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Volontà di vita: compimento ed inversione del paradigma epistemologico moderno

1.Ordine del discorso antropologico: vita, organismo sociale, lavoro

2.4 Volontà di vita: compimento ed inversione del paradigma epistemologico moderno

Schopenhauer è presente anche il primo evidente sentore di un lento esaurimento della categorie classiche che prendevano in carico la vita umana. L’unico trascendimento possibile si realizza nella sottrazione della volontà da se stessa nella condizione ascetica. Dunque, non è più il vivere sociale, le istituzioni, la volontà generale a rappresentare la risposta imprescindibile contro il bisogno che connota la vita umana. La volontà realizza se stessa solo nell’apertura di uno spazio in cui bisogno vitale, agire strumentale e volontà di volontà si intrecciano dal fondo della loro non – appartenenza reciproca. L’ascesi è trattenimento e negazione della soddisfazione e della pulsionalità sensibile. Essa, però, spinge la volontà a volere sempre di più, a volere se stessa per mezzo della propria stessa negazione. In questa concezione è già sottesa, come mostra Bazzicalupo, l’attitudine ascetica del capitalismo maturo60. L’imprenditore schumpeteriano è, infatti, colui che nel processo economico nega a se stesso il godimento immediato, dilazionandolo e trasformando il risparmio in reinvestimento del capitale. Come comprese Marx, l’attitudine ascetica del profitto ripiega la logica desiderante su se stessa mostrando che, colui che nega al desiderio il proprio oggetto riesce ad ottenere potere sulla vita61. Il desiderio garantisce un’ascesa, dunque, solo se si presenta come un contenitore vuoto, privo d’oggetto. Ecco che il puro volere privo d’oggetto si pone all’origine dell’agire economico moderno.

2.4 Volontà di vita: compimento ed inversione del paradigma epistemologico moderno

Il concetto di volontà assume dei toni differenti nella filosofia di Nietzsche. É nel pensiero di questo autore, infatti, che la complessa parabola dell’ analitica della

finitudine trova, al contempo, il proprio compimento e la propria inversione. Infatti,

se da una parte la critica genealogica della morale mostra con Nietzsche la radice biologica dell’esistenza, spogliandola di qualsiasi incrostatura metafisica, dall’altra, la volontà di potenza flette il pessimismo schopenhaueriano verso una dimensione vitale. Vorrei, in primo luogo, discutere la centralità che assume in tale pensiero la

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Cfr. L. Bazzicalupo, Il governo delle vite. Biopolitica ed economia, op.cit.

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Cfr. M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, op.cit

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Cfr. L. Bazzicalupo, Il governo delle vite. Biopolitica ed economia, op.cit.

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vita intesa come dimensione biologico/corporea del vivente. Tale concezione sembra portare alle estreme conseguenze le scoperte scientifiche relative alle teorie evoluzionistiche nate e sviluppatesi nel corso del XIX secolo.

Bisogna, tuttavia, sottolineare che nel pensiero nietzschiano la dimensione evolutiva non è inquadrabile nel paradigma epistemologico/antropologico che abbiamo finora discusso. In questo aspetto si compendia la liminarità di tale pensiero, sospeso tra continuità e discontinuità, tra radicamento biologico e scardinamento dei presupposti epistemici che minacciano di dogmatismo anche il sapere scientifico. Anche la scienza, infatti, così come la religione, la filosofia e la morale nasce da una specifica ipostatizzazione metafisica della verità. Tutti i saperi si propongono di affrontare, con mezzi differenti, il problema dell’origine. Anche la scienza, dunque, si struttura intorno ad un apparato epistemologico che consente di fornire una risposta al problema dell’origine e fa ciò attraverso la definizione di una o più verità fondanti. Essa, però, è una fede particolare che si basa sull’idea che non esistono verità, che non esistono convinzioni non falsificabili. L’uomo, infatti, cade in errore ogni qual volta va alla ricerca della verità. Ma dire che nella conoscenza scientifica non esistono convinzioni è sbagliato. Anche la convinzione che non esistono convinzioni è un presupposto. E questo è così forte ed univoco da eliminare la pluralità ed imporsi come dogma. Ciò spinge la scienza a fare della non – verità una morale. Ma una verità che abbia come presupposto quello di mettere continuamente in dubbio l’oggetto stesso del pensiero scientifico si potrebbe, a sua volta, rivelare pericolosa, in quanto potrebbe implicare la negazione del mondo. Elevare la scienza a dogma potrebbe implicare un pericolo ancora più radicale di qualsiasi forma di assolutizzazione religiosa o morale, in quanto genererebbe un profondo nichilismo. Si comprende come Nietzsche avesse ben chiaro in mente l’esito nichilistico che l’elevazione della fede scientifica a dogma avrebbe potuto comportare.

Egli cerca, dunque, di porre i concetti di vita o di evoluzione in una prospettiva de – dogmatizzata, in un’ottica che scardini i saperi consolidati. Il primo concetto ad essere esposto a critica è quello di evoluzione. Nietzsche lo interpreta in un’ottica diversa da Darwin.

Si mette in conto alla lotta per l’esistenza la morte delle creature più deboli e la sopravvivenza delle più robuste e meglio dotate; quindi si immagina una crescita costante della perfezione delle creature. Al contrario, noi abbiamo accertato che nella lotta per l’esistenza il caso aiuta tanto i deboli quanto i forti; che spesso l’astuzia supplisce vantaggiosamente alla forza; che la fecondità della specie si lega in maniera sorprendente con la probabilità della sua distruzione62.

La concezione nietzschiana di evoluzione non è progressiva. Egli critica il positivismo scientifico insito nella teoria dell’evoluzione. Le specie, infatti, non evolvono verso un fine e la successione degli organismi non indica un grado sempre crescente di perfezione biologica e di adattamento. La lotta per la vita non avviene ai fini del perfezionamento lungo una scala evolutiva. Al contrario, l’evoluzione si configura, spesso, come un processo di lunga decadenza, nel quale è ciò che si oppone alla volontà di vita che prevale, come elemento di disgregazione e di

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infiacchimento della forza. Il filosofo inquadra la concezione evoluzionista in un movimento caratterizzato da continuità e discontinuità, da picchi evolutivi e da lunghe fasi di declino. Dunque, non esiste un’evoluzione lineare ma solo incrementi e decrementi governati da un adattamento selettivo, da una lotta interna alla singola vita. Ma ciò con autorizza a concludere che la molla delle evoluzione si trovi nella condizione carenziale della vivente. Al contrario, la vita è forza, è potenza che tende sempre al superamento di se stessa, all’oltrepassamento delle forme attuali. La vita è

volontà di potenza, in quanto si genera nello sforzo costante del superamento di se

stessa. É questo il primo, interessante, nucleo del concetto di evoluzione. Questo investe la vita su basi individuali, non collettive. É la singola vita che evolve o perisce che influenza la specie e determina il miglioramento o il declino delle condizioni generali d’esistenza. Ciò significa che in ogni fase dell’evoluzione è la vita maggiormente dotata di volontà che si eleva sulle altre e le condiziona con la propria evoluzione. Ma tale dinamica riguarda le eccezioni; la vita che davvero esprime mediante la propria volontà di potenza uno scarto evolutivo rappresenta l’eccezione rispetto alle condizione normali che spingono la specie verso la decadenza. Dunque, se di lotta si parla in tale teoria dell’evoluzione essa non va a vantaggio del più forte. Ciò avviene perché i più forti si espongono di più alla morte, mentre i più deboli subordinano le condizioni della loro conservazione a quelle del loro accrescimento.

La tematica della décadence, dunque, costituisce il nucleo di quello che è stato definito nichilismo nietzschiano. Ma tale concezione differisce profondamente da quella schopenhaueriana. Il pessimismo di Schopenhauer, infatti, discende dall’impossibilità che la vita si ricongiunga con la volontà alla quale costantemente tende e dalla quale deriva. La volontà rappresenta un vuoto rincorrere se stessa e la vita fenomenica un puro riflesso, un’ombra. Il dolore, dunque, nasce dalla vita e può essere alleviato solo da una negazione della stessa. Al contrario, in Nietzsche, la teoria della décadence, nasce da una pienezza vitale, da una condizione di sovrabbondanza che si manifesta nell’eccezione. È, infatti, l’eccezione e non la regola che nobilita evolutivamente la specie e la spinge al miglioramento. La decadenza è però connessa all’emergenza, non viceversa. In una condizione di decadenza la vita può esplodere, oltrepassare se stessa, riaffermare continuamente la propria volontà di vita. Ecco, dunque, che la decadenza non costituisce l’ultima parola della filosofia nietzschiana. Essa, invece, deve essere inquadrata entro la dottrina della volontà di potenza.

Come ha giustamente rilevato G. Simmel la potenza deve essere intesa come un’oltrepassamento che la vita più completa opera sulle altre. Ma i vantaggi evolutivi procurati dal singolo ricadono su tutta l’umanità in quanto egli ne rappresenta e riassume il grado più elevato. Dunque, la vita come volontà di potenza rappresenta in sé il grado più elevato dell’umanità63. Nella filosofia nietzschiana è presente una complessa interrelazione tra dimensione individuale e plurale della vita. Essa nella sua molteplicità è rappresentata dal riferimento all’umanità. Il filosofo, infatti, non utilizza le categorie consolidate di società o natura. Nel riferimento societario l’individuo è inglobato e disperso nella massa. Allo stesso modo, la natura è stata

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considerata come un contenitore metafisico nel quale la singolarità risulta annullata. Le concezioni che paragonano l’organismo sociale o naturale alla somma dei singoli organismi individuali non rendono giustizia alla centralità che la vita ha nella storia naturale. Infatti, tali concezioni dissolvono il vivente nelle categorie metafisiche di vita sociale o naturale. Se Nietzsche recupera la singolarità vitale non bisogna pensare che si perda in essa. Dire che l’umanità è racchiusa in ogni singola esistenza non significa porre il livello individuale al di sopra di quello collettivo o viceversa. L’umanità si esprime attraverso la vita del singolo non perché questo tenda ad annullarla o si faccia annullare da essa ma perché la realizza concretamente. La vita è l’unica dimensione nella quale l’umanità, comune a tutti gli esseri, si esprime come condizione singolare. Proprio per questo essa non è un valore trascendente né una qualità individuale. L’umanità si identifica con la vita concreta, reale, dell’uomo, con il proprio corpo, con le sue funzioni organiche.

Emerge in maniera lampante il richiamo a quella dimensione istintuale, emotiva, passionale che precede e fonda la sfera della coscienza razionale. Questa riflessione si pone in continuità con l’importanza attribuita dall’autore al corpo.

L’inconscio travestimento dei bisogni fisiologici sotto il mantello dell’obiettività, dell’idealità, della pura spiritualità va tanto lontano da far spavento, - ed abbastanza spesso mi sono domandato se, calcolando in grande, finora la filosofia non sia stata in genere un’interpretazione del corpo ed un fraintendimento del corpo. Dietro i giudizi di valore più alti, da cui la storia del pensiero è stata finora guidata, si celano fraintendimenti della conformazione corporea, che si tratti di individui o classi o di intere razze. Si possono considerare tutte quelle ardite dissennatezze della metafisica, in particolare le sue risposte alla questione del valore dell’esistenza, in primo luogo e sempre come sintomi di determinati corpi; e sebbene siffatte affermazioni o negazioni del mondo, misurate scientificamente, non racchiudano in complesso neanche un granello di significato, esse forniscono allo storico e allo psicologo cenni tanto più pregevoli, in quanto sintomi, come ho detto, del corpo, della sua buona e cattiva riuscita, della sua pienezza, potenza, preponderanza nella storia, o invece delle sue inibizioni, stanchezze, impoverimenti, del suo presentimento della fine, della sua volontà della fine.64

Il titolo “Noi senza paura” che apre il libro quinto del “La gaia scienza” mette in evidenza il messaggio fondamentale dell’opera. Una scienza che si voglia definire “Gaia” deve condurre gli individui al superamento della paura. É proprio questa, infatti, che dà vita alla morale e determina l’uniformazione degli individui alla logica del “gregge”. É per bisogno ma soprattutto per paura che l’uomo istituisce il mondo che lo cristallizza nelle istituzioni sociali. L’“economia della conservazione della

specie” fornisce una finalità all’esistenza, consente di istituire scopi ultimi verso i

quali la vita dovrebbe tendere, trovando un senso65.

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F. Nietzsche, La Gaia scienza. Idilli di Messina, trad. it. di S. Giametta, Rizzoli, Milano, 2008, pp. 60 - 61.

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La tesi che identifica la vita con la volontà di potenza, pur essendo molto affascinante, non è per nulla consolatoria. Nietzsche, d’altro canto, non affida alla propria filosofia una missione fondativa. Egli vuole demistificare e de – sostanzializzare tutte quelle categorie religiose, morali, scientifiche che si presentano come verità assolute. Della vita, ad esempio, si può soltanto dire che è pura forza, volontà di potenza, potenza che vuole la vita superando le condizioni che inevitabilmente la condurrebbero alla morte. Tutte le verità consolatorie e rassicuranti della metafisica, della morale,

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Oggi, nell’epoca che ha proclamato la morte di Dio e l’estinzione degli ideali e dei valori metafisici e religiosi, la finalità dell’esistenza è valutata in relazione al principio della conservazione della vita. La scienza, infatti, considera buono ciò che è funzionale alla conservazione della specie e cattivo ciò che non lo è. Nietzsche intravede in questo aspetto la problematica relativa all’esaurimento dei valori ed alla ricerca di una nuova condizione vitale. Infatti, la consapevolezza che il mondo in cui l’uomo vive è immorale, non – divino, disumano implica l’apertura di un immenso vuoto nel quale l’essere umano rimane sospeso. L’uomo moderno è posto dinnanzi ad una scelta: mandare in frantumi la metafisica che per secoli ha fornito una risposta al bisogno o disconoscere l’esistenza umana.

L’interrogativo angosciante che si presenta all’uomo moderno è proprio questo out –

out che apre l’esistenza ad una forma radicale di nichilismo. Ed è proprio per

contrastare tale pericolo che il filosofo propone la dottrina del superuomo.

Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete

fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé: e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l’uomo? Che cos’è per l’uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto deve essere l’uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna. Avete percorso il cammino dal verme all’uomo, e molto in voi ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l’uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia. E il più saggio tra voi non è altro un’ ibrida disarmonia di pianta e spettro. Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta? Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra!66

della religione, invece, subordinano la potenza della vita alla propria conservazione65. Ciò significa che questi orizzonti trascendenti, conservando la vita, la depotenziano e la condannano all’immobilismo, alla staticità. Nell’immunizzazione artificiale della società la vita deve, dunque, essere de – potenziata, privata della propria volontà sempre eccedente, sovrabbondante ma anche violenta e devastante ai fini della conservazione dell’esistenza collettiva. La forza vitale dei pochi è sottomessa all’istinto di conservazione dei molti. Da ciò nasce quella che l’autore definisce come “morale del gregge”65. Ma ciò non fa che confermare l’importanza che la metafisica, la fede, la religione hanno nella vita dell’uomo. Esse hanno rappresentato il rimedio, la medicina per una condizione esistenziale che gli uomini hanno sempre considerato insostenibile. La vita dell’uomo, infatti, priva di un rivestimento trascendente, è nuda vita, insostenibile animalità, prorompente volontà di potenza che rompe le forme e le ricostruisce continuamente. La vita è perenne flusso, movimento che necessita di essere imbrigliato nelle reti conservative della morale, della religione, della metafisica. La verità è una menzogna vitale che l’uomo si impone per potere prolungare la propria esistenza. Dunque, la morale consente all’uomo di assumere una maschera da animale mansueto, misconoscendo la violenza che l’esistenza organica porta con sé. Nietzsche affronta anche il problema della coscienza. Pensiero, azione e volizione sono gli elementi presenti nell’uomo già a livello pre – cosciente. Tutta la vita, secondo il filosofo, non sarebbe possibile se non ci si guardasse allo specchio. A cosa serve, allora, la coscienza? Essa è legata al bisogno umano di comunicare. La necessità di sopravvivere ha portato l’uomo a sviluppare la comunicazione. Dunque, la coscienza nasce dall’utilità. L’uomo, infatti, essendo l’animale più esposto al pericolo, ha bisogno di intrattenere reti di relazioni sociali. La coscienza è l’ “organo” che consente all’animale – uomo di inserirsi nel contesto sociale. Ma solo il pensiero più superficiale si trasforma in parola, in segno comunicativo. “Genealogia della morale” è l’opera nella quale Nietzsche mette in evidenza in maniera più chiara la logica utilitaristica che si pone alla base della nascita della coscienza a partire dallo spirito di conservazione65.

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F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, 2008, pp.5-6.

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Il superuomo nasce dal tramonto dell’uomo ma non indica la svalutazione dell’essere umano, al contrario, è l’annuncio dell’avvento di una nuova umanità che rimarrà sempre ancorata al “senso della terra”. Ed infatti, è proprio il “senso della terra” che l’oltre – uomo deve conservare, alla quale deve rimanere legato. Tale senso, tuttavia, non si identifica con la “forza di gravità” che tiene l’uomo moderno incollato al suolo impedendogli di elevarsi e di alzare lo sguardo sulle miserie dell’umanità. Il “senso della terra” si identifica con la dimensione vitale, con il corpo, i bisogni naturali. Il superuomo supererà l’uomo a partire dalla consapevolezza raggiunta dell’illusorietà di tutte le morali, le verità, i valori. Ciò che la condizione oltreumana indicherà, infatti, è la via che porta alla trasvalutazione dei valori, la strada che conduce al di la del bene e del male. Nietzsche sostiene, dunque, che il “senso della

terra” è identificabile con la nascita di un’umanità coraggiosa, tenace, spregiudicata

nella quale prevalga la volontà di potenza della vita. Ed è proprio nell’annuncio dell’avvento del superuomo che il concetto di volontà di potenza assume la sua più chiara fisionomia. Il superuomo è colui che sarà capace di fare della vita la continua espressione della sua potenza, della sua forza, della sua capacità di oltrepassamento. La volontà di potenza potrebbe, dunque, essere intesa come una volontà di vita in quanto si identifica con un processo di vivificazione senza il quale l’uomo non potrebbe esistere, non potrebbe evolversi, modificarsi. Essa, infatti, rompe le forme, le trasforma, crea per distruggere e distrugge per creare.

L’autore descrive questi processi servendosi delle scienze biologico – naturali. Egli, infatti, era molto vicino all’embriologia di W. Roux, alla teoria cellulare di R. Virchow, alla fisiologia di C. Bernard67. Nella volontà di potenza che libera la vita, secondo Nietzsche, si sviluppa una complessa dialettica di irritazione ed

assimilazione tra corpi e tra organismi ed ambiente. L’attività organica non può

essere definita esclusivamente attiva o completamente passiva; attività e passività, azione e reazione sono due facce della stessa medaglia. Rifiutando il dualismo Nietzsche si affida al corpo proprio a partire dall’analisi delle dinamiche fisiologiche che ne determinano il grado e le caratteristiche funzionali. L’intensità dell’assimilazione e dell’irritazione funzionale differisce in base alla complessità degli organismi. Gli organismi unicellulari semplici, ad esempio, hanno un grado maggiore di eccitazione; man mano che si sale nella scala evolutiva aumenta il grado di assimilazione e diminuisce quello di eccitazione. L’uomo, a differenza degli animali, ed ancor più degli organismi semplici, sperimenta un alto grado di “apertura” all’esterno, in quanto non subisce passivamente l’irritazione dell’ambiente ma si costruisce e modifica in relazione ad esso. Gradi maggiori di assimilazione consentono all’organismo umano di modificarsi, pur mantenendo un certo grado di unità interna. Ciò che l’uomo definisce identità organica ed adattamento all’ambiente