Nuovi obbiettivi dell'Ue nell'ambito della politica commerciale in materia
5.3. La Commissione propone nel 2013 di modernizzare gli strumenti di difesa
5.3.5. Spunti di riflessione.
Nel complesso, da un punto di vista sostanziale, la proposta legislativa è più bilanciata e proporzionata di quella avanzata nel 2006 dall'allora Commissario al commercio, Peter Mandelson, il quale tentò di effettuare una riforma, avente per molti aspetti le stesse caratteristiche e finalità di quella odierna.
150Per quanto riguarda i contenuti, come già indicati nel medesimo capitolo, riguardano quattro aspetti tecnici:il calcolo del margine di pregiudizio, la scelta del paese di riferimento, il test dell'interesse comunitario, le indagini di riesame e la durata delle misure.
Il progetto di riforma attuale appare relativamente meno distorsivo, inoltre va sottolineato che, una volta entrate in vigore, le modifiche apportate alla disciplina esistente non potranno essere rimosse o superate attraverso la prassi o con la normativa di attuazione: esse resteranno in vigore fino al successivo cambiamento dei regolamenti di base. A tale riguardo, per avere un’idea della complessità della materia, basti ricordare che l’ultima modifica sostanziale dei regolamenti di base ebbe luogo nel 1995151.
Un primo commento va svolto sulla metodologia adoperata per la stesura dei testi di riforma.
Le modifiche vengono inserite in tre diversi documenti aventi differente valore giuridico, favorendo fin da subito incertezza e difficoltà interpretative da parte degli operatori, che avrebbero, invece, tutto l’interesse a seguire gli sviluppi e le possibili ricadute di questo esercizio. Esso viene presentato come un “pragmatic and
balanced way for the benefit of all stakeholders” ma,
nella sostanza, alcune innovazioni prospettate, più che ad un rafforzamento dell’attuale sistema, puntano a spostare radicalmente l’equilibrio complessivo del pacchetto a beneficio di importatori e utilizzatori a scapito dei produttori europei. Decisamente controversi risultano i testi dei progetti di linee guida, di cui la Commissione non chiarisce il valore giuridico né i tempi di esame e le modalità di applicazione, assegnando loro lo status di “documenti di lavoro” volti ad un mero chiarimento delle prassi esistenti. Il pericolo ravvisato, invece, è che tali documenti, sottratti all’iter legislativo,
151Si rinvia, per esposizione del iter normativo in materia di strumenti di difesa commerciale, all'introduzione del capitolo.
possano di fatto introdurre vere e proprie modifiche alle procedure in vigore o, ancor peggio, fornire, o permettere, delle interpretazioni di natura politica. E’ evidente che nell’uno e nell’altro caso, si produrrebbero effetti negativi, mettendo a repentaglio la certezza del diritto su questioni fortemente legate all’interesse economico europeo. Inoltre, eventuali anomalie nell’applicazione di tali strumenti si rifletterebbero sulle relazioni con i partner internazionali e sugli accordi di libero scambio stipulati ed in corso di negoziazione, dando vita a contenziosi con le controparti e con il OMC .
L'attuale riforma, secondo il Commissario europeo al commercio Karel De Gucht dovrebbe ispirarsi a principi di equilibrio tra i diversi interessi coinvolti nei procedimenti antidumping (molto più frequenti di quelli antisovvenzione): produttori, importatori, utilizzatori e consumatori152. Ma benché questo sia il principio a cui dovrebbe ispirarsi la riforma, dalla lettura delle proposte precedentemente esaminate si può dedurre, che vi sono alcuni elementi a favore delle imprese europee, mentre le concessioni a favore degli interessi degli importatori sembrano essere più sostanziose.
Nell'attuale sistema già non mancano previsioni, in tal senso paiono esemplificative le misure che vanno oltre gli obblighi previsti in sede Organizzazione Mondiale del Commercio (elementi “OMC plus”), come la “Lesser Duty
Rule”, che prevede l’imposizione di un dazio inferiore al
152 Si veda la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla “Modernizzazione degli strumenti
di difesa commerciale alle attuali esigenze dell'economia europea.” Bruxelles 10.4.2013.
margine di dumping se questo è sufficiente ad eliminare il danno subito dall’industria domestica, o il test d’interesse dell’Unione, un’analisi qualitativa e in prospettiva dell’impatto delle misure sull’economia dell’UE, per accettare che i benefici che accorrono ai produttori domestici non siano più che compensati dai danni subiti da importatori, utenti e consumatori.
A tali elementi, se la proposta dovesse venire adottata senza cambiamenti sostanziali, si aggiungerà l’introduzione della clausola applicabile alle spedizioni la c.d.“shipping clause”, che tutela gli interessi degli importatori attraverso un preavviso dell’imminente imposizione di dazi anche se il danno all’industria europea è già stato accertato, e il rimborso dei dazi raccolti durante la procedura di revisione a scadenza, in caso questa si concluda con il mancato rinnovo delle misure (che configura una retroattività che non è prevista per quanto riguarda invece l’imposizione dei dazi).
Inoltre, qualora la riforma venga valutata alla luce dell fatto che i principali attori internazionali fanno uso degli strumenti di difesa commerciale in chiave difensiva o ritorsiva, ed in misura sempre crescente153, rendono la difesa commerciale una leva di politica industriale. In questo scenario l'Unione europea non solo non utilizza tali strumenti in chiave di politica industriale, ma alla luce di alcune proposte del pacchetto di riforma, sopra illustrate, sembra aver assunto una visione mercantilistica che ignora la loro funzione primaria, ossia difendere la
153 Si veda la decima Relazione della Commissione al Parlamento europeo “Sintesi delle misure di difesa
commerciale dei Paesi terzi contro l'Unione europea per l'anno 2012” Bruxelles 22.4,2012.
concorrenza e, con essa, la competitività reale dell'industria europea.
L'impressione a mio avviso data dai tentativi dell'Ue di riformare il sistema di difesa commerciale è infatti quella di voler favorire: le importazioni, il commercio, e la distribuzione; settori senza dubbio importanti per l'economia europea, ma decisamente satellitari rispetto agli obbiettivi, di cui si discute.
Analoghe considerazioni già possono essere svolte rispetto alle ipotesi di codificazione della prassi.
Secondo una visione di insieme nonostante l'intento di offrire maggior chiarezza agli operatori, molte delle menzionate proposte finiscono per attribuire un maggior margine di discrezionalità alla Commissione.
Il loro effetto dipenderà dunque da come la Commissione utilizzerà questo suo potere.
Nell'ipotesi in cui i cambiamenti dovessero spostare l’equilibrio complessivo a vantaggio di importatori e utilizzatori, a scapito dei produttori europei tale squilibrio non sarebbe più correggibile con la prassi, ma soltanto con un’altra riforma. Perciò ogni modifica introdotta va ponderata molto attentamente.
Nello specifico: per quanto riguarda la registrazione ex officio delle importazioni, non vi è dubbio che un maggiore partecipazione della Commissione non potrà che essere positiva. La possibilità che una “modifica delle
circostanze” possa comportare cambiamenti nella
metodologia per l’indagine è un tipico esempio di come la discrezionalità della Commissione può volgere alla tutela dei produttori europei, come si dovrebbe
auspicare, ovvero risolversi in un’apertura surrettizia agli interessi degli esportatori e degli importatori.
La proposta di non sottoporre a riesame gli esportatori con margine di dumping inferiore al 2% o pari a zero appare neutra dal punto di vista degli interessi dell’industria, e positiva perché fornisce un elemento di chiarimento. Razionale appare l’esenzione, oltre che delle imprese oggetto di un’inchiesta che dimostrano di non praticare l’elusione, anche delle parti non coinvolte nell’inchiesta ma ad esse collegate.
Maggiori criticità pone invece la possibile differenziazione tra la proporzione maggioritaria utilizzata per l’apertura dell’inchiesta e quella per il calcolo del pregiudizio. Poiché la soglia minima del 25% permane fissa per l’apertura dell’inchiesta, bisognerà vedere se per definire il pregiudizio la Commissione accetterà, oltre a percentuali maggiori, anche soglie inferiori al 25%. Se la differenziazione avvenisse soltanto al rialzo, questa modifica sarebbe sicuramente negativa per l’industria.
Inoltre, la possibilità conferita alla Commissione di effettuare il campionamento estrapolando il campione e calcolando l’interesse europeo tra i soli denunzianti (che sentono ovviamente leso il proprio interesse), ma dall’universo dei produttori europei apre ampi varchi di discrezionalità.
Conclusioni
Nelle pagine che precedono si è inteso affrontare la tematica complessiva riguardante gli sviluppi della normativa degli strumenti di difesa commerciale a disposizione degli operatori europei, in particolare ci si è soffermati sugli aspetti più significativi della riforma, volta a una sostanziale “modernizzazione”, dei regolamenti riguardanti questo settore particolare. Il pacchetto di proposte in parola, attraverso l'approvazione delle misure indicate, dovrebbe rendere più efficace il sistema degli strumenti di difesa commerciali migliorandone l'applicazione, fornendo alle parti interessate strumenti necessari per affrontare i mutamenti dell'ambiente in cui operano.
Attraverso le proposte illustrate si cerca, infatti, di affrontare i problemi reali ed offrire soluzioni pratiche tenendo in considerazione le esigenze e le preoccupazioni delle parti interessate, ovvero quelle degli importatori e dei consumatori da un lato e quella dei produttori dall'altro.
Secondo la Commissione, si tratterebbe di un pacchetto equilibrato, di ispirazione anche per l'auspicabile riforma delle norme dell'OMC in materia in quanto volto a migliorare la prevedibilità per le imprese, circa la possibile entrata in vigore dei futuri dazi; offrire agli importatori il rimborso dei dazi riscossi durante un riesame in previsione della scadenza qualora in esso si concluda che non è necessario mantenere in atto le misure di difesa commerciale dopo cinque anni; proteggere l'industria dell'UE avviando indagini di propria
iniziativa, senza una richiesta ufficiale dell'industria in presenza di una minaccia di ritorsioni il tutto al fine di scoraggiare altri partner commerciali dal mettere in atto talune pratiche commerciali sleali, imponendo dazi più alti sulle importazioni provenienti da Paesi che utilizzano sovvenzioni sleali e creano distorsioni strutturali nei loro mercati delle materie prime.
Uno degli scopi primari è quello di offrire agli esportatori UE nuove opportunità e per garantire che possano competere e operare sui mercati esteri in condizioni di equità, posto che se applicate correttamente, creano importanti e positive ricadute sui singoli cittadini e sulla società.
La proposta in esame presenta sicuramente degli aspetti di criticità da migliorare, certo che se la si guarda in un'ottica interna, da parte dei produttori europei (ed, in particolar modo, dal punto di vita delle piccole medie imprese) alcune proposte legislative volte a tenere in considerazione gli interessi degli importatori attraverso una maggior prevedibilità in relazione alle misure provvisorie e un'ottimizzazione della procedura di riesame, possono non essere comprese e viste come proposte volte a indebolire unilateralmente gli strumenti di difesa commerciale, a beneficio degli importatori. Tuttavia, vi sono alcuni aspetti della proposta che vanno mantenuti e valorizzati, come ad esempio lo stabilire tempi più rapidi per la chiusura delle investigazioni, o fornire il maggior supporto alle piccole medie imprese, o favorire più ampio ricorso da parte della Commissione all'apertura ex officio di inchieste.
commerciale debba essere vista nel contesto di due realtà odierne: la prima è caratterizzata dall'importanza dell'Unione stessa come protagonista della scena mondiale, mentre l'altra attiene al modo in cui la globalizzazione sta mutando il contesto internazionale. Oggi i prodotti non vengono più fabbricati dall’inizio alla fine in un unico luogo. Piuttosto, vengono assemblati in una lunga sequenza di singole fasi che spesso si svolgono in diverse parti del mondo. La denominazione «Made in» un unico paese è ormai l’eccezione piuttosto che la regola.
Ciò significa che dobbiamo maturare una visione più sofisticata delle esportazioni e importazioni invece di considerarle semplicemente come il flusso di prodotti finiti da un Paese verso l'altro.
Questo, a mio avviso, è l'atteggiamento dell'Unione, più liberista, rispetto a altri paesi, volta a tenere in considerazione anche gli interessi degli imprenditori, poiché la politica commerciale è parte integrante della strategia Europa 2020, il cui obbiettivo è promuovere l'occupazione creando un'economia moderna ed efficiente.
Il libero scambio è più importante che mai per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro, essendo la maggior parte dei beni importati, materie prime, di cui hanno bisogno i produttori europei, è necessario mantenere e stimolare una necessaria apertura a queste forniture.
In tale contesto, infatti limitare le importazioni o aumentare i dazi sarebbe controproducente poiché
farebbe salire i costi e ridurrebbe la competitività delle imprese europee sia nell'Ue che all'estero ciò di cui non abbiamo sicuramente bisogno.
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