luogo ai maggiori sviluppi nell'interpretazione della norma.39

Per la prima volta la nozione di misure effetto equivalente è stata per la prima volta definita con chiarezza dalla Corte di Giustizia con la famosa formula Dassonville, attraverso la sentenza 11 luglio 1974.

In tale sentenza la Corte afferma: “ogni normativa

commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza gli scambi intracomunitari va considerata una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa.”

Tale formula è stata sistematicamente richiamata nella giurisprudenza successiva.

Infatti in materia di fissazione dei prezzi sono stati considerati contrari all'articolo 34 TFUE prezzi massimi, indistintamente applicabili ai produttori nazionali ed a quelli importati, fissati ad un livello in ragione del quale lo smercio dei prodotti importati veniva reso impossibile o più difficile di quello dei prodotti nazionali.

Con la direttiva, n.70/50 del 22 dicembre del 1969, la Commissione, aveva fornito un'esemplificazione delle principali misure d'effetto equivalente e specificato all'articolo 3, come divieto di discriminazione relativo alle prescrizioni sulla forma, dimensione, peso, composizione, imposto del divieto di misure di effetto equivalente

39 Altra distinzione è stata fatta tra le regole relative alla composizione, caratteristiche e presentazione dei prodotti e regole che disciplinano la vendita dei prodotti.

(34)

riguardi anche la fase di commercializzazione, quando tali prescrizioni eccedono il contesto degli effetti propri di una regolamentazione commerciale.

Ma comunque in questa prima fase, l'attuazione della libera circolazione delle merci veniva identificata con il rispetto del principio del Paese di destinazione.40

2.4.Le eccezioni alle restrizioni quantitative

ai sensi dell'articolo 36 TFUE.

L'articolo 36 TFUE, come sopra ricordato consente agli Stati membri di predisporre divieti all'importazione, all'esportazione o istituirne nuovi, se ritenuti necessari per la tutela degli interessi tassativamente previsti dalla norma .

Tale norma rappresenta un'eccezione alla libera circolazione delle merci, volte a tutelare gli interessi indicati fino a quando non intervengono misure idonee a livello dell'Unione.

La possibilità per gli Stati di adottare misure nazionali di salvaguardia degli interessi ai sensi dell'articolo 36 TFUE non è tuttavia senza limiti.

Infatti nel famoso caso Simmenthal, sentenza del 15 dicembre 1967, la Corte ha precisato che lo scopo di tale articolo non è quello di attribuire agli Stati membri una competenza esclusiva ma quello di consentire solamente delle eccezioni nella misura in cui queste siano necessarie

40 Infatti alle merci prodotte da uno Stato membro ed esportate in un altro Stato membro veniva garantita la parità di trattamento con le merci del Paese di destinazione, conformemente al principio di non discriminazione.

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per raggiungere gli obbiettivi fissati dalla norma in esame.

Per la Corte di giustizia le misure assunte dagli Stati membri e legittimate alla luce dell'articolo 36 TFUE devono osservare criteri precisi.

E' necessario che tale normativa escludono dicriminazioni arbitrarie e restrizioni dissimulate del commercio tra gli Stati membri, siano misure oggettivamente giustificate, cioè non imposte per soddisfare un'esigenza non realmente necessaria.

L'applicazione dell'articolo 36 TFUE è stata giustificata da ragioni relative la tutela della salute pubblica.41

Numerose sono state le applicazioni dell'articolo 36 TFUE a divieti e restrizioni poste a tutela della proprietà industriale e commerciale42.

41 Una normativa nazionale che vieta la vendita delle lenti a contatto e dei prodotti collaterali in stabilimenti commerciali che non siano diretti o gestiti da persone che soddisfino le condizioni necessarie per l'esercizio della professione di ottico. (sentenza del 25 maggio 1993 Laboratories de protheses,

oculaires) Ancora a titolo esemplificativo la Corte ha

considerato una normativa nazionale che vieti l'immissione sul mercato del di un prodotto di biocida contenente sostanze pericolose, senza previa autorizzazione dell'autorità competenti , anche se la vendita di tale prodotto sia già stata autorizzata in un altro Stato membro. La Corte ha altresì statuito che le autorità competenti non possono esigere senza necessità di analisi tecniche o chimiche né prove di laboratorio nel caso in cui le stesse analisi e le stesse prove siano state già effettuate nello Stato membro che ha rilasciato l'autorizzazione ed i relativi risultati siano loro disposizione o possano , a loro richiesta , essere messi a disposizione.

42 Si ricorda il caso del Prosciutto di Parma sentenza del 20 maggio 2003 in cui la Corte di Giustizia ha statuito il fatto di subordinare l'uso della denominazione d'origine protetta “ prosciutto di Parma” per il prosciutto commercializzato a fette alla condizione che le operazioni le operazioni di affettamento e confezionamento vengano effettuate nella zona di produzione costituisce una misura effetto equivalente a una restrizione quantitativa all'esportazione ai sensi dell'articolo

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Si evidenzia inoltre, l'ipotesi eccezionale in cui misure nazionali contrarie al divieto di cui all'articolo 34 TFUE, possano essere giustificate e mantenute se necessarie per assicurare l'adempimento, da parte dello Stato membro in discorso, sulla base di un accordo concluso anteriormente all'entrata in vigore del Trattato o all'adesione di quello Stato membro.

Ulteriori giustificazioni al mantenimento di restrizioni o divieti di circolazione intracomunitaria di merci possono iscriversi nel quadro delle misure nazionali di cui all'articolo 114, nn. 4 e 5 TFUE, introdotto dall'AUE. Tale norma, contenuta nel capo relativo all'avvicinamento delle legislazioni, prevede che qualora uno Stato membro, dopo l'adozione di una misura di armonizzazione, consideri necessario mantenere disposizioni nazionali giustificate da esigenze “importanti” previste dall'articolo 36 TFUE o relative alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro, esso notifichi alla Commissione i motivi in base al quale ritenga di mantenerle.

Anche nel caso in cui uno Stato voglia introdurre nuove misure nazionali fondate su nuove prove scientifiche

35 TFUE; tuttavia conformemente all'articolo 36 TFUE, l'articolo 35 TFUE, lascia impregiudicati i divieti o restrizioni all'esportazione , giustificati da motivi, in particolare di tutela di proprietà industriale e commerciale.

Pertanto il condizionare l'affettamento e il condizionamento nella zona di produzione, finalizzato a preservare la reputazione del prosciutto cotto di Parma, mediante controllo delle sue particolari caratteristiche e della qualità, può essere considerata giustificata come misura di tutela della Dop, di cui beneficia la collettività, degli operatori interessati e che riveste per quest'ultimi un importanza decisiva, cosicché la restrizione che ne deriva può ritenersi necessaria per la realizzazione dell'obiettivo perseguito, nel senso che non esistono misure alternative meno restrittive ad idonee a conseguirlo.

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inerenti sempre alla protezione dell'ambiente o dell'ambiente di lavoro.

Merita ricordare, che negli ultimi anni sono stati adottati una serie di provvedimenti volti a rafforzare l'effettiva attuazione del principio del mutuo riconoscimento. Il Consiglio, con la risoluzione del 28 ottobre del 1999 sul reciproco riconoscimento, aveva invitato gli Stati membri ad elaborare le opportune misure per fornire agli operatori economici un quadro efficiente per il reciproco riconoscimento.

In assenza di un'armonizzazione legislativa gli ostacoli alla libera circolazione delle merci tra Stati membri possono essere illegittimamente creati delle autorità competenti degli Stati applicando, ai prodotti legalmente commercializzati in altri Stati membri, regole tecniche che stabiliscono requisiti che tali prodotti devono soddisfare, ad esempio regole relative a denominazione, forma, dimensioni, peso, composizione, presentazione, etichettatura, imballaggio e che in assenza di una corretta informazione sul funzionamento del mercato interno un produttore potrebbe risolversi a rinunciare ad esportare i sui prodotti in uno Stato membro.

Il regolamento del 9 luglio 2008 n.764, adottato da Parlamento europeo e dal Consiglio stabilisce le norme e le procedure cui devono attenersi le autorità competenti di uno Stato membro quando adottano o si propongono di adottare una decisione che ostacolerebbe la libera circolazione di un prodotto largamente commercializzato in un altro Stato membro, vietandone l'immissione sul mercato, richiedendo la modifica o l'effettuazione di prove supplementari o ritirandolo dal mercato.

(38)

Esso prevede, inoltre, l'istituzione di punti di contatto di prodotti negli Stati membri, al fine di fornire informazioni sulle regole tecniche applicabili ad un particolare tipo di prodotto sul territorio dove è stabilito il punto di contatto ovvero i riferimenti delle autorità competenti in tale Stato membro al fine di contattarle direttamente.

E' stato emanato un regolamento del Consiglio n.2679 del 7 dicembre 1998 volto ad instaurare un meccanismo di intervento in via di urgenza per la salvaguardia della libertà degli scambi intracomunitari.

Tale regolamento da la possibilità alla Commissione, di notificare ad uno Stato membro, sul cui territorio sia accertata la violazione dei principi della libera circolazione delle merci che preveda un'azione immediata, una decisione con effetti giuridici obbligatori affinché lo Stato, possa assumere provvedimenti necessari all'eliminazione degli ostacoli, pena il ricorso alla Corte di giustizia con la relativa eventuale condanna al risarcimento dei danni.

2.5.La natura “esterna” dell'Unione

doganale: la tariffa doganale comune e la

politica commerciale comune.

Tra i vari strumenti a disposizione degli Stati membri, volti a realizzare una coesione economica, l'unione doganale rappresenta la forma più evoluta, volta a una integrazione senza restrizioni alle frontiere interne, con l'applicazione di una tariffa doganale comune (TDC) e di

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una politica commerciale comune nei confronti delle merci provenienti dai Paesi terzi.

Se come abbiamo visto sopra, il lato “interno” di un unione doganale, comporta l'abolizione dei dazi doganali all'importazione ed all'esportazione tra gli Stati membri nonché delle tasse effetto equivalente ai dazi doganali, paragonabile a modelli che comportano zone di libero scambio43, tali accordi implicano, il mantenimento di una propria politica tariffaria doganale verso l'esterno, e di una politica commerciale autonoma in ogni singolo Paese partecipante.

In tali zone, è necessario porre delle regole volte a stabilire quali merce possono circolare liberamente all'interno della zona, nonché mantenere procedure doganali alle frontiere interne agli Stati membri al fine di verificare il rispetto delle suddette regole.

La potenzialità dell'unione doganale, realizzata tra gli Stati membri dell'Unione europea, si caratterizza nell'eliminazione di ogni controllo e formalità alle frontiere interne44.

Si è trattato di uno sviluppo graduale, attuato, mediante la creazione, in origine di un unione tariffaria con l'abolizione di dazi doganali tra gli Stati membri; l'introduzione, quindi, di una tariffa doganale esterna comune applicabile alle merci provenienti dai Paesi terzi; e l'adozione in seguito, di una legislazione doganale

43 Si veda a titolo esemplificativo, lo Spazio economico europeo, l'Associazione europea di libero scambio, l'Accordo nordamericano tra Usa, Canada, e Messico.

44 Circostanza che è stata pienamente realizzata nel 1993 con

l'abolizione della riscossione delle imposte sui consumi e dell'IVA ed il conseguente smantellamento delle dogane tra Stati membri.

(40)

comune, che tuttavia è stata applicata dai singoli Stati membri in maniera non uniforme sino alla realizzazione del mercato interno nel 1993.

La tariffa doganale comune, la cui introduzione risale al 196845, in prossimità della scadenza del c.d. periodo transitorio di libera circolazione delle merci, come detto è un elemento fondamentale dell'Unione doganale.

La tariffa doganale comune, viene fissata annualmente, per ogni singola voce o bene della c.d. “nomenclatura combinata”, da un regolamento del Consiglio ed è amministrata dalla Commissione che provvede all'aggiornamento immediato e permanente, curandone pure la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale prima del 31 ottobre che ne precede l'applicazione ( a far data del 1 gennaio successivo.46)

La modificazione e la determinazione dei dazi della TDC è di competenza del Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione47, anche se il relativo potere viene ad essere condizionato dalla partecipazione dell'Unione europea all'OMC e della

45 Regolamento n.950/68, in GUCE,il 22 luglio 1968.

46 In data 23 luglio 1987 è stato adottato il nuovo Regolamento del Consiglio n.2658/87 relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune. La Commissione, quindi, istituisce sulla base della nomenclatura combinata tariffa integrata delle Comunità europee, denominata Taric che riprende, in particolare le suddivisioni comunitarie complementari (sottovoci di Taric) utilizzate per designare le merci, e il loro numero di codice, le aliquote dei dazi doganali, in funzione dell'origine delle merci, e varie misure di politica commerciale. Segnatamente, ad ognuna di queste sottovoci della NC corrisponde un codice numerico di otto cifre. Le prime sei cifre indicano le voci e le sottovoci della nomenclatura del sistema armonizzato. La settima e ottava cifra identificano le sottovoci NC, mentre la nona e la decima cifra indicano le sottovoci Taric.

(41)

necessità di adeguare la normativa dell'Unione in materia a quella negoziata in ambito OMC.

Ai sensi dell'articolo 3, n.1 TFUE, la competenza esercitata dall'Unione europea nel settore dell'unione doganale è di tipo esclusivo e pertanto in tale campo

“solo l'Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall'Unione oppure per dare attuazione agli atti dell'Unione.”

Si deve osservare che l'imposizione dei diritti doganali, in particolare, consente all'Unione di proteggere la propria economia interna modulando il rigore dei diritti all'entrata in funzione delle esigenze congiunturali dei diversi settori, benché le negoziazioni commerciali in seno alla WTO in vista di riduzioni generalizzate dei dazi abbiano con il tempo attenuato l'importanza della politica tariffaria in senso stretto.

Si può ricordare il sistema di preferenze generalizzate con cui l'Unione ha voluto favorire i paesi in via di sviluppo prevedendo per i loro prodotti appunto un regime preferenziale e forme di contingenti tariffari valevoli temporaneamente48.

48 Il concetto di GSP è stato elaborato nel contesto dell'UNCTAD al fine di accelerare le crescita e l'industrializzazione nei paesi in via di sviluppo. Nel 1979 tuttavia, una decisione ministeriale del GATT ha stabilito che gli Stati che adottano un sistema di tariffe preferenziali generalizzate non sono tenuti ad estendere il regime de quo a tutti gli altri sulla base dell'articolo 1. Con il regolamento del 15 dicembre 2003, il Consiglio, che ha adottato un regolamento (il n.2211/2003, in GUCE, L 332 del 19 dicembre 2003) ha progettato l'applicazione del regolamento 2501/2001 fino a tutto il 31 dicembre 2005. Successivamente con il Regolamento(CE) n 732/2008 del Consiglio, si è stabilito un sistema di preferenze tariffarie generalizzate per il periodo dal 1 gennaio 2009 al 31 dicembre 2011.

Riferimenti

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