1.Ordine del discorso antropologico: vita, organismo sociale, lavoro
3. Il discorso di verità “oikonomico”
3.1 Il concetto di oikonomia
Oikonomia significa “amministrazione della casa”. Una delle prime e più interessanti
testimonianze del termine si trova nel trattato dello pseudo Aristotele sull’economia1 nel quale si pone la distinzione tra governo della casa ed amministrazione della
polis2. Già da questo preliminare accenno introduttivo si possono trarre due osservazioni. In primo luogo, che nell’antichità greca ed all’atto della propria concettualizzazione la sfera dell’oikonomia si distingue nettamente dalla sfera pubblica della polis. In secondo luogo, ed in conseguenza di tale distinzione, si definisce anche una separazione tra paradigmi. L’oikonomia, infatti, a differenza della sfera dell’attività pubblica che è essenzialmente “politica”, è caratterizzata dalla dimensione gestionale – ordinativa. Nell’Economico Aristotele ed i suoi discepoli sottolineano questo aspetto, parlando di un paradigma gestionale che comincia a differenziarsi da uno politico. A differenza del Politico, dunque, nell’Economico non si fa riferimento ad un sistema di norme che costituiscono una scienza ma a delle disposizioni o a delle decisioni volte alla risoluzione di problemi contingenti e specifici3. Riprendendo il linguaggio foucaultiano, potremmo dire che tale paradigma si preoccupa della giusta disposizione delle cose, delle persone, delle relazioni. La gestione, dunque, è un’attività ordinativo – pragmatica volta a realizzare la “giusta” disposizione delle relazioni e delle funzioni tra cose, persone, attività. Lo stesso Aristotele, utilizzando tale termine, fa riferimento a tre tipi di relazioni che si sviluppano nel contesto dell’oikos: relazioni dispotiche padrone – servo, relazioni
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Cfr. Aristotele, L’amministrazione della casa, a cura di C. Natali, trad. it. di R. Laurenti, Laterza, Roma – Bari, 1995.
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Il concetto di oikonomia è stato trattato anche da autori come Senofonte e Platone. L’Economico di Senofonte può essere considerato il primo vero trattato sul concetto di economia come l’arte maschile di governare la casa e come dimensione del comando. Da ciò deriva l’accezione etico – aristocratica che viene attribuita al termine: l’economia è l’arte del limite, indica, cioè, i confini etici, le regole, le virtù che devono improntare l’attività di gestione ed amministrazione dei beni ed il guadagno. Ciò fa sì che l’oikonomia sia intesa sia come tèchnē che come episteme. Nella Repubblica di Platone, invece, il concetto di oikonomia è difficilmente distinto dalla crematistica ed ambedue queste dimensioni sono contrapposte alla filosofia, considerata come l’unica fonte della conoscenza. Nel pensiero platonico la sfera dell’oikos non dovrebbe esistere e nella Repubblica se ne propone addirittura l’abolizione in quanto contraria ai valori ed agli interessi pubblici. Il testo delle Leggi è l’unico nel quale Platone si accosta alla tematica dell’amministrazione della casa. Egli, tuttavia, come già Senofonte, associa l’oikonomia al potere del padrone e la considera genericamente come l’arte del comando nei confronti degli schiavi, dei figli, delle donne. Si può dire che nelle opere platoniche è presente sia un’accezione negativa dell’oikonomia, associata alla crematistica, sia un’accezione positiva che si bassa sulla conoscenza della matematica e mira alla realizzazione dell’ordine e all’armonia.
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Alcuni aspetti del concetto di oikonomia sono stati discussi da Aristotele nel Politico, opera cronologicamente antecedente all’Economico. In questo contesto confluisce la duplice accezione platonica di economia intesa sia come etica che come pragmatica. Inoltre, l’oikomike, prima ancora di essere un’arte o una scienza è un’hexis, uno “stato abituale dell’animo”. Dunque, con questo termine si intende sia la disposizione individuale sia i principî teorici dell’arte in forma universale. Nel senso della disposizione d’animo l’oikonomia è intesa come la capacità di gestire una famiglia, che è parte della capacità umana di raggiungere il bene supremo, la felicità. L’oikonomia, infatti, è manifestazione della saggezza pratica (phronesis), insieme alla capacità di fare le leggi e di gestire la cosa pubblica. In tal senso, Aristotele si oppone al programma politico della Repubblica platonica che proponeva l’abolizione della sfera privata: l’oikonomia non soltanto deve esistere ma deve rimanere nettamente distinta dalla sfera pubblica.
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paterne genitore - figli e relazioni gamiche marito – moglie. Inoltre, nel trattato aristotelico una differenza fondamentale è data dal fatto che l’oikia è intesa anche come una monarchia mentre la polis è composta da molti governanti. L’ambito democratico della polis, dunque, si distingue da quello della casa essendo caratterizzato da un principio di uguaglianza tra capi famiglia, ognuno dei quali ha il controllo gestionale della propria oikia. Ma ciò significa che, nel momento stesso in cui si sottolinea la differenza fondamentale tra la sfera pubblica e quella privata, quest’ultima risulta anche presupposta alla prima. Se i “molti” che governano in una situazione di eguaglianza sono i “monarchi” che hanno il controllo sulla sfera familiare, ciò significa che l’autonomia del pubblico dipende ed è in qualche modo fondata su un certo ordine gestionale che deve essere assicurato nella sfera dell’oikonomia. H. Arendt sottolinea l’importanza di quest’aspetto privato come fondamento dalla dinamica pubblica ed associa la dimensione disposizionale – gestionale alla sfera della sopravvivenza. L’oikonomia si fonda, dunque, sulla gestione delle relazioni naturali che prendono corpo all’interno della famiglia. Con i termini “relazioni naturali” si intende mettere in luce la sfera della sopravvivenza come ambito in cui predomina la necessità. Come dire, ciò che muove le dinamiche ordinativo – gestionali – oikonomiche è la necessità che si proietta nell’esistenza familiare. Vivere nella sfera dell’oikonomia significa, dunque, sopravvivere, garantire, attraverso la retta disposizione delle cose, l’esistenza. Ma ciò significa anche che la vita nell’oikia deve essere costantemente inquadrata nella sfera del bisogno, della necessità, nel legame che costitutivamente vincola l’esistenza alla necessità della propria conservazione. È possibile, dunque, affermare che il
paradigma oikonomico è anche un paradigma conservativo che eleva la conservatio vitae a criterio ordinativo familiare. Ciò dimostra che l’esistenza assume forma dalla
possibilità di agire conservativamente, prendendo temporaneamente le distanze dalla necessità. La vita dell’animale – uomo è vincolata alla necessità di soddisfare i propri bisogni primari. Ciò genera l’agire oikonomico che è essenzialmente inteso come lavoro, cioè dispendio fisico di energia.
H. Arendt sottolinea l’importante distinzione tra il lavoro del corpo e l’azione delle mani4. Il lavoro è un’attività che si annulla nella soddisfazione del bisogno e che mira all’incorporazione fisica della natura. Al contrario, l’azione fa dell’animale un essere qualificato e del dispendio energetico – lavorativo un’attività che consente di fissare il mondo, di costruire tecnicamente e simbolicamente tutto ciò che ci circonda. Il problema fondamentale che motivava nell’antichità classica la distinzione tra sfera privata e pubblica risiedeva nella necessità di tenere separato il lavoro dalla tèchnē, la sopravvivenza dalla vita qualificata, il bisogno dalla libertà. Nel mondo greco l’uomo libero viveva grazie al lavoro degli schiavi. L’esistenza umana, dunque, per poter essere considerata qualificata doveva presupporre una separazione, una divisione chiara tra schiavo ed uomo (o anche tra uomo e donna, tra padre e figlio). La soddisfazione dei bisogni attraverso il lavoro veniva considerata una condizione talmente infima per l’uomo libero da dover essere respinta verso la “regione” dell’sub – umano. La libertà, dunque, era fondata sul lavoro di coloro che dovevano garantire la sopravvivenza affinché si potesse costruire, in seguito, una vita
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qualifica, “esistente in vista del vivere bere”. Si può dire, dunque, che nell’antichità il paradigma oikonomico era un paradigma gestionale che mirava alla fissazione delle giuste e “convenienti” relazioni familiari al fine di porre una separazione tra nuda esistenza e vita qualificata5. Ma in quanto base materiale della vita pubblica, tale paradigma consentiva di articolare tra loro relazioni naturali e politiche.
Ricorrendo ancora una volta alle tesi arendtiane, possiamo sottolineare che la vita
activa, cioè la sfera delle relazioni politiche che univano tra loro soggetti
caratterizzati dall’eguale libertà di agire, doveva necessariamente presupporre una separazione simbolica tra pubblico e privato, proprio al fine di garantire l’esistenza stessa di una sfera pubblica.
La vittoria sulla necessità ha per obiettivo l’assoggettamento dei bisogni vitali che coartano l’uomo tenendolo in loro potere. Ma questa signoria può essere realizzata soltanto dominando e coartando gli altri, i quali, costretti a vivere in schiavitù, sollevino gli uomini liberi dalla coercizione della necessità. L’uomo libero, cittadino di una polis, non è né coartato dalle necessità naturali della sopravvivenza né sottoposto alla signoria imposta dall’uomo. Non solo non può essere uno schiavo: deve anche possedere degli schiavi ed esserne signore. La libertà della vita politica comincia dopo che il dominio abbia assoggettato tutte le necessità elementari del puro vivere; quindi dominio e soggezione, ordine ed obbedienza, governare ed essere governati sono condizioni preliminari alla vita della sfera politica proprio perché non ne sono il contenuto6.
Così l’oikonomia rappresenta anche il confine tra pubblico e privato, tra agire e lavoro, tra uomo e sub – uomo, tra libertà e necessità in quanto rappresenta la paradossale articolazione tra dimensione naturale e dimensione politica. Il
paradigma oikonomico, gestionale e conservativo, è ciò che consente di proiettare
l’esistenza naturale nella sfera del politico e, viceversa, di radicare il politico nella dimensione biologico – vitale. La dimensione paradossale o il doppio vincolo del paradigma oikonomico consente il transito e l’articolazione da una sfera all’altra. Parlando di articolazione non intendo semplicemente la dimensione connettiva; nell’epoca classica il paradigma gestionale – conservativo si strutturava interamente sulla possibilità di mantenere la separazione tra le due sfere. Tale differenza, dunque, era la linea di confine fondamentale del politico, quella che distingueva all’interno dello “spazio” discontinuo della natura e dell’esistenza il “luogo” qualificato della
polis e della vita. Si può pertanto affermare che la linea di confine del “politico”
passava per la duplice separazione pubblico/privato, animalità/umanità.
Vorrei sottolineare questo aspetto in quanto costituisce una dimensione fondamentale che consente di comprendere le dinamiche storico – trasformative che investono il paradigma oikonomico. Ciò nella duplice direttrice antropologica e gestionale. Ritengo, infatti, che l’oikonomia rappresenti ancora oggi il “luogo” privilegiato nel quale articolare una critica biopolitica e nel quale rintracciare le direttrici della tanto discussa relazione congiuntiva/disgiuntiva tra sovranità e governamentalità. Foucault stesso aveva individuato chiaramente questo aspetto nella nota formulazione del concetto di soglia di modernità biologica:
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Cfr. G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi Editore, Torino, 1995
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(…) quel che si potrebbe chiamare soglia di modernità biologica di una società si colloca nel momento in cui la specie entra come posta in gioco nelle sue strategie politiche. Per millenni, l’uomo è rimasto quel che era per Aristotele, un animale vivente ed inoltre capace di un’esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente7.
Ciò che Foucault mette in evidenza è, dunque, la dimensione paradossale sottesa alla dinamica bioeconomica che si compendia nella duplicità tra inclusione ed esclusione. In tal senso, ritengo che il modo più giusto per affrontare il problema dell’articolazione tra oikonomia e biopolitica sia analizzare la traiettoria genealogica che ha portato il paradigma gestionale a sovrapporsi a quello politico, la governamentalità economica a sopravanzare la legittimità sovrana. Ciò consente di individuare nella biopolitica una chiave di lettura che, non banalizzando le differenze tra sovranità e governamentalità, rende anche conto delle continuità, rivelando il fondo paradossale della biopolitica moderna. Ma riconoscere ciò significa anche mettere in dubbio le tesi che individuano nella biopolitica un tratto esclusivo della modernità. Come dice lo stesso Foucault, ciò che muta nella modernità è il “come” del potere non la sua natura8. Dunque, è nell’assottigliamento di quel confine che distingue il pubblico dal privato, la necessità dalla libertà, la sopravvivenza dalla vita, il sub – uomo dall’uomo che vanno cercate le ragioni dell’estensione del regime biopolitico – governamentale. E se si tratta di un’indagine che investe, come sostiene lo stesso Foucault, il “come” del potere è proprio il paradigma oikonomico –
gestionale che deve essere preso in considerazione. Se il potere si compendia nei
rapporti di forza molteplici e microfisici che investono la società sono proprio i dispositivi disciplinari e di controllo che prendono in carico la vita nel contesto sociale. L’anatomo - politica del corpo, inoltre, si articola su una biopolitica della
popolazione9. Il potere che controlla, se – duce, alimenta il corpo è anche un potere che gestisce e governa i flussi naturali della popolazione e della specie. Si può anche dire che questi due aspetti sono unificati dall’attitudine “nutritiva”, dalle funzioni di accudimento e di cura tipiche del potere oikonomico.
Questo è l’aspetto fondamentale del potere che, come sottolinea anche E. Canetti, si fonda sulla promessa di nutrimento10. L’oikonomia è una forma di potere che dilaziona o sostituisce il comando di fuga biologico con la domesticazione. L’assoggettamento oikonomico, tuttavia, non differisce di molto dalla minaccia di morte. Colui che fornisce il nutrimento possiede il diritto di vita o di morte su colui che è in una condizione di dipendenza. Si può anche sostenere che il paradigma della domesticazione consente di ottenere la massima coercizione ed il massimo asservimento possibile sacrificando la violenza immediata del comando alla necessità conservativa che investe le relazioni di potere. Anche il termine domesticazione (o addomesticamento) richiama la semantica della casa; la relazione nutritiva che consente a chi comanda di esercitare un potere di vita e di morte si basa sulla
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M. Foucault, La volontà di sapere, op. cit., p.127.
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Cfr. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977 – 1978), op. cit.
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Cfr. M. Foucault, La volontà di sapere, op. cit.
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necessaria riconduzione dell’esistenza carente alla sfera dell’oikos, luogo privato del lavoro e del consumo.