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Razionalità governamentale ed economia politica

1.Ordine del discorso antropologico: vita, organismo sociale, lavoro

3. Il discorso di verità “oikonomico”

3.4 Razionalità governamentale ed economia politica

L’autore affronta la tematica della political economy nei due corsi al Collége de

France degli anni 1977/78 e 1978/1979, intitolati “Sécurité, territoire, population”39

e “Naissance de la biopolitique”40. Il primo corso è volto ad indagare l’emergere del paradigma governamentale oikonomico attraverso una serie di apparati di potere/sapere che realizzano quella interrelazione preannunciata nel corso dell’anno precedente (“Il faut defendre la société”) tra dispositivi della sovranità e dispositivi governamentali. In particolare, l’indagine foucaultiana è volta a comprendere quali sono gli aspetti genealogici che consentono di comprendere il ruolo oikonomico – biologico della popolazione e l’emergere della sfera della società civile. Ciò attraverso il passaggio dal regime di potere - sapere della pastorale cristiana a quello della ragion di stato per giungere, infine, alla polizia. Quest’ultima rappresenta l’alveo nel quale la politica governamentale comincia a muovere i primi passi nel corso del XVIII secolo. É, infatti, all’interno di un’accezione molto amplia di polizia, intesa soprattutto come Polizeiwissenschaft (scienza di polizia), che si struttura lo spazio specifico dell’economia politica. in questo contesto è interessante sottolineare l’originaria condivisione e circolazione di tematiche, saperi, pratiche tra questi due dispositivi. Scienza di polizia e sapere economico – politico hanno, dunque, il medesimo retroterra teorico e sono nate negli stessi apparati di potere oikonomico. Cercherò di chiarire la genesi di questi dispositivi partendo dall’analisi del nuovo soggetto/oggetto delle pratica governamentale: la popolazione. A partire dal XVII secolo, con la diffusione della teoria economica fisiocratica, la popolazione diviene un elemento molto importante sul piano economico (fornisce braccia all’agricoltura ed al commercio, consente con il proprio lavoro di mantenere elevato il rendimento dei prodotti abbassando i prezzi, mantiene bassi i salari ed attiva la concorrenza) e comincia a non essere più considerata come un insieme di sudditi di diritto. Fin quando il cameralismo ed il mercantilismo ebbero la meglio in economia, infatti, la popolazione pur essendo inquadrata come un’importante risorsa economica continuava ad essere considerata come uno dei fattori di potenza del sovrano, come un suo possesso privato (come il territorio e le risorse naturali). Con la teoria fisiocratica, al contrario, la popolazione diviene un insieme di processi da gestire in ciò che hanno di naturale, sulla base della loro naturalità. Questo concetto è molto importante per comprendere come si evolve il paradigma governamentale –

oikonomico nel corso del XVIII e del XIX secolo.

Si parla di naturalità della popolazione per indicare la multidimensionalità delle sue componenti, non più costituite da una pura sommatoria di sudditi di diritto. Tale accezione, tuttavia, implica anche il suo contrario: affinché la naturalità della popolazione possa essere valorizzata o anche solo osservata e compresa è necessario che sia sottoposta a “necessari” interventi tecnici, prospettici e previsionali. Infatti, se è vero che la popolazione racchiude un insieme eterogeneo di atteggiamenti, orientamenti, valori, attività è anche vero che per poterli interpretare e per fornire ad

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Cfr. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977 – 1978), op. cit.

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essi consistenza è necessario intervenire attraverso tecnologie di calcolo, di selezione, di computazione matematico – statistica al fine di aggregare o disaggregare tale molteplicità in unità discrete o in trend, flussi, tipologie. Ecco che, ancora una volta, il presupposto della naturalità diviene una testa di ponte fondamentale per estendere interventi di natura tecnico – gestionale – oikonomica al nuovo soggetto/oggetto della biopolitica e del governo. Dunque, si può, anche in questo caso, parlare dell’esistenza di una pseudo – naturalità interna alla definizione popolazionista che trasforma la multidimensionalità in fattore di calcolo, previsione, gestione ed amministrazione del vivente, inteso in termini collettivi. La biopolitica prende in carico la naturalità della popolazione al fine di estrarre da essa i dati che riguardano gli atteggiamenti demografici, i tassi di natalità, di mortalità, di fecondità, i fenomeni di inurbamento, di circolazione, i comportamenti e le abitudini medico – sanitarie, abitative, lavorative, ecc.

Sulla base di questo presupposto bio – naturale la popolazione è considerata, fino ad un certo livello, libera di gestire autonomamente i propri flussi ed i propri comportamenti. Si presuppone, dunque, una certa capacità di auto – organizzazione data dall’esistenza di un equilibrio naturale presupposto. Ciò nonostante, si può parlare di una pseudo – naturalità e non di una naturalità vera e propria in quanto tale attitudine auto – regolativa è considerata funzionale fino ad un certo punto. Esistono dei livelli entro i quali le oscillazioni e le eterogeneità degli atteggiamenti sono “normali”; al di fuori di queste si ha il campo non formalizzabile né osservabile degli atteggiamenti “a-normali”, cioè non trattabili con gli strumenti statistico/demografici, previsionali, computazionali. Uno degli aspetti più importanti, in tal senso, è quello di regolazione. Come osserva Foucault, questa non deve più essere intesa solo come normazione, cioè come riconduzione alla norma, ma come

normalizzazione.

Esiste, infatti, una fondamentale differenza tra normazione e normalizzazione. La

normazione è tipica di dispositivi e tecnologie disciplinari e di controllo. In questo

caso, la riconduzione alla norma si ottiene eliminando, espellendo il negativo, ciò che non rientra nella definizione di “norma”. Al contrario, nella definizione di

normalizzazione il negativo non è eliminato o espulso dal sistema ma è presente,

entro certi limiti, al proprio interno. Foucault elabora questa differenza prendendo in considerazione le acquisizioni dell’epidemiologia e, più in generale, delle scienze medico – biologiche da Bichat in poi. Se la biologia moderna considera la vita come ciò che resiste alla morte, ciò significa che la presenza del negativo (fattore patogeno) all’interno del positivo (corpo sano) è fino ad un certo livello da considerarsi “normale”, cioè non lesivo della salute dell’organismo nel suo complesso. Normalizzare, dunque, significherà stabilire un livello normale entro il quale è possibile l’oscillazione, la differenza, l’a-normalità. Oltre questo livello, ciò che è disfunzionale sarà considerato anche a – normale. Non esiste più una dicotomia netta tra normalità ed anormalità, la salute non è più l’opposto della malattia. Di conseguenza verrà ammessa non solo la possibilità ma la “normalità” dell’esistenza di gradi diversi e discontinui di “non – normalità” all’interno del corpo sano. Il nucleo di ciò che prima veniva indicato come anormalità, ora viene considerato normale entro certi livelli e circoscritto a determinate dinamiche. Ѐ il contesto, il

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grado, l’evento che rende il “potenziale anormale” degno o indegno di essere considerato tale e, dunque, nocivo, da eliminare o da curare. Per questo la rilevazione degli scarti differenziali tra una soglia di anormalità accettabile ed una non accettabile diviene l’aspetto più importante, il punto di attacco stesso del potere – sapere oikonomico. Infatti, rispetto al movimento di riconduzione alla norma (normazione), la normalizzazione è un’operazione di calcolo preventivo e un monitoraggio costante del corpo e dei propri flussi ed attività, al fine di comprendere se la norma può essere accettata come tale o deve, a sua volta, subire un processo di adeguamento. La normalizzazione si esercita, dunque, per mezzo di scarti

differenziali e si potrebbe configurare come una sorta di “normazione di secondo

grado”. Per questo Foucault parla della naturalità anche come la “costanza di un

fenomeno variabile”. Infatti, se è vero che la popolazione è un fenomeno variabile è

anche vero che all’interno di variazioni continue è possibile rintracciare delle regolarità. Il dato naturale viene in tal modo sovrapposto a quello normale.

Inoltre, il concetto di naturalità della popolazione, ponendo in primo piano le politiche di regolazione e di normalizzazione, evidenzia come il limite del potere non possa più essere trovato nella disobbedienza del suddito ma vada ricercato all’interno delle stesse tecniche governamentali. Il nuovo soggetto popolazione rappresenta, dunque, dal punto di vista delle tecnologie di governo, un elemento fondamentale che si muove in una sfera specifica, quella contraddistinta dalla naturalità, entro la quale il potere sovrano assume le caratteristiche della procedura di calcolo e della gestione oikonomico/salvifica. Infatti, Foucault sostiene che il concetto di

governamentalità emerge con esigenze gestionali, ordinative, salvifiche.

Con questo termine l’autore fa riferimento all’insieme di dispositivi che nel mondo occidentale, a partire dal XVIII secolo, privilegia uno specifico tipo di potere chiamato “governo” su altri tipologie come la sovranità. La governamentalità è il risultato storico di un lungo processo che dallo stato di giustizia del Medioevo giunge fino allo stato amministrativo del XV e XVI secolo ed allo stato governamentale del XVIII secolo. Dunque, per governamentalità si intende l’insieme delle istituzioni, delle procedure, delle tecniche, delle analisi, delle riflessioni, delle tattiche che hanno nella popolazione il soggetto/oggetto di riferimento, nell’economia politica la forma privilegiata di sapere e nella sicurezza lo strumento tecnico che consente il mantenimento dell’ordine. Si parla di tecniche e tattiche gestionali, oikonomiche e salvifiche, in quanto la forma/governo si pone come obiettivo primario di garantire la sopravvivenza dello stato e degli apparati burocratico – amministrativi che lo compongono, definendone i criteri di intelligibilità e delineandone i confini interni ed esterni. I dispositivi di governo, infatti, sono deputati, in primo luogo, a regolare i processi di apertura e chiusura e le relazioni specifiche tra sfera pubblica e sfera privata, individuando nel mantenimento di un certo equilibrio funzionale tra queste due dimensioni il compito fondamentale dello stato. In termini biopolitici si può sostenere che la governamentalizzazione della società, soprattutto nel momento in cui polizia e sapere economico si separano e divengono poteri interagenti, agisce con riferimento alla società, sfera intermedia “pubblico” e “privato”. È questa, infatti, a rappresentare il “luogo” nel quale si esercita il governo della popolazione. L’obiettivo primario della governamentalizzazione della società, a cui concorrono

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saperi economici e tecniche di polizia, è quello di garantire la sicurezza nei termini della sopravvivenza di una popolazione o di una specie. Infatti, la governamentalità ha un fondamento oikonomico: fornire una risposta al problema della carenza originaria dell’uomo (e della popolazione) che deriva da quello stesso fondo naturale che continuamente lo minaccia.

Proprio tale perpétuelle carence costituisce l’oggetto precipuo dell’economia politica. Come abbiamo visto, è lo stesso rapporto tra rarità naturale e finitudine umana a costituire il tramite tra tecniche oikonomico – gestionali e biopolitica. A partire dal XVIII secolo il potere governamentale si impegna nel fornire una risposta ad una domanda continuamente rinnovata, inesauribile: come porre fine o alleviare la condizione di infinita finitudine dell’umano?

Oggetto dell’economia politica – dopo Ricardo almeno – non è la rappresentazione dei bisogni umani ma l’individuazione dei mezzi grazie ai quali sia possibile sfuggire alla finitudine umana, ad una carence originaire, storicamente compresa, sovrastata dall’imminence de la mort come minaccia costante e quotidiana. La quale non è però, hobbesianamente, rivolta a tutti singolarmente, ma alla popolazione come insieme. Certo, la political economy è solo uno ed il più ambiguo - perché sempre critico – dei saperi che costituiscono la tecnologia governamentale; ma è principalmente per suo tramite che la biopolitica mette a tema quella perpétuelle carance rispetto alla quale non vi è “forma sovrana” che possa bastare. La civil society non è, infatti, uno spazio relazionale “altro” rispetto alle tecniche governamentali; anzi, è loro ambito precipuo, nel quale avviene il passaggio dalle structures de souverainetè alle techniques du

gouvernement41.

Quando l’economia cessa di esprimere il governo della casa e si estende a dismisura, quando la popolazione diviene un elemento naturale inscritto nelle leggi della scarsità, quando la police non rappresenta più soltanto un obiettivo di governo ma una tecnica assicurativo/gestionale, si giunge alla soglia di governamentalizzazione

della società. Secondo Foucault tale soglia fu raggiunta nel momento in cui

l’economia mise in discussione la legittimità del potere sovrano presente nel concetto di ragion di stato. Ciò significa che la ragion di stato, mantenendo ferma la separazione tra dimensione pubblica e dimensione privata, rappresentava anche l’ultima sfera di resistenza della sovranità. Nel XVII secolo, invece, la ragion di stato cominciò ad essere teorizzata, allo stesso tempo, come principio di intelligibilità interna dello stato e come schema strategico di automanifestazione in cui l’elemento della popolazione è accennato ma non gioca ancora un ruolo di primo piano. La vocazione governamentale che la ragion di stato contribuisce ad introdurre si fonda sul compito principale che lo stato mira a conseguire nei sui obiettivi strategici: il mantenimento della stabilità interna, dell’ordine. Come sostiene Foucault prendendo in considerazione scritti celebri dell’epoca42, la ragion di stato ha come obiettivo fondamentale il mantenimento dello stato in stato. Ciò significa che essa ha un

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A Zanini, L’ordine del discorso economico. Linguaggio delle ricchezze e pratiche di governo in

Michel Foucault, Ombre corte, Verona, 2010, p. 86.

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Per approfondimenti si veda G. A. Palazzo, Discorso del governo e della ragion vera di stato, Kessinger Pub Co, Whitefish, 2009 e G. Botero, Della Ragione di Stato, a cura di C. Continisio, Donzelli, Roma, 1997.

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obiettivo conservativo che tende ad essere perseguito introducendo delle tecniche di gestione/regolazione della popolazione.

Ma tale politica di ordine e di stabilità non rimarrà fine a se stessa e, come abbiamo visto, si evolverà nei termini di una pseudo - regolazione naturale. La ragion di stato, infatti, non ha l’obiettivo unico di mantenere la stabilità, governando ciò che è, ma mira ad una politica di accrescimento e rafforzamento, che fa riferimento a ciò che “deve” essere. Di qui la necessità di considerare l’ordine non in termini statici ma come un equilibrio in continua mutazione che comprende al proprio interno anche il negativo. Si potrebbe dire, con parole foucaultiane, che ad un certo punto dell’ “evoluzione” governamentale si privilegiò un modello ordinativo non statico e normativo ma normalizzante e securizzante. Tornando alla distinzione tra

normazione e normalizzazione, l’obiettivo di una ragion di stato che diviene

governamentale non è più di garantire l’ordine attraverso l’eliminazione o l’espulsione degli elementi caotici o disfunzionali ma è il mantenimento della disfunzionalità al di sotto di certi limiti di controllo che consentono all’organismo di accrescersi e rafforzarsi. Ciò implica un agire gestionale ed operazionale, un’amministrazione regolata delle unità e degli scarti da includere. Proprio per questo motivo la ragion di stato non potrà più essere considerata come una forma di intelligibilità autonoma ma dovrà sempre fare riferimento ad una rete di poteri che la costituiscono e le consentono di organizzasi in termini tecnico – gestionali ed incrementali. La ragion di stato, dunque, comincia sempre più a dipendere dal potere/sapere oikonomico che può essere distinto in potere regolativo/poliziesco e potere incrementale/economico. L’obiettivo governamentale della sicurezza si compone di questi due aspetti, facendo diretto riferimento sia alle politiche di gestione/organizzazione degli uomini, delle cose, dei beni sia alla necessità di assicurarne la preservazione e l’integrità. I dispositivi di securizzazione, infatti, sono strettamente interrelati con le politiche che mirano a promuovere il benessere economico della popolazione. Uno stesso modello li unisce e li integra: quello

oikonomico.

Foucault ricostruisce la genealogia dei dispositivi di securizzazione socio - economici che fanno riferimento alla cosiddetta scienza di polizia. Questa contiene l’insieme dei calcoli e delle tecniche che consentono di stabilire una relazione mobile e, ciò nonostante, stabile tra l’ordine interiore dello stato e la crescita delle sue forze. La polizia, inoltre, ha per obiettivo specifico il governo degli uomini.

L’interesse di uno stato di polizia riguarda quello che fanno gli uomini, la loro attività, la loro “occupazione”. L’obiettivo della polizia è il controllo e la presa in carico dell’attività degli uomini in quanto tale attività può costituire un elemento differenziale nello sviluppo delle forze dello stato. Credo che qui tocchiamo il cuore dell’organizzazione di ciò che i tedeschi chiamano stato di polizia e che i francesi, senza ricorrere a questa definizione, hanno di fatto realizzato43.

La polizia, dunque, si occupa di estrarre utilità dai corpi e dalle attività degli uomini, trasformandola in utilità pubblica. Partendo da questo nucleo centrale si possono

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M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977 – 1978), op. cit., pp. 233 – 234.

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individuare ulteriori “oggetti” nell’ordine del discorso e nelle pratiche di governo della scienza di polizia. Il primo è il numero dei cittadini che viene rapportato alla quantità delle risorse e delle opportunità fornite da un dato territorio. Il secondo oggetto su cui interviene la politica di polizia è il benessere collettivo. Ciò significa che questa si interessa non più soltanto al “vivere” ma al “vivere bene” , alla realizzazione del ben – essere collettivo. Per questo si occupa delle necessità vitali fondamentali, gestendo le politiche agricole, la commercializzazione delle derrate, la loro circolazione, le riserve di cibo in casi di carestia. Il terzo obiettivo riguarda le politiche di sanità pubblica, comprendenti interventi massicci sulla distribuzione, riqualificazione, disinfezione, spopolamento e ripopolamento degli spazi urbani. La scienza di polizia, dunque, supporta quelle politiche di accrescimento e di promozione del benessere che sono alla base della moderna gestione oikonomica. Tale azione fa sì che gli interventi di igiene pubblica siano predisposti ed applicati non più solamente come misure straordinarie di intervento, come le epidemie e le carestie, ma anche in situazioni di ordinaria amministrazione. Ecco che la teoria dei miasmi e le politiche di controllo e gestione delle malattia si collegano ad un'altra area di intervento, le politiche di edilizia urbana che promuovono la redistribuzione periodica degli spazi, la costruzione delle infrastrutture, l’organizzazione delle reti viarie, il dislocamento al di fuori della cinta muraria di edifici considerati “pericolosi” per la salute pubblica (macellerie, mattatoi, cimiteri). Un ulteriore “oggetto” degli interventi di polizia riguarda la meticolosa regolamentazione dei mestieri ed il controllo delle attività umane. Ciò investe sia gli uomini che i beni di cui si deve gestire la circolazione incrementandone l’utilità pubblica e le forze. Ma la politica principale perseguita dalla scienza di polizia riguarda la promozione di interventi volti a prevenire la povertà e scoraggiare atteggiamenti oziosi ed improduttivi44. Dunque, parlando di scienza di polizia non si può sottovalutare l’originaria congiunzione oikonomica tra politiche repressivo – correzionali e

politiche economiche.

Si può dire che la polizia interviene sulla società al fine di mantenere l’ordine e regolare l’accrescimento delle forze.

In breve, la polizia si inserisce in questo nuovo sistema economico, sociale, potremmo persino dire antropologico, che appare tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo. Tale sistema non obbedisce più al problema immediato di sopravvivere e di non morire, bensì al problema di vivere e fare qualcosa di più del semplice vivere. La polizia, infatti,

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Come sostenevano le teorie economiche di Ricardo e Malthus, la povertà è strettamente correlata all’ozio ed al pericolo di degenerazione morale. Dunque, un intervento di polizia che miri al ristabilimento dell’efficienza produttiva della maggior parte della popolazione deve indirizzarsi alla prevenzione ed alla cura di questi fenomeni attraverso delle politiche di repressione o di correzione del vizio, dei comportamenti oziosi, delle situazioni di promiscuità. Le politiche di intervento sulla povertà e l’ozio, infatti, sono collegate anche alle politiche demografiche di controllo della natalità. Malthus, ad esempio, riteneva che un certo equilibrio naturale fondato sul bisogno e sulla rarità muovesse gli atteggiamenti riproduttivi e li controllasse “naturalmente”. Ciò nonostante, per impedire che le classi meno agiate potessero continuare illimitatamente a riprodursi dovevano essere incoraggiate delle politiche pubbliche di intervento sugli atteggiamenti che avrebbero potuto diffondere il vizio, l’oziosità e la degenerazione morale. Queste misure, anche se ad un primo sguardo potrebbero sembrare difficilmente collegabili con l’economia, ne costituiscono il cuore. L’obiettivo principale delle politiche di intervento sulla povertà, l’ozio e i comportamenti riproduttivi della popolazione, risiedono nelle possibilità di incremento dell’utilità pubblica.

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è l’insieme delle tecniche, degli interventi e dei mezzi che assicurano il vivere, il fare di più che semplicemente vivere, cioè il coesistere, il comunicare, saranno realmente convertibili in forze dello stato, cioè saranno effettivamente utili alla costituzione e all’incremento delle forze dello stato. Con la polizia, quindi, si disegna un cerchio che